Perché The Economist (disperato) vota “no” al referendum

La scelta della più celebre rivista dell’oligarchia finanziaria, The Economist, di sostenere il “no” al referendum del 4 dicembre, ha lasciato molti interdetti: ma come, i poteri forti, dopo aver scritto la riforma, consigliano ora di affossarla? La decisione del potente settimanale inglese nasce dall’imprevisto esito delle elezioni americane e dalla condotta, sempre più imprevedibile, di Matteo Renzi nei confronti di Bruxelles: la vittoria del “no” e la formazione di un successivo governo tecnico, docile a malleabile, è considerata la soluzione migliore affinché l’Italia non disturbi le decisive elezioni in Francia e, soprattutto, Germania. La mossa è rischiosissima e testimonia, soprattutto, il caos che regna ai vertici del sistema.

Se Renzi fa troppa cagnara, meglio il “no”

Ha creato non poco scalpore l’editoriale pubblicato il 24 novembre dal settimanale inglese The Economist. Un editoriale dal titolo chiaro, netto, quasi brutale: “Why Italy should vote no in its referendum”, “Perché l’Italia dovrebbe votare no al referendum”.

Undici paragrafi, asciutti e concisi, dove il settimane spiega le ragioni che dovrebbero indurre gli italiani a bocciare la riforma costituzionale: possibili derive autoritarie, una camera alta non eletta, senatori scelti tra le istituzioni più corrotte del Paese, rischi che i principali beneficiari della riforma sia il Movimento 5 Stelle (ma stiamo parlando della stessa formazione fondata dall’ex-responsabile per l’Italia del colosso britannico Logica plc, tal Gianroberto Casaleggio?), etc. etc. Alcuni investitori sostengono che la vittoria del “no” al 4 dicembre potrebbe innescare un effetto domino sull’eurozona ma, dice sempre The Economist, “gli italiani non dovrebbero essere ricattati” (!) e, nonostante tutte le gravi incognite, il “no” è pur sempre la scelta migliore.

L’ultimo paragrafo contiene il pizzino per le alte cariche dello Stato italiano1:

“What, then, of the risk of disaster should the referendum fail? Mr Renzi’s resignation may not be the catastrophe many in Europe fear. Italy could cobble together a technocratic caretaker government, as it has many times in the past. If, though, a lost referendum really were to trigger the collapse of the euro, then it would be a sign that the single currency was so fragile that its destruction was only a matter of time.”

L’addio di Matteo Renzi, il premier che fino a poco tempo fa era definito dalla City come “l’ultima speranza per l’establishment italiano”, non sarebbe quindi una catastrofe. Si potrebbe, consiglia (o sollecita?) il settimanale inglese, mettere insieme il solito governo tecnico, come già fatto tante volte in passato. Se, nonostante tutto, la vittoria del “no” dovesse innescare il collasso dell’eurozona, bé, significherebbe che la moneta unica era così debole che, presto o tardi, sarebbe comunque implosa.

Che è successo? Perché The Economist consiglia di votare come i populisti del M5S che il settimanale finge di temere e chiede agli italiani di affossare la riforma costituzionale? Non è stata la riforma Boschi dettata dall’alta finanza, JP Morgan in testa, e caldeggiata dalla Troika, UE-BCE-FMI? La mossa è apparentemente incomprensibile.

Il settimanale The Economist è spesso citato nei nostri articoli, perché contiene “les lettres de cachet” che l’oligarchia bancaria anglofona, quella che da sempre si prodiga per la federazione dell’Europa, invia ai vari governi del mondo: basti da ultimo ricordare, a testimonianza dell’influenza del settimanale inglese, la copertina di fine marzo in cui troneggiava la scritta “Time to go” sopra la foto di Dilma Rousseff, seguita a distanza di cinque mesi dalle effettive dimissioni della presidentessa brasiliana sull’onda di uno scandalo massonico-giudiziario. Tra i suoi maggiori azionisti del settimanale figurano i Rothschild e gli Schroder, cui si sono affiancati i (parvenus) Agnelli-Elkann: finire nel mirino dell’Economist significa quindi avere una muta di cani famelici alle calcagna, come già sperimentò a suo tempo Silvio Berlusconi.

Per Renzi, insomma, è arrivato il benservito da parte dell’alta finanza.

