Choc per l’establishment euro-atlantico: Marine Le Pen vince nonostante il 13/11

Netta affermazione per il Front National al primo turno delle regionali: con il 28% dei suffragi il partito guidato da Marine Le Pen è la prima forza politica del Paese, davanti ai agli americaneggianti“les Républicains” di Sarkozy ed ai socialisti di François Hollande, sprofondato in terza posizione nonostante la riverniciatura verde militare. A nulla servono gli attentati del 13/11 e lo stato d’emergenza: monta l’onda dei nazionalisti ostili alla UE/NATO, di fronte cui né il consunto Hollande né il redivivo Nicolas Sarkozy de Nagy-Bocsa offrono un valido argine. Con la necessità di polarizzare l’elettorato attorno ad blocco d’unità nazionale in vista delle decisive presidenziali del 2017, la strategia della tensione tornerà a colpire. D’altro canto, qualsiasi avventura angloamericana che necessiti della Francia nella cornice NATO sarà avviata di prima di quella scadenza.

Tra strategia della tensione e tatticismi politici

Domenica sera amaro e lunedì nero per l’establishment non solo francese, ma euro-atlantico: i risultati del primo turno delle elezioni regionali sanciscono la netta affermazione del Front National, primo partito a scala nazionale con il 28% dei suffragi, forte di punte che superano il 30% nelle sei regioni in cui è in testa ed addirittura il 40% nelle due (Nord-Pas-de-Calais-Picardie e Provence-Alpes-Côte d’Azur) dove corrono le donne immagine del partito: Marine Le Pen e Marion Maréchal-Le Pen.

Si profila quindi la conquista di una o più regioni da parte del FN, abituato dalla sua fondazione nel 1972 (sulla falsariga del Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante, divorato come altre sigle sull’altare dalla famelica ed effimera politica italiana) all’opposizione o, al massimo, all’amministrazione di qualche comune. La vittoria è due volte importante, non solo perché le nuove regioni sono il prodotto della riforma territoriale del 2014 che ne allarga l’estensione riducendone il numero (da 22 a 13) e ne amplia poteri e durata dei consigli regionali (6 anni), ma anche, e soprattutto, perché la tornata elettorale è l’ultimo appuntamento prima delle presidenziali del maggio 2017.

La fotografia ai blocchi di partenza rischia di immortalare un FN più forte che mai.

Come avevamo già sottolineato nelle nostre analisi, l’obbiettivo in politica interna degli attentati del 13/11, perpetrati con l’attivo concorso dei servizi segreti francesi, (in politica estera invece gli attacchi ottemperano al progetto angloamericano di ammassare le forze armate della NATO in Medio Oriente per scongiurare una strategica vittoria russo-iraniana contro l’ISIS) era proprio quello di influenzare le elezioni regionali del 13/11, cercando di rianimare i due partiti d’establishment (i socialisti del PS ed i conservatori dell’ex-UMP) a discapito del Front National.

Questo è un punto focale del discorso.

Già i sondaggi prima della strage del 13/11 segnalavano il partito di Marine Len in vantaggio, tanto che una rilevazione di fine settembre1 dava già la presidentessa del FN in testa nel Nord-Pas-de-Calais-Picardie e Marion Maréchal-Le Pen era data vincente in PACA addirittura a luglio2. Nella mente degli architetti della strage del 13/11, lo sgomento successivo agli attentati avrebbe dovuto gonfiare le vele dei due malconci partiti tradizionali, il PS grazie alla figura di Hollande capo delle “France en guerre” e l’ex-UMP di Sarkozy grazie ad una vistosa virata a destra per erodere l’elettorato del FN.

Mai, nei piani degli stragisti, gli attentati allo Stade de France ed al Bataclan avrebbero dovuto alimentare i nazionalisti euroscettici ed anti-NATO del FN.

