Bocciatura dell’accordo Ucraina-UE: l’Olanda apre le dighe

Gli olandesi si confermano la bestia nera dell’Unione Europea: dopo aver affossato nel 2005 la costituzione europea, trauma da cui Bruxelles non si è mai ripresa, oggi è la volta del referendum che boccia l’accordo di associazione tra UE ed Ucraina. Per i Paesi Bassi, che con l’abbattimento del volo Malaysia Airlines 17 hanno pagato un alto tributo di sangue nella contesa per l’Ucraina, è quasi una vendetta. L’esito della consultazione rappresenta però solo un’altra breccia nella diga dell’Unione Europea: dalla Spagna alla Polonia, dal Regno Unito alla Grecia, le crisi si susseguono senza soluzione di continuità. Il prossimo “choc esterno”, anziché gli Stati Uniti d’Europa, produrrà l’implosione della sovrastruttura europea: quale scenario si apre per il continente?

Quel vizietto olandese dei referendum

Gli incorreggibili olandesi l’hanno rifatto: abituati nei secoli a strappare terra al mare erigendo dighe, si sono specializzati nell’ultimo decennio ad abbattere le dighe erette dall’Unione Europa per strappare sovranità agli Stati.

È il giugno 2005 quando l’Aja assesta il colpo di grazia alla Costituzione Europea, seccamente bocciata alle urne con il 61% dei voti contrari: l’esito, simultaneo ad un’analoga cassatura in Francia, è una drammatica sconfitta per le oligarchie di Bruxelles, da allora convalescenti. Si mette, certo, una pezza con il Trattato di Lisbona, “la mini-Carta europea” (a sua volta bocciata dalle tribù celtiche dell’Irlanda, costrette a rivotare a distanza di un anno sullo stesso quesito finché non vince il “sì”), ma Bruxelles si presenta già in pessima forma all’appuntamento con la storia, ossia l’attesa crisi dell’euro che nei piani delle élite euro-atlantiche avrebbe dovuto partorire gli Stati Uniti d’Europa. Quando infatti la Grecia, cavallo di Troia introdotto nell’euro per il suo potere destabilizzante, apre nel 2009 le danze dell’eurocrisi, niente va come previsto; con il salvataggio di Cipro del 2013, seguito dalla limitazione dei movimenti dei capitali e dall’introduzione del famigerato “bail-in”, l’effetto “costruttivo” dell’eurocrisi cede il passo a quello “distruttivo”.

Per invertire o perlomeno rallentare lo sfaldamento dell’Unione bisogna imprimerle “movimento”: si compensa in questo modo la stasi del processo di integrazione interno con la dinamicità dell’allargamento verso l’esterno. Uno degli obbiettivi di inglobare l’Ucraina nell’Unione Europea è proprio quello di presentare l’Unione come vitale ed in espansione. Segue Euromaidan, il golpe che rovescia Viktor Yanukovich e la firma dell’agognato accordo di associazione alla UE. Per scavare un solco più profondo possibile tra la Russia (rivale strategico degli angloamericani sul continente) e l’Europa Occidentale, è orchestrato l’abbattimento del volo Malaysia Airlines 17 (luglio 2014), indispensabile per imporre ai recalcitranti membri della UE l’inasprimento delle sanzioni alla Russia. Lo schianto, avvenuto sulla tratta Amsterdam-Kuala Lampur, provoca 283 vittime, più di 2/3 olandesi.

L’Olanda è quindi legata più di altri alle vicende ucraine: non a caso, durante la campagna verso il referendum sull’accordo di associazione tra Kiev e Bruxelles, il disastro aereo è addotto dai sostenitori del “no” come esempio dell‘instabilità geopolitica creata dall’introduzione dell’Ucraina nell’Unione Europea. L’abile conduzione di Geert Wilders, il leader di Partito per la Libertà che trasforma la consultazione in un plebiscito sulla UE, fanno il resto: superato il quorum (affluenza al 32%) i votanti bocciano sonoramente l’accordo (62% vs 38%). Sebbene il referendum non abbia valore vincolante, l’esito è fonte di grande imbarazzo per l’esecutivo olandese schierato per il “sì”, tanto da obbligare il premier Mark Rutte ad ipotizzare una modifica dell’intesa: senza il parere unanime dei 28 membri della UE, si noti, Kiev rimane alla porta.

