Perché il sistema internazionale si dirige verso la guerra

Da almeno cinque anni è in corso una tra gli USA ed i Paesi emergenti una guerra ibrida, fatta di assalti speculativi, terrorismo, sanzioni commerciali, colpi di Stato, propaganda, guerre per procura, contese sul diritto internazionale, etc. etc. Diversi segnali indicano che una potenziale svolta è imminente: se Hillary Clinton dovesse insediarsi alla Casa Bianca, il rischio di un’escalation in Siria e di una conseguente guerra convenzionale contro Mosca, Teheran e, probabilmente, Pechino, si farebbe concreto. Partendo da un classico della teoria delle relazioni tra Stati, “Guerra e mutamento nella politica internazionale” di Robert Gilpin, proviamo ad illustrare perché la guerra tra il declinante impero angloamericano e gli sfidanti emergenti è forse inevitabile, a meno che gli USA, eletto Donald Trump alla Casa Bianca, non scelgano deliberatamente di rinunciare all’egemonia sul sistema internazionale.

Il declino dell’impero angloamericano e l’emergere dei contendenti

Il mondo, dopo la bancarotta di Lehman Brothers e la Grande Recessione da cui gli USA non sono mai usciti (il saggio di risconto della FED è a zero dal 2008, il debito pubblico in continua ascesa ed il numero di americani che usufruiscono del “ Food Stamp Program” si attesta alla cifra record di 46 mln1), è cambiato: agitato, cupo, inquieto.

Si è assistito ad almeno tre grandi onde destabilizzanti (2011, 2014, 2016) che si sono riversate sull’Europa, sull’Asia, sul Nord Africa ed in Sud America, portando con sé terrorismo, assalti speculativi, guerre per procura, sanzioni commerciali, putsch, guerre psicologiche e tanto altro ancora: raccontarle e analizzarle è, in fondo, proprio lo spirito di questo blog.

Sono fenomeni riconducibili a quella guerra ibrida che il declinante impero angloamericano sta combattendo contro i Paesi emergenti (tra cui, per certi aspetti, va annoverata anche la Germania) per difendere la propria egemonia sul sistema internazionale: all’argomento dedicammo già un articolo qualche mese fa, “Guerra senza limiti: breve compendio del conflitto non militare contro Russia e Cina”.

Diversi fattori, come la strisciante deflazione che attanaglia l’Occidente, l’incapacità della FED di alzare i tassi, i rischi di una nuova recessione negli USA con effetti imponderabili, indicano però che il mondo si avvicina ad un punto di svolta: il rischio di una guerra “guerreggiata”, il classico conflitto convenzionale, si fa sempre più concreto. Da sempre, nelle nostre analisi, abbiamo individuato nel Medio Oriente i “Balcani del 1914”, ossia quell’area piuttosto periferica rispetto alle grandi potenze, ma idonea a fungere da innesco per la guerra: le recenti indiscrezioni secondo cui l’amministrazione Obama sta valutando di bombardare l’Esercito Arabo Siriano2, e l’intenzione di Hillary Clinton di intervenire contro l’aviazione di Damasco, se eletta alla Casa Bianca, non fanno che corroborare questi tesi.

Perché una guerra?

Le risposte in circolazione abbondano: “i russi hanno una base navale a Tortosa e la vogliono difendere”, “Israele vuole rovesciare Assad per indebolire Hezbollah e l’Iran”, “gli americani non possono tollerare che il Medio Oriente passi sotto l’influenza russo-iraniana”, etc. etc. Risposte tutte vere, ma parziali: è come asserire che la Prima Guerra Mondiale sia scoppiata per decidere chi tra Vienna e San Pietroburgo dovesse controllare i Balcani. È vero, ma si tratta di un tassello di un mosaico molto più ampio.

Con il presente articolo sposteremo quindi l’analisi a livello di sistema internazionale, cercando di spiegare perché, nell’attuale contesto, la guerra è forse inevitabile e, se non dovesse deflagrare in Siria, potrebbe benissimo farlo in Ucraina, nei Paesi Baltici, nel Golfo Persico, o nel Mar meridionale cinese (come ci furono diversi inneschi alternativi alla Prima ed alla Seconda Guerra Mondiale).

Nell’affrontare il problema ci avvaliamo di un’opera che, sebbene concepita trent’anni fa, è di estrema attualità: “War & Change in World Politics” (Cambridge University Press, 1981, tradotta nel 1989 da Il Mulino col titolo “Guerra e mutamento nella politica internazionale”). Il testo è prezioso per diversi motivi: è un classico della teoria delle relazioni internazionali, è incentrato sul ruolo della guerra nel riequilibrio del sistema internazionale ed il suo autore, Robert Gilpin, è una mente pensante di quell’establihsment atlantico che si sta spendendo per l’elezione di Hillary Clinton alla Casa Bianca (Gilpin, classe 1930, ha insegnato alla Woodrow Wilson School of Public and International Affairs ed è tutt’ora membro del Council on Foreign Relations).

Le opere che trattino del ciclo degli imperi, dell’ascesa e del declino delle potenze, e dell’alternarsi di guerra e pace nella storia, abbondano: tuttavia, l’opera di Gilpin si concentra sulla funzione della guerra nel rapporto tra gli Stati ed, in particolare, nell’evoluzione di questo rapporto.