Per scongiurare la possibilità che gli attacchi di novembre portassero acqua al mulino del FN e degli omologhi partiti europei, è stata imbastita una campagna mediatica tanto bizantina quanto improbabile, secondo cui la vittoria delle destre alle elezioni è proprio uno dei principali obbiettivi dell’ISIS, che dallo scalcinato e bombardato quartiere generale a Raqqa sembrerebbe tirare i fili della politica mondiale. L’ISIS vorrebbe infatti fomentare le destre xenofobe ed aizzare le comunità mussulmane contro lo Stato.

L’arzigogolato piano del fantomatico, onnipotente ed onnipresente Califfato è raccontato da Lucia Annunziata, direttrice italiana dell’americano Huffington Post, e Maurizio Molinari, richiamato dal ruolo di corrispondente a Gerusalemme per dirigere il quotidiano La Stampa della famiglia Agnelli-Elkann. Nell’articolo “L’Isis spinge a destra la Francia” pubblicato dall’Annunziata si legge3:

Di sicuro Il Califfo non ha brindato; ma di soddisfazione in quel di Siria deve essercene stata: la affermazione della destra nelle urne europee è una delle conseguenze che Al Baghdadi aveva previsto ed auspicato nei suoi piani di destabilizzazione e conquista dell’Europa. Come riporta Maurizo Molinari nel suo ultimo libro “Jihad”, il dominus dell’Isis nei suoi recenti discorsi ha più volte illustrato fra le tante conseguenze positive degli attacchi all’Europa, l’ascesa dei partiti di estrema destra nelle urne. Ascesa che creerebbe , nelle previsioni dell’Isis, condizioni di intolleranza tali in Occidente da radicalizzare un numero sempre maggiore di giovani mussulmani.”

La grave demenza senile che affligge l’establishment euro-atlantico è comprovata da queste reazioni: prima architettano la strage attribuendola all’ISIS, poi la gente non vota come auspicano e sostengono che così facendo gli elettori votano come vuole il Califfo. C’è da gridare: aiuto, fateci scendere!

Già, perché proprio tutte le avevano tentate per rianimare i cadaveri politici di François Hollande e del premier Manuel Valls e rilanciare il consunto Nicolas Sarkozy de Nagy-Bocsa: l’operazione si presentava talmente disperata per i primi due, che le esigue speranza di successo potevano essere riposte solo nel terzo. Un sondaggio pubblicato da Le Point.fr il 31 ottobre, due settimane prima degli attentati, mostrava chiaramente come solo il 25% dei francesi si esprimesse più o meno favorevolmente sul presidente Hollande, il 37% sul premier Valls ed il 20% sull’ex-presidente Sarkozy4.

Di fronte ad un livello record di disoccupazione e finanze pubbliche in condizioni sempre più precarie, invertire la rotta dell’indice di gradimento del PS era pressoché impossibile. Ciononostante nulla è lasciato intentato: promulgazione dello stato d’emergenza per tre mesi, retorica bellicistica della “France en guerre”, minaccia di attacchi con armi chimiche e batteriologiche, evocazione di anni di lotta contro l’ISIS, con l’annesso strascico di attenti, etc. etc.

Il presidente François Hollande gode soltanto di un effimero (molto effimero considerati i risultati elettorali) rimbalzo dell’indice di gradimento, indossando i panni grigio-verdi di “chef des armées”. “Explosion de la popularité de François Hollande dans les sondages” titola Le Monde il primo dicembre5 provando, invano, a tirare la volata al presidente socialista.

Alla vigilia del voto, nell’estremo tentativo di catalizzare il voto dei francesi ancora sgomentati dagli attacchi del 13/11, Hollande sfila, accompagnato da un codazzo di giornalisti e fotografi, a bordo della portaerei Charles De Gaulle che incrocia a largo della Siria, illustrando le prossime mosse della strategia dell’Eliseo contro il Califfato6: volendo proseguire la ricerca delle analogie tra gli attentati del 13/11 dell’ISIS e gli attentati del 9/11, salta subito all’occhio la simmetria tra la visita di Hollande alla Charles De Gaulle e quella di George W. Bush alla portaerei USS Abraham Lincoln, dove il presidente americano, arrivato nella veste di pilota dell’aeronautica militare, annuncia nel maggio del 2003 la (molto prematura) fine delle operazioni belliche in Iraq.