Dutch Voters Reject Ukraine Deal in Blow to EU Unity scrive il Wall Street Journal, evidenziando come l’esito referendario infligga un altro duro colpo alla già traballante Unione Europea, galvanizzando allo stesso tempo la Russia di Vladimir Putin. C’è amarezza tra i circoli atlantici: non tanto per le condizioni critiche in versano l’Ucraina e la UE (si ricordi il celebre “Fuck the UE!” pronunciato da Victoria Nuland durante le bollenti giornate di Euromaidan) quanto piuttosto perché il primo beneficiario della situazione è Mosca, pronta ad grande “balzo politico” verso Occidente.

Ma davvero il referendum, partito in sordina pure in Olanda ed a maggior ragione tenuto ben nascosto alle altre opinioni pubbliche, ha un effetto dirompente per l’Unione? Senza dubbio è una falla preoccupante nella diga dell’Unione Europea ed il danno aumenterebbe drammaticamente se trainasse i “no” all’imminente referendum sulla permanenza del Regno Unito nella UE: l’uscita di Londra, azionista di maggioranza e“garante” della vocazione atlantica delle istituzioni brussellesi, implicherebbe infatti la dissoluzione a ruota delle stesse.

Tuttavia lo stato di decomposizione dell’Unione Europea è ormai ad uno stadio talmente avanzato, le forze centrifughe sono ormai così impetuose, il malessere a tal punto diffuso, che è paradossalmente corretto non dare troppo peso al referendum olandese. Senza l’unione politica, l’euro è infatti rimasto un semplice regime a cambi fissi, identico al gold standard, e le misure di svalutazione interna adottate per garantirne la sopravvivenza si sono tradotte in recessione e deflazione che, a loro volta, si sono trasformate nell’arco di sei anni nei “partiti populistici”, alla ribalta nei Paesi Bassi come altrove.

L’Olanda, con il referendum cavalcato e vinto da Geert Wilders, è una delle tante brecce politiche nella diga della UE, numerose quasi quanti sono i suoi membri della UE. Passiamole brevemente in rassegna:

