Movimenti in Libia: la Francia si riallinea agli USA, Haftar diventa “l’uomo di Mosca”

Il sistema internazionale, man mano che i rapporti si deteriorano, si polarizza tra blocchi opposti, cancellando i già ristretti margini di manovra delle cancellerie europee rispetto agli USA: velleità autonomistiche non sono più tollerate. È in quest’ottica che va letto il riposizionamento di Parigi che, dopo aver a lungo sostenuto il generale Khalifa Haftar, si è improvvisamente ravveduta, ritirando il proprio appoggio al governo di Tobruk e convergendo verso il governo d’unità nazionale patrocinato dagli americani. Ad Haftar non è rimasta altra scelta che cercare la sponda russa, seguendo il percorso già sperimentato dagli egiziani: con la conquista dei pozzi petroliferi l’ex-ufficiale di Gheddafi ha messo un’ipoteca sul controllo della Libia. Le presidenziali USA decideranno gli sviluppi.

Intese che si frantumano e fronti che si ricompattano

L’ora d’aria è finita: le velleità autonomistiche, gli ammiccamenti agli avversari, il gioco su due tavoli, i piccoli sotterfugi per curare i propri interessi, non sono più tollerati. Soffia forte il vento della nuova Guerra Fredda (che a differenza della precedente, ha alte probabilità di diventare più calda che mai) e agli “alleati” non sono più concesse ambiguità: è tempo di rientrare nelle file ed adeguarsi alla linea della potenza dominante: Washington e NATO da una parte, Russia ed alleati dall’altra. Chi ha sinora tenuto posizioni ambigue, è costretto a ritornare in fretta verso lo schieramento d’appartenenza.

È questo il caso della Francia, da sempre abituata a ritagliarsi uno spazio all’interno del blocco atlantico per coltivare i propri affari: ora vendendo tecnologia nucleare a Saddam Hussein (nel raid israeliano del 1981 contro il reattore nucleare iracheno Osirak morì un tecnico francese), ora ricorrendo al colosso petrolifero Total per affari non troppo cristallini con l’Iraq sotto embargo, ora cercando un rapporto privilegiato con Mosca, così da compensare la posizione dominante assunta in Europa da Berlino con la benedizione degli USA (finché la rigidità fiscale teutonica non ha guastato i rapporti tra Washington e Berlino). Come non ricordare la vicenda di Christophe de Margerie, l’amministratore delegato di Total, “amico di Putin” e strenuo oppositore delle sanzioni economiche alla Russia, morto nell’ottobre 2014 in un misterioso incidente aereo a Mosca, appena dopo essersi incontrato con il premier Dmitri Medvedev? Una morte che ricorda quella di Enrico Mattei, anche lui un buon compratore di petrolio e metano russo.

Anche l’approccio della Francia verso la Primavera Araba ed i cambi di regime in Medio Oriente rivela la sua ambiguità di fondo. Parigi coltivava da tempo ottimi rapporti con i presidenti e gli “uomini forti” del Medio Oriente: Nicolas Sarkozy durante la campagna elettorale del 2007 immaginava la creazione “dell’Union méditerranéenne” insieme al presidente tunisino Ben Ali e, una volta entrato all’Eliseo, non disdegnò né la presenza di Bashar Assad alla parata militare del 14 luglio né che il Colonnello Gheddafi piazzasse le sue folcloristiche tende nel cuore di Parigi.

Il 2009, l’anno dell’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, coincide con l’avvio della pianificazione di quelle rivoluzioni colorate che, a distanza di 24 mesi, avrebbero sconquassato i Paesi mediorientali e portato alla ribalta l’islam politico: come afferma l’ex-ministro degli esteri francese, Roland Dumas, i servizi segreti inglesi cominciano a progettare la defenestrazione di Bashar Assad proprio in quell’anno1. La strategia degli angloamericani è chiara: ritirarsi dalla regione, lasciandosi dietro di sé terra bruciata e fomentando lo scontro tra sciiti e sunniti.

La Francia, capito il gioco, si adegua velocemente, cercando di massimizzare il proprio tornaconto all’interno di questa strategia: i vecchi amici sono abbandonati al loro destino, mentre si cerca di rafforzare le posizioni francesi dove Parigi è storicamente più debole e di incamerare petrodollari vendendo armi alle monarchie sunnite, sempre più assorbite dalla guerra contro Assad ed i suoi alleati sciiti.