Chissà che la capatina sulla Charles De Gaulle, non porti a Hollande la stessa fortuna che riservò a Bush Junior il discorso sulla USS Abraham Lincoln. Un fenomeno è comunque evidente: l’americanizzazione de la République in questa triste e rapida fase della decadenza delle istituzioni.

Anche l’altro candidato d’establishment, il redivivo Nicolas Sarkozy de Nagy-Bocsa prosegue il lavorio per trasformare la Francia in una propaggine del sistema atlantico: l’ex-presidente francese è sempre stato l’uomo di punta dei neocon americani nell’Esagono (consigliamo la lettura di Matteo Renzi e Nicolas Sarkozy: anatomia di una scalata al potere MADE IN U.S.A.7) e fu con grande rammarico che Washington e Londra accolsero la sua estromissione dall’Eliseo. Nel disperato tentativo di assicurarne la permanenza ai vertici della Repubblica, è bruciato con lo scandalo sessuale all’hotel Sofitel di New York, un altro pezzo da novanta dell’establishment euro-atlantico, ossia il direttore del FMI Dominique Strauss-Kahn, il rivale potenzialmente più agguerrito per le presidenziali del 2012, poi vinte comunque dallo scialbo François Hollande.

Senza perdere tempo, Sarkozy archivia quindi la gloriosa sigla “UMP” per fondare nel maggio del 2015 “Les Républicains8, scimmiottando gli omologhi americani: l’idea peraltro girava da tempo nella destra europea atlantista, considerato nello stesso periodo appaiono indiscrezioni secondo cui anche Silvio Berlusconi prepari il lancio del “partito repubblicano9.

La strategia è chiara: dati ormai spacciati i socialisti sia alle regionali che alle presidenziali del 2017, spetta ai Républicains di Sarkozy il compito di bloccare di Marine Le Pen.

L’ex-UMP, sempre meno gollista e sempre più atlantista, si butta quindi a destra coll’obbiettivo di erodere la base elettorale del Front National, offrendo un prodotto simile con il più il certificato di “partito d’establishment d’origine controllata e garantita”. Cavalcando appieno la strage del 13/11, vira prepotentemente a destra: no al multiculturalismo, sì ad un’identità francese forte, ritorno a “la France de toujours”. Niente però fila liscio: i Républicains che, avrebbero dovuto affermarsi come primo partito politico già alla tornata elettorale del 6 dicembre, sono in vantaggio solo in quattro regioni rispetto alle sei del FN (ed in sostanziale pareggio in Normandia) e clamorosamente indietro dove corrono i candidati nazionalisti di punta.

Di fronte ad un simile risultato si va verso “l’union sacrée”, il “barrage républicain”, il “front républicain” o comunque si voglia chiamare l’alleanza tra i due partiti pro-UE e pro-NATO pur di sbarrare la strada al FN. L’alleanza tra i due, per salvare la parvenza di una competizione, si profila tacita: i Républicains di Sarkozy, il soggetto più forte dopo l’FN, rifiutano a voce qualsiasi intesa o fusione con il PS11, mentre i socialisti ritirano unilateralmente i candidati nelle tre regioni la sinistra è solo terza12. In questo modo Sarkozy può correre come un“duro e puro” della destra e, non a caso, circolano già provvidenziali sondaggi che lo danno favorito al ballottaggio del 13 dicembre13.

L’esito del secondo turno decreterà se questa strategia, presentarsi divisi al primo turno ed allearsi tacitamente al ballottaggio, è adottabile per le elezioni presidenziale del 2017 o sarà necessario fondersi nell’ “union sacrée”, probabilmente nella cornice di uno stato d’emergenza nazionale.

Le prospettive in vista delle presidenziali del 2017

L’Occidente si avvicina ad una serie di scadenze elettorali decisive in un torbido e melmoso clima, fatto di stragismo di Stato, deflazione incipiente, una nuova recessione americana sempre più vicina e l’impossibilità il costo del denaro senza far crollare il castello della speculazione.

