2008-2022: il ciclo delle bolle speculative

I mercati finanziari occidentali stanno ripetendo lo schema che portò nel 2008 al crack di Lehman Brothers ed alla Grande Recessione, sebbene tutto lascia supporre che gli effetti della prossima crisi finanziaria siano esponenzialmente superiori. Alla fase di bassa inflazione, durante cui la liquidità è convogliata su azioni ed obbligazione, segue una fase di alta inflazione, in cui la liquidità è dirottata verso le materie prime e genera allerme sociale. Il rialzo dei prezzi del carello dello spesa è il segnale che la bolla è prossima a scoppiare.

La fiammata di fine ciclo

Pochi ricordano oggi il crack finanziario del 1907, quasi tutti quello del 1929, sebbene gli attori e le modalità delle due crisi borsistiche siano pressoché identici. C’è da chiedersi se, a distanza di un secolo a partire da oggi, non capiterà lo stesso col crack finanziario del 2008 ed il prossimo “Grande Crollo” da collocarsi in un orizzonte temporale di 6-18 mesi. Prima che fiumi di parole siano spese per raccontare, analizzare, sviscerare il prossimo tracollo finanziario (che, dopo l’epidemia di Covid e la guerra russo-ucraina, infliggerà il colpo di grazia al commercio mondiale e alla globalizzazione post-1991), prima che le avvisaglie stesse del tracollo iniziano a “svegliare dal sonno” i media ed i commentatori pagati per rifilare all’opinione pubblica una crisi alla volta, si può già notare come il prossimo “Grande Crollo degli anni Venti” sarà una sostanziale ripetizione di quello del 2008. Stesse modalità e stessi attori (FED, Goldman Sachs, JP Morgan, etc.), sebbene le “dimensioni” del prossimo dramma siano incomparabilmente maggiori, così da produrre effetti geopolitici su scala mondiale e, sopratutto, in maniera profonda e strutturale.

Non è azzardato parlare di un vero e proprio schema: una catena di eventi, legati uno all’altro, che si ripete saltuariamente nel tempo, aumentando volta dopo volta l’intensità degli effetti. Ex-post, tra qualche anno, si potrà legittimamente parlare di una “valanga finanziaria” costruita nell’arco di poco più di un ventennio (che, detto per inciso, coinciderà anche con la vita dell’euro per come lo si conosce oggi). Tutto, infatti, può essere fatto risalire al 2001 quando, negli USA, scoppia la bolla speculativa di titoli tecnologi, causando un repentino crollo del Nasdaq e spingendo l’economia reale verso la recessione. Questo choc (cui si sarebbe aggiunto, a breve distanza l’attentato alle Torri Gemelle) può essere considerato “l’incipit” di tutto. In risposta agli sconquassi di borsa e al malessere dell’economia reale, la FED effettua, infatti, il primo drastico taglio dei tassi che, dal 6% dell’autunno del 2000 precipitano al 1,5% dell’autunno del 2002.

Alla nascita della bolla, segue un periodo in cui questa cresce senza creare alcun allarme sociale o, al contrario, infondendo un senso di benessere tra la popolazione. Affinché ciò sia possibile, il denaro a basso costo è indirizzato dalle banche d’affari e dagli speculatori verso quei beni che costituiscono il “patrimonio” delle famiglie, facendole sentire ricche e inducendole quindi a spendere: case, immobili ed azioni. In questa fase di crescita della bolla, si bada a tenere l’inflazione sotto il livello di guardia, cosicché la bolla stessa possa crescere indisturbata. Tra il 2002 ed il 2007, l’inflazione americana rimane sotto il 3%, mentre il prezzo degli immobili (il cui valore è pompato erogando mutui senza alcun vincolo a tutti i cittadini) sale alle stelle ed il valore dei listini azionari quasi raddoppia (SP 500 a 850 sul finire del 2002 e a 1.500 nell’estate del 2007).