Una delle molte mail di Hillary Clinton rese pubbliche, datata aprile 2011, esplicita quali fossero gli interessi particolari della Francia nel rovesciare Ghedaffi2:

a. A desire to gain a greater share of Libya oil production,

b.Increase French influence in North Africa,

c. Improve his intemai political situation in France,

d. Provide the French military with an opportunity to reassert its position in the world,

e. Address the concern of his advisors over Qaddafi’s long term plans to supplant France as the dominant power in Francophone Africa.

Mentre quindi Washington e Londra progettano di trasformare la Libia in un sicuro retroterra per la destabilizzazione del Nord Africa (Egitto, Tunisia ed Algeria) e del Levante (vedi i traffici d’armi tra la Libia e la Siria benedetti dalla CIA e dai servizi turchi), l’ingenuo Nicolas Sarkozy si lascia coinvolgere nell’operazione, allettato da improbabili glorie militari e da più concreti sogni di ricchezza: seguiranno nel settembre 2011 la sfilata di Nicolas Sarkozy e David Cameron a Tripoli, e l’uccisione del Colonnello Gheddafi per mano francese, così da insabbiare la vicenda dei finanziamenti illeciti elargiti dal rais a Sarkozy per la campagna elettorale del 2007. Né Sarkozy sarà però riconfermato all’Eliseo, né la Total trarrà particolari benefici dall’avventura (l’estrazione sulla terraferma è ferma dal 2014).

La strategia angloamericana di rovesciare gli storici presidenti arabi, sprigionare l’islam politico e fomentare lo scontro tra sciiti e sunniti, è motivo di profondo turbamento per l’Arabia Saudita: come monarchia ereditaria non può che disprezzare il dinamismo rivoluzionario delle rivoluzioni colorate, come Stato tribale è spaventato dalla Fratellanza Mussulmana e dalla sua natura di partito universale, come gigante dai piedi d’argilla è intimorito dal disimpegno militare statunitense. La cacciata di Ben Ali e di Hosni Mubarack sono vissute come un vero affronto da Riad.

A Parigi sono veloci a cogliere l’opportunità: non potrebbe la Francia subentrare agli Stati Uniti come potenza protettrice della fragile monarchia saudita? Il 2013, dopo che Barack Obama si è rifiutato di bombardare Damasco sull’onda “dell’impiego delle armi chimiche”, segna il nascere dell’intesa fra francesi e sauditi: “Feeling US snub, Saudi Arabia looks to Francescrive la stampa israeliana nel dicembre di quell’anno3.

Nell’estate del 2013 i sauditi appoggiano e, soprattutto, finanziano il colpo di Stato con cui il generale Abd Al-Sisi rovescia il governo dell’odiata Fratellanza Mussulmana: in virtù della relazione transitiva, la Francia, amica dell’Arabia Saudita, diventa così una convinta sostenitrice del presidente egiziano Al-Sisi. Sono i petrodollari sauditi che consentono al Cairo di comprare le due Mistral francesi4 ed i 24 Rafale per l’ammodernamento dell’aviazione egiziana.

La sintonia tra Parigi ed il Cairo non tarda ad avere ripercussioni generalizzate: quando nell’estate del 2014 gli angloamericani ed i maggiori sponsor regionali della Fratellanza Mussulmana (Turchia e Qatar) appoggiano il golpe islamista con cui la formazione “Alba della Libia” si impadronisce di Tripoli, la Francia si trova automaticamente schierata a fianco del governo laico che ha riparato a Tobruk ed è patrocinato dall’Egitto. Il presidente egiziano Al-Sisi punta in particolar modo sull’ex-ufficiale gheddafiano Khalifa Haftar per soffocare l’avanzata delle forze islamiste; i francesi, di conseguenza, si adeguano alla linea: reparti speciali transalpini sono dislocati nella base aerea di Benina, assistendo militarmente Haftar nella riconquista di Bengasi6.

