Libia: il cavallo dell’Italia ha il fiato corto

Tutti i nodi vengono prima o poi al pettine, soprattutto in un contesto competitivo e spietato come la conquista/difesa delle zone di influenza: nella tarda estate 2018, è ormai evidente che l’Italia è destinata a perdere la partita libica, avendo scommesso tutto il proprio capitale politico sul cavallo sbagliato, l’effimero “governo d’unità nazionale” di Faiez Al-Serraj. Roma paga così a carissimo prezzo la propria subalternità a Londra e Washington, iniziata con l’avallo all’operazione Odissey Dawn e proseguito tragicamente con l’abbandono del generale Khalifa Haftar in favore dell’esecutivo patrocinato da ONU e Stati Uniti. Parigi, fedele alla sua secolare politica estera indipendente in Nord Africa, ha mantenuto invece saldi rapporti con il Cairo e Tobruk, finendo col collocarsi a fianco di Mosca nella partita libica: la vittoria francese è ormai inevitabile. Le competenze dell’ENI saranno l’unico strumento per riaffacciarsi alla “Quarta Sponda”.

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum

“Sbagliare è umano, perseverare è diabolico”: un motto di origine latina che si addice perfettamente all’infausta politica italiana in Libia. Subappaltando la propria strategia agli angloamericani, Roma ha inanellato una drammatica serie di errori che, nella tarda estate 2018, è ormai evidente che culmineranno con una sconfitta politico-diplomatica senza precedenti ed il nostro ulteriore ridimensionamento nel Mediterraneo. Si tratta di una debacle che, da un lato, ci intristisce, dall’altro procura la soddisfazione tipica del “noi l’avevamo detto”. Con i nostri articoli che si sono succeduti negli ultimi tre-quattro anni, più volte, infatti, abbiamo messo in guardia dai pericoli della strategia adottata dall’Italia nella sua ex-colonia, evidenziando in particolare come l’esecutivo di Faiez Al-Serraj fosse un esperimento destinato a terminare nel più tragico dei modi: probabilmente una parte importante dei vertici politici-militari italiani la pensavano come noi, ma nel momento in cui ci si lega mani e piedi a potenze straniere (Stati Uniti e Gran Bretagna) si segue inevitabilmente il loro triste destino.

L’Italia, complice l’intrinseca debolezza del proprio primo ministro (Silvio Berlusconi, suscettibile di mille e uno ricatti a sfondo sessuale) e delle proprie finanze (l’euro rese possibile portarci nel 2011 ad un passo del default), si vide costretta sette anni fa a “scaricare” il colonnello Muammur Gheddafi, sebbene questo colorito personaggio fosse il miglior garante dei nostri interessi in Libia sin dal colpo di Stato del 1969. Errore, ma umano. Rovesciato il rais, il Paese, come facilmente prevedibile, sprofonda nel caos, a causa dei dissidi tra tribù e dell’altissima concentrazione di estremisti sunniti: a molti (USA e GB) fa poi comodo trasformare la Libia in “una terra di nessuno”, da cui sia possibile lanciare attacchi destabilizzanti verso i Paesi vicini (Algeria, Tunisia ed Egitto in primis). Una Libia balcanizzata, inoltre, fa comodo a coloro che vogliono spalancare le porte della “via mediterranea” per sommergere di clandestini l’Europa continentale, con chiari intenti sovversivi. In questo magma di guerriglia, estremismi e traffici illeciti, emerge la figura del generale Khalifa Haftar, che si proclama protettore del legittimo governo laico-nazionalista costretto a riparare a Tobruk nel 2014, dopo che USA, GB, Turchia e Qatar hanno orchestrato un golpe islamista nella capitale. L’Italia, come la Francia, intrattiene in questa fase ottimi rapporti con Haftar, fornendogli assistenza in materia di servizi d’informazione.