  • Portogallo: nonostante la promessa dell’ex-presidente della Repubblica Anibal Cavaco Silva di bloccare qualsiasi esecutivo “anti-NATO ed anti-UE”, si è infine formato un governo di sinistra che, pur conservando toni concilianti con Bruxelles, ha sinora rifiutato di inasprire ulteriormente l’austerità. La situazione politica è incerta e non da escludere che si torni alla urne già in autunno. Il differenziale tra titoli di Stato portoghesi e bund tedeschi si attesta a 300 punti base, il sistema bancario scricchiola e si materializza lo spettro di un secondo salvataggio europeo;
  • Spagna: rispetto al vicino lusitano, qui non c’è nessun rischio di un governo ostile a Bruxelles, per il semplice fatto che non c’è nessun governo insediato. Le elezioni si sono svolte più di tre mesi fa, nessun partito o coalizione ha ottenuto i numeri per formare un esecutivo ed è probabile che si torni al voto all’inizio dell’estate. Il debito pubblico è triplicato in otto anni (ora al 100% del PIL) e Madrid continua ad accumulare deficit quasi doppi rispetto ai parametri europei (5,2% del PIL nel 20151);
  • Francia: la situazione è tra le più drammatiche d’Europa: stato d’emergenza, tensioni sociali, stragismo dei servizi segreti, larghi deficit pubblici (3,5% del PIL nel 20152), disoccupazione record. Ricorderebbe l’Italia degli anni ’70, se non fosse che l’economia, anziché essere in crescita, è in piena stagnazione. Il Paese è in queste settimane in ebollizione per la riforma del “Code du Travail” che introduce i licenziamenti economici: una vera polveriera su cui siede François Hollande, il presidente più impopolare della storia repubblicana;
  • Italia: ennesimo cambio di regime in atto scattato ai primi segni di insubordinazione dell’ex-enfant prodige Matteo Renzi, resosi presto conto che le politiche d’austerità implicano la morte politica per chi le applica. C’è poi parecchio movimento tra Libia ed Egitto e, come sempre avviene in questi casi, è meglio che a Roma non ci sia nessun esecutivo, al massimo un governo tecnico prono agli interessi atlantici. La situazione finanziaria, e quella del sistema creditizio in particolare, è comunque drammatica: il tracollo del PIL si è progressivamente riversato nei bilanci delle banche, minate oggi da oltre 200 €mld di sofferenze bancarie;
  • Germania: entrati nel sesto anno dell’eurocrisi, quando, come nel caso italiano, l’austerità si è ormai tradotta in una mole abnorme di sofferenze bancarie ed in finanze pubbliche sempre più precarie, l’opposizione tedesca alla garanzia europea sui depositi bancari (una variante della condivisione dei debiti pubblici e degli eurobond) significa la morte dell’euro. Angela Merkel, “bruciata”dalla politica delle porte aperte agli immigrati, è poi un leader dimezzato, incapace di svolgere il ruolo di direttore d’orchestra della UE seguendo lo spartito euro-atlantico. La sua decisione di legarsi mani e piedi all’autocrazia sunnita di Recep Erdogan è poi carica di incognite: significativa la sua progressiva “rarefazione” sui media internazionali;
  • Austria: il piccolo Paese alpino segue la sua agenda contro i flussi migratori gestiti dalla NATO. Dopo aver reintrodotto i controlli alla frontiera con la Slovenia e l’Ungheria, è la volta dell’Italia, da cui si attende un’ondata di 300.000 immigrati nordafricani con l’arrivo dell’estate. C’è chi può sospendere unilateralmente gli accordi di Schengen infischiandosene di Bruxelles e chi no: beati gli austriaci;
  • Ungheria: il governo di Viktor Orban è in libera uscita: no-euro, no-immigrati, filo-putiniano, banca centrale sotto il controllo dell’esecutivo. Tokaj per tutti!;
  • Polonia: qui si è già nel “futuro” dell’Europa, dove non esistono più né euro né le istituzioni di Bruxelles. Con la schiacciante vittoria dal nazionalista Partito Diritto e Giustizia alle elezioni di ottobre, Varsavia ha voltato pagina, adottando una politica dai forti connotati anti-russi, anti-tedeschi, anti-europeisti ma marcatamente filo-NATO. Nella nuova Europa in divenire, quella post-UE, la Polonia si candida così a svolgere la strategica funzione di “cuneo atlantico” tra Germania e Russia, le cui potenziali sinergie sono storicamente temute dagli angloamericani;
  • Ucraina: il presidente Petro Poroshenko ha ben altro cui pensare in questo periodo che all’esito del referendum olandese. L’economia è al collasso, lo Stato allo sfacelo e le forze centrifughe sempre più violente: ogni giorno è più concreta l’ipotesi che l’Ucraina non sopravviva nei suoi attuali confini e si vada verso una spartizione più o meno formale del Paese (oltre alla Russia, anche Polonia, Ungheria, e Romania vantano rivendicazioni territoriali). La parte superstite dell’Ucraina, quello degli “ucraini etnici” che sotto l’impero asburgico erano chiamati “ruteni”, fungerebbe anch’essa da Stato cuscinetto tra Germania e Russia;
  • Grecia: terminiamo col Paese che ha aperto le danze dell’eurocrisi. Il Paese è tornato in recessione, la società è allo stremo, l’evasione fiscale è prassi comune, il debito pubblico si attesta al 180% del PIL e si avvicina l’ennesimo capitolo del dramma “Grexit” in coincidenza col rinnovo degli finanziamenti erogati dalla Troika.

