Gli attentati del 13/11 e la predisposizione della scacchiera

La strage di Parigi del 13/11 ha già prodotto un risultato finora impensabile: su iniziativa di Angela Merkel, la Germania schiera mezzi ed uomini in Medio Oriente, a fianco di Francia, Regno Unito ed USA, nonostante il Califfato stia subendo pesanti rovesci in Siria ed Iraq. Nel frattempo le condizioni economiche dell’eurozona volgono al peggio, con la Francia che registra ad ottobre un nuovo record di disoccupati e la deflazione che avanza ovunque. La guerra all’ISIS è solo un espediente per procrastinare lo sfaldamento della UE/NATO: l’avversario strategico degli angloamericani è infatti Mosca, capace di aggregare l’Europa post-euro su basi alternative al sistema euro-atlantico. Con l’ammassarsi degli occidentali nel sempre più affollato ed incandescente Medio Oriente, la scacchiera è predisposta: è sufficiente un casus belli simile all’abbattimento del Su-24 e sarà guerra.

L’Europa tra crisi economica e guerra all’ISIS

Una delle ricadute della strage del 13/11, coordinata come abbiamo sottolineato nei nostri lavori dai servizi segreti francesi, è stata senza dubbio la possibilità di eclissare i dati francesi sul mercato del lavoro, pubblicati la settimana scorsa e relativi al mese di ottobre: cifre pessime che, col nuovo record di 3,81 mln di disoccupati1, certificano la situazione critica della Francia, alle prese con un debito pubblico prossimo al 100% del PIL ed una bilancia commerciale in cronico disavanzo. Il primo ministro Manuel Valls ha altresì colto la palla al balzo per annunciare che Parigi, causa nuove spese per la sicurezza, non rispetterà i parametri di bilancio concordati con Bruxelles, già di manica larga rispetto agli altri membri dell’eurozona: il deficit è infatti atteso attorno al 4% del PIL nel 2015, ed è  sfumato l’impegno ad abbassarlo al 3,3% nel 2016 e sotto il 3% nel 2017.

La strage di Stato del 13/11 serve quindi a ribadire l’eccezionalità della Francia, “potenza mondiale” impegnata nella lotta al Califfato per la sicurezza dell’Europa: poco importa se l’ISIS contro cui l’Eliseo spedisce la portaerei Charles De Gaulle è il principale strumento con il quale i francesi, in conbutta con angloamericani, israeliani ed autocrazie sunnite, si sono adoperati dal 2011 per la balcanizzazione del Medio Oriente, coll’obbiettivo di dissolvere la Siria e l’Iraq (missione riuscita in Libia). Nell’attuale contesto, preme infatti gridare urbi et orbi che “la France est en guerre!”  e, di conseguenza, libera di qualsiasi pastoia europea.

Anzi, addirittura tutta l’Europa è in guerra contro il fantomatico Califfato che, peraltro, sta vivendo il momento più critico sul piano militare dalla sua apparizione nel 2013: i bombardamenti russi e l’istituzione a Baghdad di un centro per la condivisione di informazioni ed il coordinamento bellico tra Iraq, Iran, Siria e Russia3 hanno inflitto drammatici rovesci all’ISIS, riuscendo dove aveva fallito per un anno la coalizione a guida americana (suscitando l’ilarità della comunità internazionale, l’ex-numero due della CIA, Michael Morell, ha giustificato il mancato bombardamento dei pozzi petroliferi controllati dall’ISIS adducendo scrupoli ambientali4).

Già, perché situazione dell’intera Eurozona è critica, non solo in Francia, e quindi bisogna gridare all’unisono “l’Europe est en guerre!”. Nella terza economia dell’euro, l’Italia, la situazione ha ormai assunto contorni da conflitto bellico, tra crollo verticale dell’attività produttiva e desertificazione demografica: in recessione dal 2008, il Paese dovrebbe chiudere il 2015 con una crescita del +0,9%, grazie ai maneggi contabili di ESA 2010, mentre ila deflazione alza paurosamente la china (-0,4% i prezzi al consumo di novembre rispetto al mese precedente5) rendendo improbabile non solo la riduzione ma anche il contenimento del debito pubblico, tanto che il Tesoro ha iniziato a ricorrere alle disponibilità liquide in cassa per evitare lo sforamento dei 2.200 €mld. Sta poco meglio ovviamente la finanza privata dove, schiacciate da 200 €mld di crediti inesigibili, le banche scricchiolano e gli istituti di medie-piccole dimensioni saltano. In Spagna il deficit è previsto al 4,7% del PIL nel 2015 ed il debito pubblico, triplicato dall’inizio della crisi, si attesterà alla fine dell’anno al rapporto record di 1:1 col PIL; si avvicinano intanto le elezioni legislative di dicembre, e ci si domanda con inquietudine come voteranno gli spagnoli, oppressi da una disoccupazione al 21% della forza lavoro. A livello aggregato l’eurozona nel suo complesso flirta con la deflazione, nonostante da quasi nove mesi sia in atto l’allentamento quantitativo che ha regalato solo laute plusvalenze alle banche.

