Libia: non resta che confidare nella Turchia

Nell’ultima settimana si sono susseguiti in Libia una serie di importanti eventi: alla ratifica del memorandum d’intesa tra Libia e Turchia per la definizione delle rispettive zone economiche esclusive nel Mediterraneo Orientale è seguito l’ennesimo tentativo di Haftar di entrare con la forza nella capitale libica. Il governo di Tripoli, benché supportato diplomaticamente da Italia e Germania, dipende ormai dalla Turchia, l’unico attore regionale in grado di garantire un’adeguata difesa dinnanzi allo schieramento pro-Haftar, che spazia dagli USA all’Arabia Saudita, dalla Francia ad Israele. La convergenza italo-turca diverrà presto inevitabile, qualsiasi sia l’esito della partita libica.

Perché convergere verso Angora

Il mondo sta per mettersi in moto e la geopolitica sta per irrompere brutalmente nello scenario internazionale: si vede a Hong Kong come a Sucre, a Teheran come a… Tripoli. Già, perché a distanza di poche miglia dalle coste siciliane iniziano ad avvertirsi le frizioni fra blocchi contrapposti: sarà solo questione di tempo perché l’Italia debba fare le sue scelte.

Sull’evoluzione del panorama libico avevamo già scritto: dopo aver “sostenuto” la nascita del governo d’unità nazionale basato a Tripoli e aver diviso così il Paese in due blocchi contrapposti, gli USA si sono spostati, dopo l’elezione del repubblicano Trump, verso il generale Khalifa Haftar, ottima conoscenza della CIA, fino a quel momento relegato alla Cirenaica. Tale cambio di registro si inserisce nella più ampia ridefinizione dello schieramento medio orientale in atto dal 2017: il blocco “della Fratellanza Mussulmana” (Turchia e Qatar), che sostengono Tripoli, ed il blocco “saudita” (Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi, Israele ed angloamericani) che sostengono Haftar ed il sedicente Esercito Nazionale Libico. La Francia si conferma una rodata alleata di Haftar, come pure apparentemente la Russia cui preme però soprattutto conquistare posizioni economiche e politiche nella regione, senza badare troppo alle bandiere, come testimoniano i rapporti sviluppati a 360 gradi, dalla Turchia all’Egitto.

Le uniche potenze europee rimaste a fianco di Tripoli sono la Germania, che in Libia gioca peraltro una partita marginale, e l’Italia, che invece in Libia si gioca il suo futuro di potenza regionale: trascinata dagli angloamericani a fianco del governo di Tripoli con gli accordi di Skhirat del 2015, l’Italia è rimasta da allora sulle medesime posizioni, nonostante gli Stati Uniti abbiano nel frattempo mutato strategia, dando via libera ad Haftar per conquistare con la forza Tripoli ed instaurare una dittatura militare filo-israeliana e filo-saudita in Libia. La “coerenza” italiana (benché in realtà sia stata probabilmente solo inerzia e intempestività politica) ha così fatto coincidere gli interessi italiani col blocco turco-qatariota, da cui dipende ormai la nostra permanenza in Libia. Se Tripoli e Misurata dovessero cadere, l’Italia sarebbe infatti definitivamente espulsa dalla Libia, subendo una perdita d’influenza persino superiore a quella accusata dopo il 1945.

La crescente dipendenza del governo di Tripoli da Angora (bel termine con cui si definiva Ankara prima che la lingua italiana si imbastardisse) consente a quest’ultima di incassare dividendi politici sempre più alti, perlomeno sulla carta: risale infatti alla settimana scorsa la ratifica del memorandum d’intesa libico-turco con cui sono state definite le rispettive zone economiche esclusive nel Mediterraneo Orientale (vedi cartina): si tratta di una vera e propria spartizione del Mediterraneo orientale e delle correlate risorse energetiche, spartizione che ha irritato la Grecia che, più si indebolisce, più converge verso lo schieramento angloamericano. Alla ratifica del memorandum è seguito, non casualmente, l’ennesimo tentativo di Haftar di espugnare la capitale: lo slancio delle truppe assedianti, però, sembra essersi già dissolto come nei casi precedenti. È ovvio che dopo il risultato ottenuto con la firma del memorandum, aumenterà la determinazione dei turchi a difendere il governo di Tripoli (e di conseguenza le forniture e l’assistenza militari), come, per contro, si moltiplicheranno gli sforzi anglo-sauditi per rovesciare Al-Serraj ed estendere il dominio di Haftar su tutta la Libia. All’Italia non resta ormai realisticamente che accordarsi alla Turchia, per rimanere aggrappata almeno alla Tripolitania ed evitare di essere definitivamente espulsa dall’Africa del Nord: tanto più che questa convergenza italo-turca potrebbe essere l’esordio di un’alleanza più necessaria che mai.

Turcofila è stata tutta la politica estera italiana dal 1861, con la sola eccezione della guerra italo-ottomana del 1911, e più turcofila che mai dovrà essere la politica dell’Italia quando, toccato il fondo, si dovrà infine risalire. Benché, infatti, Italia e Turchia viaggino ormai su livelli diversi (la prima una media-potenza in decadenza e la seconda un’aspirante grande potenza, con interessi e basi militari che spaziano dalla Somalia al Golfo Persico) la geografia non è mutata come non sono mutati i motivi che spingono i due Paesi verso l’alleanza: attraverso la Turchia l’Italia può penetrare economicamente il Medio Oriente e appoggiandosi alla Turchia l’Italia può infine invertire l’apparentemente inarrestabile processo di decadenza come potenza mediterranea ed africana. I nemici della Turchia di oggi, sono gli stessi nemici dell’Italia di ieri e di domani.

Una risposta a “Libia: non resta che confidare nella Turchia”

  1. Sarebbe interessante, oltre a conoscere quali sono gli interessi delle potenze straniere sulla Libia, immaginare quali sono gli interessi dei Libici stessi, qual è la fazione che meglio li rappresenta, che meglio rappresenta il loro interesse alla sovranità e all’indipendenza. Da questa prospettiva è dubbio che Serraj rappresenti qualcun altro oltre se stesso

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