Come è facilmente intuibile, in un simile contesto, l’esito del referendum olandese passa quasi in sordina: sono così numerosi i cedimenti dell’Unione Europea che si preferisce ignorarli tout court, finché non si udirà il rombo della diga che crolla. Già perché, come ha recentemente notato il venerabile governatore della BCE Mario Draghi, l’eurozona è più che mai vulnerabile agli “choc esterni”: la prossima recessione, importata dagli Stati Uniti e dalle economie emergenti, sarà anche l’ultima per la moneta unica e le già debilitate istituzioni di Bruxelles. Nessuno infatti pensa più realisticamente che dalla crisi che attanaglia l’Europa da più di un lustro, che ha schiantato la popolarità della UE ed ha alimentato ovunque i movimenti di protesta, possano ancora nascere gli Stati Uniti d’Europa.

E dopo il cedimento della diga, cosa accadrà? E possibile azzardare qualche scenario?

Verso una nuova politica dell’equilibrio?

Ubriacati da decenni di retorica europeista, molti hanno perso cognizione della vera natura dell’Unione Europea; qualcuno ha aperto gli occhi solo sono negli ultimi anni, dopo che le sanzioni all’Iran, poi alla Russia ed infine le trattative segrete per la stipulazione del TTIP, hanno reso chiaramente intellegibili quali interessi si nascondano dietro le istituzioni di Bruxelles.

Se in epoca di bipolarismo, quando il duello era USA vs URSS, i partiti comunisti europei erano strenui oppositori della CEE, l’antesignana dell’Unione Europea, c’era un motivo: il processo di integrazione europeo è stato sin dagli esordi finanziato, coordinato e sponsorizzato da Washington e Londra, per cui un’Europa federale era la migliore soluzione per difendere i loro interessi. La CEE ieri, e la UE oggi, non sono nient’altro infatti che il risvolto politico ed economico della NATO: “l’Europa unita”e l’Alleanza nordatlantica sono i due pilastri con cui gli angloamericani si proiettano sul continente euroasiatico. Spingendo la UE e la NATO ancora più a est (Georgia, Armenia, Turchia), l’establishment atlantico sarebbe giunto ad un passo dall’insediarsi stabilmente nell’Asia centrale.

L’ormai prossimo collasso della UE è, ovviamente, uno smacco pesantissimo per gli angloamericani: come la ritirata della Russia è coincisa con l’avanzata della UE, così c’è il rischio che l’implosione della stessa coincida con un grande balzo in avanti di Mosca. Che fare?

Bé è altamente probabile che gli strateghi angloamericani riesumino (e più elementi inducono a pensare che abbiano già riesumato) la classica politica dell’equilibrio con cui Londra gestì gli affari europei dal XVII al XX secolo. Due sono i cardini della politica:

  1. nessuna potenza, o coalizione di potenze, deve raggiungere una massa critica tale da esercitare il controllo del Continente ed alterare di conseguenza gli assetti internazionali;
  2. nessuna potenza deve insidiare l’egemonia sui mari delle potenze marittime (ieri Londra, oggi Washington).

Tradotto in termini pratici:

  1. la Germania deve essere “contenuta” su ogni lato e l’alleanza tra Berlino e Mosca evitata ad ogni costo;
  2. il Mare del Nord, lo Stretto di Gibilterra, il Mar Mediterraneo e Suez devono restare sotto il controllo angloamericano.

Ne deriva che:

  1. la Francia ed una nuova “piccola Intesa”, o ancor meglio l’Intermarium sognato dal maresciallo polacco Jozef Piłsudski, devono isolare il blocco tedesco ed impedire che si saldi alla Russia;
  2. La penisola Scandinava deve rimanere nell’orbita inglese mentre Portogallo, Spagna, Italia e Grecia (“subappaltate” alla Francia) in quella statunitense.

Dall’Unione Europea si passerebbe così al quattro Europe: il blocco latino, il blocco germanico, il blocco anglo-scandinavo ed il blocco dei nazionalisti dell’Est.

Può sembrare ancora azzardato un simile scenario, ma con il referendum sulla permanenza del Regno Unito nella UE ormai imminente, e le condizioni sempre più drammatiche dell’eurozona, è probabile che questo piano sia già sulle scrivanie degli strateghi angloamericani.

