2022: un anno pericoloso

Col debutto del nuovo anno, urge stilare un’analisi/previsione geopolitica per i prossimi dodici mesi: la retorica del “caos” non solo è insoddisfacente, ma persino fallace, perchè nasconde le dinamiche più profonde del sistema internazionale. Il conflitto terra-mare si sta intensificando ed è probabile che, nel corso del 2022, le potenze marittime incendino l’Isola Mondo con almeno un grande conflitto militare, concomitante ad una crisi finanziaria.

Crescendo

Come ogni anno, è giunto il momento di riprendere in mano l’analisi geopolitica dello scorso anno, verificarla e allungarne la prospettiva al nuovo anno: l’impianto, basata sulla dialettica terra-mare, ha mostrato tutta la propria solidità. Lasciandolo immutato, è pertanto necessario inserirvi soltanto i fatti di rilievo accaduti nel corso del 2021, per avere una più precisione visione di quanto ci attende. “Vedere oltre la collina” non è soltanto un fine esercizio intellettuale e spirituale ma, di questi tempi, una pressante necessità per compiere scelte idonee a tempi sempre più complessi ed ostili.

Si parta innanzitutto dal Covid che, grazie alla sue varianti (prima Delta e poi Omicron), continua ad imperversare nel mondo, e specialmente in Europa, nonostante le campagna vaccinale di massa. Più volte si è sottolineato come il virus sopratutto finalità socio-economico-politiche destabilizzanti: la Cina ha reagito all’epidemia con regole ferree e punizioni draconiane che hanno consentito di contenere l’epidemia fin dalle prime battute. La Russia ha scelto un’opzione per così dire più “liberale”, evitando prolungati confinamenti e obblighi vaccinali: così ha attenuato gli effetti destabilizzanti del virus. L’Unione Europa ha scelto la via peggiore: confinamenti ripetuti, babele di divieti e restrizioni, politiche che hanno polarizzato le società in vax e no-vax. Così facendo, l’Europa ha lasciato che il virus assolvesse appieno alla sua funzione: destabilizzazione radicata e profonda del sistema politico ed economico. Il debito pubblico è esploso ovunque in Europa e le prossime cruciali presidenziali francesi (aprile 2022) saranno sopratutto un referendum sulla gestione dell’epidemia ad opera di Emmanuel Macron e sul controverso obbligo vaccinale, dagli effetti sociali imprevedibili. La grande finanza ebraica francese ha calato l’asse di Eric Zemmour, l’Inghilterra post-Brexit appoggia apertamente la candidata anti-UE e anti-tedesca Marine Le Pen, la rottura dell’asse Parigi-Berlino è necessaria per impedire che la UE si svincoli dal giogo angloamericano in vista del prossimo conflitto con Cina e Russia: tutto vorrebbe, quindi, che la destra nazionalista francese vincesse le elezioni. Così facendo, le potenze anglosassoni avrebbero una seconda grande potenze europea da impiegare in funzione anti-tedesca, anti-russa ed anti-cinese: la prima è, ovviamente, la Polonia. I rapporti tra Varsavia e Bruxelles si sono a tal punto deteriorati nel corso del 2021 che si è parlato di “Polexit”.

Prima delle presidenziali francesi, un altro passaggio chiave della politica europea è certamente l’elezione italiana del capo dello Stato: il Covid non soltanto ha mandato in orbita il debito pubblico italiano, rendendo il Paese vulnerabilissimo a qualsiasi choc esterno, ma ha anche ridotto in poltiglia la Seconda Repubblica. Sono alte le probabilità che i poteri anglofili che hanno assunto il pieno controllo dell’Italia dopo il 1992 ed hanno installato Mario Draghi a Palazzo Chigi nel gennaio 2021, usino questo delicato passaggio istituzionale per portare a termine il processo di annichilimento del Paese iniziato esattamente un trentennio fa: un’Italia in preda al caos sarebbe un’enorme voragine sul fronte meridionale della UE e ne accelererebbe, insieme a Polonia e Francia, il collasso. Non è più tabù (e per noi, fautori di una visione disincantata e “storica”, non lo è mai stato), parlare di default dell’Italia. Un tratto saliente della ripresa post-Covid è infatti l’inflazione, generata grazie al controllo di determinate “strozzature” delle’economia mondiale (specialmente materie prime, alcune tipologie di prodotti industriali come i chip e la logistica): come si è evidenziato, scopo di quest’ondata inflattiva è indurre le banche centrali ad operare quella stretta monetaria che si abbatterà come uno tsunami su tutto il debito “junk” del mondo, Italia compresa. Una crisi istituzionale ed un default finanziario dell’Italia lascerebbe così il Mediterraneo in totale balia di francesi ed angloamericani, che puntano soprattutto sulla cooperazione con Grecia, Israele ed Egitto in funzione anti-turca, anti-russa e anti-cinese. Turchia ed Algeria stanno rafforzando la cooperazione in funzione anti-occidentale e sono entrambe ottime clienti di Berlino.