Quando la bolla è matura (si noti che, all’interno dello scorso ciclo, è stata “accumulata dinamite” solo durante 5 anni), occorre farla scoppiare. Il meccanismo è molto semplice. La liquidità, che fino a quel momento era stata impiegata per far lievitare il patrimonio delle famiglie, è impiegata ora per spingere alle stelle il prezzo dei beni essenziali per la popolazione (pane, latte, benzina, etc.), creando così allarme sociale e fornendo il pretesto alle banche centrali per agire. Nell’autunno del 2007, il prezzo del maiale consumato in Cina come quello dell’acciaio impiegato per costruire i frigoriferi in Polonia, schizza verso l’alto. I tassi della FED, che nell’estate del 2005 erano ancora sotto il 3%, toccano il 5% in quella del 2007. È sufficiente una modesta stretta monetaria perché l’intero castello di carte speculativo (gli investimenti a leva, moltiplicano gli effetti sia nella ascendente che in quella discente del mercato) crolli. Nel marzo 2008 fallisce la Bear Sterns e, nel settembre successivo, la Lehman Brothers.

Una nuova bolla è però già pronta. La bolla in cui ci troviamo oggi. La bolla destinata a scoppiare nei prossimi mesi e a stravolgere il mondo che conosciamo. Il crack di Lehman Brothers è più grave di quello della bolla dot.com e perciò, vengono adottate misure più estreme e provvedimenti più eclatanti, con l’esito finale di creare una bolla speculativa ancora più grossa, gravida e minacciosa della precedente. Entro il gennaio 2009 il tasso di sconto della FED è portato allo 0% e lì si trova tuttora (nonostante l’effimero rialzo sino al 2% alla vigilia della pandemia): si tratta quindi di un lasso di tempo più che doppio rispetto al ciclo precedente! In poche parole, la bolla speculativa ha avuto il doppio del tempo per gonfiarsi. Come nel ciclo precedente, la fase in cui la bolla cresce a matura è contraddistinta da un artificiale senso di “benessere” e da scarsi segnali d’allarme. I listini azionari crescono di cinque volte (SP 500 a 850 nel gennaio 2009 e a 4.500 nel gennaio 2021) ed imprese e Stati nazionali possono indebitarsi a costi irrisori, mentre l’inflazione rimane bassa e, addirittura, in molti Paese occidentali imperversa un clima deflattivo a causa delle politiche di austerità.

Quando la bolla è pronta, bisogna nuovamente fornire il pretesto alle banche centrali per agire. Come? Semplice, nuovamente tramite l’inflazione che crea allarme sociale. Sfruttando le “distruzioni” delle fabbriche e delle catene logistiche operate dal Covid e, soprattutto, la guerra russo-ucraina con le sue ricadute sulla produzione e sulla distribuzione delle materie prime, la liquidità e la speculazione si dirigono con prepotenza verso i beni di prima necessità ed i prodotti dell’industria di base, mandane il prezzo alle stelle. Ma questa volta, a differenza del 2008, è tutto davvero “americano”: gigante, imponente e sovrabbondante. Se nel 2007 l’inflazione aveva toccato un timido 3%, oggi tutto lascia supporre che, nella maggior parte dei Paesi industrializzati, l’indice dei prezzi viaggi verso un +10%. Come nel 2007, il prezzo del maiale mangiato in Cina e dell’acciaio usato per fabbricare i frigoriferi in Polonia, torna a crescere, ma questa volta in maniera più violenta, vorticosa e rapida. Le banche centrali già presagiscono il peggio, ma “devono” agire per fermare quell’inflazione che semina il panico dal mercato rionale di Catania al WalMart di Detroit: ed iniziano, così, ad alzare i tassi. Costi quel che costi.

Il finale è scontato. Una nuova Lehman Brothers, una nuova Grande Recessione, una nuova eurocrisi. Moltiplicate per tre, quattro, cinque volte: quanto la valanga si è ingrossata nel frattempo.