Negli USA, come testimonia la recente strage di San Bernardino compiuta da “due soldati dell’ISIS”14, Barack Obama è sempre più in affanno di fronte a quei settori (lobby israeliana, militare e finanziaria) che premono per un’escalation militare in Medio Oriente e/o Ucraina, a costo di un conflitto mondiale con la Russia, Iran e Cina. È difficile stabilire se il Nobel per la pace riuscirà ad evitare lo scoppio della guerra sino alle elezioni presidenziali del novembre 2016, ma è altamente probabile che il suo successore (Hillary Clinton secondo le ultime proiezioni15) sarà eletto grazie al supporto determinante di quelle fazioni, con tutte le conseguenze del caso.

Ci sono poi le elezioni federali tedesche del settembre 2017, dove Angela Dorothea Kasner, in arte Merkel, si prepara a correre per un quarto mandato alla cancelleria. Infine, ci sono le presidenziali francesi del maggio 2017: un’eventuale vittoria di Marine Le Pen comporterebbe rischi enormi per il sistema euro-atlantico.

Ostile alla Nato tanto da chiederne il ritiro della Francia16, nemica dell’integrazione europea tanto da ipotizzare un referendum sulla permanenza nella moneta unica17 (si ricordi che i cugini transalpini affossano nel 2007 la costituzione europea, essendo tra i pochi ad avere il privilegio di votare a riguardo), eterodossa sui dossier mediorientali, tanto da criticare la guerra a Muammur Gheddafi18 ed i tentativi di spodestare Bashar Assad (vera origine della gelo tra il FN ed Israele, più che i trascorsi antisemiti del fondatore), Marine Le Pen è un problema strategico per le oligarchie anglofone.

Se entrasse all’Eliseo, non solo assesterebbe il colpo di grazia alla morente UE (le cui probabilità di vedere il 2017 non sono già alte di per sé) ma, anche nel caso della rielezione di Angela Merkel, creerebbe un’avanguardia filo-russa alle spalle del blocco atlantista tedesco-polacco-ucraino.

Per gli strateghi angloamericani sarebbe un’esiziale mossa del cavallo ad opera del Cremlino: non è infatti un segreto che il Front National abbia contratto un prestito di 9 €mln con la banca russa FCRB19 e che abbia in più occasioni protestato con veemenza contro le sanzioni alla Russia20, evidenziando la sintonia tra Marine Le Pen e Vladimir Putin.

Poco importa se anche Hollande e Sarkozy invochino a loro volta una distensione nei rapporti con Mosca: è invece rilevante che in ogni occasione, dalla guerra in Libia alla partecipazione alla coalizione “contro l’ISIS” passando per la sospensione della vendita delle Mistral, i due presidenti abbiano agito al momento opportuno in conformità ai desiderata di Washington e Londra.

Come fermare quindi Marine?

Calcolato che l’influenza dei media è direttamente proporzionale alla vendita di quotidiani (in crollo ovunque), la campagne che rinvangano l’antisemitismo del padre di Marine Le Pen e la tratteggiano come “xenofoba” e “populista” rischiano di avere un effetto nullo o contrario. Si tenterà sicuramente di affossarla con qualche scandalo mediatico-giudiziario (a settembre è già partita una prima inchiesta sui rimborsi elettorali per le presidenziali del 201221, stratagemma con cui fu già eliminato Jacques Chirac) o trabocchetto mediatico per farla scivolare sugli argomenti più sdrucciolevoli. Salvo, ovviamente, che non si opti per il metodo Lee Oswald, possibile visto i tempi che corrono.

E se Marine Le Pen superasse indenne i 18 mesi che la separano delle elezioni?

A quel punto si concretizzerebbe la riproposizione delle presidenziali del 2002, quando al ballottaggio arrivarono Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen, con l’aggravante che la figlia Marine è molto più accattivante e presentabile del padre. “L‘union sacrée” questa volta, per bloccare con successo Marine Le Pen, dovrebbe consumarsi in un clima di emergenza nazionale, simile a quello che l’Italia vive nel 1978 con il rapimento di Aldo Moro, teso ad impedire il compromesso storico tra PCI e DC.

