L’ultimo autunno dell’euro: Francia ed Italia verso la recessione

La crisi terminale dell’euro è come l’autunno meteorologico: si sa che arriva, ma è difficile stimarne con precisione l’inizio. Diciotto mesi di allentamento quantitativo da parte della BCE non hanno sanato il problema strutturale dell’eurozona: l’impossibilità per le economie periferiche di reggere un cambio fisso con la Germania, in assenza di un Tesoro comune che trasferisca risorse dal centro al resto dell’area monetaria. Diversi segnali indicano ora che l’Italia e la Francia si dirigono verso una nuova recessione: sarebbe l’avvio di quella dissoluzione della moneta unica a lungo paventata. Se l’implosione dell’Unione Europea sarebbe accelerata con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, nel caso di una vittoria di Hillary Clinton il futuro dell’Europa si inquadrebbe in un più ampio scenario di ostilità con la Russia.

Crisi multiple, ma si avvicina quella decisiva

Se non si hanno dubbi sull’inizio dell’autunno astronomico, l’equinozio del 22 settembre, esistono sempre incertezze sull’autunno meteorologico: è il momento in cui si tirano fuori dagli armadi maglie, impermeabili ed abiti pesanti. L’eurocrisi è simile all’autunno: si conosce l’inizio astronomico, databile secondo semestre del 2011, ma è stato finora impossibile stabilirne quello meteorologico, ossia la crisi che coinciderà con il concreto sfaldamento della moneta unica e la dissoluzione dell’Unione Europea.

Qualche anno fa sarebbe stato possibile scindere l’implosione dell’euro da quella dell’Unione Europea, ma, al termine del 2016, il quadro politico si è talmente deteriorato che è impossibile ipotizzare che le istituzioni di Bruxelles sopravvivano alla fine dell’euro: anzi, si può tranquillamente affermare che la moneta unica (“una grande e irrinunciabile conquista” secondo un europeista di ferro come Giorgio Napolitano) sia l’ultimo collante che lega un’Unione dove le forze centrifughe sono ogni giorno più forti. Dissoltasi l’area monetaria, i vincoli che subordinano le varie cancellerie alle direttive di Bruxelles si allenterebbero fino a scomparire e la tendenza a rimpatriare quote sempre crescenti di sovranità, in materia di immigrazione come di economia, farebbe il balzo in avanti decisivo.

Sebbene si corra il rischio di scrivere un banale necrologio, è bene, infatti, passare velocemente in rivista le molteplici crisi di natura politica che stanno corrodendo l’Unione Europea, giorno dopo giorno: si può tranquillamente restringere l’analisi al solo campo politico perché è nelle urne che, con un disallineamento di due o tre anni, si riversa tutto il malessere dell’elettorato, qualsiasi sia la sua origine, sotto forma di astensionismo o di voti per i cosiddetti “partiti populisti” (che, ça va sans rien dire, intercettano gli umori del popolo):