Il 2021 è stato l’anno del clamoroso ritiro americano dell’Afghanistan: il “cuneo” delle potenze marittime tra Russia, Cina e Iran è diventato, dopo un ventennio di estenuanti ostilità, intenibile ed è toccato a Biden l’ingrato onere di abbandonarlo precipitosamente. Il ritiro occidentale dall’Afghanistan è un vittoria della coppia Pakistan-Cina ed è una sconfitta della coppia India-USA. La Russia, che vanta consolidati rapporti militari con New Dehli, si sta sforzando di mantenere aperti i canali con l’India, così da disinnescare le tensioni regionali tramite una triangolazione sino-russa-indiana. Compito difficile, perché il nazionalismo hindù di Narendra Modi risponde al Secret Service britannico e non certamente ai russi: è quindi altamente probabile che anche Mosca finisca col rafforzare i legami col Pakistan, che ha già preso parte alle esercitazioni della Shanghai Cooperation Organization. Altro attivo partecipante alle esercitazioni militari dello SCO è la Birmania, la cui “giunta” continua ad essere nel mirino della stampa e della politica occidentale: non si può a sufficienza sottolineare l’importanza geopolitica della Birmania che, come durante la Seconda Guerra Mondiale, consentirebbe ai cinesi di raggiungere l’Oceano Indiano senza dover passare da Singapore. Come evidenziato nella nostra ultima opera, il conflitto nel Pacifico si sta infatti accendendo e ricalca da vicino le dinamiche dell’ultimo conflitto mondiale (sebbene, questa volta, l’obiettivo delle potenze marittime sia Pechino e non Tokyo): le violenze del novembre 2021 alle Isole Salomone, dove il governo ha incautamente scelto di rinunciare ai rapporti diplomatici con Taiwan in favore di Pechino, sono il presagio di tempeste sempre più forti. Nel settembre del 2021 è nato, all’interno del Five Eyes, il cosiddetto “Aukus”, un’alleanza militare tra Australia, Inghilterra e USA in funzione anti-cinese.

Taiwan è, insieme all’Ucraina, certamente uno dei punti più caldi del 2022. Per le potenze anglosassoni, che perseguono il governo mondiale (capitale Gerusalemme?), non è neppure concepibile rispettare gli “spazi vitali” altrui, evitando di stringere pericolosissime alleanze militari nel cortile di casa di Pechino e Mosca. Nel caso in cui la situazione nello Stretto di Taiwan dovesse degenerare, Pechino non avrebbe difficoltà ad occupare l’isola nel volgere di 48-72 ore, prima di qualsiasi intervento americano. Lo sbarco dell’ELP a Taiwan chiuderebbe però la fase della “guerra ibrida” iniziata nel 2009 e ne aprirebbe una nuova, di guerra più o meno conclamata. Scopo delle potenze marittime anglosassoni, sarebbe ovviamente consumare fino in fondo gli alleati locali (India, Giappone, Filippine, etc.) per poi entrare nel conflitto in un secondo momento. L’altro punto bollente del 2022 è ovviamente la sullodata Ucraina, che gli angloamericani stanno sfruttando per far saltare i rapporti tra Russia ed Europa occidentale (Germania in testa, che non accenna a rinunciare la Nord Stream 2). Nel 2014 Mosca si è riannessa (fu donata a Kiev da Kruscev) la parte più pregiata dell’Ucraina: la Crimea. La minaccia di un ingresso formale dell’Ucraina nell’orbita americana (con l’adesione alla Nato) potrebbe però indurre la Russia ad “arrotondare” la propria fascia di sicurezza, spingendo ad occidente le frontiere. In ogni caso, nel corso del 2022 Russia e Cina dovranno imparare a stare “schiena contro schiena”, per affrontare gli assalti delle potenze marittime. Turchia, Iran e Pakistan sono pedine chiave del prossimo scontro tra terra e mare: se russi e cinesi sapranno muoversi bene, il controllo del Rimland, e quindi la vittoria finale, è a portata di mano.

Parte integrante del Rimland è ovviamente il Mar Rosso che funge tra trait d’union tra Mediterraneo ed Oceano Indiano: alla sua imboccatura si stanno svolgendo infatti due guerre di valenza mondiale. Il conflitto saudo-yemenita, dove i sauditi hanno l’esplicito appoggio di israeliani, francesi ed angloamericani e la guerra civile etiope, innescata dagli anglosassoni servendosi del premier Abiy Ahmed, così da impedire che la Cina rafforzasse pacificamente la sua presa sul cruciale Paese africano. La storia ci ricorda che entrambi i Paesi furono oggetto di conflitti alla vigilia dell’ultimo conflitto mondiale: la guerra saudo-yemenita del 1934, combattuta da un’Arabia saudita spalleggiata dagli inglesi contro lo Yemen filo-italiano, e la guerra d’Abissinia del 1935-1936, con cui l’Italia si installò all’imboccatura del Mar Rosso. Due avvenimenti che anticiparono di pochi anni la deflagrazione mondiale.