2023: fuoco ai mercati finanziari

Se il 2022 passerà alla storia come l’anno della “guerra russo-ucraina”, il 2023 si candida ad essere un anno di “transizione” verso il più ampio conflitto tra Eurasia e potenze anglosassoni marittime anglosassoni, conflitto che erutterà  appieno verso la metà del decennio. L’anno appena terminato ha gettato i semi della crisi finanziaria che esploderà quasi certamente nei mesi a venire, innescando una serie di default sovrani e preparando l’humus socio-politico ai fascismi/trumpismi che si imporrano progressivamente in Occidente e nel resto mondo.

Germogliano i semi della crisi finanziaria

Come ogni inizio dell’anno, è tempo della nostra analisi “inaugurale” che abbraccia i dodici mesi a venire. Come sempre, iniziamo col riprendere in mano l’analisi dell’anno precedente: il fatto di constatare, rileggendola, che moltissime delle nostre previsioni si sono poi effettivamente concretizzate, ci rallegra. Da un lato, conferma per l’ennesima volta la bontà del nostro impianto analitico (derivante dai lavori di Mackinder, Fairgrieve, Spykman, Brzezinski, etc.) che contrappone il continente euroasiatico nel suo complesso alle potenze marittime anglosassoni ed i loro “alleati”, dall’altro ci allieva la stesura della della nuova analisi. È sufficiente, infatti, “spingere in avanti” quanto già scritto, proiettandolo sui dodici mesi successivi: l’anno appena concluso serve sopratutto a rendere ancora più precisa l’analisi, facendo tesoro di quanto è avvenuto e di quanto si è intuito.

Nell’analisi dell’anno precedente, dal profetico titolo “2022: un anno pericoloso”, scrivemmo testualmente che le potenze marittime avrebbero incendiato l’Isola Mondo con almeno un grande conflitto militare, concomitante ad una crisi finanziaria: il grande conflitto militare si è puntualmente verificato, la crisi finanziaria è in gestazione e, quasi certamente, occuperà il palcoscenico del 2023. Nello scrivere l’analisi del 2022, parlammo essenzialmente di due punti caldi: Taiwan e l’Ucraina. Ora, forti di quanto avvenuto e compreso, siamo in grado di raffinare l’analisi e introdurre nuovi elementi “teorici”, sganciati cioè dalla cronaca quotidiana e utili a formulare previsioni di medio-lungo periodo: con un nostro brillante articolo, “La guerra e l’alternanza dei partiti”, abbiamo infatti introdotto il principio per cui l’avvento di amministrazioni repubblicane negli USA e laburiste nel Regno Unito indica lo spostamento del focus politico/militare contro la Cina, mentre l’avvento di amministrazioni democratiche negli USA e conservatrici nel Regno Unito indica lo spostamento del focus politico/militare contro la Russia. L’Iran, ultimo grande componente del “triangolo euroasiatico” che si oppone alle potenze marittime, è affrontato senza soluzione di continuità dalla varie amministrazioni americane che si succedono: i democratici, è cronaca di questi mesi, prediligono la soluzione delle “rivoluzioni colorate”, ma tutto lascia supporre (si ricordino gli ultimi giorni a cardiopalma dell’amministrazione Trump) che l’Iran sarà oggetto di un attacco militare convenzionale strettamente connesso a quello contro la Cina (da cui la collaborazione militare strategica tra i due Paesi).

Il conflitto ucraino è stato altresì utile per afferrare la vera “natura” della Russia. Come abbiamo scritto più volte nei nostri lavori geopolitici, le potenze marittime anglosassoni non avevano mai combattuto, nella loro plurisecolare lotta contro l’Eurasia, un conflitto terra-mare “puro”, pressoché invincibile per loro. Dai tempi di Napoleone Bonaparte in poi, le potenze anglosassoni si erano sempre servite di almeno un grande alleato continentale da impiegare contro la potenza emergente di turno, impegnata ad organizzare a suo vantaggio il Rimland euroasiatico. Il conflitto tra Russia e Cina da un lato, potenze anglosassoni dall’altro, ci sembrava davvero una strana anomalia storica: mai e poi mai, infatti, le potenze marittime potrebbero vincere un conflitto contro un blocco continentale coeso. Nell’affrontare la Francia (1789-1814) e la Germania (1914-1945), le potenze anglosassoni ricorsero sempre al decisivo apporto della Russia, più o meno riluttante. Tutto lascia supporre che, nell’affrontare la nuova minaccia emergente, quella Cina impegnata ad organizzare porzioni sempre più ampie dell’Isola mondo con progetti infrastrutturali, gli anglosassoni vogliano ripetere lo schema, costringendo in qualche modo la Cina ad aprire un fronte terrestre, parallelamente a quello, davvero decisivo, del Pacifico.