  • Portogallo: nonostante i tentativi dell’ex-presidente della repubblica Aníbal Cavaco Silva di ribaltare l’esito delle elezioni, si è installato un governo di centro-sinistra che sta progressivamente smantellando le riforme incentrate sull’austerità che hanno martoriato la società lusitana. “L’anello debole dell’euro è a Lisbona: Portogallo rischia un secondo salvataggio” scrive Repubblica il 15 settembre;
  • Spagna: nessuna novità sul fronte iberico, dove la depressione economica ha disintegrato lo storico bipartitismo in un amorfo quadripartitismo (popolari, socialisti, Podemos, Ciudadanos) che rende impossibile la formazione di un esecutivo. È probabile che a dicembre si voti per la terza volta in un anno, senza alcuna garanzia che si esca dall’impasse.
  • Francia: Hollande è un cadavere politico che si aggira tra i corridoi dell’Eliseo. Lo stragismo di Stato che ha mietuto più di 200 vittime in meno di due anni, non ha stretto la nazione attorno al suo capo supremo, la cui popolarità rimbalza come un gatto morto dopo ogni attentato, per poi precipitare nuovamente verso il 10-15% di giudizi favorevoli1. La probabile affermazione di Nicolas Sarkozy come candidato della destra repubblicana, apre lo scenario di una vittoria di Marine Le Pen al ballottaggio delle presidenziali del maggio 2017;
  • Italia: non potendo cancellare il referendum costituzionale che rischia di travolgere Matteo Renzi e quel che rimane dell’establishment italiano in avanzato stato di decomposizione, si è scelto di posticiparlo il più possibile. Il 4 dicembre gli elettori saranno finalmente chiamati ad esprimersi sulla “riforma Boschi”, imprimendo un potente slancio al processo di dissoluzione della UE nel caso in cui la revisione della Costituzione benedetta dalla Troika fosse bocciata;
  • Austria: le presidenziali che assegnarono la vittoria all’europeista Van der Vellen sono state annullate per palesi brogli elettorali; si sarebbe dovuto rivotare il 2 ottobre, ma la connatura tendenza delle poste austriache ad aprire le buste del voto postale hanno obbligato a rinviare il ballottaggio al 4 dicembre. Il favorito è, ovviamente, il “populista e xenofoboNorbert Hofer, la cui vittoria sarebbe spalancherebbe le porte ad un esecutivo di destra che traghetterebbe l’Austria fuori dall’area di Schengen e, un domani, dall’eurozona;
  • Germania: continua inesorabile il declino di Angela Merkel, bruciata dalle politica delle porte aperte agli immigrati impostale dai poteri atlantici per destabilizzare il Paese. Il “cazzaro di Rignano” insiste col farsi fotografare a suo fianco, oggi a Ventontene domani a Maranello, senza capire che la cancelliera è la pallida ombra di quella che fu nel lontano 2012: la CDU, sotto la sua presidenza, si sta liquefacendo, rendendo necessaria, in vista delle elezioni federali dell’autunno 2017, la formazione di una Grosse Koalition che includa pressoché tutte le forze politiche (cristiano-democratici, socialisti, verdi), tranne i populisti di Alternativa per la Germania. Solo il 44% dei tedeschi la vorrebbe ancora candidata per un quarto mandato2, rendendo sempre più  incerto il futuro per la Kanzlerin che, nel bene e nel male, ha sinora garantito l’integrità dell’euro;
  • Olanda: il Partito della Libertà guidato da Geert Wilders, già reduce della vittoria referendaria con cui è stato affossato l’accordo di associazione tra Ucraine ed Unione Europea, è sempre più deciso a chiedere un referendum sulla permanenza della UE e ne ha fatto un cavallo di battaglia in vista delle legislative del 2017. Come nel caso dell’Austria, l’addio alla UE implicherebbe anche l’uscita dalla moneta unica, sancendo la reversibilità dell’euro;
  • Regno Unito: qui si è già votato e gli elettori si sono espressi per l’addio all’Unione Europea. Il colpo inflitto alla UE sotto il profilo politico e d’immagine è stato drammatico, palesando che il sentimento degli elettori è diametralmente opposto alla retorica europeista con cui Washington e Bruxelles hanno camuffato l’interesse geopolitico ad allargare l’Unione. La UE non solo ha perso propulsione verso i suoi confini esterni, ma perde addirittura ad ovest un pilastro come Londra;
  • Europa dell’est o gruppo di Visegrad: gli imperi, è risaputo, cominciano a dissolversi dall’estrema periferia. Al vertice di Bratislava, uno degli innumerevoli “vertici decisivi” che stanno scandendo il collasso della UE, il gruppo di Visegrad non solo si è opposto a qualsiasi ipotesi di ripartizione degli immigrati, ma ha anche avanzato la proposta  un tempo impensabile di riappropriarsi di una fetta consistente della sovranità ceduta a Bruxelles;

L’equilibrio dell’Unione Europea, come si sarà intuito da questa breve carrellata, è fragilissimo: qualsiasi ulteriore crisi ha alte probabilità di causare il crollo della struttura, specie se ad essere intaccato fossero le fondamenta del progetto europeo, ossia la moneta unica.

L’eurozona, come abbiamo sempre detto, è un banale sistema a cambi fissi, concepito per generare nel volgere di pochi anni l’attuale, drammatica, crisi (vedi ciclo di Frenkel3) con cui strappare l’unione fiscale ed i massonici Stati Uniti d’Europa. Non può sopravvivere senza il trasferimento di risorse dal centro alla periferia: occorre cioè un Tesoro europeo che dirotti risorse dalla Germania, che inanella export e gettiti fiscali record anno dopo anno, verso la periferia, tra cui si annovera anche la Francia in rapido declino (l’esplosione dei debiti pubblici dal 2002 ad oggi, quello francese in primis, è dovuto al tentativo di frenare l’incessante impoverimento della popolazione).

La Germania però, sottoposta come il resto d’Europa alle ricette neo-malthusiane del precariato e dei mini-job, rifiuta di aprire i cordoni della borsa (nein alla “trasnfer-union”4) e di mutare la propria economia mercantilista, lasciando crescere i salari a ritmo sostenuto così da ridurre l’export ed alleviare la svalutazione interna negli altri Paesi dell’eurozona. Così facendo, l’establishment tedesco (la Merkel è un discorso a sé stante) si attira le ire di Washington, per cui l’Unione Europea è il risvolto economico e politico della NATO, studiata, come disse il suo primo segretario generale, il barone Hastings Ismay, “per tenere fuori i russi, dentro gli americani e sotto i tedeschi”.

Prima lo scandalo Volkswagen e poi l’assalto speculativo a Deutsche Bank, seguito dalla recente richiesta del Dipartimento della Giustizia americana di sborsare 14 $mld per le vicende dei mutui spazzatura, sono tentativi statunitensi di riportare sotto controllo la Germania che, nonostante la guida Angela Merkel, si sta dimostrando sempre più assertiva.