Quanto può durare la stallo nell’eurocrisi, considerato che l’economia globale si dirige verso un brusco rallentamento? Non a lungo probabilmente, e qui si riapre la parentesi della strage del 13/11.

Sull’onda degli attentati la cancelliera Angela Merkel, fedele esecutrice delle direttive atlantiche, ha concesso a François Hollande un’apertura impensabile fino ad un mese fa: il dispiegamento di 650 soldati in Mali e, soprattutto, l’invio di uomini e mezzi in Medio Oriente, affiancando così i francesi nella loro “guerra all’ISIS”. Si parla di 4-6 jet Tornado da ricognizione, supporto satellitare ed il dispiegamento di una fregata per proteggere (dai sottomarini dell’ISIS?) la portaerei De Gaulle per un totale di 1.200 soldati6. La mossa di Angie, che attende il parere del Bundestag, è una rivoluzione copernicana per Berlino, che dai tempi della Prima Guerra del Golfo ha sempre evitato qualsiasi coinvolgimento mediorientale, fatta eccezione per la disastrosa Operazione Enduring Freedom in Afghanistan. Se la cancelliera rischia tanto, la posta in gioco deve essere maledettamente alta.

Peraltro Berlino è in buona compagnia nella corsa “à la guerre à Daesh”, dal momento che anche il premier inglese David Cameron potrebbe riuscire là dove fallì nella tarda estate del 2013, ovvero ottenere l’approvazione della Camera dei Comuni per un intervento militare in Siria, non più (formalmente) contro l’esercito di Assad, reo allora dell’impiego di armi chimiche (un’orchestrazione dei ribelli supportati dall’Occidente per giustificare i bombardamenti), ma contro l’ISIS, obviously. Il premier Cameron ha anche sfruttato la strage del 13/11 e la conseguente febbre militarista per annunciare la costituzione di due brigate di intervento rapido da 5.000 uomini cadauna e l’ulteriore stanziamento di 12 £mld per la difesa7.

Man man che le condizioni dell’eurozona tornano a preoccupare, ecco quindi che la temperatura bellica sale di nuovo, con la significativa ed inedita aggiunta della Germania alla grancassa anti-ISIS.

Come abbiamo sempre evidenziato nelle nostre analisi, l’euro e l’UE sono tutto meno che un’unità di conto ed un’autonoma iniziativa politica delle nazioni europee: sono, al contrario, l’altra faccia della medaglia della NATO, ideate coll’obbiettivo, finora fallito,di creare di Stati Uniti d’Europa, inglobando così il Vecchio Continente e saldandolo al sistema atlantico. Le convulsioni dell’eurozona mettono quindi oggi a repentaglio l’intero apparato militare, economico e politico con cui gli angloamericani controllano l’Europa. La guerra all’ISIS è un’arma tattica per rallentare il disfacimento della UE, vincolando i membri in un comune impegno militare contro una minaccia creata ad hoc dallo stesso Occidente.

La fida cancelliera Angela Merkel, rispondendo senza esitazioni all’appello del presidente Hollande, può riuscire, previo assenso del Bundestag, dove mancò l’obbiettivo durante la crisi ucraina: legare mani e piedi della Germania alle avventure militari atlantiche. Non soltanto, favorendo l’ingresso di un milione di immigrati nel solo 2015, Angie ha posto le basi per la riproposizione anche in Germania di eventi simili alle stragi del 13/11, o forse anche peggio: le informazioni a disposizione di questa enorme massa di persone entrata in Germania sono poche o nulle, ma si sa che il nocciolo proviene da Siria ed Iraq, ed è altamente plausibile che tra loro ci siano anche reduci dell’ISIS. L’intervento in pompa magna di Berlino a fianco dei francesi, giustifica ora dal punto di vista mediatico la perpetrazione di attentati sulla falsariga di quelli francesi e, non a caso, si moltiplicano già le notizie di attacchi “sventati”8: si evince che, presto o tardi, alle forze di sicurezza tedesche ne sfuggirà uno, come già successo a Parigi.

