Geopolitica, credito, mercati e cicli

Alla legge della ciclicità della storia non sfuggono mercati finanziari, credito e commercio mondiale: al contrario, si può affermare che il movimento “ondulatorio” dei medesimi sia sfruttato per “fare la storia”. L’avvicinarsi della fine di un ciclo lascia supporre che gli USA vogliano sfruttare i debiti pubblici accumulati negli ultimi decenni per “azzerare” il sistema.

Il crollo dei pilastri

Recentemente abbiamo il tema della ciclicità della storia e sulla ricorrenza dei “secoli”, ponendoci così sul solco di una luga tradizione che vanta anche moltissimi nomi italiani (Machiavelli, Vico, Ferrari, Pareto,etc.). Il movimento a spirale o “ondulatorio” degli eventi è ovviamente un torrente in piena cui nulla sfugge: dalla politica all’arte, dall’economia ai costumi, ogni cosa è travolta dalla corrente. In questa sede, però, ci interessa soffermarci sopratutto su un aspetto di questo andamento ciclico: i suoi effetti sui mercati finanziari, sulla distribuzione della ricchezza nelle società e sul commercio mondiale, ricollegandoci alla prospettiva di un possibile ed imminente default degli Stati Uniti d’America. Soffermarsi sugli aspetti finanziari del ciclo è di grande utilità, poiché la finanza, che è il sangue dell’economia reale, è impiegata proprio per “ampliare” il movimento ondulatorio della storia, allargando il divario tra crisi e ripresa, dilatazione e contrazione, indebitamento e default.

Oggi ciclo si ripete grossomodo alla stessa maniera. Per praticità, analizzeremo il ciclo attuale, iniziato nel 1945, e man mano che ci avvicineremo alla fine del ciclo (i nostri giorni), finiremo col tessere paragoni con la crisi che ha generato il ciclo attuale: gli anni ‘30 del Novecento. La prima fase del ciclo si presenta come segue. Indebitamente complessivo molto basso: una serie di default nelle nazioni sconfitte/destabilizzate ha cancellato importanti quote di debito pubblico, peraltro spazzando via, in diversi Paesi, intere classi sociali che vivevano di redditi fissi. L’inflazione bellica ha fatto il resto, sminuendo il valore nominale dei debiti. Il divario della ricchezza all’interno della società è modesto, in parte perché vigono ancora le adottate durante la crisi precedente (Glass–Steagall Act del 1933 e legge bancaria del 1936), in parte perché lo sforzo bellico ha comportato una perequazione dei salari. L’industria domina la finanza. Il sistema monetario è granitico: una valuta di riferimento, il dollaro americano, convertibile in oro. Il commercio mondiale, a lungo perturbato da guerre e protezionismo, inizia progressivamente a riprendersi attraverso i piani di “ricostruzione” finanziati dagli USA.

La seconda fase del ciclo si colloca tra il 1970 ed il 1973, lasso di tempo in cui gli USA iniziano a picconare il sistema di Bretton Woods che ha garantito un ventennio di prosperità. La perdita di competitività dell’industria americana, la resurrezione economica delle nazioni sconfitte (Germania, Italia e Giappone) ed i deficit dovuti alla guerra nel Vietnam, peggiorano la bilancia commerciale degli USA, che non sono più in grado di convertire i dollari in oro. Nel 1970 Nixon abbandona il gold standard, compiendo un default de facto, e nel 1973, con la guerra del Kippur, è lanciato il sistema dei petrodollari, che è in sostanza un enorme salasso di ricchezza ai danni di Europa e Giappone. L’inflazione, favorevole a chi domanda credito (l’industria) inizia ad essere additata come un male e si adottano politiche favorevoli a chi concede credito (la finanza), poltiche che comportano un primo round di deindustrializzazione e l’inizio della crescita dei debiti pubblici (separazione Tesoro-Bankitalia del 1982). Nuovi Paesi iniziano ad essere cooptati nel commercio mondiale (la Cina sotto Nixon), che si espande. All’interno delle società, la mobilità sociale e la tendenza alla perequazione dei redditi toccano lo zenith, per poi iniziare a decrescere.

