Terra contro Mare: il Medio Oriente in divenire

Mentre quasi tutti gli occhi sono puntati sull’Ucraina e su Taiwan, in Medio Oriente si assiste ad importanti sviluppi: la regione, infatti, salderà il fronte russo a quello cinese, specie dopo il probabile ritorno al potere di Donald Trump che metterà Cina ed Iran in cima all’agenda. La contrapposizione tra un Medio Oriente “centrale” a guida turco-iraniana ed uno “periferico” a guida israeliano-saudita è sempre più evidente e rispecchia il dualismo di fondo Germania-Francia.

Scenari mediorientali da Prima Guerra Mondiale

Molta carne sul fuoco nell’estate del 2022. In Ucraina, la guerra per procura tra Russia e anglosassoni procede senza sosta e l’attenzione è rivolta sopratutto alla centrale nucleare di Zaporizhzhia sotto controllo russo: ci si domanda se il regime di Kiev, armato e sobillato dai britannici, voglia innalzare ad un livello superiore lo scontro, orchestrando un attacco alla centrale che ripeta “l’incidente” di Chernobyl del 1986. Sul versante opposto dell’Eurasia, il viaggio di Nancy Pelosi a Taiwan ha portato la tensione tra Cina e USA a livelli senza precedenti: le esercitazioni militari cinesi dimostrano quanto Pechino sia determinata a difendere la propria sovranità sull’isola. Tra il Mar Nero e Mare cinese, si colloca un’altra porzione cruciale di quel Rimland in cui verrà combattuta la prossima guerra egemonica: il Medio Oriente. Come abbiamo scritto nel precedente articolo, la regione inevitabilmente finirà al centro dello scontro tra anglosassoni e continentali quando, dopo il quasi certo ritorno di Donald Trump al potere ed il consolidamento della “democratura repubblicana”, Iran e Cina finiranno in cima all’agenda militare degli Stati Uniti.

Sull’assetto in fieri del Medio Oriente abbiamo già scritto diversi articoli e l’attuale analisi vuole soltanto confermare quanto già detto, metabolizzando gli avvenimenti di queste ultime settimane. In linea generale, si può affermare che il Medio Oriente, più ci si avvicina alla guerra egemonica, più si suddivide lungo la faglia terra-mare già evidenziata da Mackinder nei suoi lavori del 1904 e del 1919: ad nucleo, cioè, di potenze mussulmane “centrali” allineate con Russia e Cina, si contrappone una cintura di potenze “periferiche” alleate con gli anglosassoni. In sostanza, al duo Turchia e Iran, si contrappone sempre di più la coalizione incentrata su Israele ed allargata ad Arabia Saudita, Giordania, Cipro, Grecia e Francia. Uno scenario, per molti versi, simile a quello della Grande Guerra del 1914-1918.

Concentriamoci solo sugli ultimi avvenimenti di queste settimane. Per prima cosa, bisogna soffermarsi sul viaggio del presidente democratico Joe Biden in Arabia Saudita, finalizzato alla creazione di una “NATO araba” (una resurrezione della sfortunata CENTO della Guerra Fredda). Archiviando le presunte “divergenze” col principe saudita Bin Salman e sorvolando sulla ruggine creatasi dopo l’omicidio del dissidente Khashoggi, Biden ha rinsaldato i legami con l’Arabia Saudita, al fine di creare un “fronte occidentale”, imperniato su Israele ed esteso dal Mediterraneo al Golfo Persico: così facendo, Biden ha dimostrato che le amministrazioni si alterano alla Casa Bianca, ma la strategia e la geopolitica rimangono invariate. Al vertice per la creazione della NATO araba erano presenti nove Paesi: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Qatar, Bahrain, Oman, Egitto, Giordania e Iraq. Di questa lista, al netto delle divisioni etnico-politiche e delle debolezze interne, solo due possono avere una qualche funzione militare nei disegni anglosassoni: Arabia Saudita e Giordania, entrambe strettamente connesse ad Israle.

