Segnali d’intesa russo-anglosassone

Nonostante l’annessione formale delle regioni separatiste e l’impegno da parte del Cremlino di difenderle coll’arsenale nucleare, Kiev continua a mietere successi militari. Emergono sempre più segnali di una probabile “intesa” tra Putin e anglosassoni per chiudere il conflitto in maniera soddisfacente per entrambi le parti. L’Europa, Germania ed Italia in particolare, saranno le grandi perdenti. Il precedente del 1973 “diretto” da Henry Kissinger.

Una grande “guerra del Kippur”?

All’inizio dell’ottobre 2022, il conflitto russo-ucraino sembra ormai aver compiuto il giro di boa ed imboccato l’ultimo tratto verso la conclusione. Il 20 settembre si sono tenuti i referendum con cui Mosca si è annessa le quattro regioni ucraine separatiste, allargando alle stesse, almeno in teoria, il proprio ombrello nucleare. Come ampiamente previsto dalle nostre analisi, tali referendum non hanno fermato la controffensiva ucraina, né innescato una significativa reazione russa. Attorno il 5 ottobre, gli ucraini hanno operato il previsto sfondamento nella regione di Kherson, fondamentale per il controllo della foce del Dniepr ed un’eventuale offensiva su Odessa. Neppure lo spettacolare attacco ucraino al ponte sullo stretto di Kerch, sabato 8 ottobre, ha risvegliato la Russia dal suo inspiegabile “torpore”. Continuando a lasciare intatte le vitali infrastrutture ucraine che riforniscono il fronte (ferrovie e ponti), Mosca si è limitata ad una serie di velleitari raid su alcune città ucraine, raid soprattutto con finalità mediatiche, tesi cioè a dimostrare che la Russia non è passiva. Paradossalmente, le iniziative sempre più audaci da parte di Kiev sono state accompagnate da voci sempre più insistenti di prossimi negoziati, tanto che si è parlato di un prossimo possibile incontro a Putin e Biden a margine del G20, programmato per metà di novembre in Indonesia.

È tempo quindi di ordinare questi elementi apparentemente contraddittori, sviluppando la tesi già esposta nei nostri precedenti articoli: che, cioè, Vladimir Putin, “l’allievo di Henry Kissinger”, non abbia mai voluto riportare una schiacciante vittoria militare in Ucraina ma, al contrario, sia più o meno velatamente d’accordo con gli anglosassoni per un conflitto “controllato” in Ucraina. I vantaggi riportati dagli anglosassoni, in questi primi sette mesi di guerra, sono così eclatanti ed evidenti che, in ogni caso, si può già apertamente parlare di una schiacciante vittoria per Washington e Londra. Grazie, infatti, alla decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina ed alla sua “maldestra” gestione della guerra, gli anglosassoni hanno:

  • portato l’intera Penisola Scandinava nella NATO, compresi i Paesi prima neutrali (Svezia e Finlandia);
  • ottenuto l’accesso de facto dell’Ucraina alla NATO, che sta ricevendo armamenti sempre più moderni e sofisticati dall’Occidente;
  • trascinato l’Unione Europea verso una nuova crisi energetica/finanziaria;
  • distrutto i gasdotti tra Russia e Germania, colpendo al cuore il sistema industriale tedesco;
  • riconquistato competitività industriale e incassato lauti guadagni dalla vendita di gas liquefatto (per quanto riguarda gli USA, meno l’Inghilterra);
  • distrutto il nocciolo delle forze armate russe e “sistemato le cose” sul fronte occidentale in vista del confronto con la Cina.

Gli angloamericani, alla luce dei successi riportati, dovrebbero edificare un monumento a Vladimir Putin che, con investimenti modesti, ha consentito loro di agguantare enormi guadagni. Diversi elementi, infatti, inducono ormai a pensare che nei prossimi mesi si arrivi ad una qualche forma di armistizio/negoziato che consenta a Vladimir Putin di rimanere in sella e chiudere il conflitto in maniera più o meno onorevole. Tuttora, grazie alla fiammata dei prezzi degli idrocarburi, Mosca sta già incassando molte più risorse rispetto al periodo pre-bellico: è stato stimato che lo sforzo bellico in Ucraina sia stato in gran parte finanziato dalle maggiori entrate derivanti dalla vendita del metano e del petrolio. Tuttavia, ciò non sarebbe certamente sufficiente a Vladimir Putin per “salvare la faccia”: occorre qualche guadagno territoriale tangibile. Tutto lascia supporre, quindi, che la controffensiva ucraina proseguirà sino almeno alla totale riconquista della sponda occidentale del Dniepr, ossia alla liberazione della regione di Kherson. A quel punto, Kiev sarà sufficientemente forte e Mosca sufficientemente umiliata per chiudere il conflitto, o più probabilmente “congelarlo” a tempo indefinito: in sede di negoziati, Putin potrebbe vedersi riconosciuto il controllo sostanziale (ma non formale) del ponte terrestre che unisce la Russia alla Crimea e, quindi, del Mar di Azov gravitante attorno alla città di Mariupol. Una conclusione “onorevole” che permetterebbe all’allievo di Henry Kissinger di rimanere saldamente al potere, in vista del prossimo conflitto tra anglosassoni e cinesi.

Qualora tale scenario, sempre più verosimile, dovesse materializzarsi, si potrebbe quindi parlare di una vera e propria intesa anglo-russa a discapito dell’Europa e, in particolare, di Italia e Germania. A differenza di anglosassoni e russi, che trarrebbero benefici più o meno consistenti dalla guerra in Ucraina, l’Unione Europa si limiterebbe infatti ad incassare un fortissimo choc energetico che, entro breve, evolverà nell’ennesima crisi finanziaria attraverso il canale inflazione-aumento dei tassi. Sotto questa prospettiva, l’Europa, e sopratutto la Germania, sarebbe quindi il principale obiettivo degli anglosassoni, mentre la Russia sarebbe funzionale alla destabilizzazione della potenza tedesca (secondo lo stesso schema del 1914 e 1941).

Per certi versi, la guerra russo-ucraina del 2022 sta assumendo quindi le sembianze della guerra del Kippur del 1973, già supervisionata da Henry Kissinger nella sua veste di Segretario di Stato della presidenza Nixon (si veda, per maggiori dettagli, “Anni di Crisi”, Sugarco Edizioni, 1982). Un conflitto, cioè, controllato, funzionale ai disegni egemonici degli anglosassoni. Manovrando il presidente egiziano Anwar Sadat, gli anglosassoni riuscirono allora ad innescare il primo choc energetico, tarpando le ali all’industria italiana, tedesca e giapponese e lanciando il sistema dei “petro-dollari” che funziona tuttora tra monarchia arabe, City e Wall Street. Manovrando il presidente russo Vladimir Putin, il quasi centenario Henry Kissinger ha ripetuto lo stesso schema, affossando l’industria europea, rilanciando quella americana, minando alle fondamenta l’euro (precipitato ai minimi degli ultimi 20 anni) e ridando ossigeno al dollaro in affanno. A Berlino si inizia a capire che la Russia di Vladimir Putin non è più un partner affidabile. Tutto lascia supporre che, a Pechino, si inizi a pensare lo stesso.