Ferma restando l’ostilità tedesca alla “transfer union”, l’unica possibilità per rimandare il triste epilogo dell’euro, è l’allentamento quantitativo della BCE, lanciato nel marzo 2015 dall’ex-Goldman Sachs Mario Draghi e via via potenziato, grazie anche al sullodato scandalo Volkswagen che ha reso più malleabili i tedeschi, strenui oppositori di una politica monetaria troppo accomodante.

L’effetto dell’allentamento quantitativo, come facilmente prevedibile, è però quello di un pannicello caldo: l’euro si svaluta un po’ sul dollaro e sullo yuan, consentendo all’export europeo di rifiatare, ed i governi risparmiano un paio di miliardi annui pagati in interessi sul debito. I problemi di competitività interni al sistema di cambi fissi, ossia la Germania verso tutti gli altri, non sono però risolti: non solo, la politica dei bassi tassi d’interesse erode nel medio termine la redditività delle banche europee (tra le principali preoccupazioni che assillano le casse di risparmio tedesche) che, a differenza delle concorrenti angloamericane, fanno ancora del prestare il denaro il nocciolo delle loro attività.

L’allentamento quantitativo della BCE non fa quindi che prolungare l’agonia dell’eurozona, ritardando, per riprendere la metafora con cui abbiamo aperto, l’arrivo dell’autunno meteorologico dell’eurocrisi, ossia il concreto sfaldarsi della moneta unica.

Ebbene, diversi segnali indicano che l’epilogo dell’eurocrisi è ormai imminente: esaurito il metadone di Mario Draghi, incombe ormai la dissoluzione dell’aria monetaria. Quali sono questi segnali? La quasi certezza che la seconda e la terza economia dell’eurozona, Francia ed Italia, si stiano dirigendo verso una nuova recessione, in condizioni fiscali e sociali così precarie da rendere inevitabile l’addio all’euro.

I dati statistici attestano che nel secondo trimestre del 2016 l’economia francese e quella italiane sono crescite (o meglio sarebbe dire “decresciute”) dello -0,1% e dello 0%: nessuno cambiamento macroeconomico è occorso negli ultimi mesi e diversi indicatori che anticipano l’andamento economico, come il Pmi manifatturiero (ad agosto in contrazione sia in Italia che in Francia) lasciano presagire un ulteriore peggioramento della situazione, tanto più che il contesto macroeconomico si sta annuvolando a livello globale e la sullodata Deutsche Bank stima che gli stessi Stati Uniti stiano già viaggiando verso una nuova recessione5.

Abituati all’immagine dell’Italia come pecora nera d’Europa, si potrebbe pensare che sia il nostro Paese, con un debito pubblico al 140% del PIL, una disoccupazione oltre l’11% e sofferenza bancarie record, a non poter reggere un’ulteriore contrazione dell’attività economica. In realtà, la Francia è persino in condizioni peggiori: la traiettoria del debito pubblico (vicino al 97% del PIL) è più allarmante di quella italiana, il deficit più alto (3,5% del PIL nel 2016), la bilancia commerciale, a differenza dell’Italia, in cronico e drammatico disavanzo (attorno ai 70 €mld annui), e la disoccupazione, nonostante i soliti maneggi statistici, si attesta anch’essa a livelli allarmanti, con 3,5 mln di persone in cerca di lavoro.

Le probabilità che Francia ed Italia resistano ad un’ennesima contrazione dell’economia rasentano la zero: non appena sarà la fase recessiva sarà conclamata, preverrà l’urgenza di abbondare l‘eurozona e riappropriarsi della leva monetaria, così da poter svalutare rispetto all’euro-marco, generare occupazione ed alimentare l’inflazione indispensabile per i profitti delle imprese e l’erosione dei debiti accumulati.

Non è un caso se la moneta unica sia sempre più spesso definita come “un esperimento fallito”, anche dai media e da blasonati premier Nobel: nei circoli che contano, la sua dissoluzione è ormai nell’ordine delle cose.

Resta da fare un ultimo sforzo analitico: come conciliare l’ormai imminente collasso dell’Unione Europea con le presidenziali americane?

Non c’è alcun dubbio che la vittoria di Donald Trump, il candidato “populista” che si è schierato ed ha esultato per la Brexit, accelererebbe il processo di disintegrazione dell’Unione Europea, propaggine di quell’ormai insostenibile impero americano che Trump vuole parzialmente smantellare, così da dirottare le risorse risparmiate verso l’economia interna.

Il discorso è, ovviamente, opposto con Hillary Clinton, esponente di quell’establishment anglofono, liberal e bancocentrico (vedi Council on Foreign Relations e Chatham House) che finanzia e supervisiona il progetto di integrazione europea sin dai tempi del conte Coudenhove-Kalergi: quest’establishment è congenitamente russofobo (l’antagonismo verso la Russia risale al Grande Gioco del XIX secolo) ed aborrisce qualsiasi integrazione tra Russia e l’Europa, considerata come una minaccia esiziale per gli interessi angloamericani.