Ed è un benservito clamoroso, perché cade in una congiuntura drammatica per l’oligarchia euro-atlantica: a giugno, la vittoria del “leave” al referendum inglese sulla permanenza nella UE, a novembre, l’affermazione alle presidenziali americane del candidato populista Donald Trump, un vero e proprio choc per l’establishment liberal e la tecnocrazia europea (si ricordi la reazione scomposta, per non dire isterica, di Jean-Claude Juncker). Ci deve essere qualche seria ragione se, in contesto già così deteriorato ed instabile, la City consiglia di bocciare il referendum costituzionale, a costo di innescare una reazione a catena potenzialmente letale per la moneta unica.

Il motivo, senza troppi giri di parole, è che la bocciatura del referendum costituzionale e la conseguente caduta (o perlomeno il dimezzamento) di Matteo Renzi, sono oggi considerati il male minore, preferibili ad una vittoria del “sì” ed al proseguimento della destabilizzazione a bassa intensità condotta dall’ex-sindaco di Firenze con la sua deriva “populista”. Renzi è, in sostanza, una piccola cancrena in uno Stato periferico dell’eurozona: una cancrena da amputare velocemente, per impedire che diffonda ulteriori infezioni al corpo già gravemente malato dell’Unione Europea. La bocciatura del referendum e la formazione di un governo tecnico sono, paradossalmente, più utili all’oligarchia finanziaria che la permanenza del premier-cazzaro a Palazzo Chigi. Perché?

Innanzitutto, come abbiamo sempre evidenziato nelle nostre analisi, Matteo Renzi non è propriamente un esponente dell’establishment anglofono liberal, né, a differenza di Mario Monti e Mario Draghi, appartiene all’esclusiva e blasonata massoneria inglese.

L’ex-sindaco di Firenze, si pensi a figure a lui vicine come Marco Carrai e Michael Ledeen, appartiene (come Silvio Berlusconi) ad un ramo secondario del sistema atlantico: quello israeliano/neoconservatore. Tale è la sua origine e tale rimane la sua affiliazione: poco importa se si è schierato pubblicamente per Hillary Clinton ed ha sempre assecondato la volontà di Barack Obama. Come nel caso di Silvio Berlusconi, è poi quasi certa una sua affiliazione al Grande Oriente di Francia (storicamente molto radicato in Toscana) e ciò spiega una seria di mosse del suo governo: i favori concessi alla francese Total nel campo petrolifero Tempa Rossa, il pezzo di mare ceduto ai francesi davanti alle coste sarde, la posizione dominante assunta dai francesi in Telecom Italia negli ultimi mesi col placet del governo, etc. etc. Renzi, quindi, non è un “uomo della City”, come possono essere Draghi e Monti.

Tuttavia, non è certo un improvviso dissapore tra logge ad aver indotto l’Economist a scaricare il presidente del Consiglio. Il vero motivo è l‘irritante condotta assunta da Matteo Renzi nell’ultimo anno e, specialmente, negli ultimi mesi: Renzi sta facendo troppa cagnara in Europa, in una fase di delicatissime tornate elettorali durante cui, soprattutto Angela Merkel, avrebbe bisogno che nessuno fiatasse in Italia , così da non aumentare i malumori tra i falchi del rigore e lo stesso elettorato tedesco. Un governo tecnico, o persino un governo Renzi II reso mansueto dalla sconfitta referendaria, sarebbero più graditi nell’odierna tesissima situazione europea.

Che sia questa la volontà della City, è facilmente comprensibile dalla recente intervista rilasciata da Mario Monti, “l’illuminato” contro cui Matteo Renzi si era già scagliato all’inizio dell’anno durante un battibecco sull’Europa. Dice Monti2:

Voterò “no” perché gli svantaggi delle nuove norme costituzionali superano i vantaggi. Ma per quanto riguarda Renzi, non c’è nulla nella legge o nella prassi consolidata, che gli imponga di dimettersi nel caso che la riforma venga bocciata. Qualunque cosa accada il 4 dicembre, mi auguro che Renzi rimanga e riprenda con rinnovato vigore il lavoro che ha lasciato a metà. Nel caso Renzi voglia comunque lasciare, non c’è alcuna ragione di andare al voto anticipato né tanto meno vede la necessità di un governo tecnico. Al contrario, il presidente Sergio Mattarella potrà chiedere a qualcuno del governo in carica di formare un nuovo governo fino alle prossime elezioni nel 2018”.

Quello che preme all’oligarchia finanziaria è quindi la bocciatura del referendum e la conseguente formazione di un governo, docile e malleabile, che raggiunga il 2018, consentendo così di affrontare le decisive elezioni in Francia e Germania senza alcuna cagnara nel meridione europeo.