Come scrive sul Financial Times9 John Sawers, l’ex-direttore del MI6 che si è incontrato a Washington con il direttore della DGSE Bernard Bajolet, il capo della CIA John Brennan ed il consigliere della Difesa israeliana Yaakov Amidror, due settimane prima della strage di Parigi del 13/11:

The next attack probably will not be in France. Isis wants to provoke division across Europe — in particular, hostility to the refugees flooding in. (…) Germany might be vulnerable as Isis would see an attack as weakening Chancellor Angela Merkel and dividing opinion. (…) Political calculation and available operatives will determine where Isis tries to strike next. There is little doubt that there will be further attacks. This will challenge not just our intelligence agencies. The wars in Europe’s neighborhood are now washing on to our shores and governments in Europe — especially France, Germany and Britain — will have to lead the response.

È facile immaginare che la risposta a questi potenziali attacchi sarà, come sempre, più integrazione europea, ed un maggiore coinvolgimento di Berlino a fianco di Washington, Londra e Parigi sui dossier mediorientali. Un altro, clamoroso attentato in Germania, potrebbe inoltre spianare la strada ad una politica di difesa comune dell’Unione Europea. Come scrive l’influente pensatoio Carnegie Endowment for International Peace, basato a Washington10:

It is about Europe coming to terms—or rather, coming of age—by recognizing that its belief in soft power is not a security guarantee, and that Europe cannot continue to depend on the United States to be its hard-power backer. Earlier terrorist attacks in London, Madrid, and Brussels should have put paid to those assumptions. They didn’t. The attacks in Paris may finally have the effect of persuading EU governments of the need for a credible security and defense policy, instead of one that is borne by just a few countries.

Queste sono però riposte tattiche all’eurocrisi, in grado di procrastinare il collasso dell’eurozona ancora per 12-18 mesi. A quel punto le criticità dell’Unione Europea esploderanno in tutta la loro virulenza e si porrà all’estanlishment euro-atlantico il problema strategico di come mantenere il Vecchio Continente subordinato al sistema militare e politico di Washington.

Emergerà a quel punto l’ineluttabilità di un conflitto armato con la Federazione Russa, unico attore capace di offrire al Vecchio Continente un progetto geopolitico alternativo credibile(l’integrazione euroasiatica) e dotato di risorse umane e naturali in grado di alterare gli equilibri mondiali se integrate con l’Europa e/o la Cina. Ecco quindi che l’ammassarsi delle forze armate di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania nel sempre più angusto ed affollato teatro mediorientale, non è finalizzato alla guerra contro il Califfato (già in dissolvimento e creato dallo stesso Occidente) bensì a creare un punto di frizione tra NATO e Russia, per di più in una zona che, come dimostra il recente affaire del Su-24 russo abbattuto, offre casus belli in abbondanza.

Tutti i pezzi al loro posto, la partita può iniziare

Non ha dubbi il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov nel definire l’abbattimento del Su-24 per mano turca come una “provocazione premeditata”.

Secondo la versione di Ankara il bombardiere russo avrebbe violato per 17 secondi lo spazio aereo turco, durante i quali sarebbe stato lanciato l’improbabile numero di 10 avvertimenti prima di dare via libera all’F-16 che ha abbattuto il Su-24 con un missile aria-aria. L’unico superstite del velivolo, il navigatore Konstantin Murakhtin, afferma invece di non aver ricevuto nessun messaggio radio e che il SU-24 è stato colpito alla coda senza preavviso11.

Più fattori avvalorano la tesi dell’attacco premeditato.

In primo luogo il massiccio bombardamento russo di camion cisterna (ne sarebbero stati distrutti oltre un migliaio) e dei campi petroliferi attorno a Raqqa e Deir el-Zor controllati dall’ISIS, non solo ha privato la Turchia di una fonte a buon mercato di greggio (commercio nel quale sarebbe coinvolto il figlio stesso del presidente Recep Erdogan, Bilal12) ma sottraendo al Califfato la principale fonte di introiti per pagare stipendi ed armi, ha minato alle fondamenta l’intera strategia di destabilizzazione di Siria ed Iraq: sono infatti i russi dopo due mesi, non gli americani dopo un anno a distruggere i pozzi.