Il fossato tra angloamericani e francesi, quindi, si allarga: gli uni vedrebbero di buon occhio la caduta di Al-Sisi ed il precipitare dell’Egitto nel caos, gli altri ci fanno affari, i primi lavorano per la legittimazione del governo islamista di Tripoli, riverniciato come “governo d’unità nazionale”, i secondi sono schierati a fianco dell’esecutivo nazionalista riparato a Tobruk, riconosciuto da alcune potenze, tra cui la Russia, come l’unico legittimo.

Già la Russia: la vicinanza di Parigi al generale Haftar ed al presidente Al-Sisi, ha l’effetto collaterale, tutt’altro che trascurabile di questi tempi, di trascinare la Francia nello schieramento di Mosca. È alla Russia, infatti, che guardano sia l’Egitto che il governo di Tobruk per fronteggiare la strategia destabilizzante degli angloamericani (in questi giorni circola l’indiscrezione di una riapertura della storica base navale russa di Sidi Barrani sulla costa egiziana): si arriva così al paradosso che Parigi, schierata a fianco degli angloamericani in Siria, milita tra le file russe in Libia.

Se simili ambiguità erano concesse in periodi di relativa bonaccia internazionale, non lo sono di certo in un contesto sempre più polarizzato tra Washington e Mosca: già leggemmo nel disastro aereo dello scorso 19 maggio, quando un volo della compagnia aera Egyptair decollato da Parigi si inabissò appena entrato nello spazio aereo egiziano7, un inequivocabile avvertimento atlantico diretto alla Francia, affinché sciogliesse l’alleanza con Al-Sisi ed Haftar. Gli sviluppi della vicenda non hanno fatto altro che corroborare i nostri sospetti: c’è la certezza che a bordo fosse scoppiato un incendio nella zone delle toilette posteriori, ma, come riporta Repubblica nell’articolo “Aereo Egyptair, un altro mistero: scatole nere non hanno registrato ultimi minuti di volo”, le scatole nere non hanno tenuto memoria degli ultimi istanti di volo, quelli decisivi, grazie cui si sarebbe potuto chiarire le effettive cause dello schianto. “Non è praticamente mai accaduto negli incidenti aerei di avere un bianco nelle scatole nere che resistono a qualsiasi urto.”8 

Al disastro del volo aereo Egyptair ne segue, a distanza di due mesi, un secondo: il 17 luglio un elicottero francese in volo sopra Bengasi è abbattuto da miliziani islamisti, probabilmente grazie agli stessi razzi forniti dagli angloamericani all’insurrezione siriana. Nello schianto muoiono tre sottufficiali della DGSE9, i servizi segreti transalpini, e la tragedia è prontamente utilizzata dal premier Faiez Al-Serraj, il fantoccio installato da Washington alla guida del governo d’unità nazionale, per stigmatizzare il sostegno francese ad Haftar ed al governo di Tobruk. Scrive un’agenzia Agi:

Il governo di unita’ nazionali libico del premier Fayez al Serraj ha denunciato come una palese “violazione ” della propria sovranità la presenza di truppe francesi nel Paese. Il riferimento e’ ai tre sottufficiali francesi morti in Libia nello schianto di un elicottero durante una “missione ufficiale”.

Prontamente sono anche organizzate a Tripoli ed a Misurata, le due roccaforti islamiste sotto l’egida degli angloamericani, manifestazioni contro la Francia e l’ingerenza di Parigi negli affari libici: Libye: manifestations contre la présence militaire française” scrive Le Figaro il 20 luglio. Sono, detto incidentalmente, gli stessi giorni in cui l’amministrazione Obama prepara i raid aerei su Sirte, così da debellare quello stesso ISIS inoculato da Washington e puntellare il debole Faiez Al-Serraj.

Dopo l’abbattimento di un Airbus 320 e di un elicottero militare, Parigi ha capito l’antifona?

Si direbbe di sì, perché ai primi di agosto Parigi ritira gli uomini ed i mezzi schierati in Cirenaica a sostegno del generale Khalifa Haftar. Il sito dell’agenzia statale turca Anadolu scrive nell’articolo “French special forces withdraw from Libya’s Benghazi”:

French special forces supporting operations led by forces loyal to Khalifa Haftar withdrew from the eastern Libyan city of Benghazi this week, military and security sources told Anadolu Agency. (…) The sources could not explain why the French troops had withdrawn but the move came after Muhammad Ammari, from the UN-back unity government in Tripoli, said in a press statement that the French had promised to halt their Benghazi operations after Tripoli complained about “blatant interference” to the French ambassador.”

