La prospettiva di un prossimo embargo totale ai danni della Russia, obbliga l’Italia (e Germania) a cercare fonti di approvvigionamento energetico alternative. Date le condizioni disastrate in cui versa tuttora la Libia, la scelta ricade necessariamente sull’Algeria che, grazie al gasdotto Transmed che attraversa la Tunisia ed il Canale di Sicilia, sta emergendo come il principale fornitore energetico della penisola. L’Algeria è il naturale complemento nordafricano di Italia e Germania e, allo stesso tempo, la principale minaccia per francesi ed angloamericani nel Mediterraneo occidentale.
Sulla sponda africana
Nella nostra analisi geopolitica di inizio anno ci siamo premurati di “colorare” anche la sponda africana del Mediterraneo: qualsiasi seria analisi geopolitica non può fare a meno, infatti, di considerare gli equilibri del bacino mediterraneo nel suo complesso. Nella cartina, abbiamo assegnato all’Algeria il colore “arancione”, lo stesso di Germania e Turchia, evidenziando così che le dinamiche geopolitiche di fondo spingessero Algeri verso il blocco russo-cinese. I recenti sviluppi sull’onda della guerra russo-ucraina hanno confermato la correttezza dell’impianto analitico e, inoltre, dimostrano come, all’interno del Mar Mediterraneo, si stia creando un assetto “post-NATO” fluido e minaccioso, che contrappone le potenze occidentali e vincitrici del 1945 a quelle sconfitte e/o revisioniste ed affonda perciò le sue radici nella geopolitica euro-mediterranea più profonda. In quest’assetto, l’Algeria è pienamente ascrivibile tra le potenze anti-occidentali ed il recentissimo accordo che fa di Algeri il principale fornitore di gas dell’Italia (e, indirettamente, della Germania) rispecchia fedelmente “il sistema di alleanze” in corso di definizione.
Un po’ di storia è necessaria. Eisenhower e le truppe angloamericane furono accolte con una malcelata ostilità, nell’autunno 1942, dalla popolazione algerina, che vedeva negli anglosassoni il pericolo di una restaurazione del dominio francese e la longa manus del movimento sionista. Durante la guerra d’Algeria del 1954-1962 che contrappose francesi e nazionalisti algerini, le simpatie dell’Italia andarono ai secondi: l’ENI di Enrico Mattei fu tra le prime società straniere ad operare nell’Algeria indipendente. La fine della Guerra Fredda e del sistema bipolare USA-URSS, fu sfruttata da angloamericani e francesi per “saldare i conti” con entrambi i Paesi. Mentre l’Italia, sotto la regia delle potenze vincitrici del 1945, imboccava la via del declino inarrestabile con Tangentopoli e lo smantellamento dell’IRI, l’Algeria era infatti spinta verso la guerra civile che contrappose, per circa un decennio, il regime laico nazionalista agli islamisti, sostenuti dai governi occidentali: basti dire che uno dei capi del movimento islamico algerino, Abbassi Madani, era stato educato in Inghilterra, come molti altri “estremisti” islamici del Nord Africa. La guerra durò fino al 2002 ed il governo riuscì a ristabilire l’ordine solo al prezzo di 100.000 morti.
L’anno 2011 è cruciale sia per l’Italia che per l’Algeria: la prima, con l’attacco NATO alla Libia, perde il suo storico alleato, il colonnello Muammur Gheddafi, e, sopratutto, la sua proiezione politico-economico-militare in Africa settentrionale. La seconda deve stroncare i tentativi di destabilizzazione noti come “Primavera Araba”, alimentati da francesi ed angloamericani servendosi anche degli ambienti islamista, ed è costretta ad incassare la caduta di Gheddafi, con la conseguente caduta della Libia in una condizione di caos cronico. Il governo di Algeri sa ora di avere il caos alle porte e di essere in cima all’agenda degli occidentali. Quando USA, UK e Francia individuano in Haftar (ex-uomo della CIA) un potenziale “riunificatore” della Libia, il governo di Algeri si oppone fermamente a questo scenario, che vorrebbe dire avere il nemico ai propri confini. Il governo d’Algeri vede così di buon occhi l’intervento turco in Tripolitania, sancendo l’inizio di una convergenza turco-algerina in funzione eminentemente anti-francese.
La Francia è considerata dal governo d’Algeri la principale minaccia che grava sul Paese, sotto forma di terrorismo islamico e di insurrezioni militari. Quando, nel 2014, appare sulla scena internazionale lo Stato Islamico, che tenta di portare avanti l’agenda di balcanizzazione del Medio Oriente cara a Londra e Washington, e la Francia vara la propria missione anti-ISIS nel Sahel (operazione Barkhane), gli algerini capiscono immediatamente l’antifona. L’avvicinarsi dei francesi ai propri confini è letto come una minaccia strategica, foriera di episodi simili all’attacco islamista al campo metanifero di Amenas (2013), costato alla vita a decine di occidentali. Le preoccupazioni algerine si rivelano fondate, perché, l’attività anti-terroristica di Parigi, anziché estirpare i terroristi, moltiplica i disordini ed i morti: il governo del Mali è stato il primo a ribellarsi formalmente alle manovre destabilizzanti della Francia, chiedendo nel febbraio 2022 il ritiro dei francesi. La svolta anti-francese del Mali è stata ovviamente colta con favore da Algeria, che ambisce a liberarsi dalla morsa occidentale e ad aumentare la propria influenza sulla regione. Il principale antagonista è, in questi termini, il Marocco filo-occidentale: il terreno di scontro tra le due potenze è costituito innanzitutto dalla questione del Sahara occidentale (l’ex-Marocco spagnolo): mentre il governo di Rabat vuole l’annessione del territorio, il governo d’Algeria sostiene il Fronte Polisario che lotta per l’indipendenza. Le ramificazioni internazionali di questa disputa sono interessantissime: se, infatti, USA ed Israele sostengono il Marocco, al contrario, in favore del Fronte Polisario e dell’Algeria si sono schierate la Spagna e la Germania, tanto da causare una vera e propria crisi diplomatica tra Berlino e Rabat nell’ultimo scorcio del 2021.