Per personaggi come la Clinton l’Unione Europea è stata concepita, proprio come la NATO, “per tenere fuori i russi, dentro gli americani e sotto i tedeschi”. Nel caso di una vittoria della Clinton, quindi, la dissoluzione dell’Unione Europea ed il conseguente rischio di un avvicinamento tra Mosca ed una o più capitali europee, si inquadrerebbero nel più ampio muro contro muro con la Russia, di cui la candidata democratica è una convinta fautrice: uno scenario molto, molto, pericoloso.

 

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1http://www.bfmtv.com/politique/la-popularite-de-francois-hollande-et-manuel-valls-en-legere-hausse-1022773.html

2http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2016/09/03/solo-il-44-per-quarto-mandato-merkel_850f046f-f4e6-4f75-af2c-6c965cff8b52.html

3https://it.wikipedia.org/wiki/Ciclo_di_Frenkel

4http://uk.reuters.com/article/germany-merkel-transfer-idUKB4E7IJ00920110722

5http://www.businessinsider.sg/the-risk-of-a-us-recession-according-to-deutsche-bank-2016-9/#Lqg8pif9xqf8tQji.97

41 Risposte a “L’ultimo autunno dell’euro: Francia ed Italia verso la recessione”

  1. “Non è un caso se la moneta unica sia sempre più spesso definita come “un esperimento fallito”, anche dai media e da blasonati premier Nobel: nei circoli che contano, la sua dissoluzione è ormai nell’ordine delle cose.”

    l’euro non è un’esperimento fallito, ma è un esperimento perfettamente riuscito, perchè proprio così era stato previsto e pianificato (anche dagli ignobili traditori Ciampi e Prodi).
    L’ euro è servito in una prima fase a sottrarre ricchezza ai paesi periferici, specialmente togliendola alla classe media, (la cui crescita era molto temuta da quelli che storicamente occupano un gradino sopra); poi (cioè nell’attualità) anche i paesi ‘core’ precedentemente risparmiati sono giunti a beccarsi il loro clistere (beh a meno di non credere alla favola che i tipo ‘un milione all’anno’ di nuovi arrivati in Germania non si trasformino come per incanto in altrettanti efficienti lavoratori e pagatori di pensioni).

  2. Tacito vede arrivare la guerra. A Zurigo il nostro amico Lenin ci faceva studiare i fisiocrati, gli economisti che dicevano di guardare all’energia. Rientrato a Mosca dirà che il comunismo erano i soviet più l’elettrificazione. Era uno degli ultimi dati non falsificati quello dei consumi elettrici. Roma ormai sfiancata a luglio faceva -10%. Il Pil è quello lì. Da allora, silenzio. Crolla tutto; Tacito lo vede e lo racconta. Negli stadi il popolo fischia e grida chi lo costringe a ricordare il distruttore della lira. Resi ciechi dalla loro stessa dottrina gli autori di tutto questo, giustamente vestiti di nero, sperano che il loro papa possa comunque controllare gli esiti. Stanno per cadere anche loro. Che nella Francia da essi sfibrata nell’animo potesse venire di nuovo una donna a liberarla, è quasi non credibile. Solgenytsin e Tacito.

    1. Nessun contributo al dibattito da parte mia, ma solo un apprezzamento sincero…
      a Federico che è una mente superiore, anzi probabilmente il più fine e preparato analista geo-politico in circolazione, ma anche a Willi che mi incanta con i suoi riferimenti quasi esoterici (e la cui portata non riesco completamente a cogliere, mannaggia a me..)

      1. Grazie, Davide. E’ bello che un mercoledì mattina qualcuno ti definisca “una mente superiore”: dà una carica per il resto della giornata 🙂

        1. Di sicuro non sarò stato l’unico a definirti così, quello che mi impressiona di te, aldilà della tua capacità di unire i puntini (e quetsa è la mente superiore), è la tua abilità incredibile a digerire le informazioni reperite qua e là (di cui tu citi SEMPRE e sottolineo SEMPRE le fonti – a volte le più disparate).
          Forse però, come dice Willi, questo non è altro che il lavoro dello storico 😉

        2. No caro Federico, riesci a dar fiato ed a cristallizzare concetti difficili, ma che oramai, per chi ti segue, stanno diventando sempre meno difficili da capire.
          Grazie.

    2. Questa volta non tutto è chiaro.
      Ma il vaticinio in un’epoca desacralizzata e destituita di onore merita rispetto.
      La Pizia sovversiva è necessariamente ambigua.
      Coloro il quali vestono gli abiti del lutto – probabile anticipazione del decesso geopolitico incombente – confidano in un Papa o di una Papessa che il compagno di Zurigo non consente di determinare.
      Unica pecca del giovine Dezzani: ritenere la guerra possibile.
      Coloro che promuovono la rettorica dei diritti civili e del PIL ed esaltano lo sballo della droga e sacralizzano l’aperitivo come il week end a Londra, che confidenza possono avere con l’ardua difesa della comunità?
      I banchieri non fanno la guerra, non hanno cittadini, mettono in campo infidi mercenari.