Ecco perché il proseguo dello strategia della tensione e dello stragismo di Stato è quasi una certezza.

D’altro canto la vita limitata dei due più pezzi più pregiati sulla scacchiera europea, François Hollande ed Angela Merkel, pone agli strateghi angloamericani un severo vincolo: qualsiasi mossa contro la Russia deve essere effettuata prima del 2017, per avere la certezza che Parigi e Berlino siano della partita ed, ovviamente, giochino dalla parte della NATO. Lo spazio che ci separa del maggio del 2017 è quindi una preziosissima finestra a disposizione di Washington e Londra per avviare le ostilità belliche contro Mosca: se la faranno scappare?

Un’ultima parentesi sull’Italia: in queste ore è un grande turbinio di editoriali che, dopo la Francia, già immaginano con sgomento un successo dei “populisti” anche nella Penisola.

Qui, di fronte all’evidente logorio del premier Matteo Renzi (con un indice di fiducia al 33%, inferiore a quella dell’omologo francese22) ed una situazione economico-finanziaria al collasso, l’establishment prepara già il terreno per un esecutivo guidato dal Movimento 5 Stelle (creatura coltivata in provetta dalle oligarchie anglofone), come è intuibile dall’editoriale “La mutazione genetica del Movimento 5 stelle: Di Maio è ora leader, -Con lui governeremo-” apparso su La Repubblica del 30 novembre, a firma di Ilvo Diamanti. Si legge all’interno:

IL M5s non si sfalderà da solo, come ritenevano (auspicavano?) molti osservatori e attori politici. Non imploderà, frustrato da un inseguimento senza speranza. (…). Per questo, anche per questo il M5s va preso sul serio. Perché non intercetta più solo – e soprattutto – la “sfiducia” – democratica. Non esercita solo la “contro democrazia” (tematizzata da Pierre Rosanvallon), la “democrazia della sorveglianza”. Il controllo democratico. Ma è spinto dalla domanda – e dalla ricerca – di governo, espressa da gran parte dei suoi elettori. Che puntano, per questo, su leader cresciuti “nel” partito. Pardon: nel Non-Partito. Oggi: il “Partito del M5s”. Rappresentato dai Di Maio, i Di Battista. E da altri “Cittadini”, ancora poco noti. Per questo oggi – anche se non da oggi – conviene prendere sul serio il M5s. E i suoi attivisti, i suoi elettori, i suoi leader: non chiamateli più “grillini”.

Certo ci sarebbe la Lega di Matteo Salvini, ma in un Paese come il nostro che, dai tempi dell’Italia “spada dell’Islam” di mussoliniana memoria all’Italia repubblicana di Enrico Mattei e Bettino Craxi, ha sempre perseguito (con successo) una politica di penetrazione economica e politica in Nord Africa e Levante, i beceri toni anti-arabi ed anti-islamici della destra italiana, sulla falsariga di quella americana ed israeliana, rischiano di trasformare i partiti “nazionalisti” in pericolose forze anti-nazionali.

È inutile comunque arrovellarsi sull’Italia: nata come propaggine del sistema prima inglese, e poi americano, le sue sorti saranno decise al tavolo che seguirà il conflitto ormai sempre più probabile.

 

presidenti in guerra

1http://www.rtl.fr/actu/politique/regionales-2015-un-sondage-donne-marine-le-pen-favorite-en-nord-pas-de-calais-picardie-7779783495

2http://www.20minutes.fr/marseille/1643275-20150701-regionales-paca-selon-sondage-marion-marechal-pen-arriverait-tete-1er-tour

3http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/lisis-spinge-a-destra-la-francia_b_8733844.html?utm_hp_ref=italy

4http://www.lepoint.fr/politique/la-popularite-de-hollande-en-legere-hausse-sarkozy-en-forte-baisse-31-10-2015-1978452_20.php

5http://www.lemonde.fr/politique/article/2015/12/01/hollande-conquiert-desormais-la-moitie-des-francais_4821824_823448.html

6http://www.askanews.it/esteri/siria-hollande-fra-alcuni-giorni-la-charles-de-gaulle-nel-golfo_711681026.htm