L’ultimo desiderio della City è invece che Renzi vinca il referendum e, uscitone rafforzato, cerchi disperatamente una riconferma a Palazzo Chigi, magari con elezioni anticipate nel 2017, portando avanti la strategia “populista” degli ultimi mesi. È il Matteo Renzi che toglie le bandiere dell’Unione Europea dall’ufficio della Presidenza del Consiglio, è il Matteo Renzi che imposta la campagna referendaria in chiave anti-Bruxelles, è il Matteo Renzi, soprattutto, che ha disperato bisogno di spendere denaro pubblico per accattivarsi gli elettori, attirandosi così le ire della Commissione Europea: “non si può dire che questa Commissione continui le politiche di austerità, se lo si dice me ne frego” è stata la sconcertante risposta di Juncker alla richiesta di maggiore flessibilità avanzata da Renzi3.

Come l’europeista Angela Merkel può pensare di essere rieletta alla prossime elezioni legislative, se l’elettorato tedesco vede che le “cicale” meridionali si ostinano a rifiutare il rigore? Ogni attacco di Matteo Renzi a Bruxelles ed all’austerità, è bene sottolinearlo, si trasforma in Germania in un voto contro la Merkel ed a favore degli euroscettici di Alternative für Deutschland.

Ecco quindi spiegato le ragioni del clamoroso “no” alla riforma costituzionale, pronunciato da The Economist: meglio sacrificare Renzi ed accettare tutti i rischi del caso, piuttosto che consentire al premier-cazzaro di continuare la sua destabilizzazione a bassa intensità dell’Unione Europea, una destabilizzazione che la debole Angela Merkel, “the Liberal West’s Last Defender”, l’ultimo baluardo del mondo liberale secondo il New York Times, non può assolutamente reggere in questo momento (il sostegno alla CDU-CSU è crollato ai minimi storici nei sondaggi di ottobre4).

Sia chiaro: l’Economist non sposterà un solo voto e saranno gli italiani, per ben altri motivi rispetto a quelli elencati dal settimanale inglese, a decretare con alta probabilità la vittoria del “no” al referendum del 4 dicembre. Come non è neppure certo che Matteo Renzi, uscito sconfitto dal voto, accetti la formazione di un governo tecnico o di una grande coalizione: se radunasse un numero sufficiente di parlamentari, potrebbe vendicarsi del benservito bloccando il Parlamento e rendendo così obbligatorie le elezioni anticipate. Come non è certo che, dopo una vittoria del “no”, gli improcrastinabili aumenti di capitale di Monte dei Paschi di Siena ed Unicredit riescano a concludersi con successo.

Il clamoroso pronunciamento dell’Economist in favore del “no” è, soprattutto, l’ennesima spia del caos che regna ai vertici del sistema dopo la Brexit: è tale il caos che la più blasonata rivista finanziaria inglese invita a bocciare la riforma scritta dalla stessa Troika pur di mettere a tacere il Renzi “populista”, è tale il caos che un’eventuale uscita dell’Italia all’eurozona è ormai apertamente contemplata dalla City (si veda a questo proposito anche l’editoriale “Italy’s referendum holds the key to the future of the euro” apparso sul Finacial Times il 20 novembre5), è tale il caos che si sta accantonando l’idea di salvare l’intera Unione Europea e ci si accontenterebbe del nocciolo franco-tedesco, è tale il caos da indurre l’Economist a scrivere che se l’euro implodesse il 5 dicembre, bé, è perché comunque non sarebbe durato ancora lungo!

Come concludere, se non con la massima di Mao Tse-tung?

“Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è ottima.”

 

referendumft

1http://www.economist.com/news/leaders/21710816-country-needs-far-reaching-reforms-just-not-ones-offer-why-italy-should-vote-no

2http://www.huffingtonpost.it/2016/11/25/monti-financial-times-_n_13222994.html

3http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Juncker-Italia-ci-attacca-a-torto-beneficia-di-flessibilita-9aae5f68-2c95-4362-9536-260f8c54fd5a.html?refresh_ce

4http://www.politico.eu/article/angela-merkels-conservatives-sink-to-all-time-low-in-poll-germany-elections-afd-cdu/

5https://www.ft.com/content/7ea6837a-ad83-11e6-ba7d-76378e4fef24

42 Risposte a “Perché The Economist (disperato) vota “no” al referendum”

  1. Finalmente ci sei arrivato. I tuoi precedenti articolo contro il si erano francamente poco comprensibili.

    1. No, sono ancora per il “No”, perchè è una tappa fondamentale della dissoluzione dell’euro. Renzi, per me, rimane il premier-cazzaro, che senza Ledeen e Carrai sarebbe ancora a Rignano.