      1. attenzione Radek! la guerra è in vasta scala “l’omicidio necessario!”: la proiezione in mondovisione del sacrificio cruento di una vasta congerie di innocenti. Niente di + “delizioso” di ciò per le Oligarchie Iniziatico TecnoFinanziarie. Il loro sovvenzionamento del Terzo Reich (ne accennò ovviamente in maniera un “informato dei fatti” come Geminello Alvi… vedi discendenza dalla rivista Athanor…!!) è la prova-provata di ciò.

  3. Vorrei ricordare che la Nato l’abbiamo voluta anche noi, all’epoca, c’era davvero il timore del comunismo stile Unione Sovietica, tutti guardavano agli Usa come baluardo di ricchezza e libertà, che poi faceva comodo alla linea atlantica, geopoliticamente parlando, è un altro fattore. Ora i tempi sono cambiati, il grande impero sta crollando, i giochi sporchi sono venuti alla luce, e gli europei si sono stancati di essere solo pedine, quando una volta si sentivano protagonisti (di tale ricchezza e libertà), a favore degli altri, dei Grandi. Cosa succederà? L’Ucraina ha ancora il terrore del comunismo (non un ricordo lontano) e guarda all’Europa e agli Usa. Noi abbiamo dimenticato tutto? Io penso che la sovranità ci spetti di diritto, ma allo stesso tempo abbiamo l’obbligo di mantenere buoni rapporti sia con la Russia che con gli Usa. Sarebbe consigliabile non avere nemici

    1. No, no, cara: la NATO è uno strumento di controllo. Chi la tocca, da Aldo Moro ad Olaf Palme, muore.

      1. Be’, allora diciamo che anche la mafia è nata come controllo anti-comunismo, ma la Nato l’abbiamo ufficialmente firmata anche noi. Sono nata nel 65, ricordo il terrore comunista e l’amore per gli Usa, eravamo praticamente americani e abbiamo goduto di quel benessere. Comunque non oso contraddirti, io sono solo una che ha vissuto un certo periodo, tu l’hai studiato.

      2. Buongiorno. La leggo da tempo ma è la prima volta che scrivo. Mi ha molto colpito questa sua affermazione (chi tocca la Nato muore, da Moro a Palme), che per me è nuovissima. Non mi sembra che Moro contestasse la Nato. Ho sempre pensato che fosse stato ucciso, probabilmente, per le sue posizioni politico/energetiche nel Medio Oriente e nel bacino del Mediterraneo (anche l’omicidio Mattei). Non ho mai pensato ad un legame con l’omicidio di Palme. Mi scrive, se ha tempo e voglia, qualcosa al riguardo? Sa, per me l’omicidio Moro è ancora una ferita aperta … Comunque grazie e vada avanti con forza e coraggio. La leggo sempre volentieri e, quando capita, faccio pubblicità al sito.

        1. Moro è assassinato in un momento in cui urge l’istallazione degli euromissili in Italia, primo provvedimento preso poi dal governo Cossiga. Sarebbe accaduto con i comunisti al governo e Moro premier? Mah…
          Palme l’hanno zittito per le sue posizioni critiche sugli americani, che al tempo erano scandalose.
          Vogliamo andare avanti?
          De Gaulle porta la Francia fuori dalla NATO e chi cerca più volte di assassinarlo? L’OAS, che ruotava nella galassia CIA/stay behind (vedi Aginter Press e Guerin-Serac).

  4. Occorre che arrivi Trump. Con lui, saremo tutti liberi di riappropriarci della sovranità. Non lasciatevi convincere dai giornali che dicono Clinton. Il vento del populismo e del nazionalismo, cioè la conservazione della identità minacciata, spira sempre più forte. Anche per sola inerzia.
    Clinton perderà. Guardate Trum-Cinton polls. L’enorme vantaggio della Clinton di quattro mesi fa, si è dissolto. Man mano, cadono i bastioni dell’Ohio, della North carolina, del Colorado, della Florida. La Florida è l’unico stato che potrebbe fare in “grande broglio”, perchè comandato da Jeff Bush…Ma potrebbe non bastare se cadono anche Michigan e Illinois, oltre a pennsylvania..

