2011-2021: come Mario Draghi ha distrutto il Mediterraneo italiano

Il clamoroso affondo di Mario Draghi contro il presidente turco Recep Erdogan, definito “un dittatore”, ha sollevato un vespaio internazionale, indebolendo ulteriormente la posizione nel bacino mediterraneo dell’Italia, già ai ferri corti con l’Egitto per il caso Regeni: il maggior rischio è che l’affondo di Draghi provochi la definitiva espulsione dell’Italia dalla Libia, dove italiani e turchi “convivono” nella regione della Tripolitania. Difficile pensare che Mario Draghi abbia commesso soltanto una “gaffe”: piuttosto persegue la scientifica distruzione delle posizioni italiane nel Mediterraneo, terminando il lavoro da lui stesso iniziato esattamente dieci anni fa.

Al servizio dell’Inghilterra, contro gli interessi italiani

Il 6 aprile, durante l’incontro a Tripoli tra il presidente del Consiglio Mario Draghi e l’omologo libico Abdul Hamid Dbeibeh, la stampa italiana esaltava il rinnovato interesse per la Libia: come affermava lo stesso Draghi, bisognava “ difendere i propri interessi internazionali, senza avere timori reverenziali verso alcun partner”. Osservatori più disincanti, e ci ascriviamo a questa categoria, notavano che fosse una pia illusione sperare che lo stesso personaggio che nel 1992 era salito sul panfilo Britannia, per una famosa crociera d’affari davanti alle coste di Civitavecchia con il fior fiore della City londinese, difendesse il nostro ruolo del Mediterraneo: più facile, commentavano un po’ cinicamente ma molto realisticamente, che Mario Draghi assestasse il colpo di grazia alle posizione italiane nel Mediterraneo. Certamente, però, non sapevamo come potesse farlo. La risposta è giunta soltanto a distanza di due giorni dalla visita a Draghi del primo ministro italiano: l’8 aprile, infatti, durante una conferenza stampa, Draghi ha lanciato una pesantissima stoccata contro il presidente turco Recep Erdogan, definendolo sprezzantemente un “dittatore, ma un dittatore di cui si ha bisogno”.

L’affondo di Draghi ha prontamente scatenato la violenta reazione di Ankara, che ha convocato l’ambasciatore italiano in segno di indignazione: bisognerà seguire con attenzione gli sviluppi della vicenda, perché è altamente probabile che la “gaffe” di Draghi (trattasi in realtà di una scientifica azione criminale) abbia i suoi effetti più gravi proprio in quella Libia che il primo ministro italiano affermava di voler difendere senza guardare in faccia nessuno. Le residue speranze italiane di conservare un piede in Africa sono infatti legate ai buoni rapporti con la Turchia e alla durata del “condominio italo-turco” in Tripolitania: dalla fine del 2019, infatti, i soldati di Ankara si sono assunti l’onere (coll’assenso dell’Algeria) di difendere la Tripolitania dalle mire del generale Haftar, che è certamente spalleggiato anche (si sottolinea, anche) dai russi, ma dietro cui si celano sopratutto sauditi, francesi, israeliani ed angloamericani. Fu infatti certamente Washington, e non Mosca, a dare il via libera al generale Haftar per il fallito blitz contro Tripoli.