Forte della “riabilitazione” ricevuta da Biden, il principe saudita Bin Salman ha quindi compiuto a sua volta un viaggio all’estero dall’alto contenuto geopolitico: prima si è recato nella Grecia del premier conservatore Kyriakos Mitsotakis e poi nella Francia di Emmanuel Macron, siglando in entrambi i Paesi importanti contratti. La rete geopolitica mediorientale, così, si allarga ed infittisce. La Grecia, senza che l’alternanza di governi progressisti e conservatori modifichi minimamente la traiettoria, sta emergendo sempre più come il “bastione” occidentale nel Mediterraneo nord-orientale. Francia, Israele ed Arabia Saudita stanno moltiplicando gli investimenti economici ed industriali nel Paese, con la benedizione degli anglosassoni che stanno elevando l’isola di Creta e la base navale di Suda ad un ruolo sempre più importante. I francesi, che hanno siglato nel 2021 un trattato bilaterale di mutua assistenza con Atene, vendono i Rafale e le moderne fregate Belharra, gli israeliani rilevano le industrie belliche elleniche (il produttore ELVO) per modernizzarle, i sauditi iniettano denaro fresco. Il ruolo della Francia, seconda tappa del recente viaggio di Bin Salman, è evidente ed è già stato sottolineato nelle nostre analisi: man mano che il focus degli anglosassoni si sposta sul Pacifico e sull’Oceano indiano in vista della guerra contro Cina e Russia, Parigi riceve in “subappalto” il settore mediterraneo, con la specifica missione di ingaggiare/contenere i rivali degli anglosassoni nella regione: Iran, Russia e… Turchia (i rapporti franco-turchi, si noti, non si sono mai più ripresi dalla crisi diplomatica del 2020).

L’intera strategia anglosassone nella regione è, infatti, mirata sempre più espressamente non solo contro “tradizionali” nemici dell’Occidente come Russia ed Iran, ma anche contro una potenza, la Turchia, che è ancora formalmente un membro NATO (sebbene le voci negli Stati Uniti per espellerla stiano crescendo mese dopo dopo mese). Come si diceva all’inizio, quindi, è sempre più evidente il classico schema geopolitico mackinderiano per cui alle potenze mediorientali centrali (Turchia ed Iran), gli anglosassoni contrappongono una fascia di potenze israelo-greco-franco-arabe periferiche. Se, infatti, la Grecia riceve investimenti occidentali sempre più massicci, la Turchia procede col contestatissimo acquisto dei sistemi di difesa russi S-400 e minaccia tuttora di boicottare l’accesso di Finlandia e Svezia alla NATO. Il progressivo scivolamento della Turchia verso il blocco continentale-revisionista è stato confermato dalla cronaca di queste settimane: mentre infatti l’Arabia Saudita (ai ferri corti con Ankara su diverse questioni) rinsaldava i legami con Grecia e Francia, il presidente turco Recep Erdogan volava a Teheran per un incontro trilaterale Turchia-Russia-Iran. Quando al summit trilaterale in Iran è seguito un ulteriore incontro tra Putin ed Erdogan a Sochi, il Financial Times ha intitolato sibillino: “Alarm mounts in western capitals over Turkey’s deepening ties with Russia” (7 agosto 2022).

Si potrebbe obiettare che tra Turchia, Iran e Russia non mancano i punti di frizione (Siria, Armenia, Azerbaijan, turcofoni dell’Asia centrale, etc.). Tuttavia, l’impostazione geopolitica di Ankara diretta verso il Mar Nero e l’Asia centrale è sempre stata quella funzionale agli interessi anglosassoni. Un’altra impostazione geopolitica è possibile ed è certamente più lucrosa: è lo sguardo diretto non verso l’Asia continentale ma verso i mari circostanti, in primis proprio il Mediterraneo orientale, con la sua naturale continuazione nel Mar Rosso, sino a raggiungere la grande base turca in Somalia. La strategia della “Patria Blu” (Mavi Vatan) che ispira l’espansionismo turco in direzione dei mari si ispira proprio a questo principio ed è perfettamente compatibile con l’alleanza con Russia ed Iran. Anzi, di più: il Mavi Vatan turco integra alla perfezione l’alleanza russo-iraniana-cinese, creando davvero un trapezio che preme in direzione degli Oceani con perfetta continuità, dal Mar Baltico a quello cinese, con la concreta capacità di espellere gli anglosassoni dal Rimland.

In questo quadro mediorientale sempre più delineato e preciso, resta solo più alcune domande: cosa farà la Germania che, in Turchia come in Algeria, si trova sulla barricata opposta della Francia? E, in subordine, cosa farà l’Italia? Fino a quando i governi-marionetta installati in Germania e Italia dagli anglosassoni avranno la meglio sulla geopolitica?