È quindi verosimile che la NATO, con l’abbattimento del Su-24, abbia inviato a Mosca il messaggio che la distruzione delle risorse petrolifere in mano al Califfato è un punto di non ritorno. Quest’ipotesi è corroborata dal fatto che né l’Alleanza Atlantica né Barack Obama hanno stigmatizzato la mossa di Ankara anzi, al contrario, il dossier dell’ingresso della Turchia nella UE, da sempre caro a Washington, ha subito un’improvvisa accelerazione ed i contribuenti europei hanno elargito 3 €mld al governo turco per arginare il flusso di profughi, generato dalla stessa politica di destabilizzazione del Medio Oriente condotta dalle autocrazie sunnite (tra cui la Turchia), israeliani ed angloamericani.

Non solo, l’abbattimento del SU-24 è caduto a distanza di sole 48 ore da un’altra provocazione perpetrata quasi sicuramente su istigazione turco-americana: ci riferiamo al sabotaggio in Ucraina delle linee elettriche che riforniscono la Crimea, attuato da alcuni miliziani appartenenti alla minoranza turcofona dei Tatari13. Questi avrebbero agito congiuntamente con gli estremisti di Settore Destro, impedendo l’accesso alla zona delle squadre di riparazione14: peraltro, le autorità di Kiev hanno dichiarato a distanza di una settimana che l’assenso dei Tatari è indispensabile per la riparazione della linea elettrica, che sarà ripristinata nei tempi “concordati con gli attivisti”15.

La reazione di Mosca non si è fatta attendere, né sul fronte della Crimea né su quello turco.

Per quanto concerne il primo Mosca ha arrestato il flusso di gas diretto in Ucraina, bloccando anche le spedizioni del carbone estratto nella Federazione e nei territori del Donbass controllati dai separatisti filo-russi: calcolando che quasi il 50% delle produzione elettrica ucraina viene dall’antracite, Kiev suda freddo.

Sul versante turco la reazione di Mosca è stata a più livelli. Un livello di natura economica, con l’imposizione di sanzioni per bloccare l’import di prodotti turchi (specialmente vestiario ed agroalimentare), disincentivare il turismo, impedire l’assunzione di lavoratori turchi nella Federazione e sospendere la collaborazione in campo energetico (il gasdotto Turkish Stream e la centrale nucleare di Akkuyu)16. A livello militare si è invece fatto martellante il bombardamento russo sul valico di Bab-al-Salam17, principale snodo stradale tra Turchia e Siria ed accesso privilegiato per terroristi ed armi. È inoltre da registrare l’improvviso exploit bellico dei curdi siriani contro Al-Nusra e l’ISIS e, in parallelo, il crescere della tensione nei distretti turchi a maggioranza curda, con scontri a fuoco e l’imposizione di coprifuoco18: è quindi possibile che il Cremlino abbia deciso di giocare la carta curda per rovesciare Recep Erdogan.

Ciò però che muta radicalmente la situazione è il dispiegamento in Siria dei missili russi S-300 (capaci di abbattere i velivoli di quarta generazione come gli F-15, F-16 e F/A-18) e gli S-400 (in grado di colpire gli aerei “invisibili” di quinta generazione come il il B-2, l’F-22, l’F-35 e gli ormai datati F-117): in risposta alla provocazione turca, Mosca ha quindi instaurato de facto una zona d’interdizione al volo sotto controllo russo.

È una rivoluzione copernicana per il Medio Oriente, dove dall’ultimo dopoguerra sono stati gli angloamericani a detenere il monopolio dei cieli, tanto che ancora nel 2013 i falchi repubblicani invocavano un intervento di Washington per tenere a terra i velivoli di Assad19. La mossa rappresenta un ulteriore escalation nel conflitto siriano, perché qualsiasi aereo americano, israeliano o turco che entri nello spazio aereo di Damasco è ora intercettabile e distruggibile dalla contraerea russa: dal 25 novembre, data dal dispiegamento degli S-400, sia gli Stati Uniti che gli alleati della coalizione “contro l’ISIS” hanno infatti sospeso i voli sopra la Siria20.