      The Economist, prima che Renzi cominciasse a fare cagnara, era per il “Sì”.

  2. Buongiorno Federico, bravo, sempre in fuga 10 km davanti a noi del gruppo…,alla affermazione paradossale di monti di votare no,mi ero allora risposto che essendo sicuro della vittoria del no Il”rapinatore” volesse confondersi tra la folla ,per uscire dalla banca indisturbato e non farsi acciuffare dalla polizia appostata…come nei film americani.
    Ora tu approfondisci e indichi che”loro” scelgono di fare una gicanne a 200 kmh come fece cameron con la brexit,che effettivamente si cappottò!
    Magari si realizzasse la richiesta “in subordine” di salvare il nocciolo franco-tedesco…mi dispiacerebbe per i francesi,ma noi saremmo poveri,disastrati,sotto attacco speculativo,con barconi portati da noi da tutte le flotte nato,el papa che farebbe una nuova enciclica “Prendibus tuttum los desperatum” ..ahah, ma…LIBERI!

  3. La grande confusione sotto il cielo più che favorire il partito del popolo spiana soprattutto la strada al capitalismo speculativo (quello focalizzato sul ns fondo del barile). Non a caso un ritorno alla lira è visto con favore: gli inviti a nozze e a certi festini sono sempre accettati volentieri.

  4. Trump ha sparigliato tutto……
    Bisogna guardare avanti, prevedere, giocare d’anticipo.
    Quella di adesso è un’Europa da ricostruire.
    Qualcuno ci sta già pensando.
    Cordialmente

  5. allora ci prendiamo la subordinazione a bruxelles dell’ art117 per non fare un piacere ai rothshild ?
    Capisco che si tratta di una “alternativa del diavolo” ma l’ unica speranza nella scelta tra “padella” e “brace” e’ rovesciare la padella saltando nella brace… perche’ se non viene “qualcuno da fuori a spengere ” il fuoco in padella la “cottura” e’ certa

    1. Fossimo un paese normale per il 5 dicembre avremmo già pronto un governo di unità nazionale con piani A, B, C nei minimi dettagli (compreso eventuale Italexit). Mirati a raffreddare cordialmente le braci e le padelle dei cari “partner” e a definire bene una politica economica che possa trarre vantaggio dal nuovo corso Usa.

  6. Un’alternativa potrebbe essere, nel caso in cui vincesse il no, quella di scendere tutti sotto il Quirinale a chiedere le elezioni (in stile Maidan). Ma in una ipotesi del genere chi potrebbe occuparsi del governo italiano, quale formazione politica o leader politico sia in grado di tirarci fuori da questo casino ancora nessuno lo sa.
    Dunque restiamo ancorati alla Troika e ai figli di troika che ci hanno governati fon ora?

  7. Ottimo articolo Federico! A me Renzi sembra già in campagna elettorale…e non solo per il Referendum. Si vota ad Aprile! Alle elite non danno piu’ retta!

  8. L’ipotesi di un’UE a due (Germania + Francia) è più che altro di tipo scolastico. L’establishment è decisamente alla frutta.
    Innanzitutto perché, stretta fra la Germania da un lato ed una rinnovata (per competitività) Italia dall’altro, l’industria francese finirebbe in pezzi. E questo non credo che i francesi lo possano permettere …
    E poi non credo che l’opinione pubblica l’accetterebbe. Lo vedremo presto, in occasione delle prossime elezioni presidenziali …
    Bell’articolo, come sempre. La confusione che ha descritto l’ha sintetizzata magistralmente con la citazione di Mao.
    P.S. Ma dove va a scovarle?

  9. Per me hanno solo tentato un disperato colpo di sponda. Mai come ora il tempo è denaro (e potere).

  10. Per contro, con una riforma del genere e in aggiunta la nuova legge elettorale, si aprirebbe la strada al Movimento Cinque Stelle che l’Economist definisce discombobulated, cioè scombussolato. In particolare il periodico sottolinea che “lo spettro di Grillo come primo ministro, eletto da una minoranza e ‘cementato’ dalle riforme di Renzi, è una cosa che molti italiani e larga parte d’Europa troverà preoccupante“.

    Per paradosso, tuttavia, secondo il Guardian, il prevalere dei No “darebbe anche al partito la possibilità di cambiare nuovamente la legge elettorale rendendo più difficile per un partito avversario come il 5 Stelle di conquistare il potere” e “potrebbe quindi nel lungo periodo allontanare la conquista populista di Palazzo Chigi”.