    1. Penso che nutriate troppe speranze il Trump, che saranno poi disattese, come fu in Obama otto anni fa.
      Il signor Trump è un ex miliardario, oggi comunque benestante, che ha avuto una idea geniale, rilanciare il marchio Trump e per giunta con i soldi degli altri.
      Si perché Trump è come la coca cola, mcdonalds o wallmart, un marchio. Un marchio che ha bisogno di generare sogni per poter amplificare fatturati e guadagni. L’idea di associare il marchio ad un possibile presidente degli stati uniti è geniale, avrà sicuramente un ritorno miliardario in termini di fatturato.
      Poi per il resto è secondario, e nel caso dovesse divenire presidente, bhe verrà allineato (se necessario) come fu per tutti gli altri.
      Come sono certo che tra Hillarity o Donaldo nulla cambia, se dovranno esserci scontri militari ci sarà con l’una o con l’altro.
      L’unica certezza che i presidenti cambiano, ma i posteriori son sempre gli stessi. E si sa, ai posteriori l’ardua sentenza 🙂

        1. Verissimo, ma è sempre una parte dell’ingranaggio, a meno che non perda soldi allora diventerebbe veramente incontrollabile o imprevedibile.
          Io penso che la spallata, se spallata sarà, arriverà da un “outsider” molto ambizioso della provincia dell’impero USA, qualcuno che fiuterà la possibilità di ambire alla creazione o ri-creazione di un proprio impero. Dopotutto è sempre il tuo migliore amico a farti cornuto, o almeno così si dice.

  5. Come ricordava Dezzani, l’Occidente è in crisi dalla guerra del Peloponneso. Senza crisi non c’è capitalismo, niente reset di disordine finanziario e cattiva allocazione dei capitali (per dire, come li gestisci tutti questi europei assistiti che fanno pochi figli, consumano poco e muoiono tardi, pretendono la pensione e invocano il protezionismo. Rinfreschiamo un pò di idee con una bella trasfusione africana).
    Finisce un ciclo economico di 70 anni e ne inizia uno nuovo La guerra ci sarà (c’è già) per forza di cose. Quindi forse, stringi stringi, la questione è tutta qui: ci ritroveremo (se ci saremo) in un mondo multipolare e neofeudale, o le nuove regole del gioco (che non è escluso piacciano anche alla Cina) saranno quelle del post umanesimo orwelliano?

    1. L’elezione di Trump la rimanderebbe almeno di quattro anni, che di questi tempi sono un secolo.

      1. Il gioco noto come petrodollaro, nato dopo lunga e penosa guerra in Asia, non è mai stato molto stabile e ha infine generato la mamma di tutte le bolle. Così, di questi tempi, due settimane di crollo dei mercati sono anche 70 anni (all’indietro). Ad occhio e croce tre opzioni: si accordano in fretta per nuovo gioco e nuove regole (con Trump e senza guerra, meglio); fanno una guerra per decidere chi deve decidere (il nuovo gioco e le nuove regole); continuano a stampare moneta, e bolla, recessione e protezionismo riportano tutti a razzo al 1945.
        Time is not on our side, probabilmente (ma Mihai-Willy è bravissimo).

  6. Carlo De Benedetti, in una stupefacente intervista al Corriere del 27 settembre, ha inaugurato la stagione della discontinuità con la politica economica degli ultimi anni.
    Ciò che i suoi giornali avevano finora predicato come religione, si scopre improvvisamente superstizione.

    Si annuncia quindi una nuova formula, che sembra solo apparentemente contraddittoria, ma che nasconde invece una sua logica.
    Dopo il fallimento della stagione delle politiche di destra attuate da governi di sinistra, si passa a quella delle politiche di sinistra imposte da governi di destra.

    Invece delle ricette per l’estrazione di valore, che in pochi anni hanno portato all’esaurimento del suo giacimento, si invocano quelle per tornare di nuovo alla sua produzione.
    Una politica di nuovo stimolo alla domanda, della quale si possano però controllare i frutti al momento della redistribuzione del valore prodotto.

    A parte il funambolismo della svolta e l’ineguagliabile faccia tosta, viene da osservare che un cambiamento così radicale sarà consentito soltanto modificando prima, a monte, il paradigma della Troika. Oppure, in mancanza, smettendo semplicemente di seguirne i dettami e sciogliendo i patti che li rendono vincolanti. L’alternativa al momento è ancora incerta, così come il momento dello scarto di binario.

    Sembra ormai fuori di dubbio che il dibattito economico stia arrivando a una sua conclusione, con un graduale riconoscimento di fallimento da parte dei sostenitori dell’austerità virtuosa. Quell’austerità che era esclusivo appannaggio della classe media, ovviamente. Ma che sta portando ora a un deprecabile scadimento della qualità dello champagne della prima.

    Non sembra ancora risolta, invece, la dialettica tra coloro che vorrebbero anticipare un’eventuale rivolta a questo modello, che con il passar del tempo diventa sempre meno imbrigliabile, favorendo una transizione globale a un quadro alternativo, come quello di un socialismo a guida capitalista, e coloro che insistono invece per perseguire fino all’ultimo il disegno originario. Rischiando però che questo venga travolto da una reazione che nessuna supervisione del consenso riesce a controllare per sempre e da una resa dei conti con quei dati di realtà che la manipolazione della sua rappresentazione non riesce ormai più a nascondere.

    http://www.corriere.it/politica/16_settembre_28/de-benedetti-una-nuova-grave-crisi-economica-mettera-pericolo-democrazie-renzi-parisi-berlusconi-referendum-57791092-84e8-11e6-b7a9-74dcfa8f2989.shtml

    1. Niente di nuovo, già visto negli anni ’30: quando il capitalismo predatorio ha fatto la frittata, cerca riparo nello Stato, che rimette le cose in sesto finché la crisi non è stata dimenticata e si è creata sufficiente ricchezza da alimentare di nuovo il capitalismo predatorio. E così via.