Se tutto fosse rimasto così com’era, oggi l’Italia sarebbe sul carro dei vincitori e, pur non godendo dei privilegi dell’era Gheddafi (si ricordi che il nostro Paese era riuscito addirittura ad ottenere le commesse per la costruzione di autostrade e linee ferroviarie ad alta velocità), sarebbe però sicura di aver decorosamente protetto i propri interessi. E invece, no!

Si persevera nella tragica strategia di appiattirsi agli angloamericani e si entra nel “diabolico”. Anziché rimanere fedeli al generale Haftar che, forte del supporto di Egitto e Russia, consolida un po’ alla volta il proprio controllo sulla Cirenaica (dove, peraltro è concentrato il grosso della produzione petrolifera libica) per poi “riconquistare” la Tripolitania, il governo di Matteo Renzi si colloca sulla scia degli angloamericani che, con gli accordi di Skhirat del dicembre 2015, creano un “governo d’unità nazionale” benedetto dall’ONU e presieduto dall’effimero Faiez Al-Serraj. Si tratta di un “maquillage politico”, in quanto il governo d’unità nazionale è semplicemente “calato” sulla giunta islamista che controlla Tripoli, senza disporre di nessuna forza reale (e la forza, in molti contesti, non è molto, ma tutto). Si noti che a separare l’Italia da Haftar contribuisce anche l’omicidio Regeni che, perpetrato dai servizi britannici, si prefigge proprio l’obiettivo di interrompere l’affiatamento italo-egiziano. Il vero scopo dell’esecutivo di Faiez Al-Serraj è negare la legittimità (e, di conseguenza, gli aiuti militari e politici) al governo laico-nazionalista di Tobruk che, in origine, era l’organo rappresentativo legittimo. Agli angloamericani, infatti, non piace l’Esercito Nazionale Libico di Haftar (sostenuto da Egitto, Russia ed Emirati Arabi Uniti), ma la Fratellanza Mussulmana che sguazza nel caos della Tripolitania.

Se l’Italia si condanna ad una severa sconfitta, la Francia, che dall’Ottocento conduce una propria politica estera autonoma in Nord Africa, è molto più astuta: sostegno formale a Faiz Al-Serraj, ma appoggio sostanziale a Khalifa Haftar. Nella partita libica, perciò, Parigi si colloca a fianco di Mosca e del Cairo, in contrapposizione a Londra e Washington: questa divergenza tra “alleati” della NATO è causa di una serie di “incidenti”, come l’abbattimento del volo Egyptair 804 e dell’elicottero delle forze speciali transalpine1. Certo, la Francia incassa qualche colpo, ma è sicura, presto o tardi, di vincere la partita. È solo questione di tempo, infatti, perché l’esecutivo di Faiz al-Serraj si sfaldi, lasciando campo libero all’Esercito Nazionale Libico di Haftar, che appare come l’unica forza in grado di ristabilire l’ordine nel Paese.

Nei tre anni scarsi di “governo d’unità nazionale”, i disordini a Tripoli sono stati la normalità: senza poter contare su truppe fedeli, Faiez Al-Serraj si è semplicemente affidato alle milizie islamiste che controllano Tripoli, talvolta in buone rapporti talvolta in guerra aperta. I disordini sono riesplosi nell’ultima settimana, quando la sedicente “Settima Brigata” ha deciso di ritagliarsi una fetta di potere più larga di quella riconosciutale sino a quel momento: la guerriglia urbana ha prodotto circa cinquanta vittime in una settimana, obbligando persino il premier Faiez Al-Serraj ad invocare il soccorso italiano (e ci è mancato poco perché il governo glielo concedesse!). Qualsiasi sia l’esito del regolamento di conti a Tripoli, è ormai evidente che il “governo d’unità nazionale” è arrivato al capolinea e che l’autorità del premier Al-Serraj è ormai nulla. Chi si frega le mani è invece il capo delle forze armate di Tobruk, il generale Haftar, perché è chiaro che il suo esercito sia l’unico strumento con cui è possibile porre fine all’endemica guerriglia che affligge la Libia sin dal 2011.