La guerra, secondo Gilpin, è una fase imprescindibile della dinamica dei sistemi internazionali, che passano costantemente da una situazione di equilibrio ad una di squilibro, man mano che il potere economico, tecnologico e militare migra da una potenza all’altra: la guerra di cui parla Giplin non è quella combattuta per l’espansione di un impero (come quella dell’Afghanistan nel 2001, o dell’Iraq del 2003), ma quella che mette in discussione la gerarchia all’interno del sistema internazionale (come la I e la II Guerra Mondiale e, se dovesse scoppiare, il prossimo conflitto), un sistema internazionale dove la distribuzione vigente del potere non corrisponde più alla reale forze dei singoli attori.

Scrive Gilpin:

“Lo squilibrio nel sistema internazionale è dovuto alla crescente mancanza di corrispondenza tra governo del sistema e redistribuzione del potere all’interno dello stesso. Benché la gerarchia del prestigio, la distribuzione del territorio, le regole del sistema e la divisione internazionale del lavoro continuino a favorire la potenza o le potenze tradizionalmente dominanti, la base di potere se cui si basa il dominio del sistema si è erosa in seguito a livelli differenziati di crescita e di sviluppo tra Stati. Queste differenze tra le parti che compongono il sistema internazionale rappresentano delle sfide per gli Stati dominanti e delle opportunità per quelli emergenti”.

A meno che la potenza dominante in declino, sostiene sempre Gilpin, non rinunci volontariamente all’egemonia (pare che non esistano esempi di potenza dominante disposta a rinunciare al dominio del sistema internazionale a favore di una potenza emergente per evitare la guerra”, anche se l’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump potrebbe rappresentare un’eccezione, proprio come Michail Gorbacev smantellò l’URSS di sua sponte), una guerra che riequilibri il sistema si è sempre verificata.

A questo preciso tipo di conflitto, che mette in discussione la gerarchia del sistema internazionale, è dato un nome, “guerra d’egemonia”:

“La guerra per l’egemonia è dunque il banco di prova definitivo del cambiamento nelle posizioni relative di potere nel sistema esistente. (…) La vittoria o la sconfitta ristabiliscono senza ambiguità la gerarchia di prestigio consona alla nuova distribuzione di potere nel sistema. (…) Per questo motivo le guerre d’egemonia sono conflitti illimitati; sono contemporaneamente guerre politiche, economiche e ideologiche per significato e conseguenze. Sono dirette alla distruzione del sistema politico o economico avversato e sono di solito seguite da una trasformazione religiosa, politica o sociale della società sconfitta. (…) Come ci ha insegnato Tucidide, la posta in gioco nella grande guerra tra Sparta Atene era l’egemonia sulla Grecia e non le questioni di importanza più limitata che erano oggetto di disputa tra i due Stati.”

Come si arriva ad una guerra per l’egemonia?

Secondo Gilpin il primo passo è il declino della potenza egemone, quella che ha plasmato il sistema internazionale a sua immagine e somiglianza: oggi, ovviamente, è l’impero angloamericano. Le cause della cadenza sono riconducibili a due grandi famiglie: interne ed esterne.

Tra le cause interne troviamo il naturale rallentamento economico di un’economia matura, specie se incentrata sul terziario dove gli aumenti di produttività sono più bassi che negli altri settori; il naturale aumento dei costi della tecnologia militare per difendere l’impero (nota come “legge dell’aumento dei costi di guerra”); la naturale tendenza di una società opulenta ad infiacchirsi ed a perdere le virtù grazie cui ha edificato l’impero; la tendenza di una società matura a pretendere più risorse per sanità, pensioni ed istruzione che, inevitabilmente, non possono essere spese altrove.

Di fronte a spese militari e consumi in ascesa, la potenza egemone è costretta a tagliare gli investimenti produttivi, con la conseguenza di accelerare ulteriormente il proprio declino economico. Il caso degli USA calza a pennello: le spese per la difesa sono più che raddoppiate dalla fine della Guerra Fredda ad oggi, i cittadini che ricevono un programma di assistenza dallo Stato sono più alti che mai e le infrastrutture del Paese, vista la penuria di risorse, si stanno letteralmente sgretolando3.

Tra le cause esterne del declino c’è la perdita del primato militare (i moderni caccia Su-35 sono giudicati equipollenti o superiori agli omologhi americani, mentre i cinesi hanno elaborato missile anti-nave in grado di superare le difese delle portaerei statunitensi), e la naturale tendenza della tecnologia e delle tecniche organizzative a diffondersi Paesi periferici che, imitandole, possono godere del cosiddetto “beneficio dell’arretratezza”, crescendo a tassi impensabili per le economie mature. La perdita del primato militare aggrava i costi del mantenimento dell’impero, mentre la perdita del primato economico sottopone l’economia della potenza egemone ad un concorrenza sempre più agguerrita, erodendo la sua base economica. Sotto questo punto di vista il declino degli USA è ad uno più che avanzato, come dimostra la bilancia dei pagamenti: il saldo tra import ed export è in cronico disavanzo e sono i creditori esterni (cinesi, giapponesi, tedeschi, etc) a garantire agli USA i soldi per il mantenimento dell’impero ed il finanziamento dei consumi americani.

