Sulle prossime guerre agli “imperi”

Un’analisi retrospettiva delle due “guerre mondiali” che hanno segnato la prima metà del Novecento consente di formulare un’analisi non ortodossa, seppur molto lucida, degli anni avvenimenti che caratterizzeranno i prossimi quindici-vent’anni. Sebbene il principale obiettivo delle potenze anglosassoni sia la Cina, all’orizzonte si profila una complessa partita per neutralizzare tutti i rinascenti “imperi” dell’Eurasia: Germania, Turchia, Iran e persino Giappone.

Un lungo match contro la fascia degli rinascenti imperi

Uno dei grandi meriti del nostro lavoro geopolitico dedicato alla prima metà del Novecento, è stato rompere lo schema, sterile ed ingannatore, della “Prima e Seconda Guerra Mondiale”, per analizzare in maniera organica la lotta ingaggiata dal declinante impero britannico e dall’emergente potenza degli Stati Uniti d’America contro il complesso di imperi che si estendeva dal Mar del Nord al Mare del Giappone passando per il Golfo Persico. All’alba del Novecento, è infatti bene ricordare, l’industrializzazione e lo sviluppo delle ferrovie stava cambiando il volto di entità politiche consolidate da secoli: il Reich tedesco, attraverso lo ferrovie e l’alleanza con l’impero ottomano, mirava ad organizzare lo spazio da Berlino a Baghdad; l’impero zarista cresceva a tassi economici e demografici impetuosi grazie all’apertura della Transiberiana e la colonizzazione della Russia asiatica; l’impero dei Qing aveva avviato un processo di industrializzazione che si dimostrava molto promettente grazie all’enorme disponibilità di materie prime e capitale umano; il Giappone stava conquistando quote crescenti del commercio mondiale grazie al “dumping” e mostrava diverse affinità socio-culturali con la Germania guglielmina. Nel 1912, il geopolitico e stratega americano Homer Lea pubblica la significativa opera “The day of the Saxon” in cui chiarisce che la supremazia anglosassone sarà spacciata qualora si dovesse formare una combinazione di imperi euroasiatici, come ad esempio l’alleanza Germania-Russia-Giappone.

Le due guerre mondiali, la cui basi sono gettate tra il 1902 ed il 1907 (alleanza nippo-britannica, Entente cordiale tra UK e Francia, convenzione anglo-russa per la spartizione delle sfere d’influenza), non furono infatti solo un conflitto tra la Germania ed i suoi alleati, ma una guerra contro l’Eurasia nel suo complesso e, nello specifico, contro i suoi principali imperi. Sebbene la Germania fosse la minaccia più temibile all’orizzonte (la moderna Cina), gli anglosassoni si premurarono infatti di distruggere/neutralizzare/occupare/destabilizzare i principali imperi che organizzavano allora lo spazio euroasiatico: impero austro-ungarico, ottomano, zarista e impero celeste dei Qing. In questo processo, gli anglosassoni si occupano anche di distruggere, dopo averlo favorito per i propri disegni geopolitici, l’effimero impero italiano (1936), sorto sulla temibile direttrice Sicilia-Suez-Somalia-Oceano Indiano. Come abbiamo evidenziato con grande maestria nel nostro lavoro, la guerra degli anglosassoni contro l’Eurasia si conclude solo nel 1949: occupazione militare dei punti chiave del Rimland (Europa e Giappone) ed estensione del comunismo a tutto l’Heartland devastato da quasi quarant’anni di rivoluzioni e guerre (Russia e Cina). Solo allora inizia davvero il “secolo americano”.

In questa sede ci preme soprattutto evidenziare come il confronto tra anglosassoni ed imperi euroasiatici si consumi all’interno di un’unica guerra egemonica passata alla storia come “Prima e Seconda Guerra Mondiale”. Nell’arco di un trentennio, alternando le alleanze, gli anglosassoni affrontano/destabilizzano Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Russia e poi di nuovo Germania, insieme a Italia, Giappone, Russia e Cina. Al termine del processo, non c’è più traccia dei vecchi “imperi” e quelli nuovi, l’Unione Sovietica, non costituiscono una serie minaccia per la supremazia anglosassone (tanto che l’URSS si suiciderà di sua sponte nel 1991).

Quanto detto sinora, ci permette di arrivare al nocciolo dell’articolo. La prospettiva di un conflitto tra Russia e Cina da un lato ed anglosassoni dall’altro, se non errata, è perlomeno incompleta e, sopratutto, non consente di afferrare le dinamiche che contraddistingueranno gli anni ‘20 e ‘30 del XXI secolo. Tralasciando il disastroso,per non dire criminoso, tentativo di Vladimir Putin di ricostruire l’impero russo (si vedranno nei prossimi anni gli effetti), è ormai evidente che gli anglosassoni, pur avendo come obiettivo principale la Cina, debbano affrontare all’interno di questa guerra egemonica che durerà uno o due decenni, una serie di diversi imperi “rinascenti” lungo i bordi dell’Eurasia: Germania, Turchia, Iran e, forse, persino “l’alleato” Giappone. Tutti, a loro modo, dovranno essere affrontati e liquidati nei prossimi vent’anni, pena il definitivo tramonto dell’egemonia anglosassone.