    Come faccia Dezzani a partire da queste chiarissime frasi dell’Economist e del Guardian a dire che “fingono” di avere paura del m5s lo può capire solo una mente obnubilata dall’odio (immotivato si spera) verso il m5s e dall’ideologia.

    1. WOW, lei non capito niente: il Movimento è finta opposizione, ma ciò non toglie che le periclitanti oligarchie euriste temano un suo successo, come involontario catalizzatore di €ntropia.

      1. PS: come diceva Longanesi,
        “Uno stupido è uno stupido, due stupidi sono due stupidi,
        ma diecimila stupidi sono una FORZA STORICA!”

    2. Wow, se vuole una risposta alla sua domanda ingenua, basta andare a rileggere quello che è successo in Grecia con Tsipras e Syriza. Con i 5 stelle in Italia si prospetterebbe una situazione molto simile. Dal punto di vista economico non farebbero alcun cambiamento significativo rispetto a Renzi.

  11. Genova – «Grillo è un populista sfrenato con qualche idea da pazzoide. È l’unico attore politico sulla scena italiana che preoccupa davvero gli Stati Uniti». Lo dice Edward Luttwak, storico e analista della geopolitica, a La Zanzara su Radio 24. «Berlusconi – dice Luttwak – esprime la volontà di ridurre le tasse, Mario Monti quella di un bilancio sano e ha credibilità, Bersani rappresenta la speranza di un certo tipo di riformismo. Tutti e tre hanno i loro estimatori negli Usa. Grillo invece rappresenta il populismo, il politico che dice: io ti riduco le tasse e aumento le spese, cosa che non si può realizzare. Lui urla sempre, promette l’impossibile ma non parla mai per non farti fermare e pensare a quello che dice». Per Luttwak Grillo è quello che «ha difeso il presidente iraniano Ahmadinejad, dicendo che è stato mal tradotto in Occidente». «Per me – ha aggiunto – Grillo può avere una o più mogli iraniane (ha una moglie iraniana, ndr), non importa. Ripeto: rappresenta un populismo sfrenato, da pazzoide»

    Occhio a fare i gattopardi

  12. Il ragazzo è ambizioso e scalcitante. Avrebbe potuto fare le riforme, ridurre il numero dei parlamentari e togliere vitalizi e plebende, dare un segnale di sana gestione ect. ect….. E invece no. Vuole cambiare la Costituzione. Un vero genio. Deve comunque avere dei buoni consiglieri per mettersi contro addirittura l’ Economist. Mi sembra un dejà vu, la recente posizione della rivista, il mettersi contro non proprio graditi Presidenti del Consiglio Italici. Evidentemente ha una visione più ampia del gioco in atto (la rivista).

  13. Un’ analisi simile, non cosi’ articolata s’intende, l’avevo gia’ lasciata un po’ di tempo fa a commento dell’articolo sull’ambasciatore americano che disse di votare si… credo come dice Dezzani che stia per saltare il banco, sono meno certo che, almeno riguardo alla questione italiana, le elite siano in confusione… per loro il referendum e’ una situazione win win, come dicono da queste parti…
    Concordo pienamente sul giudizio di Renzi, il quale tuttavia pur essendo un bamboccio e’ meno ricattabile o meno “inserito” di altri, il che ai nostri signori non piace…
    Per il resto vediamo quello che succede… e magari che il “no” vinca e che Renzi ribalti il tavolo.. lo so sembra una favoletta… ultimamente pero’ sembrano siano di moda… le favolette.

  14. Era in campagna, ancora, nella vostra stupenda Toscana, Ezra, quando lavoravo io. E guardando i pascoli e le terre di nuovo coltivate meditando gli statuti della banca il cui fallimento conclude insieme – come al solito Tacito prima di tutti comprende – falsa moneta e falsa unione, capi’. ‘Con usura nessuno ha una solida casa di pietra squadrata e liscia…’.

    E non è forse la casa ormai minacciata da usura e dal suo giornale a muovere ormai il vostro popolo sfiancato come quello di Ezra?