Il sistema internazionale, ovviamente, diventa ancora più fragile se la potenza egemone è epicentro di una profonda crisi economica che indebolisce la società, generando instabilità politica e tensioni sociali, e rende ancora più gravoso sostenere le difese imperiali: in questo senso la crisi dei mutui spazzatura e la bancarotta di Lehman Brothers possono essere considerate come la certificazione del declino americano.

Riconosciuta la criticità della situazione, la potenza egemone ha di fronte a sé due strade: aumentare le entrate da destinare al mantenimento dell’impero (ossia più tasse, cioè che fece l’impero Romano di fronte alle invasioni barbariche), oppure ridurre i costi.

Vista l’impopolarità della prima scelta, si imbocca quasi sempre la seconda strada: abbandonare alcune regioni dell’impero (ed ciò che hanno fatto gli angloamericani in Medio Oriente, adottando la strategia della “terra bruciata” e fomentando la guerra tra sciiti e sunniti), chiedere agli alleati di sobbarcarsi più spese militari (vedi la costante richiesta ai membri della NATO di portare il budget della difesa al 2% del PIL), stringere nuove alleanze cooptando potenze minori (vedi l’alleanza economica-militare del TTP-TTIP), fare concessioni alle potenze sfidanti. Gli USA hanno compiuto qualche timido passo in questo senso (vedi la stiracchiata riforma del FMI a beneficio dei Paesi emergenti) ma, come riconosce Gilpin:

“ il compromesso è in se stesso un indizio di debolezza relativa e di potere in declino, per cui può avere un effetto deleterio sui rapporti con gli alleati ed i rivali. Percependo il declino del loro protettore, gli alleati cercano di raggiungere l’accordo più vantaggioso possibile con la potenza emergente del sistema.

Il fenomeno è già chiaramente visibile in Medio Oriente, dove Egitto, Iraq ed il governo libico di Tobruk stanno cercando di entrare sotto l’ombrello russo, rendendo così ancora più complicato  raggiungere un compromesso con Mosca sul dossier siriano a chi, come l’amministrazione Obama, vuole difendere l’impero.

Aumentare le entrare e tagliare i costi è una ricetta talvolta sufficiente per mantenere l’egemonia, ma, il più delle volte:

“lo Stato dominante è incapace di procurarsi risorse supplementari per difendere i suoi impegni vitali; oppure è incapace di ridurre i costi e gli impegni in modo tale da poterli meglio gestire. In tali situazioni, lo squilibrio del sistema si fa sempre più grave, in quanto la potenza in declino cerca di mantenere le sue posizioni e quella in ascesa tenta di trasformare il sistema in modo da favorire i propri interessi. Un persistente squilibrio comporta tensioni, incertezze e crisi nel sistema internazionale. Questa situazione di stallo, però, non dura di solito a lungo”.

Guerra per l’egemonia e mutamento internazionale

Se il sistema internazionale entra in una fase di squilibrio permanente e la gerarchia al suo interno non rispecchia più la reale distribuzione del potere, è solo questione di tempo prima che scoppi quella guerra d’egemonia che ridisegna l’assetto globale. Ad aprire le ostilità possono essere sia le potenze emergenti che lo Stato dominante in declino. Anzi, spesso e volentieri, è proprio la potenza egemone in decadenza che, con una guerra preventiva, decide di indebolire o distruggere lo sfidante finché ha dalla sua parte la superiorità militare:

“Come spiega Tucidide, gli Spartani iniziarono la guerra del Peloponneso nel tentativo di distruggere la nascente potenza ateniese mentre disponevano ancora della capacitò di farlo. Quando si è trattato di scegliere tra il declino o la lotta gli uomini di Stato hanno generalmente optato per la seconda.”

Gilpin individua tre presupposti per lo scoppio di una guerra di egemonia:

  1. L’intensificazione dei conflitti è una conseguenza del restringersi dello spazio e delle opportunità economiche: i mercati sono stati spartiti, il protezionismo sale, la crescita economia langue, i profitti calano, la frizione territoriale aumenta. Il primo presupposto è, ahinoi, fin troppo concreto: deflazione, rischi di una nuova recessione globale, commercio mondiale in caduta, contese territoriali nel Mar meridionale cinese ed in Medio Oriente;
  2. c’è la percezione che si sta verificando un mutamento storico decisivo ed una o più potenze sono convinte che il tempo stia lavorando contro di loro, rendendo opportuno iniziare una guerra preventiva finché si dispone di una certa superiorità. Il secondo presupposto c’è: la globalizzazione, che sembrava la ricetta per trasformare il piombo in oro, è entrata in crisi, le classi dirigenti euro-atlantiche sono più screditate che mai, nei circoli atlantici si parla spesso di “tramonto dell’Occidente”, un discorso già sentito negli anni ’30, c’è stupore per la determinazione con cui Mosca è intervenuta in Medio Oriente ed allarme per la “nuova via della seta” di Pechino;
  3. il corso degli eventi comincia a sfuggire dal controllo umano. Anche il terzo presupposto c’è: in Siria nelle ultime settimane si sta assistendo ad una rapida escalation che ha indotto Mosca a schierare caccia e missili sempre più moderni e Washington a minacciare azioni terroristiche sul suolo russo e l’abbattimento dei caccia nemici.