Controllando i terminal petroliferi della Cirenaica e disponendo di pesanti alleanza internazionali (Russia, Egitto, Francia ed Emirati Arabi), Haftar sarà libero di lanciare al momento opportuno la propria campagna su Tripoli (già più volte annunciata in passato), lasciando gli italiani (e gli angloamericani) con un pugno di mosche in mano. Di fronte a questa “Caporetto nordafricana”, la povera Italia non trova di meglio che rifugiarsi, come ai tempi di Francesco Crispi, nella francofobia aizzata dagli angloamericani, dimenticando che l’esito tragico della sua scommessa libica è frutto delle proprie scelte, o meglio ancora, dell’appiattimento totale alla politica estera di Washington e Londra.

Soluzioni? Dato per scontato che l’attuale “governo del cambiamento” non si discosterà di un millimetro dalla direzione indicata dall’ambasciata di via Vittorio Veneto, l’unica via per rientrare in Libia sarà come sempre la “politica parallela” dell’ENI, in grado, grazie alle proprie competenze e relazioni, di mettere una pezza alla disastrosa politica mediorientale dei nostri governi. E non è certo un caso se l’impresa di San Donato Milanese sia spesso e volentieri nel mirino del “britannico” Movimento 5 Stelle.

 

P.S. Dopo mesi di duro lavoro e approfondite ricerche, finalmente nel corso dell’autunno sarà dato alle stampe il nostro capolavoro: “Terra contro Mare: dalla rivoluzione inglese a quella russa”.

1https://www.theguardian.com/world/2016/jul/20/three-french-special-forces-soldiers-die-in-libya-helicopter-crash

18 Risposte a “Libia: il cavallo dell’Italia ha il fiato corto”

  1. Gradito ritorno di Federico dopo meritato riposo.
    A pelle ovviamente mi è sempre stato più simpatico il generale Haftar che il casino scombinato creato ad hoc.
    Sono sicuro che la doppia presenza in Libia dell’Italia, come da migliore tradizione, ci farà ridurre i danni.
    Intanto i direttori di false promesse a salvaguardia di interessi personali e burocrati di partito assecondatori opportunatamente mascherati e amanti di rendite a vita con i soldi degli altri sono esentati dal pagare dazio.
    Il tradimento degli interessi nazionale è talmente palese da risultare quasi normale da circa 40 anni.
    Bella la vita in Italia!

  2. Macron nello scacchiere libico quindi si avvicina ai russi allontanandosi dagli anglo-americani. In Siria pare invece fare l’opposto, secondo Sputnik alcuni giorni fa ha nuovamente minacciato di bombardare le truppe di Assad se verra’ messo in scena un altro attacco chimico. Chissa’ se questa ambiguita’ portera’ o meno gli sperati risultati. Mi associo anch’io ad augurare il bentornato al nostro analista geopolitico preferito, aspetto con impazienza di leggere la sua ultima fatica.

  3. Bentornato Dezzani , io vorrei la sua opinione invece sul Donbass. Un amico che si occupa di Russia da oltre 20 anni per ragioni umanitarie ,ieri mi diceva per l’ ennesima volta che la Russia non interverrà mai militarmene in Donbass e nemmeno riconoscerà le due repubbliche separatiste.

  4. Analisi ineccepibile. Sette anni di errori geopolitici non si recuperano certo intervenendo a difesa di un burattino abbandonato anche dal suo padrone .
    Dalla libia siamo fuori e ormai a questo governo non resta che :
    1)appoggiare la politica parallela de l’ ENI ( che di sicuro sa meglio farla dei tronfi raccomandati della Farnesina )
    2) contrastare in tutti i modi l’ arrivo di altri coloni afroislamici in “conto soros” . Almeno questo lo si potrà fare ?

