Natale di sangue a Gaza: considerazioni

La sistematica pulizia etnica operata dagli ebrei a Gaza non risparmia neppure la comunità cristiana, piccola, ma nobile e di antichissimo lignaggio. Se l’imbarazzante silenzio del mondo arabo, conferma che il vessillo della causa palestinese è ormai passato alle potenze mussulmane non semite, Iran e Turchia, il martirio dei cristiani palestinesi, demolendo il falso mito “dell’Occidente”, lascia anche il campo ad una potenza che tuteli in cristinesimo in Terra Santa.

Bagno di sangue come ai tempi di Erode

Sulla spietata campagna militare condotta dagli ebrei a Gaza (il bollettino dei morti ha ormai superato le 21.000 vittime palestinesi) abbiamo già scritto, evidenziando quali fossero i punti centrali: la volontà ebraica di portare avanti la “politica del carciofo”, inglobando, previa pulizia etnica, la striscia di Gaza nel territorio israeliano, l’incastonarsi della campagna militare ebraica all’interno del nuovo conflitto tra Terra e Mare in nuce (proprio come nel 1914 e nel 1939), l’inevitabile scontro tra gli anglo-ebraici e l’Iran, che è ormai uno dei pochi ostacoli all’espansionismo ebraico nella regione. In questa sede, ci interessa soltanto arricchire l’analisi con alcune considerazioni di carattere geopolitico, alla luce di quando sta avvenendo nel Levante e, soprattutto, del sanguinoso Natale di Gaza: bisognare risalire alla strage di bambini del re ebraico Erode, per trovare un precedente alle atrocità perpetrate oggi in Palestina dagli ebrei.

La prima considerazione è il ritorno, per così dire, alla geopolitica classica di Mackinder. L’inconsistenza, o addirittura l’inesistenza, del mondo arabo dinnanzi alla strage di Gaza conferma, come lucidamente scritto da Mackinder nel 1919 all’interno di Democratic Ideals and Reality, che gli unici ostacoli delle potenze marittime anglo-ebraiche in Medio Oriente sono costituiti da potenze non-semitiche: Iran e Turchia. Sull’Iran abbiamo più volte scritto e lo stato di tensione permanente tra la Repubblica islamica e gli USA è di dominio pubblico. Meno trattata, ma foriera di evoluzioni altrettanto drammatiche, è l’escalation tra Ankara e Tel Aviv, sfociata recentemente nel richiamo incrociato degli ambasciatori. Una lettura molta superficiale degli avvenimenti sostiene che le tensioni turco-ebraiche siano solo fuochi d’artificio, utili sopratutto ad Erdogan per soddisfare il proprio elettorato mussulmano. Dopotutto, si legge spesso, la Turchia è un membro dell’Alleanza Nord Atlantica ed esiste una rodata collaborazione militare tra Ankara e Tel Aviv: uno scontro militare tra le due potenze è quindi impossibile, quasi fantascienza.

Un’analisi più accurata della realtà rivela, al contrario, di quanto sia ormai labile la cornice “occidentale” che impedisce questo conflitto. Si parta dalla constatazione che gli anglo-ebraici, assistiti in modo determinante dalla Francia, hanno già creato uno sbarramento militare nel Mediterraneo Orientale in funzione anti-turca, dalla Grecia all’Egitto, ed incentrato in particolare sull’isola di Creta. Si aggiunga che, gli stessi anglo-ebraici, hanno lasciato che la Turchia espandesse la propria influenza nel Caucaso, e nell’Azerbaigian in particolare, entrando così in attrito con l’ex-dominus della regione, la Russia. A questo punto, sarebbe sufficiente soltanto un ulteriore tassello, l’uscita degli USA dalla NATO e lo smantellamento de-facto dell’alleanza, perché la Turchia si ritrovi in uno scenario non troppo dissimile dal 1914: minacciata dagli anglo-francesi sul mare e dai russi alla spalle. Si aggiunga, inoltre, che se le nostre analisi dovessero rivelarsi corrette e che se la Germania dovesse effettivamente aumentare il proprio coinvolgimento in Ucraina, sostituendosi agli USA e finendo nuovamente nella morsa anglo-franco-russa, si ricreerebbe nel volgere di pochi anni nuovamente la direttrice Germania-Mar Nero-Mesopotamia che fu all’origine della Prima Guerra Mondiale. Come scrisse infatti Spykman nel 1943: “who rules the Rimland, rules Eurasia, who rules Eurasia, rules the World”.

La seconda considerazione nasce dalla sistematica e spietata lotta condotta dagli ebrei contro la presenza cristiana in Terra Santa, risalente al 1948 e tristemente intensificatasi nel corso della guerra a Gaza. Dinnanzi alla gratuite violenze degli ebrei contro i cristiani e alla metodica manovra per estirpare questa antichissima e nobilissima comunità risalente al primo secolo dopo Cristo, distruggendo le loro case, i loro posti di lavori ed i loro luoghi di culto, si deve constare che “l’Occidente” è un falso mito, perché fiumi di denaro americano sono riversati in Palestina proprio per cancellare proprio la culla del cristianesimo (terminando il lavoro iniziato dal fantomatico “ISIS” in Mesopotamia). Assodato quindi che l’Occidente è un falso mito, resta però la necessità di proteggere i luoghi di culto della Terra Santa e sopratutto le comunità cristiane della Palestina, supplendo anche all’eclissi della Chiesa Cattolica che dopo l’ambigua e nefasta elezione del “secondo papa”, Josè Maria Bergoglio, è entrata in crisi profonda, lacerante e forse irreversibile. Tale ruolo di protezione della Terra Santa e dei cristiani palestinesi non può che spettare all’Italia, per una triplice ragione: l’Italia è una nazione mediterranea, l’Italia è una nazione cattolica, l’Italia è vessata dal 1945 dalle stesse potenze che vessano la Palestina.

La strage di bambini palestinesi in concomitanza del Natale, ci ricorda che le forze malvagie dell’ebraismo sono vive e più potenti che al tempo di Erode. Imperativo è trovare la stella che conduce alla salvezza.