Davvero Parigi ha ritirato le truppe in seguito ad una protesta dell’effimero governo di Tripoli? È più realistico che la pressione esercitata da Washington affinché abbandonasse Haftar fosse diventata insostenibile: in un contesto sempre più polarizzato, il doppio gioco della Francia, schierata fianco degli USA in Siria e contro gli interessi americani in Libia, non poteva continuare. Ognuno è costretto a tornare, volente o nolente, allo schiarimento d’appartenenza.

Se la Francia torna all’ovile, all’Egitto non resta rafforzare i rapporti con la Russia, anche al costo di attirarsi le ire dei sauditi. L’8 ottobre, quando il Consiglio di Sicurezza è chiamato ad esprimersi sulla risoluzione russa, che propone un cessate il fuoco in Siria con l’esclusione delle operazioni aeree in corso ad Aleppo, l’Egitto vota a favore, insieme a Cina e Venezuela. “Saudi: Egypt stance on Syria resolution ‘painful’” scrive l’agenzia saudita Alarabiya, sottolineando l’amarezza saudita e la crescente distanza tra i due Paesi, un tempo uniti dalla lotta alla Fratellanza Mussulmana. La triangolazione Parigi-il Cairo-Riad è così definitivamente evaporata, lasciando spazio ad un rinato asse Cairo-Mosca, già sperimentato ai tempi di Gamal Nasser.

Anche Khalifa Haftar trae le dovute conseguenze dal dileguarsi della Francia e dal crescente affiatamento tra Russia ed Egitto: a fine settembre l’inviato speciale del generale, incontrandosi a Mosca con il viceministro della Difesa russo Mikhail Bogdanov, rinnova la richiesta per l’invio di armi e avanza l’ipotesi di “un’operazione militare anti-islamista come quella in Siria”10. Si tratterebbe, in sostanza, di fornire al governo libico di Tobruk quell’indispensabile copertura aerea per coprire l’avanzata delle truppe locali, tattica già rivelatesi vincente in Siria.

Sia chiaro, non che Haftar faccia unicamente affidamento su terzi per consolidare la sua posizione. A metà settembre, infatti, ha assunto il pieno controllo dei terminal petroliferi nel golfo della Sirte, fino in quel momento in mano alle milizie: per la Libia, la cui produzione di greggio è crollata dai 1,6 mln di barili giornalieri ai tempi di Gheddafi sino ai 400.000 giornalieri, il rilancio dell’esportazione è fondamentale per gli acquisti sui mercati internazionali ed il fatto che “il bancomat” della Paese sia passato sotto il controllo di Haftar non fa rafforzarne il ruolo. La vicenda ha avuto un risvolto interessante, perché la prima petroliera ad aver attraccato ai terminal conquistati da Haftar è poi ripartita alla volta di Trieste11, segnale che, nonostante l’Italia sia stata strattonata verso il governo di Faiez Al-Serraj e gli angloamericani abbiano cercato di guastare in ogni modo i rapporti tra Roma ed il Cairo (vedi il caso Regeni e le ripercussioni che ha avuto sulla Libia), un qualche canale con il generale Haftar è rimasto aperto.

Quali sviluppi aspettarsi per la Libia?

Anche in questo caso, occorre aspettare l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi. Se vincesse Donald Trump, che ha espresso pubblicamente le sue simpatie per il presidente egiziano Al-Sisi, la strada per Haftar sarebbe in discesa: l’evanescente governo d’unità nazionale di Al-Serraj sarebbe liquidato e l’Esercito Nazionale Libico avrebbe accesso, dopo sei anni di embargo, a quelle armi indispensabili per eliminare la sacche islamiste e riunificare il Paese.

Se invece dovesse insediarsi alla Casa Bianca Hillary Clinton, fosche nubi nere si addenserebbero sia sull’Egitto sia sul governo di Tobruk, considerato il profondo legame che unisce la candita democratica alla Fratellanza Mussulmana. C’è però il concreto rischio, nel caso in cui la Clinton occupi lo studio ovale, che la politica estera americana sia totalmente assorbita da un braccio di ferro con Mosca, con alti rischi che la situazione degeneri in un’escalation militare: in tal caso, la Libia e l’Egitto diventerebbero il lato sud del quadrante mediterraneo, decisivo, come negli ultimi due conflitti mondiali, per le sorti della guerra.