La terza fase del ciclo si colloca all’inizio degli anni ‘90, all’indomani del collasso dell’URSS e della fine della Guerra Fredda. Il contesto apparentemente “euforico” del periodo serve a nascondere la sua vera natura, che sarà chiara solo a posteriori: il moto ondulatorio ha toccato l’apice ed ha invertito la direzione, dirigendosi verso la crisi successiva. Le ultime regole restrittive risalenti alla Grande Depressione sono abolite e la finanza prende il definitivo sopravvento sull’industria. La disuglianza della ricchezza all’interno della società sale vistosamente ed il lavoro perde punti a vantaggio della speculazione: si apre la frattura tra “populisti” ed “élite”, che è dovuta a diversi gradi di soddisfazione sulla distruzione della ricchezza ma anche a diversi “residui”, per usare un termine di Vilfredo Pareto. I populisti (dietro cui si nasconde spesso l’élite stessa), si professano difensori dei vecchi valori messi in discussione della nuove dinamiche internazionali (Make America Great Again) che travolgono le vecchie realtà. Il commercio mondiale si fa vorticoso, grazie all’ingresso della Cina nel WTO del 2001, e l’economia mondiale raggiunge un’integrazione che non si vedeva dall’inizio del Novecento. Una serie di eccessi speculativi (bolla dot.com del 2001 e crisi subprime del 2008), aumentano rapidamente i debiti pubblici.

La quarta fase del ciclo è iniziata nel 2020 e coincide con lo “scoppio” delle bolle nate e cresciute durante il ciclo secolare. Una serie di rapidi eventi nefasti in successione (prima l’epidemia mondiale di Covid e poi la guerra russo-ucraina) spingono i debiti pubblici a livelli record, avvicinando lo scenario di una loro estinzione “secolare”: inflazione bellica e/o default in serie. Il sistema monetario mondiale, basato su una valuta di riferimento e sulla libertà di movimento dei capitali, inizia a disintegrarsi: gli investimenti americani in Cina subiscono un tracollo, mentre diverse aziende cinesi abbandono il mercato dei capitali americano. La storia ci insegna che, normalmente, il sistema monetario monetario è affondato definitivamente da chi lo ha creato: furono l’Inghilterra e gli USA, tra il 1931 ed il 1933, a distruggere il gold standard ed il commercio mondiale, spianando la strada agli effimeri mercati regionali (area del marco, della lira e dello yen) e alla guerra egemonica. Tutto lascia supporre che gli USA vogliano ripetere lo schema, inciampando di loro iniziativa del “default tecnico”. Il default americano costituirebbe “l’azzeramento” del sistema che si consuma ogni 80-100 anni: non solo provocherebbe una serie di default a catena anche nelle economie avanzate (Italia in testa), ma priverebbe anche il commercio mondiale di una valuta di riferimento, spianando la strada alle economie “regionali” che avevano contraddistinto gli anni ‘30 del secolo precedente. La richiesta di adottare misure eccezionali per fronteggiare la crisi inizierebbe a diminuire il divario di ricchezza all’interno delle società. Il ciclo volgerebbe al termine e, dalle sue ceneri, sorgerebbe il successivo.

Quanto scritto può apparire eccessivo ma, come già notato da Vilfredo Pareto nel 1913, sebbene si possa immaginare la ricchezza dell’umanità come una linea retta crescente, in verità essa è composta da ritmiche e violente oscillazioni (il moto ondulatorio della storia stessa) che hanno forte impatto sulle nazioni e fortissimo sugli individui, rimescolando costantemente la ricchezza a beneficio di alcuni e a detrimento di altri (in termini geopolitici, è ormai evidente la volontà delle potenze anglosassoni di “tosare” l’Eurasia una volta al secolo). Tutto lascia supporre che un’oscillazione maggiore sia ormai imminente, in concomitanza della chiusura di un ciclo secolare.