Ragionamento a freddo sul berlusconismo

La morte di Silvio Berlusconi offre lo spunto per un’analisi disincanta della sua figura e della sua funzione storica. Grazie alla sua discesa, e soprattutto, alla sua “permanenza in campo”, la politica italiana è stata polarizzata in campi opposti, producendo la paralisi de facto del Paese in un contesto internazionale in rapidissimo cambiamento. Il peso mediterraneo dell’Italia è crollato e la Francia ha acquisito ampie porzioni dell’economia nazionale. In cambio, Berlusconi è servito da “modello” per Donald Trump.

Se non ci fosse stato, avrebbero dovuto inventarlo

Il 12 giugno si è spento all’età di 86 anni Silvio Berlusconi, magnate televisivo e quattro volte presidente del Consiglio. Sebbene la sua attività politica si fosse sostanzialmente conclusa del 2011, il suo partito è tuttora parte della maggioranza di governo e, nel complesso, si può dire Berlusconi abbia caratterizzato un ventennio della politica italiana. Il cruciale ventennio in cui, terminata la Guerra Fredda, si è instaurata un’effimera globalizzazione a guida americana che, da tre anni a questa parte, è entrata definitivamente in crisi, tra regionalizzazione dell’economia mondiale e venti di guerra sempre più forti. Il cruciale ventennio, in sostanza, in cui si è deciso chi avrebbe combattuto la guerra successiva e con quali mezzi a disposizione.

Partiamo da alcune considerazioni geopolitiche generali. Riunificatasi (come era inevitabile) la Germania ed immessa sin dagli anni la Cina nei circuiti del commercio mondiale (con prevedibile esplosione del benessere e della potenze cinese), l’Italia era agli occhi degli strateghi angloamericani inutile/dannosa. Zbigniew Brzezinski, nel suo “La Grande Scacchiera” del 1997, neppure cita l’Italia, che, in teoria, domina il Mediterraneo con la sua posizione geografica. Nel contesto internazionale post-Guerra Fredda, l’Italia infatti avrebbe potuto, sfruttando la rinata potenza tedesca e l’affermazione della Cina, emergere come trait-d’union tra i due Paesi (si vedano le cartine della Nuova Via della Seta), realizzando progetti non dissimili da quelli concepiti dai geopolitici fascisti (unione Europa-Asia attraverso Suez e l’Italia). Nel mondo post-Guerra Fredda, gli strateghi angloamericani “condanno” quindi l’Italia all’inesorabile declino, da coronare con l’insolvenza delle finanze pubbliche: le industrie ed i fondi europei devono convergere copiosi verso la Polonia, in funzione anti-russa e soprattutto anti-tedesca, mentre il Mar Mediterraneo deve essere “sub-appaltato” alla Francia. Proprio la Francia si candida, perciò, a conquistare progressivamente una posizione preminente in Italia: preminenza economica e militare (Trattato del Quirinale, siglato nel 2021).

In questo senso, la figura di Silvio Berlusconi è preziosissima, tanto che se il “piccolo Napoleone di Arcore” non fosse esistito, avrebbero dovuto inventarlo. Il berlusconismo funge da grande “sbornia” collettiva per due decenni. Un’ubriacatura di massa, che consente l’attuazione senza intralci delle direttrici geopolitiche sopra descritte. Per circa vent’anni, il Paese è polarizzato in opposte tifoserie, trascinato in uno stato di guerra civile a bassa intensità tra “berluscones” e “comunisti” ed allo stesso paralizzato, reso inerme mentre, anno dopo anno, pezzo dopo pezzo, l’apparato industriale e le sue eccellenze sono smantellate e/o vendute e l’Italia scivola progressivamente verso l’irrilevanza mediterranea. Gli anni in cui Berlusconi è al governo non sono dissimili da quelli in cui governano le sinistre che gli contendono la guida del Paese: l’ILVA smantellata, la Telecom saccheggiata, l’ENI spezzettata, i francesi scorrazzano indisturbati, facendo incetta di imprese, dall’agroalimentare alla finanza, passando per l’energia. Il “cavallo di battaglia” di Berlusconi è il simbolo della sua esperienza politica: il cavaliere sogna di costruire il ponte sullo Stretto di Messina ma, nel frattempo, crollano gli investimenti pubblici in infrastrutture e crollano pure i ponti delle autostrade, gestiti da quella cerchia di oligarchi italiani da cui viene lo stesso Berlusconi. Oligarchi che, si noti bene, devono la loro ricchezza a rendite di posizione, che siano reti autostradali o reti televisive.