 

clintone

 

1https://www.youtube.com/watch?v=HI23UkYl3Eo

2https://wikileaks.org/clinton-emails/emailid/6528

3http://www.timesofisrael.com/feeling-us-snub-saudi-arabia-looks-to-france/

4https://sputniknews.com/military/201509241027460211-saudi-arabia-egypt-mistrals-deal/

5http://www.middleeasteye.net/news/france-provides-first-weapons-lebanon-paid-saudi-arabia-1341300477

6http://www.huffingtonpost.it/2016/02/24/libia-commando-francesi-schierati-a-bengasi_n_9306914.html

7http://federicodezzani.altervista.org/volo-egyptair-regolamento-conti-ad-alta-quota/

8http://www.repubblica.it/esteri/2016/07/12/news/sciagura_aerea_egyptair_scatole_nere_non_registrano_gli_ultimi_minuti_del_volo-143899574/

9http://www.lemonde.fr/international/article/2016/07/20/trois-militaires-francais-tues-en-libye_4972142_3210.html

10http://www.askanews.it/top-10/fonti-russe-haftar-ha-chiesto-a-putin-intervento-militare-in-libia_711904714.htm

11http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-09-18/libya-clashes-halt-first-oil-cargo-from-ras-lanuf-since-2014

9 Risposte a “Movimenti in Libia: la Francia si riallinea agli USA, Haftar diventa “l’uomo di Mosca””

  1. Possiamo ricordare anche una seconda, non di poco conto,

    articolazione della lotta in corso per la spartizione delle

    risorse libiche.

    La prima è senz’altro quella energetica. Che per alcuni ha come

    obiettivo la sottrazione delle concessioni estrattive

    alle imprese concorrenti. Tra le quali l’ENI, che è una di quelle che rischia di più. Per altri l’obiettivo è, più semplicemente, quello di

    tenere l’offerta di idrocarburi a un livello quasi ininfluente sul mercato, così da poterne controllare meglio prezzi, oscillazioni e valuta imposta per i pagamenti.

    La seconda dimensione è invece quella relativa al bottino di guerra. Ovvero la contesa per l’appropriazione e la spartizione dell’enorme

    liquidità che la Libia aveva accumulato come provento dalla

    vendita di petrolio.
    Questo tesoro è conservato nella Central Bank of Libya (CBL) e in due fondi sovrani: il fondo LAFICO, storico, in parte svuotato per la costituzione del nuovo fondo LIA (Libyan Investment Authority), diventato uno dei dieci maggiori fondi pubblici al mondo.
    Banca centrale e fondi sovrani avrebbero attività all’estero per 100-200 miliardi di dollari (152 secondo dati FMI 2010). Soprattutto partecipazioni azionarie, in Citigroup Inc, Banco Santander, Allianz, Bnp Paribas, Société Générale, Credit Agricole, Hsbc, Barclays, Lloyd, Bank of New York Mellon, Chevron, Exxon Mobil, Électricité de France, Lagardère, Pearson (Financial Times, The Economist), Halliburton, Unicredit, Intesa Sanpaolo, FCA (Fiat) e Juventus, Leonardo (Finmeccanica), ENI, Mediobanca, Salini – Impregilo, Ansaldo.

    Il governo libico è l’unico proprietario della banca centrale e dei due fondi sovrani. Chi riuscirà a controllare il futuro governo libico potrà indirizzarne gli investimenti, in modo da estrarre tutto il valore possibile a proprio vantaggio; disporrà inoltre di una leva monetaria considerevole, utilizzabile per fare affari e speculazioni nei mercati di mezzo mondo.

    Considerati gli investimenti libici in società italiane, il nostro governo dovrebbe sentirsi chiamato a negoziare attivamente con gli altri governi interessati alla Libia. Con una visione chiara dei nostri interessi in gioco e degli obiettivi desiderabili e conseguibili.
    Così da non dover un giorno considerare che, grazie alla nostra inerzia diplomatica, gli unici interventi umanitari significativi che l’Italia promuove oggi in Libia non sono andati a vantaggio della popolazione offesa dalla guerra, ma a favore della camarilla degli stessi predoni di guerra.