Quali sono invece le caratteristiche di una guerra per l’egemonia? In cosa si distingue dal tradizionale conflitto limitato? Sostiene Gilpin:

  1. Il conflitto diventa totale e col tempo vede la partecipazione di tutti gli Stati più e meno importanti del sistema: rigide configurazioni bipolari del potere (Lega delio-attica contro Lega del Peloponneso, Triplice Alleanza contro Triplice Intesa) prefigurano lo scoppio di un conflitto per l’egemonia. Oggi è chiara la configurazione impero angloamericano vs BRICS, NATO vs SCO;
  2. La posta in gioco è fondamentalmente la natura del sistema internazionale: si può dire che ad essere minacciata è la sua legittimità. In questo senso Mosca e Pechino non riconoscono più la legittimità del mondo unipolare a guida statunitense.
  3. I mezzi usati nel conflitto sono illimitati e il teatro della guerra tende ad allargarsi all’intero sistema internazionale: sono le “guerre mondiali”.

Scrive Gilpin:

“I momenti di svolta nella storia mondiale sono stati quelli causati da queste lotte per l’egemonia tra potenze rivali. Tali conflitti periodici hanno riordinato il sistema internazionale dando un corso nuovo ed imprevisto alla storia. Essi determinano quale Stato governerà, quali idee e valori s’imporranno dando la loro impronta all’etica delle età successive. L’esito di queste guerre modifica le strutture economiche, sociali ed ideologiche delle singole società e quella del più vasto sistema internazionale.”

A questo punto, qualcuno potrà osservare: nessuna guerra egemonica si è finora combattuta in presenza di armi nucleari che, concretizzando lo scenario di una distruzione totale del sistema internazionale, renderebbero non solo troppo dispendioso, ma addirittura superfluo, un conflitto per l’egemonia. L’opera di Gilpin, scritta nel 1981, affronta già il problema:

“In una situazione di deterrenza reciproca e con un sistema stabile di controllo degli armamenti, una serie di guerre limitate potrebbe servire a mutare il sistema internazionale (…) La tesi secondo la quale le armi nucleari hanno reso impossibili le guerre per l’egemonia o una serie di guerre limitate per mutare il sistema internazionale è destinata a rimanere senza conferma”.

Aggiungiamo noi che le armi nucleari hanno egregiamente assolto il loro principale compito, quello di deterrenza, in un’epoca, la Guerra Fredda, dove il sostanziale interesse strategico di USA ed URSS era il mantenimento dello status quo ed il congelamento del sistema internazionale uscito dalla Seconda Guerra Mondiale.

Le guerre d’egemonia rispondono invece alle inevitabili pulsioni dinamiche del sistema internazionale, alla necessità cioè per gli attori di mutare un assetto che non rispecchia più le reali forze in campo. Possono le stesse armi impiegate per congelare il sistema, essere usate anche anche per cambiarlo? La risposta logica dovrebbe essere “no”, a meno che uno dei due contendenti non sia così irrazionale da cercare l’annichilimento dell’avversario, piuttosto che la sua sconfitta.

Scriviamo nell’ultima parte del 2016 ed una “guerra ibrida” tra l’impero angloamericano declinante e le potenze emergenti è ormai in corso da anni: il quesito è se “la Terza Guerra Mondiale combattuta a pezzi” evolverà o meno nella classica guerra d’egemonia, con il dispiegamento massiccio di uomini e mezzi e l’estensione del fronte a più parti del globo.

Dopo aver letto “Guerra e mutamento nella politica internazionale” , noi rispondiamo di “sì” e quasi certamente è della stessa opinione quell’establishment euro-atlantico che vuole insediare Hillary Clinton alla Casa Bianca. Come ricorda Gilpin, in sistemi internazionali attraversati da acute tensioni, le profezie spesso si auto-avverano.

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1http://www.weeklystandard.com/record-high-enrollment-for-food-stamps-46681833/article/654653

2https://www.washingtonpost.com/news/josh-rogin/wp/2016/10/04/obama-administration-considering-strikes-on-assad-again/#comments