POLITICAEQUILIBRIO

1http://www.ft.com/fastft/2016/03/31/spanish-deficit-balloons-past-forecasts-to-5-2-of-gdp/

2http://www.insee.fr/en/themes/info-rapide.asp?id=37

21 Risposte a “Bocciatura dell’accordo Ucraina-UE: l’Olanda apre le dighe”

  1. Sulla “rapida fine” della UE come istituzione non sono convinto, troppo ci hanno investito le “elites” e troppo grosso sarebbe il contraccolpo sociopolitico per loro. Ma di sicuro il caos che ne conseguira’ sara’ “gestito” dagli “angloamericani” anche se e’ difficile essi possano poi imporre “l’ equilibrio” da te descritto , per quanto geoploiticamente assai ragionevole .

    Perche’ sara’ molto peggio ; non siamo piu’ nel XVII secolo , la societa’ europea e’ piu’ complessa , le elites non hanno piu’ alcuna “legittimita’” ed una delle piu’ avventate manovre U$A e’ stata proprio la distruzione del principio della “legalita’ internazionale” su cui si e’ retta l’ europa a partire dalla pace di westfalia.

    Ma per gli “anglosassoni” potrebbe andare ancora bene QUALSIASI caos … Per LORO sara’ sempre meglio un “cimitEURO” che un’ europa “out of control”. Ed e’ questo che non ci lascia molte speranze 🙁

  2. Perché Tacito era un genio così grande? Perché non raccontava solo il passato di Roma: ma lo proiettava su presente e futuro prossimo. Che aveva compreso è previsto. Ecco perché lei, caro Professore, è il Tacito del 21esimo secolo. I suoi scritti verranno studiati. Mi permetto solo una piccola notazione: le popolazioni britannica è americana sono tanto sfiancate dal debito, quanto da 50 anni dì libertinismo che noi pianificammo già a Zurigo. Il loro ruolo storico è concluso.

  3. Resta da capire come rientra in questo quadro la testarda insistenza sulle immigrazioni forzate, che stanno dando una mano consistente alla disgregazione dell’UE.

    1. La via balcanica si è drasticamente ridotta. Rimane quella mediterranea… poche settimane e vedremo cosa capiterà in Sicilia.

      1. RT dava nei giorni scorsi un possibile piano di blocco delle frontiere (tipo Austria) che veniva discusso tra alti funzionari governativi italiani. Subito mi è sembrata una notizia inverosimile ma alla luce anche di questo articolo non parebbe poi così sconclusionata

  4. Se si guarda il contesto dal lato politico tutti i paesi politicamente sono abbastanza allo sfascio, l’analisi geopolitica implica la questione “saluta economica”, d’accordo che il BAO è gestito da Angloamericani, ma è anche quello più indebitato, da oriente ci sono molti progetti che se realizzati creeranno automaticamente l’Eurasia, la via della seta, la cintura delle perle, adesso il canale tra Mar Caspio e Golfo persico, intanto i Cinesi si sono comprati il porto del Pireus, e hanno altri progetti,
    http://www.nbcnews.com/business/energy/china-unveils-proposal-50-trillion-global-electricity-network-n548376 , quindi gli Angloamericani devono impedirlo, ho l’impressione però che se veramente sono i capitali che prevalgono si farà l’Eurasia negli anni a venire visto tutto quello che bolle in pentola.
    Credo che dovranno fare pressione affinche venga firmato il TTIP prima dell’implosione, in modo da fare rientrare il mercato economico sotto la loro sfera, altrimenti sono fritti.
    Vero che dominano la finanza da una parte, ma è appunto perchè Business is Business che in questi utlimi decenni si è deundistrializzato il continente americano per via della delocalizzazione, tenendo conto che ci sono più industrie pesanti in Germania che negli USA, dubito che riusciranno a contenerla, semmai devono appunto fare entrare l’Europa nel TTIP per mantenere l’egemonia sul continente.
    Ottima analisi comunque Dezzani…. 🙂
    Saluti

    1. Qui si presenta lo scenario di un centro di potere, quello angloamericano. Gli altri centri hanno ovviamente i loro progetti… L’implosione della UE è cmq una una conditio sine qua non ANCHE per la via della seta.