Che ne sarà anche dei raid arei (illegali) che Tel Aviv è solita compiere in territorio siriano per difendere i miliziani islamisti che occupano le alture del Golan e distruggere i depositi d’armi dell’Esercito arabo siriano?

È in questo scenario sempre più carico di tensione e affollato di potenze internazionali (cui si somma la Cina che ha inviato nelle acque siriane la portaerei Lianoning21, forse per prendere parte ai bombardamenti contro il Califfato o forse solo per testimoniare il suo sostegno a Mosca), che si inquadra l’intervento di Francia, Germania e Regno Unito.

Damasco non ha mai concesso il proprio spazio aereo alla coalizione a guida americana, accusando i bombardamenti effettuati da Washington di essere al contrario la causa dell’avanzata dell’ISIS22, né il governo di Baghdad sembra ora aver bisogno di soccorso, considerato che, grazie alla collaborazione instaurata a fine ottobre con la Russia, l’Iran e la Siria23, l’esercito regolare ha velocemente ribaltato la situazione sul campo ed è ora ad un passo dalla liberazione di Ramadi, capoluogo del governatorato di Al Anbar finora controllato dal Califfato. Che ci vanno quindi a fare François Hollande, Angela Merkel e David Cameron in Siria ed Iraq? Perché questo pericoloso intervento delle cancellerie europee in Medio Oriente quando l’ISIS è in rotta sia in Siria che in Iraq?

È vero che il presidente francese ha incontrato Vladimir Putin per coordinare le operazioni militari contro l’ISIS ed ha ammorbidito i toni su Bashar Assad, ma le distanza tra gli angloamericani ed i russi, i veri dominus della situazione, sono tutt’ora incolmabili, con Barack Obama che insiste per il cambio di regime a Damasco. È lecito il sospetto che i fidi esecutori europei delle direttive atlantiche convergano verso il Medio Oriente proprio perché il Califfato è ad un passo dalla sconfitta, che sancirebbe la definitiva espulsione degli angloamericani dalla regione petrolifera e la sostituzione del defunto ordine (ormai tramutatosi in caos) statunitense, con un ordine russo-iraniano-cinese.

Come dimostra chiaramente infatti l’abbattimento del Su-24 russo, lo spazio tra Iraq e Siria è una polveriera che offre decine di casus belli al giorno, buoni per avviare un conflitto regionale o mondiale.

Con gli attentati del 13/11 di Parigi, gli strateghi angloamericani hanno quindi predisposto la scacchiera, mobilitando gli europei e riuscendo persino nell’impensabile impresa di coinvolgere Berlino. Manca poco perché tutti i pezzi siano al loro posto: USA, GB, Francia, Germania, Turchia, Russia, Iran e Cina. A quel punto basterà lo sconfinamento di un jet turco, un’incursione israeliana in Siria od una bomba caduta sul lato sbagliato della frontiera, per dare inizio alla partita. Sarà allora guerra, combattuta non contro l’ISIS, ma attraverso l’ISIS.

pilo_crimea

 

1http://www.lesechos.fr/economie-france/social/021512063207-chomage-tres-fort-rebond-en-octobre-1179023.php

3http://www.reuters.com/article/2015/10/13/us-mideast-crisis-iraq-russia-iran-idUSKCN0S71JC20151013#sbbvWCx9Mu1bI2ci.97

4http://www.washingtontimes.com/news/2015/nov/25/michael-morell-former-cia-chief-says-environmental/

5http://www.milanofinanza.it/news/italia-a-un-passo-dalla-deflazione-201511301134231677

6http://www.reuters.com/article/2015/11/29/us-mideast-crisis-germany-idUSKBN0TI0GA20151129#a98FrxLlv3ApabSu.97

7http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/david-cameron-hails-10000-rapid-strike-brigade-troops-as-helping-britain-shape-world-events-a6745246.html

8http://www.theguardian.com/world/2015/nov/22/terrorists-planned-three-bombs-german-stadium-hanover

9http://www.ft.com/intl/cms/s/2/201f9a32-8b72-11e5-8be4-3506bf20cc2b.html#axzz3sy5qGNft

10http://carnegieeurope.eu/strategiceurope/?fa=62118

11https://www.rt.com/news/323431-saved-pilot-turkish-su24/

12http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/25/siria-turchia-abbatte-caccia-russo-tre-giorni-prima-mosca-aveva-bombardato-il-petrolio-di-isis-con-cui-ankara-fa-affari/2252068/