3https://www.rt.com/usa/america-infrastructure-us-billion-459/

55 Risposte a “Perché il sistema internazionale si dirige verso la guerra”

  1. Al momento attuale c’è solo la Cina che potrebbe permettersi una guerra anche nucleare contro gli Usa perché, come diceva Mao, la cina può sopportare anche 200 milioni di morti mentre lo stesso non vale per l’impero angloamericano-sionista.
    Per quanto pazzo e sadico quest’impero non credo che oserà premere il famigerato bottone nucleare finché non avrà trovato o il modo di attaccare di sorpresa distruggendo tutto o quasi l’armamento nucleare dell’avversario oppure avrà trovato il sistema per difendersi totalmente o quasi dalla reazione (e dalle radiazioni) dell’avversario.
    La prima opzione è difficile e quanto alla seconda ancora non è stato inventato un sistema adeguato di difesa almeno quasi totale dai missili nemici e tantomeno è stato trovato un sistema per difendersi dalle radiazioni nucleari.
    Perciò, a meno che gli eventi bellicosi non prendano una dinamica incontrollata, non credo molto alla possibilità di una guerra nucleare totale per l’egemonia.
    Escluso uno scontro nucleare globale, è possibile che ci sia una guerra totale “convenzionale” diretta tra i contendenti? Anche quest’opzione sembra essere impraticabile perché inevitabilmente una guerra del genere, nel giro di poco più di 24 ore, degenererebbe in guerra anche nucleare
    In effetti i fatti sembrano provare che l’impero si stia muovendo verso la strategia di creare, soprattutto usando come carne da cannone proprio i suoi più fedeli servi o burattini (tipo i tagliagole del Daesh) una serie di focolai di guerra per dissanguare e indebolire gli avversari: l’ucraina, la siria, la contesa nel mare cinese meridionale, i paesi baltici, il Caucaso e quant’altro escogiterà per mettere all’angolo anzitutto la russia e la stessa cina.
    Però anche quest’opzione presenta delle controindicazioni perché se, ad es., la russia si vedesse aggredita contemporaneamente su vari fronti e sentisse di non poter rispondere con le sole armi convenzionali in tutti i campi di battaglia, potrebbe essere indotta a usare anzitutto le cosiddette armi nucleari “tattiche” per contenere i vari nemici sui vari fronti… da qui all’uso del nucleare “strategico” il passo sarebbe breve quanto un battito di ciglia.
    Allora cosa rimane all’impero se non vuole andare a una guerra nucleare? rimane solo una strategia di lento sfinimento dell’avversario alternando i vari campi di battaglia: oggi l’ucraina, domani la siria, dopo magari il Caucaso e via dicendo.
    Ma anche in questo caso l’avversario potrebbe riuscire quantomeno a resistere e forse anche a vincere nelle varie guerre locali…cosa che in effetti sembra che i russi stiano riuscendo a fare.
    In conclusione, l’impero angloamericano-sionista è in un vicolo cieco.

    1. “La Cina può sopportare anche 200 milioni di morti mentre lo stesso non vale per l’impero angloamericano”.

      Forse ai tempi di Mao. Oggi l’impero angloamericano può tranquillamente permettersi 200 milioni di morti… africani. E infatti li va a prelevare direttamente la Marina Militare.

      1. non esageriamo! Dove sono sti 200 milioni di africani disposti a morire per l’impero? Gli stessi immigrati cercano la bella vita in occidente mica cercano di arruolarsi! Ammesso che in futuro lo facciano sono sempre troppo pochi, troppo pazzi e troppo scemi per le necessità imperiali.
        Quelli che l’impero riesce a reclutare sono solo alcune migliaia di pazzi fanatici o disperati dell’Isi, di nazisti di Kiev o di quelle nullità dei paesi baltici o di quegli altri boriosi di polacchi…tutta teppaglia motivata solo dall’ odio psicopatico o dai soldi.

  2. Come ho sempre sostenuto la guerra e’ inevitabile ” trump o non trump” , perche’ c’ e’ una differenza tra l’ elite russa che si “autosmantello'” e quella americana che non solo e’ fanaticamente messianica ma anche strafatta di cocaina.
    Ribadisco ancora come altre volte che la guerra avra’ anche una “fase nucleare” che l’ elite U$A spera confinata solo sul continente eurasiatico ( daltronde sono strafatti ..:-))
    Trovo molto calzante il paragone con la “guerra del peloponneso ” , cosa che ho sempre citato nei miei commenti su “conflitti&strategie” , ma devo sottolineare la falsita’ di fondo di questo Gilpin laddove esso attribuisce a sparta l’ origine dello scontro, perche’ fu una declinante atene , con pretese egemoniche su tutto il mondo greco, ad entrare a gamba tesa nell’ equilibrio del peloponneso gestito da sparta .
    Ma daltronde da un americano era inevitabile sia la strumentalizzazione menzognera che l’empatia per la ” globalista” ed “egemonica” atene . 🙂

    1. No, ws, fu il potere crescente di Atene a spaventare Sparta, potenza egemone declinante: così dice Tucidide che la sapeva più lunga di noi.

      1. No , nei fatti ( vedi “preludio ” in https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Peloponneso ) fu atene ad entrare nella sfera strategica di sparta nella convinzione che sparta fosse declinante . In pratica si tratto’ delle stesse convinzioni che hanno mosso dopo il 1990 gli U$A a occupare lo spazio postsovietico convinti appunto di essere definitivamente “il cane piu’ grosso” .

        1. Cocciuto eh? Accidenti… Bé, se “entri nella sfera” di qualcuno, significa che sei in espansione!

    2. ma l’elite Usa come può illudersi che la fase nucleare sarà confinata al continente eurasiatico? Solo qualcuno “strafatto di cocaina” può pensare una cosa del genere!
      Ma davvero tutta l’elite Usa (e non parlo solo dei politici o dei finanzieri alla soros ma anche, ad es. dei generali Usa) è “strafatta”?
      Ne dubito!

      1. tutta la loro politica “antimissile” perseguita ormai da 15 anni lascia sospettare che gli U$A perseguino una strategia di “prempitive attack” magari anche solo tesa a provocare un “autocedimento” dell’ elite russa . In pratica vorrebbero replicare il “bluff” do regan non considerando che 1) i russi hanno imparato la lezione 2) la russia non ha piu’ profondita strategica da cui ritirarsi.