  7. Quattro anni di vita. Tirare a campare per vedere come va.
    Un programma minimalista, ma che al giorno d’oggi è già molto bene.
    Eppoi c’è la statistica attuariale.
    Time is on our side. Sediamoci comodi sulla riva del fiume come i cinesi saggi.
    Ed attendiamo.
    Qui devo imitare (maldestramente) maestro “Willy”.
    Pensiamo a Zibi. Ad HAK da Fuerth. A Gyorgy nato Schwartz…
    “Absit injuria verbis”: possono sempre redimersi “in articulo…”. Sono creature umane pure essi. Chi sarei io per giudicarli?
    Grazie Federico
    DNFTT. IST

  8. Devo dire che ho comunque dei dubbi sulla caduta dell’Euro, l’Euro non cade se gli Americani non vogliono, quindi se tanto mi da tanto, bisognerà attendere le elezioni Americane per capire meglio se cadiamo e come cadiamo, magari in piedi… 🙂
    In caso contrario prima ci sono i soliti allarmismi e spread a manetta per tenere a bada gli stati,
    d’altronde Euro e Nato, la stessa cosa sono, senza naturalmente svelare che la Nato gestisce anche il traffico di organi, la mafia, le puttane e la droga.
    Hanno e fanno ancora oggi carte false, si sa da ormai molto tempo, (parlo delle grandi banche mondiali), relativamente alla economia d’oltreoceano, hanno finanziarizzato tutto, adesso ci sono più di 50 milioni di persone al Food Stamp, tutta forza lavoro, poi come tutti sappiamo i primi a perdere il lavoro sono i disadattati, quindi direi i neri…. non è che camuffano anche le rivolte che saccheggiano i negozi con pretesti diversi?
    Cosa che avviene comunque anche in Europa, visto che nel conteggio della disoccupazione ci conteggiano dentro i dipendenti pubblici…
    Vedremo rivolte anche qui da noi, magari ad iniziare dalla Francia, con la Nato che interviene con tanto di esercito Yankee a sedare gli animi in terra d’oltralpe?
    Oppure ci riservano una bella false flag di quelle mai viste? Come cercheranno di innescare una guerra ormai persa, veramente hanno perso la testa?
    Qui en sabe?

    Saluti

  9. Buongiorno.
    Per iniziare in letizia il giovedì, farei un regalo al “Willy “: ascoltate gli attori (bravi, peraltro) recitare i dialoghi tra Koestler ed egli http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-0b7b8783-3bc8-49f8-8ae1-63ef8f8a81ad.html in wikiradio di pochi giorni fa.
    Ed 1 trasmissione di esperienza (la vecchiaia me lo impone) alla Francesca.
    Francesca, da giovane mi affermavano che “non si può piacere a tutti”. È generalmente validissimo. Ma non solo: sappiamo dal Codice della Strada (che è severa maestra, sebben meno del mare e del cielo) che la “marcia a cavallo delle striscie” è sanzionata. Lo è giustamente, in mia modesta opinione, poiché fonte di pericolo oltre che di intralcio alla circolazione (la strada è di tutti e non ha quote protette. Le utenze deboli sono tenute a percorrere marciapiedi e ciclabili predisposte).
    In (geo?)politica naturalmente dobbiamo imparare 1 combinato disposto cogli interessi nazionali, per non scadere nelle degenerazioni tipo “tifo calcistco”.
    Spero di non esser stato complicato.
    DNFTT. IST

  10. Innanzitutto grazie a Federico Dezzani, mi unisco ai complimenti di cui sopra e vi assicuro che per quanto mi riguarda mi sono speso (inutilmente) in mille discussioni con miei amici, poi dopo averli indirizzati su questo blog, come per incanto hanno cominciato a capire e ritenere plausibili i mille discorsi che io facevo loro su questo e su quello.

    Per quanto riguarda Trump…..ovviamente sono decisamente avverso alla Clinton e mi è chiaro ciò che con lei presidente potrebbe succedere.
    Ma proprio perchè gli interessi in gioco sono altissimi (ed io alle analisi di Federico Dezzani, unisco certe questioni che per intenderci sconfinano nel campo “profetico religioso” e profezia vuol dire squarcio del futuro) io non credo assolutamente che Trump possa vincere.
    E se dovesse vincere e fosse armato di “buona volontà”, sarà troppo tardi.
    E se dovesse vincere e non fosse troppo tardi, sarà che non era così armato di buona volontà.
    Insomma….alla variabile imprevista non posso credere, brexit compresa.

    Capitolo Siria (visto che è tutto interconnesso), fretta fretta fretta ed ecco le sirene che ci ricordano la “nuova Sarajevo”.
    Un articolo mainstream al giorno, una dichiarazione quando di esponenti di governo, quando da Bruxelles, quando dal palazzo di vetro.
    In aggiunta la voce del Papa che fesso non è.