    Risuona inarrestabile a Zurigo come nella piccola Arcore, la poesia scritta a Siena.
    …soffoca il figlio nel ventre
    arresta il giovane amante
    cede il posto a vecchi decrepiti…

    1. purtroppo adesso l’ U$ura si sta mangiando le case e la vita di tutti
      grande Ezra, profeta inascoltato

  15. Votate No…….o anche Si dice l’Economist….cerchiobottista.
    Io ho una mia idea:
    Vincerà il no.
    Renzi si dimetterà.
    Mattarella avvierà le consultazioni partendo dal segretario del PD (o da un suo fedelissimo) senza successo.
    Poi passerà al secondo partito delle elezioni del 2013: il PdL, probabilmente con Berlusconi, ma anche il PdL se non incasserà l’improbabile appoggio di Grillo ( e vorrei proprio vederlo ad avallare una simile alleanza nel confronto con i militanti M5S) non riuscirà.
    Si passerà quindi ai terzi del 2013: il M5S. Di Maio tenterà un governo monocolore contando sull’ appoggio esterno. Qualora dovesse riuscire, alla prima occasione anche questo governo sarebbe sfiduciato.
    Sarà la volta di un governo tecnico con lo scopo di modificare l’attuale legge elettorale prima delle inevitabili elezioni nel 2017.
    Nel frattempo i cani rabbiosi morderanno come forsennati….lo spread tornerà a livelli del 2011…..costringendo l’Italia all’ uscita dall’euro oppure ad una pesante purga in salsa greca.
    Nessuna forza politica si suiciderebbe appoggiando l’ ennesima austerità….per cui usciremo dall’euro.
    Il primo effetto sarà una immediata e pesante svalutazione della nuova lira. I pochi risparmi ne usciranno deprezzati, chi ha un lavoro vedrà il potere di acquisto fortemente ridimensionato, chi non l’ha non lo troverà di certo, l’ inflazione tornerà a salire. Ne beneficeranno solo le aziende esportatrici, che tuttavia non creeranno nuovo lavoro avendo in buona parte delocalizzato le produzioni.
    Ma vuoi mettere? Ci saremo liberati del premier cazzaro.

    1. Ne beneficeranno solo le aziende esportatrici, che tuttavia non creeranno nuovo lavoro avendo in buona parte delocalizzato
      se hanno delocalizzato non sono piu’ “esportatrici” ma l’ esatto contrario ( vedi (Fabbrica Catorci of America)

      1. Produrre componenti all’estero per assemblare in Itala. Rimane il made in Italy (da cui l’export vantaggioso) e l’acquisizione di componenti (import) avviene ad un prezzo frazionale rispetto al prezzo di vendita.
        L’attività di assemblaggio, tra le varie fasi di produzione, è quella che più di tutte può avvalersi dei vantaggi della tecnologia robotica (con evidente risparmio di manodopera).

        1. Sniper,se esiste ancora 1 imprenditore in italia che assembli o limi o pialli o saldi o stampi o quel che vuoi tu, il giorno dopo della svaltuazione vende si all’estero ,ma anche in italia(perchè i beni tedeschi saranno aumentati del 30%) vendendo assume e l’operaio comprerà beni limati o assemblati in italia. L’inflazione non centra un c…o perchè questa è data dall’abbondanza di denaro in circolo e non disponibilità di merci…e prima di arrivarci da come saremo partiti ci vorrà un poco …quindi il potere di acquisto dei salari sarà lo stesso…poi quando ci saranno pochi disoccupati(quindi tanti soldi in giro) allora la tua temutissima inflazione comincerà a salire ,ma sarà compensata dalla pretesa di essere pagati meglio dei dipendenti(nella normale dinamica domanda offerta lavoro) …l’economia spiegata da un tabaccaio i venti righe! Tutto il catastrofismo e le cavallette che prospetti spero siano frutto di ideologia inculcata all’università e non di malafede….

      2. Le aziende assemblano in Italia, mantengono made in Italy, acquistano componenti dall’estremo oriente a valori frazionali (import) e vendono al mercato (soprattutto estero) a prezzi resi competitivi dalla svalutazione.
        L’assemblaggio di componenti è la fase di produzione che più si avvale della tecnologia robotizzata…per cui pochi addetti.

        1. E come mai la Germania, che ha un euro-marco sottovalutato, è in PIENA OCCUPAZIONE?!?

    2. In due parole, Sniper, stiamo vivendo gli ultimi giorni della monarchia del Renzi-sòla (pardon, -sole): “dopo di Lui il diluvio”.