        1. si certo, gli ammeregani ci provano in tutti i modi ma gli altri non se ne stanno con le mani in mano in attesa di essere bolliti con qualche attacco preventivo.
          Satelliti e radar potenti sono schierati dalla russia , e credo anche dalla cina, in modo da salvaguardarsi dai colpi di testa imperiali.
          Missili superveloci, capaci di perforare ogni “scudo stellare” vengono schierati per vanificare gli sforzi imperiali.
          Alla fin fine, tutti gli sforzi ammeregani sembrano diventare solo un grande business per le loro aziende d’armamenti ma quanto ad offrire l’agognata possibilità di attacchi preventivi, ce ne passa!
          Poi “i dilettanti che parlano di aerei invisibili” rischiano di avere amare sorprese ha detto un generale russo…e credo che non abbia detto sbruffonate del tipo a cui sono avvezzi specie alcuni suoi omonimi a stelle e strisce.
          La guerra certo ci sarà (direi che c’è già) ma bisognerebbe intendersi sul tipo di guerra.
          Quella Nucleare direi che è abbastanza improbabile.
          Quella convenzionale classica, anche! Perché si trasformerebbe in men che non si dica in nucleare.
          Un generale ammericano, forse più intelligente e meno spaccone di altri suoi colleghi, ha detto che l’esercito americano deve prepararsi a “guerre improvvise”!
          Notate l’uso del plurale…non parla di “guerra” ma di “guerre”.
          Mi sbaglierò ma mi sembra che gli Usis (fusione tra Usa e Isis) abbiano in mente una serie di guerre, di focolai più che una sola grande e bella guerra d’altri tempi.
          Cioè la loro strategia è quella di impelagare la russia in tante di quelle guerre da determinarne il collasso interno.
          Il problema che hanno è che se queste guerre vengono fatte tutte assieme o quasi, i russi probabilmente sarebbero costretti a usare almeno il nucleare “tattico” per evitare la sconfitta e, quindi, gli americani dovrebbero fare lo stesso … ma questo va contro la volontà – che presuppongo esista anche tra i folli neocons – di evitare la guerra nucleare.
          Allora non gli rimane altra opzione che inanellare una serie di guerre una dietro l’altra…ma in questo caso non è detto che la russia non riesca a ben gestirle e addirittura a uscirne vincitrice di volta in volta.
          Finora mi sembra la situazione sia proprio questa e, quindi, ancora una volta gli ammeregani restano col cerino acceso in mano.
          Per questo ho detto che l’impero è in un vicolo cieco.

        2. Ma quello di “inanellare” guerre con proxies lo fanno gia’ da ventanni e direi che questa tecnica ha avuto il suo culmine in siria. Non ci sono altre centinaia di migliaia di esaltati da inviare in casa d’altri con armamento leggero contro armamenti pesanti , e se gli U$A vogliono infliggere alla russia una sconfitta devono SCALARE ad un livello superiore che e’ una mossa alquanto arrischiata perche’ significa scendere direttamente in campo e andare a colpire l’ “orso ” nella sua “tana”
          Probabilmente il prossimo step sara’ un tentativo di “espellere” la russia dalla cosidetta “comunita’ internazionale” una mossa che polarizzerebbe ‘ il mondo e costerebbe comunque molta cara agli “alleati” €poidi. che ne pagherebbero le pesanti controsanzioni russe .

          Quindi i casi sono due: O gli U$A hanno oggettivamente la forza per piegare la russia o bluffano come al solito ma stavolta perderanno di brutto , anche se sara’ un affar lungo come fu la “guerra del peloponneso”.

        3. ws, ma a quali guerre “inanellate” degli ultimi 20 anni ti riferisci? ti riferisci alla guerra in afganistan? in Iraq? in libia? nei balcani? in georgia? Certo anche queste sono state tutte guerre inanellate contro la russia e molte, anzi tutte queste guerre, esclusa quella in georgia, sono state vinte dall’impero e sicuramente hanno indebolito la russia…ma sembra che non siano state ancora sufficienti per piegarla e, quindi, il gioco è continuato e continua con l’ucraina e con la siria e probabilmente continuerà con qualche paese del centro asia (Uzbekistan?), con qualche altro nel Caucaso, poi forse con qualche altro ancora tipo la moldavia o non so quale altro paese.
          A meno di scegliere lo scontro diretto e, quindi, la guerra nucleare, gli USIS non hanno altra scelta che continuare tenacemente su questa strada.
          Il problema per loro è che la russia ha detto un mezzo “basta” in ucraina e un totale “basta” in siria e, sebbene sia sulla difensiva, è riuscita a intralciare abbastanza bene il rullo compressore dell’impero.
          Ora quel rullo comincia a slittare sul terreno e forse presto andrà in tilt.
          Come reagirà poi l’impero? con la guerra nucleare? Si accomodi! finalmente qualcuno di noi potrà vedere anche le loro città fumanti e rase al suolo.