13http://www.nationalia.info/new/10659/russia-ukraine-tension-mounts-again-crimean-tatars-in-the-midst

14http://www.reuters.com/article/2015/11/22/us-ukraine-crisis-crimea-electricity-idUSKCN0TB04920151122#lFAgYJPK3g4S7beh.97

15http://www.reuters.com/article/2015/11/30/us-ukraine-crisis-crimea-idUSKBN0TJ1KD20151130#SiyAkAURtTu4KQoa.97

16http://sputniknews.com/world/20151126/1030796887/turkish-stream-russia.html

17http://www.reuters.com/article/2015/11/26/us-mideast-crisis-syria-strikes-idUSKBN0TF1RQ20151126

18http://www.todayszaman.com/national_soldier-killed-in-rocket-attack-in-derik-as-curfew-enters-5th-day_405689.html

19http://www.politico.com/story/2013/06/syria-no-fly-zone-092766

20http://www.debka.com/article/25048/Russian-S-400-missiles-turn-most-of-Syria-into-no-fly-zone-halt-US-air-strikes-

21http://www.express.co.uk/news/world/610286/China-preparing-to-team-up-with-Russia-in-Syria-Boost-for-Putin-in-battle-against-ISIS

22http://www.channel4.com/news/assad-us-led-airstrikes-in-syria-are-counter-productive

23http://www.agi.it/estero/notizie/isis_gelo_usa_iraq_baghdad_collaboriamo_con_russia_iran_siria-201509270319-est-rt10007

22 Risposte a “Gli attentati del 13/11 e la predisposizione della scacchiera”

  1. come al solito ottimo articolo , grande il dezza, analisi chiara …. più chiara di così (si muore?)

  2. Una precisazione sulla Cina: la partecipazione della flotta o comunque dell’esercito cinese al conflitto siriano non è verificata. La notizia era stata data dapprima da un sito israeliano (Debkafile) tenuto da due giornalisti in pensione e attendibile più o meno come il Chosun Ilbo (il giornale sud coreano che diffonde notizie su Kim Jong-un inventate di sana pianta, che però tutti i nostri quotidiani riportano). Poi la notizia si è diffusa ed è stata ribadita da alcuni giornalisti e da politici. Però la portaerei cinese in questione è ormeggiata in porto, ancora in fase di allestimento. Inoltre la dottrina militare cinese si ispira al principio della guerra come ultima risorsa, restando preferibile, da Sun Tzu in poi, la vittoria senza combattimento. Di conseguenza la Cina si attiene a una prudente difesa territoriale e interviene rispettando il diritto internazionale e nell’ambito di mandati delle Nazioni unite. Come con i pattugliamenti anti pirateria (in realtà probabilmente a protezione dei propri mercantili) nel Golfo di Aden o le operazioni di peacekeeping in Africa (dove ha interessi commerciali). Ma tanto in Asia quanto in Africa la Cina si è lasciata sfilare contratti e affari relativi a risorse energetiche e grandi opere, reagendo unicamente con il riorientamento altrove dei propri investimenti.

    E’ ipotizzabile che la Cina partecipi a interventi militari in contesti come il contenimento dei terroristi separatisti dello Xinjiang. Oppure per la difesa del tracciato della nuova via della seta in Asia centrale, se nell’ambito di una missione multilaterale sotto l’egida ONU. In Iraq è sicuramente interessata a proteggere gli investimenti della Sinopec e della CNOOC e quindi ad allineare in qualche modo la sua strategia con quella del coordinamento militare di Russia, Iraq, Iran, Siria. Ma senza intervenire e senza scontrarsi militarmente con lo stato turco, che è tra l’altro partner nello sfruttamento del giacimento di Maysan.

    L’interesse cinese in Siria e in tutto il medio oriente è quello di poter partecipare allo sfruttamento dei giacimenti energetici, alla costruzione delle infrastrutture, al commercio. Conseguentemente, l’interesse a navigare in un Mediterraneo tranquillo. E’ una vocazione alla stabilità, opposta alla strategia della destabilizzazione e della disgregazione. Ma da raggiungere attraverso la strada negoziale e diplomatica, non con l’intervento militare attivo.
    La Cina è fiorita attraverso i commerci, è decaduta dopo le guerre: questo per i cinesi resta un insegnamento chiaro.