7https://www.bookrepublic.it/book/9786050315332-matteo-renzi-e-nicolas-sarkozy-anatomia-di-una-scalata-al-potere-made-in-usa/?tl=1

8http://it.euronews.com/2015/06/01/addio-ump-nascono-les-republicains-la-svolta-di-nicolas-sarkozy/

10http://www.ft.com/intl/cms/s/0/719645a6-9427-11e5-b190-291e94b77c8f.html#axzz3tcolKyYY

11http://www.lefigaro.fr/elections/regionales-2015/2015/12/07/35002-20151207ARTFIG00007-nicolas-sarkozy-entend-defendre-coute-que-coute-la-ligne-du-ni-front-national-ni-front-republicain.php

12http://www.lefigaro.fr/politique/le-scan/decryptages/2015/12/06/25003-20151206ARTFIG00171-face-au-fn-les-strategies-a-geometrie-variable-des-candidats-ps.php

13http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2015/12/05/francia-domenica-le-elezioni-regionali-in-stato-di-emergenza-fn-di-marine-le-pen-in-testa-_e3638811-ebfa-4d00-b4b8-2c5535f9d3c9.html

14http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/san-bernardino-isis-strage-compiuta-da-due-soldati-del-califfato-_2147640-201502a.shtml

15http://www.bloomberg.com/politics/articles/2015-10-26/the-most-likely-next-president-is-hillary-clinton

16http://www.nationspresse.info/mondialisme/atlantisme/marine-le-pen-il-faut-sortir-de-lotan

17http://www.rtl.fr/actu/politique/sortie-de-l-euro-s-il-y-a-un-non-au-referendum-je-m-en-vais-annonce-marine-le-pen-7779866085

18http://www.giornalettismo.com/archives/1740653/caos-in-libia-pen-ce-colpevole-sarkozy/

19http://www.lexpress.fr/actualite/politique/fn/marine-le-pen-justifie-le-pret-d-une-banque-russe-au-fn_1625124.html

20http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-05-26/il-misterioso-viaggio-marine-pen-mosca–173751.shtml?uuid=ABxEIumD

21http://www.ilgiornale.it/news/francia-front-national-indagato-rimborsi-irregolari-1168809.html

22http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Economia/Governo-Ixe-fiducia-Renzi-cala/27-11-2015/1-A_021199841.shtml

15 Risposte a “Choc per l’establishment euro-atlantico: Marine Le Pen vince nonostante il 13/11”

  1. Caro Federico seguo il tuo discorso con attenzione.
    Solo a me pare però ovvio che si voti una forza nazionalista?
    mi spiego meglio. Se fossi un francese, alla luce degli “attentati terroristici” di matrice islamica del 13/11 voterei proprio per quei partiti che “odiano” l’islam e spingono alla radicalizzazione delle idee. Non capisco come possa Hollande o chi per lui aver pensato che in seguito a tali attentati le forze nazionaliste, becere e anti islam avrebbero subito un contraccolpo. Mi sembra lapalissiano che invece sono proprio le suddette forze a guadagnare consensi! che dice?

    1. La richiesta di sicurezza dopo gli attentati è soddisfatta dai partiti d’establishment, non da forze che sono all’opposizione da 40 anni. Quando piazzavano le bombe in Italia, non era certo per favorire l’MSI…
      Sono i repubblicani di Sarkozy che devono intercettare la paura dell’elettorato, Marine Le Pen è presentanta dalla stampa come uno spauracchio.

  2. Ottima analisi, come sempre. Ero arrivato a simili conclusioni, ma mi mancavano i fatti.

    Data il ciclo elettorale dei prossimi due anni, possiamo considerare i prossimi 18 mesi i più caldi del decennio?

    Inoltre, quale crede che sarà la posizione della Merkel (da distinguere dalla “Germania” e dalle élites tedesche) in caso di vittoria del FN nel 2017? Tenterà l’alleanza con la Russia o resterà nel sistema atlantico?