  16. Una conferma (fresca di stampa) delle previsioni di Dezzani:

    Prosegue l’allarmismo del Financial Times sul fronte del referendum del 4 dicembre.
    Il quotidiano della City adesso mette nel mirino le banche per convincere gli italiani a votare “Sì”. Se vincerà il ‘no’ al referendum del 4 dicembre, “fino a otto banche italiane in difficoltà saranno a rischio fallimento”, scrive il Financial Times online citando fonti ufficiali e bancarie di alto livello.
    Secondo il quotidiano della City, le banche a rischio sono otto: “Il Monte dei Paschi di Siena, la terza banca italiana per asset; tre banche di medie dimensioni (Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Carige), quattro piccole banche ‘salvate’ l’anno scorso: Banca Etruria, CariChieti, Banca delle Marche e Cariferrara”.
    Sempre secondo il Financial Times con la vittoria del No “fallisce il salvataggio di Montepaschi, e crolla la fiducia in generale mettendo in pericolo una soluzione di mercato per le banche in difficoltà italiane”.
    Un altro dei timori è che le eventuali difficoltà delle otto banche possano “minacciare l’aumento di capitale di 13 miliardi di euro di Unicredit, la prima banca italiana per asset e la sua unica istituzione finanziaria di rilievo, in calendario all’inizio del 2017”. (Franco Grilli – Il Giornale)

  17. Stavolta dissento.
    Partiamo da un fatto credo scontato, che l’Economist non sposta neanche mezzo voto, non è che la gente voterà seguendo i suggerimenti del periodico.
    Quindi, la motivazione dell’intervento a gamba tesa è quello di mettere una specie di bandiera, un endorsement che non potrà cambiare i risultati, ma dirà a livello mediatico che se vincerà il no, sia chiaro che ciò implica la formazione di un governo tecnico, e ciò in evidente combutta con Monti, su questo siamo d’accordo.
    Renzi secondo me non ha futuro in nessun caso, neanche se vincesse il sì, perchè la Clinton ha perso ed egli ha inevitabilemnte perso con lei. Il resto è una lotta tra i vecchi complici che improvvisamente scoprono che gli USA non li coprono più, ed allora ognuno tenta disperatamente di soprvvivere politicamente mediante il mantenimento del consenso nazionale, e non è un caso che proprio Juncker che non può fare affidamento su questo fattore sia stato il primo a sbottare sguaiatamente.
    Da questo punto di vista, Renzi non ha problemi differenti da quelli che ha la Merkel, per fare l’esempio più calzante.
    Renzi punta a presentarsi a prossime elezioni in data ancora da definire con la speranza di farcela, e quindi ha un disperato bisogno sia di vincere il referendum, sia di ottenere risultati in sede europea facendo la voce grossa, e facendo notare agli elettori italiani che egli sta facendo la voce grossa. Come dicevo, secondo me non ha alcuna speranza, ma è logico che egli punti comunque il tutto per tutto.
    Voglio insomma dire che attribuire a questi comportamenti una limpidezza razionale può risultare una chiave di lettura errata, in quanto invece è la disperazione che guida le loro azioni. Dopo le botte prese prima sul BREXIT, poi nelle presidenziali USA, le complicità si spezzano ed essi sono ineluttabilmente pronti a fare una pessima fine non prima di essersi beccati disperatamente tra loro stessi.

    1. Ho letto 2 volte il tuo commento, e fatico a capire perché dissenti. Hai un fatto una sintesi del mio articolo e di quelli precedenti.

      1. Mi pare che tu sostenga che Renzi avrebbe violato un ordine europeo con le sue accuse alla commissione ed alla Germania, e che quindi lo vogliano fare fuori.
        Ebbene, io la vedo diversamente, credo siamo in una situazione di confusione estrema in cui viene fuori una logica del “si salvi chi può”, ma che Renzi vinca, alla Merkel ed a Juncker farebbe un grande piacere. E’ la situazione oggettiva che li pone in concorrenza ma una ipotesi B non c’è, e la posizione espressa dall’Economist è una specie di sotterfugio per non scoprirsi del tutto nellì’ipotesi ormai sempre più probabile di una vittoria del no. Ci provano a lanciare l’ipotesi un governo tecnico, ma non perchè vogliano fare fuori Renzi, ma perchè egli è già fuori e la perdita al referendum gli darà il colpo di grazia, e così bisognava trovare qualcosa per evitare che “i populisti” avessero il controllo totale della sitauzione in Italia.
        Forse adesso sono stato più chiaro.

        1. Concordo sul fatto che l’editoriale sia stato scritto per il “dopo referendum”, dove The Economist non vuole più Renzi tra le palle.
          Ma se il premier fosse stato totalmente ligio alla linea dell’austerità, se lo sarebbero anche tenuto. Monti lo dice: riprendi le riforme lasciate a metà e puoi andare avanti.