    Per la cronaca io sono Cattolico romano, sbigottito da quello che sta succedendo nel mondo di Santa Romana Chiesa che abbraccia il mondo, il potere di questo mondo…noi che ci è stato insegnato siamo nel mondo ma non siamo di questo mondo.
    E se il Santo Padre con le sue affermazioni rende un servizio ai poteri di questo mondo (ricevendone gli applausi….noi che guai quando vi applaudiranno), beh…le sirene di quell’apostasia di cui si è scritto duemila anni fa, sembra veramente sentirle.

      1. Il riferimento alla forza “Tigre” lusinga.
        Quindi: da sdrabstvuite siriskaja y russiskaja armje!

        Si conferma l’orientamente “sovranista di sinistra” del compagno Dezzani!
        Non rimane che organizzare una brigata internazionale per fornire un contributo alla liberazione di Aleppo, in faccia alla Nato, alle brigate jhadiste alle Ong filo-salafite.

        Una parata dell’esercito popolare siro e di qualche reparto “nazional-bolscevico” e scita al suono dell’internazionale socialista fra le macerie di Aleppo annichilirebbe e sconvolgerebbe la sinistra dirittoumanista ed ipercapitalista.
        radek

  11. x Mihail e Willy (Federico, scusa la deviazione dal tema del tuo pezzo)
    tra l’altro bisognerebbe capire perché il sionista Koestler tirò fuori la teoria della tredicesima tribù.

      1. Potrebbe essere, il crollo azionario della Db e delle altre banche, l’innesco per il definitivo crollo dell’euro?
        E se sì, cui prodest? Chi sta manovrando questi Edge fund che stanno sconquassando DB e Commerzbank? È solo mercato o si tratta di altro?

  12. Egregio Dezzani condivido il suo post ma converra’ che le prospettive peggiori in ogni caso sono x l’Italia.In Germania AFD e Francia Le Pen, rappresentano un tentativo di cambiare la classe dirigente in Italia buio completo.Prepariamoci a anni bui dove si salderanno tanti conti aperti.
    Cordiali saluti

  13. Egregio Signor Dezzani La leggo da alcuni mesi e questo sito è una delle cose migliori che penso si possa trovare nella rete. La ringrazio per il molto tempo che dedica al sito per scrivere e documentarsi e interagire anche con i lettori.
    Ho 24 anni e ho deciso di rimanere in italia forse me ne pentirò (forse l ho già fatto) ma sono uno di quelli che crede che le cose possano cambiare, in meglio, basta volerlo. Come altre persone sono in attesa di vedere come le cose evolveranno nei prossimi mesi e spero che quello che succederà sia di aiuto a un serio e necessario cambio di rotta e di visione delle politica in italia.
    Ho 24 anni e lavoro da poco (causa università) e ho da parte qualche risparmio..
    Ora visto che l euro crollerà perchè crollerà, io vorrei un Suo consiglio riguardo a cosa fare con i pochi risparmi che ho e che tengo in contanti quasi sotto il materasso. Siamo sull ordine delle poche migliaia di euro ma anche se non sono molti vorrei evitare quando sarà il momento di ritrovarmi con carta straccia o con qualcosa che ha perso il, diciamo, 30-40 forse 50% di valore. La mia domanda è: cosa dovrei farne di quei soldi? Convertirli in dollari o sterline? Comprare oro? Sono solo delle idee (forse stupide) spero di non passare per un ottuso opportunista e che avrà il tempo e la voglia di rispondermi (qui o in privato) e darmi qualche suggerimento.
    Grazie a presto
    Un suo “fan”

    FM

    1. Scusa se mi intrometto e mi permetto, e in maniera goliardica ti dico: spendili finche puoi, se non lo fai tu lo faranno altri al tuo posto.
      Io, se ti interessa, li sto investendo in cultura, nello specifico nello studio di lingue straniere e nell’acquisizione di maggiori conoscenze nel mio campo di lavoro (conoscenze commerciabili, non tassabili e non confiscabili e che possono facilmente essere esportate e senza l’applicazione di dazi).

    2. Non commettere il mio errore, se puoi, vattene subito dall’Italia a gambe levate! Ho 44 anni ed ho sempre lavorato dall’età di 23 senza interruzioni e non me la passo neanche malaccio (mi occupo di commercio internazionale in un’azienda del nord-est), ma se potessi tornare indietro di vent’anni emigrerei sicuramente in qualche posto civile a nord oltre le Alpi e mi scorderei di questo paese fallito…. E se decidi di restare, spendi e goditi i tuoi soldi e risparmia solo il minimo indispensabile; non viviamo più in tempi in cui puoi programmare investimenti che ne conserveranno o accresceranno il valore, è molto più probabile che tu li perda per sicure crisi economiche, occupazionali e/o bancarie, fiscalità in costante aumento, espropri, furti, sprechi e corruzione, etc.

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