        4. mi riferivo essenzialmente alle due guerre cecene e all’ abozzo di guerra in ossezia sebbene anche la libia e la siria che sono venute dopo sono ovviamente collegate cosi’ come serbia Ukraina I afganistan e irak e UkrainaII sono state operazioni tese all’ accerchiamento della russia .
          In questo quasi ventennio l’ equazione strategica che putin ha dovuto risolvere era altamente complessa e in pratica e’ stata incentrata sulla controllata cessione di terreno per guadagnare il tempo necessario ad un rafforzamento interno ampiamente mascherato da finte esitazioni , finte incompetenze e finte debolezze interne ed internazionali .
          Ma il capolavoro di putin e’ stato far questo senza mai mentire ne risultare incoerente sui propri obbiettivi e le proprie visioni politiche; la ” deception” che e stata portata nel campo avverso e’ stata dovuta solo all’ autoinganno tipico dei prepotenti .
          Come ci insegna Sun Tsu confondere il nemico e’ fondamentale , ma ottenerlo usando solo il mascheramento e le omissioni e’ da genii della politica.

  3. Volendo applicare l’ipotesi generale – sulle dinamiche che accompagnano gli avvicendamenti delle egemonie globali – a un caso concreto, si può provare a prendere in considerazione un mercato, quello degli armamenti, strategico perché strumentale al mantenimento di posizioni di prevalenza in molti altri mercati, e ciò che succede quando è in corso un ribaltamento di posizione dominante.

    There is no business like arms business

    Per comprendere meglio l’andamento del conflitto siriano può risultare utile fare entrare in scena una parte degli attori coinvolti, quella che di solito preferisce tenersi discretamente dietro le quinte e recitare come voce fuori campo. E che ora teme dall’eventualità di una composizione pacifica della guerra un pericolo grave, finora non adeguatamente evidenziato.

    Il pericolo è quello di un’inversione di tendenza dell’andamento del mercato degli armamenti dei produttori statunitensi e di alcuni grandi produttori europei. Ne conseguirebbe un danno anche al settore finanziario, per la diminuzione dei finanziamenti alla loro produzione e per l’aumento dei rischi collegati. Inoltre, soprattutto con riferimento all’offerta statunitense, si teme il rischio di un decremento della domanda complessiva di dollari nel commercio mondiale del settore, con ripercussioni sulla quotazione del dollaro stesso.
    Si paventa cioè un nuovo assetto del mercato che non permetterebbe più al complesso industriale militare e finanziario angloamericano ed europeo di mantenere la crescita delle quote, dei ricavi e dei profitti realizzati dal 1990 in poi.

    Un imprenditore del settore che voglia fare seriamente il suo lavoro si propone due obiettivi fondamentali. Il primo è quello di stimolare la crescita della domanda. Il secondo è quello di entrare nel nuovo mercato con prodotti che appaiano in quel momento come i migliori disponibili.

    Per quanto riguarda lo sviluppo del mercato, le aree considerate dagli anni ’90 le più promettenti erano il Medio oriente e il sud est asiatico. Come osservava ancora nel gennaio 2015 l’amministratore delegato di Lockheed Martin, Marillyn Hewson: “continuing volatility in both the Middle East and Asia would make them growth areas for the foreseeable future”. [1]

    Tuttavia l’accordo sul nucleare iraniano, l’eventualità di una composizione della guerra in Siria e la tendenza della Cina a rispondere alle provocazioni nel mar cinese meridionale più attraverso i canali diplomatici e commerciali che quelli militari sta rallentando la crescita di questi mercati.

    Per quanto riguarda i prodotti, gli economici jet Su-24, i più avanzati Su-30 e Su-34 e, soprattutto, i nuovi Su-35 impiegati dall’aviazione russa in Siria hanno dato prova di grande efficienza operativa. Anche perché contemporaneamente le forze aeree dei concorrenti venivano di fatto tenute a terra. [2]

    A causa della risposta aggressiva dei produttori concorrenti (chi non ricorda l’abbattimento l’anno scorso del Su-24M da parte di F-16), la Siria è diventata inoltre la showroom dei sistemi contraerei russi S-300 ed S-400.

    Sono così incominciati a fioccare gli ordini. Tanto che le esportazioni della Federazione russa sono passate da circa 3 miliardi di dollari del 2000 a 15 miliardi del 2015, ovvero cinque volte tanto. Arrivando a contendere alla produzione made in USA il 25% del mercato mondiale e riducendo quest’ultima a un preoccupante 33%. [3]

    Se il caccia T-50 della Sukhoi dovesse in futuro apparire come più affidabile dell’F-35 statunitense, ciò costituirebbe un cambiamento delle quote del mercato mondiale delle armi talmente significativo, e irrecuperabile per almeno circa vent’anni, da mettere a rischio il futuro prossimo dell’unico settore produttivo manifatturiero statunitense ancora significativo, ovvero quello degli armamenti.

    Possiamo immaginare che sia soprattutto per questo che gli agenti commerciali alla McCain insistono ora tanto per un’azione diretta contro gli aerei russi [4].