Già, la Germania. Il governo tedesco vanta solidissimi rapporti col governo d’Algeri, che è uno dei principali acquirenti al mondo delle armi Made in Germany. I rapporti tra Algeri e Berlino sono certamente usciti rafforzati dalla Primavera Araba del 2011 quando, rompendo l’unità del fronte occidentale, la Germania si astenne dal votare alle Nazioni Unite la risoluzione per l’intervento militare contro Ghedaffi (insieme a Russia e Cina). A completare il sistema algerino delle alleanze internazionali, c’è la rodata collaborazione militare con la Russia (collaborazione che passa anche per saltuarie esercitazioni militari nel deserto) e l’ottima accoglienza riservata alla “Nuova Via della Seta” finanziata da Pechino, che vorrebbe, nei pressi di Algeri, costruire uno dei moderni e grandi porti del Continente Africano.
Lo schema geopolitico è quindi ormai chiaro: l’Algeria è la naturale continuazione in Nord Africa dell’asse mediano europeo, costituito da Germania e Italia e contrapposto allo schieramento occidentale (UK, USA, Francia e Polonia). Tale asse euro-africano, inoltre, tende per natura a convergere verso il blocco russo-cinese, secondo logiche, per così dire, “revisioniste”.
Se la geopolitica vorrebbe quindi che si consolidasse un robusto asse tedesco-italo-algerino nel cuore del sistema euro-mediterraneo, le potenze occidentali agiscono in senso opposto perché tale asse sia più debole, sfilacciato ed impotente che mai. La guerra russo-ucraina, si è detto, è anche e sopratutto una manovra anglosassone contro Germania e Italia, che rischiano una gravissima crisi industriale nel momento in cui il gas russo sarà bloccato. L’Italia (e la Germania) stanno cercando di mettersi ai ripari e l’accordo per aumentare i flussi di gas dall’Algeria va in questa direzione. Difficile però fidarsi di personaggi come Scholz e Draghi che, o ignorano la geopolitica, o agiscono in senso opposto ai suoi precetti, obbedendo all’interesse di Londra e Parigi piuttosto che a quello nazionale: è sufficiente ricordare che il Mario Draghi che ha firmato l’accordo con l’Algeria, è lo stesso che attaccò deliberatamente la Turchia per compiacere Macron. Quanto all’Algeria, è ormai evidente che, in Nord Africa, costituisca l’unico solido baluardo anti-occidentale: il Marocco è schierato apertamente su posizioni filo-occidentali, Tunisia e Libia sono totalmente ripiegate su se stesse dopo anni di crisi, l’Egitto di Al-Sisi, filo-francese e filo-saudita, è più ambiguo che mai. È dunque chiaro che, gli effetti “collaterali” della guerra russo-ucraina, in primis il fortissimo rialzo dei prezzi del grano, dei cereali e dei beni di prima necessità, saranno impiegati da anglosassoni e francesi per tornare alla carica, a distanza di 11 anni dalla Primavera Araba, tentando di destabilizzare nuovamente il Nord Africa, così da privare Germania e Italia dell’ultimo canale di approvvigionamento energetico in prossimità dell’Europa.
Un sincero ringraziamento per le ottime analisi di Federico Dezzani. Vorrei fare notare che purtroppo il governo spagnolo di Pedro Sanchez recentemente si è riconciliato con il Marocco e lo appoggia nel conflitto latente nel Sahara Occidentale. Ecco un articolo a titolo di esempio: https://pagineesteri.it/2022/03/23/primo-piano/spagna-sanchez-volta-le-spalle-al-popolo-saharawi/
nihil novo… come a fine 2017, “Rincaro la dose”:
https://m.ilmattino.it/primopiano/articolo-3427534.html
il Federico già allora ci scriveva (sul TAP, che per fortuna è attivo, ed è comunque un tubo nel quadrante sudest dove non avevamo ancora nulla): “Non sai, Mihai, che Baku è più vicina di Algeri? A Bruxelles conoscono la geografia…”
DNFTT. IST
Buona giornata! Cos’è successo con l’account twitter, almeno puoi seguirlo attraverso altri canali?
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Leggo il tuo canale telegram ormai da tempo, e credo di essere stato tra i primi a suggerirti qualche mese fa di inserirvi i commenti in copia da twitter.
Rinnovo l’altro suggerimento di aprire i commenti sia agli articoli che ai post su telegram, che ovviamente potrai chiudere in qualsiasi momento.
C’è l’esigenza di parlare e confrontarsi in maniera fluida sia con il proprietario/autore che tra i vari lettori del blog.
Grazie se vorrai accettare la proposta.