    Ovviamente è difficile anche solo immaginare che gli USA permettano una cosa del genere, ma credo sia vitale capire le affiliazioni della Cancelliera, se è semplicemente l’amministratrice della colonia germanica o se è un leader autoctono e disposto a “tradire” i padroni atlantici per gli interessi del proprio paese?

    Cosa ne pensa?

    1. Rispondo: aspettare “Angela Merkel, la spia che andò e tornò dal freddo”. Il lavoro è cresciuto e questo ci ha richiesto più tempo.

  3. Egregio Dezzani, leggo i suoi articoli con molto interesse così tanto per sfuggire al quasi nulla della stampa tradizionale.
    Ci sono in corso da un pò di tempo delle manovre governative sulla Cassa depositi e Prestiti. Una cassaforte che contiene i risparmi di milioni di Italiani e che molto probabilmente fa gola all’oligarchia finanziaria anglofona.
    Sono arrivato alla conclusione che Renzi è stato catapultato,assieme ai suoi fantaccini, ai vertici dello stato con lo scopo di allestire un cavallo di Troia onde permettere all’oligarchia di cui sopra di impossessarsi di quanto ci è rimasto.
    Cosa ne pensa, ha delle letture in proposito da suggerirmi? Saluti

    1. Basta dire che Renzi ha scalzato il mostro sacro di CDP, Franco Bassanini, per sostituirlo con l’ex-Goldman Sachs Claudio Costamagna… l’ex-presidente della provincia di Firenze (dove sarebbe rimasto a marcire senza l’appoggio di USA & Israele) ha così aperto le porte della cassaforte delle partecipate pubbliche alla City.
      Per invertire la rotta bisognerà nazionalizzare energia, trasporti, difesa e credito.

      Sullo stadio terminale dell’Italia scriveremo tra dicembre e gennaio.

      1. includa anche i recenti articoli che dicono che l’Italia é contro le sanzioni alla russia. vedremo se sarà una operazione di facciata

    1. L’accostamento a Letta è appropriato: anche lui andò all’apertura dei Giochi a Sochi e poco dopo fu accompagnato alla porta. Ci andò, perché il sistema Italia ha l’interesse strategico a collaborare con la Russia, e l’interesse è tale che anche i fantocci non possono ignorarlo, se non infliggendo enormi danni al Paese.
      Renzi è cmq un burattino, per di più impopolare ed incapace: se cadrà, come probabile, non è per un innocente occhiolino a Mosca, ma per la sua incompetenza.
      Se decidesse invece di ribellarsi ai suoi mentori (molto improbabile non avendone le palle), l’amico Carrai deve avere un intero archivio di carte per bruciarlo.

  4. Oggi, il deficiente ex-ministro Valls, dichiara addirittura che con il Front National a Governo,la francia rischia la guerra civile, perchè il front national “divide”…Gli altri, invece, …”uniscono”.
    E chi sarebbero quelli che farebbero la guerra civile? I parigini della rive gauche ? Quelli che frequentano i salotti del marais?…O la CIA? Sarebbe interessante saperlo..perchè in tutta la Francia “contadina” il Front National ha solidi appoggi epartecipazione.. Quelli che sono costretti a fare “rassemblement” sono i sopravvissuti di Sarkozy e gli straccioni di Hollande…
    Non vedo certo gli altri dannarsi per mantenere al potere Sarko e Carla…
    A bien tot.

    1. Questo Valls è un personaggio pericoloso. Anzi due volte pericoloso, perché pure incapace.

  5. I have been surfing online more than 4 hours today,
    yet I never found any interesting article like yours.
    It is pretty worth enough for me. Personally, if all webmasters and bloggers made good content as you did,
    the net will be a lot more useful than ever before.

  6. Lօs impuestos indirectos, ɗe otrа parte, se le imponen ɑ recursos
    y servicios ү a lɑs transacciones que se realizan con elloѕ;
    o seа, ⅼaѕ personas, de formа indirecta, por medio ⅾᥱ la compra ⅾe bienes у servicios, pagan еl impuesto, aun cuando eⅼ
    Estado no les está cobrando dе manera directa еl
    impuesto а еstas.

I commenti sono chiusi.