  2. l’ingenuo Nicolas Sarkozy
    secondo Meyssan ( che dovette fuggire dalla francia con sarko’ presidente causa minaccie di morte)
    sarko’ e’ un agente americano “aruolato” (*) in gioventu’ quando stava a washington con il padrigno ambasciatore di francia

    (*) In un recente articolo veniva fatto notare che l’ entrata nella NATO dei paesi dell’ europa orientale e il loro fanatismo “atlantico” e’ legata ad una elite “transnazionale” comunque educata e cresciuta in paesi “anglosassoni” e impostasi politicamente poi “in patria” con il fondamentale aiuto U$A … come appunto Sarko.

    1. “Né Sarkozy sarà però riconfermato all’Eliseo, né la Total trarrà particolari benefici dall’avventura (l’estrazione sulla terraferma è ferma dal 2014).”

      Ti avverto, Ws, che se mi riempi le pagine di commenti-spam, ti ostracizzo.

  3. Subito dopo la riconquista dei maggiori pozzi dell’Oil Crescent, Ras Lanuf ed Es Sider, il Libyan National Army li ha consegnati alla National Oil Company, ente nazionale libico che controlla tutto ciò che riguarda estrazione e distribuzione di idrocarburi. La NOC sin dallo scoppio della crisi è rimasta “super partes”, il vil denaro non ha fazione. Le PFG, che in precedenza controllavano i terminal, avevano interesse nel tenere in standby estrazione ed esportazione, probabilmente su direttiva di Tripoli. Una menzogna raccontata sulla questione Libia è che gli scontri abbiano influenzato la produzione di petrolio, nulla di più falso. I terminal non hanno avuto mai problemi di sicurezza. La produzione è rimasta ad un livello artificiosamente basso, seppur costante. Come mai il giorno dopo l’offensiva di Haftar la produzione ha ripreso a salire vertiginosamente? I terminal sono sempre stati a posto e pronti a sfornare barili, ma evidentemente qualcuno ( Tripoli alias marionette angloamericane) aveva deciso che cosí non dovesse essere. Per un approfondimento sugli interessi italiani in Libia: http://pensatoregeopolitico.altervista.org/litalia-e-gli-interessi-nel-mediterraneo-allargato/

  4. Il genio di Tacito si allarga di nuovo alla sponda Sud del Mediterraneo. Dove Silvio concluse la sua vicenda politica, tradendo Volodia e l’onore. Non aveva il colonnello studiato all’Accademia in Veneto inviatovi dal grande Mattei, ovvero dal Papa? Se Roma non fosse caduta nel 1958, cosa avrebbe fatto? Quello in cui ero specialista io. Avrebbe costituito una commissione fra i due Paesi; con studiosi giovani e Romani. Poi avrebbe aperto istituto italo-libico e avviato la campagna culturale a Tripoli. Enrico, ingegnere, non ne sarebbe stato capace. Olivetti e gli altri erano tutti a libro paga nostro. Ci voleva un altro Padre Gemelli.
    E invece arrivarono i finti sacerdoti. Se dell’Italia, dopo,resterà qualcosa, è da uomini come Tacito che potrà lentamente ripartire.

  5. Il nitore: 2 secoli di storia del Mediterraneo resi nitidi in 3 cartelle. Anche Marx, nostro lontano parente che ci gustavamo giovane, aveva questa capacità. Debitamente alterata a Berlino. Tacito invece disegna e articola la vicenda della ex Roma sfiancata dal debito da noi inventato — noi dare cartine colorate voi dare tutte vostre ricchezze — nel mondo centrato di nuovo su Cina, Russia e Persia. ‘Gettatori’ dice il finto papa in fuga con i suoi a Zurigo. ‘Facce tristi’ scrive il finto giornale commentando i volti impauriti dei finyi ministri del finto governo che non reggerà nemmeno al primo fallimento bancario. ‘Leninista ma patriota’ si definisce il capo staff del presidente del popolo che noi a Zurigo prestandogli il ‘dollaro” proprio come a voi l’euro’ abbiamo letteralmente affamato indebitandoli tutti, lasciando città e contee incapaci persino a rifare una strada.

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