    1. La guerra si fa in due: dipende anche dalle scelte del tuo avversario, non solo dalle tue.

  3. una preghiera, Dezzani.
    la Storia ha bisogno di documenti. hai già diversi back-up degli articoli colle note (HD, DVD, ecc.) e soprattutto hard-copies su carta buona e stoccata in siti diversi? (in attesa della raccolta rilegata, obviously)

    1. Anch’io ci ho pensato. Entro la fine dell’anno farò un ebook con gli articoli del 2015.

  4. La mia domanda per il sig. Dezzani, che spero mi aiuti a comprendere meglio tutto l’insieme, é:
    Non è possibile pensare che anche lo “schieramento” della Russia e chi la segue, faccia parte di questo teatrino?
    I media le cose veramente importanti le hanno sempre tenute nascoste, e per nascoste intendo che non le hanno neanche accennate, perché quindi dare visibilità alla Russia?
    Se fosse veramente importante l’abbattimento di un sukhoi oppure il bombardamento delle botti turche, di sicuro noi non ne sapremmo niente. Tutto ciò mi porta a pensare che questo gioco sia ancora più grande di quello che chi crede di saper giocare creda.

    1. A volte anch’io mi balocco con il secondo, terzo, quarto livello: ma poi torno al primo. Roma ha distrutto Cartagine, i barbari hanno distrutto Roma, e così via. La storia scorre ed è sempre uno scontro tra classi dominanti che si contendono il potere.

  5. Gentile Dezzani
    Poniamo che verso Marzo la guerra sia finita o quasi, che non vi siano stati incidenti fra le forze della coalizione – dovute ad una assoluta prudenza russa – , poniamo che la Turchia si sia logorata in scontri di confine con i curdi, che la situazione economica turca sia peggiorata, e che la Russia abbia consolidato il suo controllo dal mediterraneo al Golfo Persico. Che i russi abbiano fatto ben comprendere ad Israele di costiture la garanzia migliore per loro.
    Torno alla questione. Riesce ad immaginare paesi liquidi, socialmente colassati, entrare in guerra contro la Federazione Russa ed i suoi solidi alleati, per giunta da una posizione di sostanziale aggressione?
    Noti che Putin è ampiamento stimato in Occidente, l’espressione “meno male che c’è Putin” è frequente. Il nostro “pacifismo”, coltivato dalle elite , la vita ancora agiata, l’abitudine consumistica…non consentono nemmeno di concepire una guerra che coinvolga la popolazione.
    Ormai la la stampa è costretta a riferire pur senza fornire i nessi causali quello che accade. L’Occidente è marcio e le sue istituzioni sono in rapida delegittimazione.
    Al primo confronto, inizieranno i distinguo delle elite europee.

    1. Sono convinto anch’io che cominceranno subito i distinguo e molte teste cadranno. Dal 2011 ad oggi stiamo vivendo però un crescendo di tensione: dubito che la curva inverta improvvisamente rotta. Lo scontro è altamente probabile: come scriveva Lucia Annunziata dopo Charlie Hebdo, “prepararsi alla terza guerra mondiale”.

    2. L’innesco della crisi – se mai ci sarà – non potrà che essere la Turchia, troppo invischiata ma ancora protetta dai media.
      Tuttavia il suo ruolo inizia ad evidenziarsi.
      Noti che ad una relativa distanza dal confine siro-turco si trova la base Nato di Incirlik. Flussi costanti di rifornimenti da anni scendono dall’Anatolia alla Siria. I Russi stanno tagliando i rifornimenti turchi e le operazioni dei regolari siriani sono orientate alla chiusura del confine ed alla creazione di una grande “calderone”.
      Il fatto che Incirlik sia a poca distanza, costituirà un ulteriore discredito.
      Ma le insidie e le provocazioni saranno tantissime, ma sempre meno sostenibili e sempre più evidenti nel loro obbiettivo di fondo.
      saluti

  6. “Che i russi abbiano fatto ben comprendere ad Israele di costituire la garanzia migliore per loro.”

    Questo credo sia già avvenuto da qualche mese… Non ci saranno aerei israeliani tirati giù dagli S-400.

    1. Concordo, è più probabile che Tel Aviv mandi a farsi abbattere un aereo americano o francese: è più nel loro stile. Tirare i fili e restare nell’ombra.