La Germania ha già organizzato lo spazio mitteleuropeo: Austria, Cechia, Slovenia, Croazia ed Ungheria gravitano ormai attorno al magnete tedesco. Recentemente Berlino ha varato un controverso piano di riarmo di 100 miliardi di euro. Le sue intese politico-militari con Algeria e Turchia sono note. Un possibile (e ormai non più escludibile) collasso della Russia, consentirebbe a Berlino di allargare la sua sfera d’influenza politico-economica a Bielorussia, Russia bianca, Ucraina e Georgia. I legami sino-tedeschi sono da tempo nel mirino degli USA e si possono ora avvalere delle nuove ferrovie che transitano in Asia centrale. Per gli anglosassoni, è dunque imperativo che la Germania inizi il prossimo ciclo con una potenza pari o inferiore a quella attuale: sicuramente non maggiore. Come impedire la resurrezione della potenza tedesca, che è già stata uno dei principali obiettivi, seppur indiretto (interruzione delle forniture energetiche a buon mercato), della guerra russo-ucraina? La risposta è giù intuibile: rottura dell’asse franco-tedesco, ripolarizzazione della Francia in funzione anti-tedesca, rafforzamento economico-militare della Polonia che assurge a bastione anglosassone nell’Europa orientale.

La Turchia è una potenza in ascesa da anni: il più vasto esercito europeo, un’economia diversificata e sempre più energivora, popolosa, già proiettata su più scacchieri (Balcani, Libia, Somalia e Golfo Persico con l’alleanza col Qatar). Anglosassoni e francesi stanno già armando la Grecia con gli armamenti più moderni in funzione anti-turca, i tedeschi stanno fornendo ad Ankara i sottomarini più avanzati; Creta torna ad essere un’importante base navale anglosassone, sempre in funzione anti-turca; Cipro o lo sfruttamento economico delle acque antistanti le coste turche, possono fornire il casus belli in qualsiasi momento. In ogni caso, la Turchia dovrà essere affrontata dagli strateghi occidentali all’interno di questa guerra egemonica decennale o pluri-decennale.

Più facile immaginare un conflitto tra anglosassoni ed Iran, che da anni è nel mirino dell’Occidente. L’Iran sta tornando ad organizzare ampi spazi del Medio Oriente, dall’Afghanistan alla Siria; il suo apparato militare-industriale è temibile; le sue ampie riserve energetiche trovano facile piazzamento in Cina. Anche l’Iran deve essere affrontato all’interno di questa guerra egemonica, con mezzi ben più articolati dei recenti tentativi di destabilizzazione tramite proteste e disordini.

La Cina è certamente la minaccia per eccellenza: munita di una marina in rapido sviluppo, forte di un’economia sempre più avanzata, impegnata ad organizzare ampissime porzioni dell’Eurasia e persino dell’Africa con la Nuova Via della Seta. Se gli strateghi anglosassoni a inizio Novecento (vedi le riflessioni di Lord Kirtchner) erano pienamente consapevoli di non poter liquidare la Germania in un singolo conflitto mondiale, difficilmente contano di ingaggiare e sconfiggere la Cina in un singolo confronto militare, magari  circoscritto a Taiwan. Più facile, invece, che nei piani degli strateghi anglosassoni la manovra anti-cinese debba svilupparsi in due o più fasi.

Il Giappone (l’unica potenza rimasta, ironicamente, ad avere un vero e proprio imperatore in carica), infine, sarà usato impiegato dagli strateghi anglosassoni in funzione anti-cinese, con un preciso caveat, però: in nessun caso, il riarmo ed il rafforzamento di Tokyo in funzione anti-cinese dovrà costituire una minaccia per gli USA all’inizio del ciclo successivo. Per l’ennesima volta, il Giappone dovrà essere usato come pedina anti-continentale senza alcun vantaggio strutturale.

Se abbiamo facilmente elencato i principali “imperi” che dovranno essere fronteggiati dagli anglosassoni nei prossimi anni, più difficile è stabilire ora i tempi e i modi con cui verranno ingaggiati nei prossimi 10-20 anni: si potrebbe, ad esempio, immaginare un conflitto circoscritto a Taiwan nel 2025, accompagnato da un intervento angloamericano contro l’Iran col supporto di israeliani e sauditi, seguito poi nel 2030 -2035 da una guerra totale contro Cina, Turchia e Germania. O altre combinazioni simili che consentano agli anglosassoni di dilazionare lo sforzo bellico nel tempo e, sopratutto, di scaricare di volta in volta su altre potenze (Francia, Polonia, India, Giappone, non è escludibile neppure la Russia) l’onore di affrontare i propri nemici. Ciò potrebbe suonare come follia a molti: ma quanti, allo scoppio della guerra russo-giapponese del 1905, avrebbero detto che, quarant’anni dopo, nessuno degli imperi allora esistenti sarebbe esistito e che gli Stati Uniti avrebbero lanciato una bomba atomica proprio sopra il Giappone?

In questo quadro, è doveroso un rapidissimo accenno all’Italia: tutto lascia supporre che gli anglosassoni vogliano “liquidare” l’Italia già nelle primissime fasi della guerra egemonica, probabilmente già nel corso del 2023 stesso, attraverso il dissesto finanziario (sapientemente preparato da 40 anni) ed il caos politico. Attraverso strumenti come le penetrazione finanziaria ed il Trattato del Quirinale, la Francia si candida a diventare la potenza egemone della penisola, in funzione anti-turca ed anti-tedesca. A Berlino ed Ankara (tralasciando la “lontana” Pechino), si dovrà guardare per un’eventuale resurrezione nazionale.