Tuttavia, sebbene il depauperamento del Paese sia sotto gli occhi di tutti e tocchi la vita di quasi ogni cittadino, la polarizzazione del Paese in berlusconiani ed anti-berlusconiani assolve egregiamente al suo compito: nessuno pensa al lungo, ma nemmeno al medio termine. Tutta l’attenzione è rivolta al processo di Berlusconi del momento, al lodo Mondadori, allo scandalo di villa Certosa, all’olgiattina, alle boutade, all’irriverenza contro la Merkel, alla promessa dei 1.000 euro di pensione per tutti, allo scoop mediatico-giudiziario di Repubblica. Non meno disastroso il bilancio in politica estera: Berlusconi si vanta nel 2009 di aver compiuto il suo “capolavoro” col Trattato Libia-Italia che, sulla carta, rinsalda oggettivamente le posizioni del nostro Paese in una regione chiave come l’Africa settentrionale. Tuttavia, quando la Libia finisce nel mirino degli anglo-francesi nel 2011, Berlusconi non ha né la forza né la volontà di difendere l’alleato Gheddafi: prima è ucciso il colonnello e, un mese dopo, è estromesso da Palazzo Chigi lo stesso cavaliere, preoccupato di perdere “la roba” (Mediaset) pesantemente attaccata in borsa. In quei frangenti, gli “amici” Putin/Medvedev non muovono un dito per salvare Gheddafi, evidentemente più inclini ad assecondare “l’amico” Sarkozy che non “l’amico” Berlusconi: si apre così quella piaga purulenta che, a distanza di dodici anni, è ancora causa di infezioni geopolitiche. La vulnerabilità dell’Italia è proprio garantita dalla permanenza ventennale al potere di un leader che la “blasonata” stampa anglosassone ripete più volte essere “unfit”, inadeguato, per governare. E così, gli stessi che lo abbattono, denuciano poi il complotto con cui è stato abbattuto per salvaguardarne la figura (si ricordino le ricostruzioni di Alan Friedman sul “golpe” contro Berlusconi). Certo, forse dopo il 2011 qualcosa però si guasta tra Berlusconi ed i suoi “mentori”, come testimonia anche il progressivo deteriorarsi delle relazioni con Giuliano Ferrara, che l’aveva accompagnato sin dalla discesa in campo del 1994.

Che Berlusconi fosse funzionale alla più ampia strategia anglosassone, è comunque anche testimoniato dallo stesso percorso di Mediaset. Culla del populismo, le tv del Cavaliere hanno progressivamente corroso la politica italiana fino a svuotarla. Si comincia nei primissimi anni ‘90 cavalcando Tangentopoli (sebbene le tv di Berlusconi dovessero la propria esistenza a Craxi!) e si finisce col Grande Fratello del 2000, dove esordisce un giovane concorrente (Rocco Casalino) che sarà poi l’eminenza grigia del governo giallo-rosso del 2021. Grillismo e berlusconismo sono, ad attenta analisi, rami diversi della stessa pianta infestante. Quell’anti-politica gridata e sbruffona che nasconde la demolizione sistematica e scientifica del Paese.

Chiudiamo con una nota di attualità. Berlusconi ha assolto così bene al suo scopo che si è pensato di adoperarlo come “modello” persino negli Stati Uniti d’America. Difficile, infatti, non vedere in Donald Trump una riproposizione dell’esperimento Berlusconi: la stessa polarizzazione politica, lo stesso clima di guerra civile latente, le stesse invettive contro i comunisti, gli stessi scandali giudiziari e sessuali, la stessa intramontabilità politica. Se Berlusconi avesse avuto meno “roba” da difendere ed un temperamento meno piccolo-borghese, avrebbe probabilmente potuto giocare la carta dell’insurrezione/sovversione davanti al Tribunale di Milano come “immaginato” nel Caimano di Nanni Moretti. Dove non ha osato Berlusconi, molto probabilmente si cimenterà Trump.

2 Risposte a “Ragionamento a freddo sul berlusconismo”

    1. Non è in contrasto. Sono diversi livelli di analisi. La presente è quella che guarda le cose maggioramente dall’alto: una sintesi disincantata.

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