L’omicidio Shinzo Abe e la rimilitarizzazione del Giappone

L’8 luglio è stato assassinato l’ex-premier giapponese Shinzo Abe, fautore di una muscolare politica estera in funzione anti-cinese: l’omicida è un ex-militare e restano oscure le ragioni del gesto. Ricalcando la storia degli anni ‘20 e ‘30, l’omicidio produrrà quasi certamente uno spostamento a destra del baricentro della politica giapponese: la revisione della costituzione pacifista si fa più probabile, come il riarmo funzionale agli interessi delle potenze marittime anglosassoni.

Obiettivo: costituzione

Nel novembre 1921, alla stazione ferroviaria di Tokyo, cadeva sotto i colpi di coltello vibrati da un fanatico nazionalista, il premier giapponese Hara Takashi, noto per le sue posizioni filo-occidentali ed anti-militariste: l’omicidio segnò l’inizio della lenta, ma costante, “fascistizzazione” del Giappone che, espulso dallo schieramento occidentale, sarebbe progressivamente scivolato verso quello delle potenze fascite-revisioniste, grazie alla decisiva azione politica ed economica di Inghilterra e Stati Uniti. L’8 luglio 2022, a distanza di circa un secolo (e all’avvicinarsi, quindi, di una guerra egemonica che ciclicamente si ripete ogni 80-100 anni), cadeva sotto i colpi di un’arma rudimentale brandita da un ex-militare, l’ex-premier premier giapponese Shinzo Abe, noto per le sue posizioni filo-occidentali e revisioniste: l’omicidio segnerà un nuovo inizio del  scivolamento a destra della politica nipponica, facilitando la riscrittura della costituzione “pacifista” di cui è stato dotato il Giappone dopo la sconfitta militare del 1945.

Chi conosca la storia giapponese, sa che è caratterizzata da una carsica, ma efferata, tradizione di violenza politica, che concerne i vertici stessi della nazione. Società segrete, club ultra-nazionalisti, sette religiose buddiste o meno, sono il milieu, strettamente collegato alle logge massoniche anglosassoni, da cui storicamente provengono quei “giovani ufficiali” o quei “patrioti insoddisfatti” che impugnano le armi per rimettere il Giappone sulla giusta strada, la strada della grandezza e del riarmo. Anche nel caso dell’omicidio di Shinzo Abe, l’assassino rispetta questa tradizione: il responsabile del gesto (che è riuscito a sfruttare un’incredibile “falla” nel sistema di sicurezza, colpendo più volte l’ex-premier con un’arma rudimentale) è tale Tetsuya Yamagami, un ex-militare che vanta legami più o meno chiari con la potente Chiesa dell’Unificazione coreana, strumento politico-religioso dei servizi d’informazione anglosassoni.

A differenza del premier Hara Takashi caduto nel 1921, non si può certamente definire il defunto Shinzo Abe come un “pacifista”. Noto per le sue posizioni nazionaliste e per i suoi gesti spesso provocatori (come le periodiche visite al santuario shintoista Yasukuni, dove sono venerati i soldati caduti nelle guerre imperiali giapponesi), Shinzo Abe era un fautore di una muscolare politica estera, in stretto collegamento con gli Stati Uniti d’America e i loro “alleati” regionali (Australia, Filippine ed India). Tale politica non era affatto scontata negli ambienti nazionalisti giapponesi, interessati alla possibile integrazione economica con la Cina per lo sviluppo della regione e l’eliminazione dell’influenza americana: eppure Shinzo Abe, a capo del partito liberal-democratico, era riuscito ad imporre la linea del confronto con l’Asia continentale, sventolando la bandiera del conflitto tra democrazie ed autocrazie e strizzando l’occhio ad una certa politica revisionista (isole Kurili in mano alla Russia, difesa di Taiwan e isole Diaoyu contese con la Cina). Nel suo lungo mandato come premier (2008-2020), Shinzo Abe aveva quindi ottenuto concreti risultati nel collocare il Giappone a fianco degli USA e dell’alleanza AUKUS contro la Cina ma, abbandonata la guida del Paese, si può affermare che potesse servire la causa delle potenze marittime anglosassoni meglio da morto che da vivo. L’omicidio di Shinzo Abe deve infatti essere interpretato come una “scossa elettrica” somministrata alla politica giapponese, così da facilitarne e velocizzarne la deriva a destra.

A distanza di due giorni soltanto dall’assassinio di Shinzo Abe, il 10 luglio, un Giappone ancora sotto choc ha infatti tenuto le elezioni per il rinnovo della Camera dei Consiglieri, elezioni che hanno regalato una schiacciante vittoria al partito liberal-democratico che, in alleanza col partito nazional-populista Nippon Ishin no Kai, dispone ora dei numeri sufficienti per emendare la Costituzione, abolendo gli ultimi paletti, risalenti all’immediato dopoguerra, che limitano il rafforzamento e la modernizzazione delle forze armate giapponesi. In particolare, l’obiettivo degli ambienti nazionalisti giapponesi (e dei loro padrini anglosassoni) è la revisione dell’articolo 9 della costituzione che, attualmente, impone a Tokyo di limitare le proprie forze armate ad un modesto e circoscritto “esercito di auto-difesa”. Riacquistare il rango di “nazione normale” significa, per gli eredi di Shinzo Abe, iniziare il riarmo in vista del conflitto militare nelle acque antistanti le coste cinesi.

L’omicidio di Shinzo Abe contribuisce così, anche in Estremo Oreinte, a consolidare quella polarizzazione terra-mare che sta diventando, mese dopo mese, sempre più evidente. Dall’Inghilterra al Giappone, passando per Israele, gli strateghi anglosassoni stanno costruendo ai margini dell’Eurasia, nel famoso Rimland, una cintura in vista dello scontro con le potenze continentali: l’antica gnosi basata sul duello terra-mare assume forme concrete e non è certo casuale se l’omicidio di Shinzo Abe si sia consumato dopo l’insediamento all’ambasciata americana di Tokyo del democratico Rahm Emanuel, ebreo di origini moldave, nato a Gerusalemme.