      1. Io penso, ma è mia fantasia, che gli israeliani abbiano avuto dai russi le garanzie che non gli hanno dato gli USA: ovvero, il Golan a cose fatte. In cambio, la Russia ha chiesto la non interferenza sui bombardamenti all’Isis, sul futuro governo siriano (con o senza Assad), e sul mantenimento delle basi russe in Siria.
        D’altronde si vocifera anche di una segreta collaborazione Israele-Iran già in corso, in questa faccenda della guerra all’Isis. Il silenzio di Israele, insomma, è dovuto al fatto che sta giocando sull’altro tavolo?

        1. Le alture del Golan ad Israele? Una collaborazione tra Tel Aviv e Teheran? Mah….mi sa che guardi un po’ troppo Ballarò…
          Ti è sfuggito che qualche settimana fa, hanno pescato gli israeliani con la mano nella marmellata: in una sacca di tagliagole dell’ISIS, le forze di sicurezza irachene hanno arrestato un colonnello della brigata Golani:
          http://en.farsnews.com/newstext.aspx?nn=13940730000210

          La carneficina in MO e le pulizie etniche degli ultimi anni servono innanzitutto a privare Israele di ogni minaccia strategica: con Siria, Egitto ed Iraq in fiamme, Israele deve solo reprimere i palestinesi con ordinarie operazioni di polizia.

  7. ragazzi come dice la utente su , la partita di gioca li al confine… se davvero gli chiudono il confine tagliando i rifornimenti si chiude il “gioco”…. la nato si arrende così? ho letto impressione che possa succedere qualcosa di grave molto grave nei giorni prossimi … spero di sbagliarmi

    1. La mia impressione è questa. La Nato e tutta l’elite atlantica è furiosa e vorrebbe agire…ma non si tratta di una guerra coloniale. . gestibile dall’alto in zone remote.
      Le elite sanno che non possono farlo e non possono farlo perchè il sistema neoliberale imposto da quelle stesse elite ha “suicidato” la società rendendola fragile individualista ed inidoea. Materiale umano inutilizzabile.
      Ha i mezzi tecnici (fino ad un certo punto) ma non le risorse umane.
      rdk

      1. Anche la Francia di Napoleone III era un paese cotto, eppure si andò cmq a schiantare contro i prussiani nel 1870. Nessun ha il lume di dire: è finita, ridimensiono gli obbiettivi e divido la torta con un l’altro. Sono due i pilatri su cui reggono gli USA: la finanza ed il complesso militare-industriale. Entrambi vogliono la guerra.

  8. Buongiorno sig. Dezzani, come vede la situazine economica della Russia? Secondo lei può davvero permettersi di perdere i suoi clienti di energia all’ovest? E con cosa potrà sostituire queste entrate?

    1. Sebbene il 75% della popolazione sia concentrata nella Russia Europea, Mosca può grazie alla sua geografia giocare su due tavoli: Europa ed Asia. Appena gli occidentali hanno chiuso la porta, lei ha allacciato rapporti energetici con Cina e Giappone, due mercati in grado di sostituire nel medio termine le vendite europee di gas e petrolio. E’ poi in atto una diversificazione dell’economia per arrivare in breve tempo all’autosufficienza alimentare.
      I russi comunque non badano a spese al momento: nonostante la crisi, il 70% delle forze armate sarà rinnovato entro il 2020.

  9. sembra che i Kurdi stanno insaccando Daesh al Qaeda isis isil sissy al mubarak allahua sneckbar. .. lol … con l appoggio dei russi e i suoi s400

  10. Buonasera signor Dezzani ,
    il m5s sembra aver preso posizione contro la politica u.s.a e sia grillo che di battista hanno parlato ad Imola di rivedere la nostra appartenenza alla nato. Manlio Di Stefano dice che il vendere armi all’ Arabia Saudita è illegale ecc….
    Fino a che punto m5s sta bleffando e per quanto ancora riuscirà a farlo ?

    1. Fin che sono all’opposizione possono dire ciò che vogliono: parlare non costa nulla. Li vedremo al governo: mi sembra che l’establishment stia preparando il terreno per un governo di grillini, dato l’affanno sempre più evidente di Renzi. Di Maio premier sarebbe un’esperienza simile a Tsipras, zero al quadrato.

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