  5. Federico, grazie! Volevo farti una domanda: quando parli di angloamericani esattamente chi intendi? Alcuni recenti sviluppi, ad esempio i Panama Papers, che colpiscono molte banche inglese e nessuna americana, sembrano indicare che sia cominciata una sorta di resa di conti interna. Piu’ nello specifico, la fuga di notizie riguardanti una crisi Greca scatenata appositamente dal Fmi concomitante al Brexit da sfruttare per fare un ultimo disperato tentativo di Unione politica della UE, è indicativo di una non uniforme visione delle strategie politiche di coloro che tirano le fila del gioco.
    Aspetto un tuo commento. Ti ringrazio ancora!

    1. E’ sospetto che ci sia anche Cameron nei “panama papers”: se lo scandalo si ingrossasse e dovesse dimettersi, significherebbe che si auspica le Brexit e la UE ha i giorni contati.

      1. Secondo me, la chiave interpretativa è la risposta alle domande
        chi comanda oggi negli Stati Uniti?
        e sarà lo stesso che governerà domani?

      2. Si concordo. Allora sono soprattutto gli americani a volere una disintegrazione della UE. E i designi mondialisti che fine fanno? e i trattati TTIP? A questo punto il disegno politico potrebbe essere quello di una frammentazione non solo della UE ma anche dei singoli stati per renderli meno importanti e piu’ governabili. Sarebbe una sorta di vendetta.

        1. No Stefano, sbagli! Usa e monarchia Inglese vogliono l’euro e gli stati uniti europei, proprio perche’ la frammentazione rende i singoli stati MENO governabili e piu’ importanti (v. Germania, Francia e anche l’Italia del prima di “mani pulite”)
          Lo scandalo “Cameron” fa questo gioco: il caos politico favorira i pro europeisti.
          Grecia, Olanda, Polonia, sono nazioni che neanche lontanamente possono impedire la creazione degli stati uniti europei ed, in verita’, stanno ubbidendo ad un preciso ordine di servizio: confutare la tesi per simulare l’attuazione di un processo democratico. Ahime’ e’ irreversibile, mi piacerebbe pensare ad un imminente disastro che possa ristabilire la sovranita’ delle singole nazioni, ma per tante ragioni, e soprattutto per l’inedia quasi assoluta dell’intera popolazione europea, “alea iacta est”… e amen!

      3. Notizia di oggi, Cameron non si dimette, allora forse potrebbe essere stato solo un piccolo avvertimento ad impegnarsi di più per evitare il brexit.

  6. Ho idea che le sorti dell’Euro (e di tutto il sistema attuale) si giochino più a Brasilia che nell’Europa stessa.

  7. Caro Dezzani l’ho scoperta da poco e devo dirle che l’apprezzo molto. Lucido, diretto e abbastanza profondo. Abbastanza perche’ la sua analisi e’ carente di attenzione verso il caratteristico ” elefante nella stanza” . I conti non si fanno senza chi gestisce la cassa, e la cassa la gestiscono non gli “americani” di Wall street o i “britannici” della City of London, ma gli israeliti con nazionalita’multiple che detengono il vero potere . L’attuale stato di tensione in Europa nasce dal fatto che non proprio tutti sono proni a questo potere . La Francia sionista infatti deve fare i conti con una forte opposizione interna, cosi’ come in Germania si deve fomentare il disordine per anestetizzare il dibattito politico interno . In Italia non c’e’ neanche bisogno di questo , avendo avuto lo stragismo di stato e la successiva emasculazione colettiva, il popolo e’ molto attento a non farsi male , imbrigliato nei 5 stelle e’ come addormentato, inerte.
    La realta’ e’ che il sistema finanziario globale scricchiola , il movimento incontrollato dei capitali e’ foriero di squilibri e corruzione incontrollabile e non puo’ reggere il confronto con dei sistemi keynesiani nazionalistici. L’Italia , con il suo sistema di autofinanziamento del debito pubblico aveva raggiunto uno status di potenza economica mondiale, se potesse tornare al vecchio connubio Tesoro – Banca d’ Italia, potrebbe saldarsi alla Russia con le sue materie prime e tornerebbe in pochi anni a prosperare.
    Le banche centrali private con il controllo dell’economia ,non servono gli interessi deli Stati Uniti ,ma si servono di loro come di un golem. Bolscevichi in Russia, Brain Trusters con Roosevelt, Neo-liberals con Clinton poi Neo-con con Bush , Obama e co.. Sono sempre gli stessi ed e’ con loro che bisogna fare i conti.