  5. Lessi Materialismo ed empirocriticismo poco dopo che Ulianov reduce da Berlino me ne fece avere una copia. Gli dissi che già il titolo ne segnava la vecchiaia. La terra e il mare, invece, la pone sul livello del suo predecessore autore degli stupendi Annales. Lì siete in pochi nella storia delle genti.

  6. Bentornato, Dezzani e finalmente un tuo libro alle stampe!

    Grazie ancora per le accurate, profonde, stupende analisi di geopolitica (ahimè per l’interesse nazionale italiano, quasi infallibilmente predittive).

  7. La speranza è che il gasometro di Vienna fu fatto saltare non solo per l’impegno Eni in Egitto ma anche per una taciuta alleanza con Haftar.
    Non sarebbe la prima volta che l’Italia opera in silenzio assoluto con i suoi servizi ed Eni senza contare la politica del governo.
    Ma sapendo che l’ambasciatore di Libia è stato recentemente e malamente cacciato, credo non ci sia molta speranza.

  8. Bentornato Dezzani, bella vacanza al sole di Troia…. 🙂
    Buona l’analisi, ma Haftar, non era quello che viveva negli States?

    Saluti

  9. L oligarchia che controlla la moneta e la finanza e molto furba.
    Si può fare la guerra al popolo:direttamente o indirettamente.
    Tra i metodi indiretti l italia ne sa qualcosa.
    L intelligenza dei signori sta nell aver utilizzato due capisaldi del popolo oppresso.
    La chiesa è la sinistra.
    Alla fine verranno esautorate del poco Di credibilità che ancora avevano.
    La sinistra si infrange nei diritti individuali dimenticando quelli sociali e del lavoro.
    La chiesa ancora peggio.
    Le guerre si fanno anche ai danni del propio popolo. In silenzio con la scusa dei diritti umani.
    Intelligenti paura.
    Trenta denari…La storia è semore quella….
    Resta sempre la solita storia…nascondersi il tutto dietro l ipocrisia….perbenista necessaria a camuffare i piani elitario contro i popoli…
    Ipocrisia necessaria a riavviare sempre lo stesso sistema capitalistico e finzia Rio sistema di accumulazione di potere e controllo.

    Molto furbi.
    Il popolo portatore di interessi diversi….abbocca.

    Distinti saluti.

    Crolla la civiltà in nome della moneta falsa.

  10. Innanzitutto bentornato Federico. Non vedevo l’ora di leggere un nuovo Samizdat, dopo aveerti continuato a seguire su Twitter tutto questo tempo, come non vedo l’ora di leggere il tuo libro. Sulla Libia quello che sarebbe successo era prevedibile e non v’è dubbio che Haftar la riunificherà entro la fine dell’anno. In merito mi pare interessante segnalare quest’articolo http://www.opinione-pubblica.com/la-mano-della-francia-ma-non-solo-tra-tripoli-e-haftar-e-davvero-arrivata-la-resa-dei-conti-finale/. Inoltre vorrei segnalare a Federico l’accoltelamento di Jair Bolsonaro, il Franz Joseph Strauss brasiliano, che in un momento in cui Lula è apparentemente fuori gioco non fa che aumentarne la popolarità, in un momento in cui il Brasile è allo sbando. Forse è stato fatto tutto per portarlo al potere e riportare il paese nell’orbita americana… Da segnalare anche il vertice russo-turco-persiano sulla Siria, naturalmente. Auguri a Federico

  11. da quello che so, Haftar ha tradito il colonnello Katafi, e ora è diventato anti americano; può darsi che in seguito trombi anche Macron così da far rientrare l’Italia dalla finestra.
    apprezzo molto le sue analisi

  12. Devo ancóra iniziare a leggere l’articolo, ma mi sia consentito di esprimere la mia gioia per questo gradito ritorno. Siamo già orfani di RischioCalcolato e temevamo tutti di dover fare a meno per lungo tempo di questi sito.
    I migliori saluti

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