  18. Concordo. Ed aggiungo che se anche non fosse chiaro il comportamento dell’Economist, lo è altresì quello dei media tradizionali, infatti stamane troneggiava su tutti i notiziari (in caso di vittoria del NO) il presunto crollo di ben 8 istituti di credito italiani e la “rassicurante” soffiata di Renzi riguardo la fondata eventualità di un Governo tecnico in caso di sconfitta del SI.
    Se a questo ci aggiungiamo la spallata dei mercati che hanno costretto a chiudere l’indice di borsa di MPS per eccesso di ribasso, allora possiamo ben notare come qualcuno stia cominciando ad usare ancora più pesantemente la tecnica della shock economy per modificare a suo piacimento l’esito referendario.

    1. Ricordiamo che MPS è ad una passo dalla bancarotta grazie al PD, quello che chiede di votare “sì” il 4 dicembre…

  19. Per la verità l’Economist un giorno è per il NO (26/11) e un giorno per il SI (27/11)
    Da cui si evidenzia la loro incertezza sia sull’esito del referendum che sull’atteggiamento da tenere dopo.
    Oggi si registra l’intervento a gamba tesa degli analisti della Barclays, subito supportati da una certa tensione sui titoli bancari italiani sotto esame; quasi a dimostrare di cosa sono capaci.
    Ciò purtroppo non fa che confermare le mie previsioni:
    – vince il NO
    – si apre una fase di ingovernabilità la cui unica uscita è un governo tecnico
    – difficoltà ad attuare “la purga in salsa greca”
    – uscita dall’euro.
    A seguito di questo scenario io ha azzardato le mie ipotesi; mi piacerebbe sapere cosa ne pensa in merito (uscita dall’euro ) l’ottimo Dezzani.

    1. L’uscita dall’euro è fondamentale per la ripresa economica e, cmq, diverrà inevitabile a breve, quando una seria di fattori (rialzo tassi Fed, scoppio bolla Wall Street, recessione, etc. etc.) renderà necessario ai governi europei riprendere il pieno controllo delle leva monetaria e fiscale.
      E poi è l’opposto: prima l’Economist era per il sì (articolo sugli scenari per il 2017) e poi per il no (sullodato editoriale). Il “no” viene poi dalla redazione, il “si” dal corrispondente italiano.

      1. Anche il Nord Italia, prima dello scherzo dello spread e di Monti, era virtualmente in piena occupazione. Ma è la questione è politica, non tecnica. Si è voluto penalizzare (e razziare un pò) il sud europa invece che intervenire anche sul surplus tedesco. Per i secondi, terzi e quarti fini quì richiamati spesso. I tedeschi sono strutturati e ne traggono vantaggio, ma i Napolitano, Ciampi, Prodi e Draghi non li ha inventati la Germania.
        Renzi è un cazzaro e il sì al referendum è uno sbaglio, ma non dobbiamo farci buttare fuori dall’euro ora. Con la depressione in arrivo e senza Hillary e la guerra, per l’austerity e i creditori le cose sono cambiate. Se l’Italia resta in piedi e nega ai creditori l’ossigeno del suo risparmio privato, volendo poi potrà uscire dettando anche le sue condizioni. Probabilmente questo scenario preoccupa l’Economist.

  20. come ti spieghi che-oggi- il Financial Times,
    rispetto all’Economist fa tutt’altra dissertazione?
    cordialità

      1. Il sistema bancario italiano è stracotto perchè:
        1) Dopo le Torri gemelle, nel 2001, Berlusconi aveva poche possibilità per tenere in piedi l’economia del Paese. Grazie ai tassi bassi, ha rimpatriato i miliardi delle mafie e costruito un po’ di paese: prime case, seconde case, e ville in campagna..ce ne era per tutti.
        2) Quando il pallino è passato a Prodi, nel maggio 2006, questi , ancor più colpevolmente, ha provveduto a “vendere” tutto il costruito da berlusconi con i mutui del 100%, a tasso 2%, per di più TRENTENNALI. Tutti i poverissmi a comprare ed ecco una grande bolla.
        3) Dentro la grande bolla immobiliare, ecco Draghi, che interviene su MPS concedendo l’acquisto di Antonveneta per cassa: 9 miliardi, che fanno fuori la cassa di MPS.
        Il disastro è compiuto. Ora ne raccogliamo i cocci.

  21. Tutto mi aspettavo tranne di vedere in questo blog il banner pubblicitario con lo slogan domenica 4 vota sì! Ahahahahahah

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