    1. Anche io ho la stessa impressione. Parlare di potere angloamericano é troppo generico. Rimanda ad un’idea di ‘poteri nazioanli’ che ora come ora é molto sfumata. Gli USA in termini politici sono piú una pedina da muovere che non un attore politico autonomo. In termini economici poi sono solo un enorme buco nero da usare a garanzia e a protezione di certi club, dei quali mi piacerebbe sapere qualcosa (per esempio come sono costituiti, quanto sono interessati a difendere i principi fondamentali della massoneria, se hanno una comunanza d’intenti, quali sono le loro prioritá in termini strategici e politici).
      Gli Uk invece non sembrano poi cosí coesi su alcune questioni determiannti. In particolare la questione che emerge in merito alla cessione di sovranitá verso l’UE. Perché mai dovrebbe disturbare certi gruppi di potere inglesi se questi ultimi comunque sono ben inseriti nelle istituzioni europee? Forse perché ci sono dei conflitti interni tra le fila dei venerabili Lord inglesi? E ancora, Caro Dezzani, forse sbaglio. Persino l’asse USA-UK sembra scricchiolare. Gli interessi dei gruppi di potere stanziati nelle due corrispettive Nazioni sono si collegati, ma non indivisibili. Le posizioni geografiche, sia pure in un mondo interconnesso, hanno ancora una certa rilevanza. Ovvero, queste determinano strategie economiche.
      Poi c’é la questione ebraica. Se in USA le confraternite ebree hanno grande libertá, tanto che sono sfacciatamente interventiste nelle decisioni di rilievo delle poltiche USA, negli UK la propensione (tipicamente europea) a mantenere un certo equilibrio tra i gruppi di potere non é stata perduta. La presenza di persone che ricoprono ruoli istituzionali di vario tipo ma che fanno deliberatamente gli interessi di un altro Stato o di realtá esterne non é una costante che si puó dare per scontata. Negli USA forse, non negli Uk.
      In ogni caso non c’é dubbio sul fatto che se c’é uno Stato specializzato nel mettere zizzania in Europa, quello é il Regno Unito. Detto ció tutto puó cambiare.

  8. Cosa regge il mondo? La mollica – non ci credete?

    La cittadinanza nella vana speranza di raccogliere “molliche” si raduna sotto il tavolo dei diversmente onesti [i politici] nell’attesa che questi tornino a loro volta affamati, dopo essere stati sotto il tavolo di banchieri e magnanti, nell’attesa che ANCHE lì cada dall’alto la sospirata “mollica”.

    Come avete potuto constatare, chi regge il mondo è la mollica. Non lasciatevi ingannare!

    P.s.: spero abbiate compresa l’ironia del testo.

  9. La situazione post euro mi sembra addirittura peggio rispetto a quella attuale. Paesi mediterranei sotto il tallone francese…. Meglio Soli, visto che le aziende francesi sono nostre dirette concorrenti, almeno di quelle poche che non hanno ancora svenduto. Forse é meglio abbandonare l’Europa ( sud america) o in alternativa, visto l’amore che provo per il mio continente, andare a vivere in un paese del Visegrad group. Lei che dice?.

    1. Dico che quando una situazione si mette in moto, l’esito finale è spesso imprevedibile.

  10. a mio modesto parere l’UE (colonia americana… dopotutto abbiamo perso la guerra) è il piede di porco degli yankee per scardinare definitivamente l’ex patto di varsavia (germania dell’est , polonia, estonia, bulgaria, balcani, ecc) allargando l’unione europea fino ai confini della russia (ed anche entro di essa vedasi sanzioni) quindi l’unione anche se in prognusi riservata durerà x molti anni finchè il pentagono la riterrà funzionale al suo progetto imperialista

    1. Quella è la sua vera natura. E’ però così malconcia che viene il sospetto gli yankee abbiano deciso di archiviarla…

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