Ora, quanto appena affermato, detto a distanza di una decina di mesi dalla dichiarazione di “amicizia senza limiti” tra Vladimir Putin e Xi Jinping, può davvero sembrare assurdo. Eppure un’analisi attenta e disincanta della guerra russo-ucraina avvalora questa tesi. Partiamo dal principio, dimostrato in un nostro dettagliato articolo del settembre 2022, che la Russia di Vladimir Putin non abbia mai davvero voluto riportare una vittoria militare in Ucraina ma, sin dall’inizio, abbia optato per un conflitto più o meno “controllato” in Ucraina, in comune accordo con le potenze anglosassoni. Dopo aver distrutto la quasi totalità delle forze armate russe e contribuito in maniera decisiva a preparare il terreno della prossima crisi economica-finanziaria, Putin è entrato in possesso solo della modesta striscia di terra che unisce la Crimea alla Federazione russa, un risultato conseguibile quasi certamente nel 2014 senza colpo ferire. Sono quindi ipotizzabili due scenari per i prossimi anni: il primo prevede una Russia, sostanzialmente impotente, che si riallinei agli USA di Trump e alle altre potenze “fasciste” impegnate nel duello contro la Cina. Il secondo scenario, più estremo, prevede che la Russia scivoli progressivamente nel caos sull’onda della sconfitta militare, “incendiando” l’Asia centrale ed obbligando quindi la Cina ad intervenire in quello che, sin dall’Ottocento, è il cortile di casa della Russia.

Parliamo con grande certezza del prossimo ritorno di Donald Trump e della “fascistizzazione” di un numero sempre maggiore di potenze. Abbiamo scritto dell’omicidio dell’ex-premier Shinzo Abe e del progressivo spostamento a destra del Giappone, dove le potenze anglosassoni premono per la revisione della costituzione pacifista ed il riarmo su larga scala. I fatti avvenuti nei primissimi giorni del 2023 in Brasile, dove i sostenitori dell’ex-presidente Bolsonaro hanno assalto le principali sedi delle istituzioni contando sull’appoggio di ampi strati dell’apparato di sicurezza, confermano ulteriormente questa tesi. Come si arriverà alla polarizzazione estrema dei sistemi politici, polarizzazione che quasi certamente culminerà con la “guerra civile americana” in occasione delle elezioni presidenziali del novembre 2024, è presto detto: la crisi finanziaria in nuce abbatterà gli ultimi pilastri del sistema liberale e globalizzante, già gravemente minati da Covid e guerra in Ucraina, spianando la strada ai nazionalismi ed agli estremismi politici, persino nella culla della “democrazia” occidentale.

Il 2023, se vogliamo quindi essere concisi, sarà l’anno della crisi finanziaria, propedeutica all’avvento dei nazionalismi/fascismi. I dati dicono che il 2022 è stato, sulle piazze finanziarie, il peggiore anno dalla crisi del 2008. Eppure, tutto lascia supporre che gli effetti più nefasti del mix letale di recessione, inflazione e rialzo dei tassi di interesse, debba produrre ancora i propri effetti. Sebbene un numero crescente di Paesi si stiano dirigendo verso la recessione, si stima che la Federal Reserve porti il tasso di sconto fino al 5%. A quel punto, i mercati, ripetendo il consumato schema delle bolle speculative, potrebbero cedere repentinamente, innescando un effetto domino sui mercati azionari ed obbligazionari “drogati” da quasi un decennio di denaro a costo zero.

In questo quadro, un ruolo “speciale” rischia di averlo proprio l’Italia, dove le potenze anglosassoni hanno preventivamente installato nel corso dell’anno un governo “nazionalista” che ha subito iniziato un pericoloso battibecco con la Banca Centrale Europa controllata dall’ex-FMI Christine Lagarde. Una crisi del debito in Italia, oltre a costituire il momento “topico” della prossimo tracollo finanziario, avrebbe inoltre l’indiscutibile vantaggio, per gli anglosassoni, di scardinare l’Europa a trazione tedesca che, insieme alla Cina, rimane davvero l’unica minaccia all’orizzonte. Se il 2022 è stato l’anno dell’Ucraina, molti elementi inducano a pensare che il 2023 sarà l’anno dell’Italia, semplice pedina all’interno di un gioco sempre più vasto.