Qualora nelle prossime settimane la crisi dei rapporti tra Italia e Turchia dovesse sfociare nella nostra definitiva espulsione dalla Libia, Mario Draghi sarebbe riuscito a completare il lavoro iniziato esattamente dieci anni fa quando, appena insediatosi alla guida della BCE, diede il proprio preziosissimo contributo per tenere sotto scacco l’Italia e consentire ad angloamericani e francesi di portare a termine la destabilizzazione della Libia. Bisogna a questo punto fare un salto indietro nel tempo. Corre l’estate del 2011 e le potenze anglosassoni hanno da circa sei mesi lanciato le rivoluzione colorate note come “Primavere arabe”: il loro obiettivo è gettare nel caos i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo, rallentare la penetrazione economico-militare di Russia e Cina ed innescare quei flussi migratori che avrebbero assestato un durissimo colpo alla tenuta dell’Unione Europea. Il colonnello Gheddafi, nonostante i torbidi dei servizi segreti inglesi e francesi, però non cade, né l’operazione Odyssey Dawn contribuisce in maniera significativa ad indebolire il suo potere: la ricchezza accumulata, la potenza dei suoi legami tribali e la superiorità militare relativa rispetto ai ribelli tardano per mesi e mesi la sua eliminazione. Tra gli elementi che ritardano l’uscita di scena del colonnello Gheddafi c’è certamente il tacito appoggio che continua a ricevere dall’Italia, a livello di servizi segreti: occorre infatti ricordare che la presidenza del Consiglio è allora occupata da Silvio Berlusconi che, avendo firmato il trattato d’amicizia italo-libico (da lui considerato il proprio massimo capolavoro in politica estera), si è accodato controvoglia all’impresa anglo-franco-americana. Finché Berlusconi occupa Palazzo Chigi e finché, sopratutto, il sistema Italia non è alle corde, è difficile dare il colpo di grazia a Gheddafi: la finanza angloamericana sta pesantemente bombardando i buoni del Tesoro italiani ed il differenziale tra Btp e Bund, nel pieno dell’eurocrisi, veleggia attorno ai 400 punti base, ma serve sferrare l’assalto finale.

Entra a questo punto in scena Mario Draghi, che fino a quel momento aveva occupato la carica di vice presidente di Goldman Sachs per le attività europee: sul finire dell’estate Draghi è nominato alla guida della Banca Centrale Europea e, proprio nella veste di governatore della BCE in pectore, scrive insieme a Jean-Claude Trichet la famosa “lettera” con cui l’Italia è de facto commissariata. Pubblicata sul Corriere della Sera in data 29/09/2011, la lettera contribuisce all’impennata del differenziale Btp-bund che toccherà i 550 punti base nel novembre successivo, decretando l’uscita di scena di Silvio Berlusconi: l’effetto più immediato della lettera di Draghi, ed è questo il punto cruciale dell’analisi, va ricercato però  in Libia. Con un’Italia tenuta sotto scacco dalla finanza angloamericana e dal rischio bancarotta, la difesa di Gheddafi, fino a quel momento scampato all’eliminazione grazie anche al tacito appoggio italiano, diventa impossibile: il 20 ottobre 2011, quando la speculazione sull’Italia è allo zenit, il colonnello è catturato e ucciso dai servizi segreti francesi. Per l’Italia, è un colpo durissimo. Forse il più duro subito all’estero dal 1945.

Inizia così una lenta ricomposizione politica in Libia che abbiamo seguito nel corso degli anni con diversi articoli: in questa sede ci interessa solo ricordare che, almeno dal dicembre 2019, gli interessi italiani nella nostra ex-colonia coincidono con quelli turchi. Senza Ankara, saremmo probabilmente già stati espulsi dalla Tripolitania, non a beneficio della Russia, ma della coalizione anglo-franco-israelo-saudita che sostiene Haftar. Si ritorna così all’affondo di Draghi contro il presidente turco di questi giorni: difficile non leggere dietro le parole di Draghi un preciso disegno, volto a completare il lavoro iniziato nel 2011, sancendo la definitiva espulsione dell’Italia dall’Africa. Senza contare poi i danni economici e industriali prodotti dalle parole di Draghi: l’Italia è infatti uno dei principali investitori industriali in Turchia e tra i due Paesi esistono importanti accordi di cooperazione militare, simboleggiati dall’elicottero AgustaWestland T129 ATAK. L’Europa ed il Mar Mediterraneo si avviano verso una stagione di burrasche: ai vertici dell’Italia siedono fantocci di potenze straniere che, anziché perseguire l’interesse nazionale, lavorano per la rovina del Paese e dell’intero bacino mediterraneo.