    Resta il problema di come procedere. Tecnicamente sarebbe forse possibile. Se è vero che il piano messo a punto dal Pentagono nel 2012 dopo lo scandalo di Goutha prevedeva il lancio di 624 missili Cruise, sarebbe difficile anche per la contraerea degli S-300 intercettarli tutti. Resta però complicato trovare una qualche forma di legittimazione all’aggressione, financo pretestuosa. Obama non sembra incline ad autorizzare bombardamenti che già nel 2013 aveva bloccato all’ultimo momento. Una risoluzione di appoggio del consiglio di sicurezza dell’ONU si è fatta più incerta da quando è iniziata la presidenza russa e resta sempre da superare il problema del veto russo e cinese. Rimane la possibilità di un’azione completamente illegale, ma accompagnata dal consenso conseguente a un evento false flag dal fortissimo impatto emotivo. In questo caso l’ostacolo è che, continuando per cinque anni a fare propaganda per accompagnare un intervento sempre rimandato, si è ormai saturato l’immaginario collettivo degli orrori, ciò che ha portato l’opinione pubblica a un alto grado di assuefazione e un basso livello di reazione.

    Una possibile via di uscita da questo stallo dovrebbe prevedere un compromesso onorevole per tutti gli attori in gioco, con forme di compensazione per i perdenti (il ministro degli esteri francese propone il 6 ottobre 2016 una speciale partecipazione europea alla ricostruzione) e limitazioni allo sfruttamento del successo da parte dei vincitori.
    Mai come in questi casi si rivelano importanti gli interventi di mediatori terzi. Dalla diplomazia italiana a quella vaticana (che si erano rivelate determinanti per la soluzione della crisi dei missili a Cuba), da quella tedesca a quella canadese. Se fossero capaci di esprimere una visione comune una rinnovata capacità di iniziativa, proprio a partire dallo stallo siriano si potrebbe inaugurare una nuova grande stagione per la diplomazia mondiale.

    Note:
    [1] http://www.tomdispatch.com/blog/176169/tomgram%3A_william_hartung,_how_to_arm_a_%22volatile%22_planet
    [2] http://www.focus.de/politik/ausland/nato-geheimpapier-russland-ist-nato-kraeften-in-syrien-ueberlegen_id_5336051.html
    [3] https://www.sipri.org/sites/default/files/styles/body_embedded/public/web_figure_1_1.png?itok=4TApBBde
    [4] http://www.wsj.com/articles/stop-assad-nowor-expect-years-of-war-1475621737

  4. ” proprio come Michail Gorbacev smantellò l’URSS di sua sponte),”

    Non direi proprio di sua sponte…

    1. L’alternativa c’era ed era quella di riformare il sistema come fece Den Xiaoping: smantellò un impero per un piatto di lenticchie.

      1. Ahhh ecco, un piatto di lenticchie !
        Quindi, “SPINTANEAMENTE, direi.
        A leggere “Russia addio!” di Giulietto Chiesa, le spinte provenivano tutte da quelli che hanno “il taglietto sull’uccello” e che continuano a spingere …i nostri politicanti che svendono anche le sugherete siciliane!

        1. Il nesso tra gli oligarchi che banchettarono sui resti dell’URSS e le figure che ora premono per la guerra è fin troppo evidente: sono tornati in azioni dopo un periodo sabbatico…

  5. al netto dell’inflazione e cosideratla differenza di volume che l’economia usa ha conosciuto in 25 anni, l’affermazione ” le spese per la difesa sno più che raddoppiate” è errata.

    il terzultimo paragrafo, (come, a questo punto, anche il libro stesso) ha una grave lacuna logica : l’opzione nucleare verrà usata per evitare una sconfitta imminente, non per “annichilire un avversario, invece di sconfiggerlo e basta.”

    ovviamente questo cambia completamente la prospettiva dalla quale formulare ipotesi.

    1. L’opzione nucleare è fin dal 1945 considerata anche come strategia d’attacco. Sotto Truman, un bel pezzo dell’establishment americano invocava una guerra preventica contro Mosca, a colpi di bombe nucleari su città e centri industriali.
      Quanto alla possibilità di evitare la “sconfitta imminente” ricorrendo al nucleare, bisogna considerare che la controparte risponderebbe a sua volta con il nucleare strategico. A mio avviso, è più facile che in caso di sconfitta imminente, i vertici della potenza che sta per capitolare siano liquidati dall’establishment politico e militare del Paese stesso.

      1. in caso di sconfitta imminente, i vertici della potenza che sta per capitolare siano liquidati dall’establishment politico e militare del Paese stesso.

        Sono daccordo che ‘ questo sia effettivamente il reale obbiettivo U$A di questa pressione sulla russia tanto piu’ che c’ e’ gia’ il precedente del riuscito bluff di regan

        Ma a questo punto la situazione diventa paradossale essendo che in pratica l’ arma atomica servirebbe solo per non dover cedere minacciati con un arma atomica… per poi cedere comunque colpiti da una inferiorita’ “convenzionale” 🙂

        Invece io credo che in realta’ stavolta l’ arma atomica pesera’ sul campo di battaglia . Ad esempio supponiamo che gli “attaccanti” ( gli U$A ovviamente) colpiscano “convenzionalmente” le forze russe all’ interno della russia e che la russia in difficolta’ OVVIAMENTE colpisca gli attaccanti con testate tattiche nelle loro basi di partenza in EUROPA , SE gli americani replicassero con testate tattiche sul territorio russo tu pensi che la russia accetterebbe di essere nuclearizzata sul suo territorio lasciando intatto il territorio americano ?

  6. A proposito dell’opzione nucleare, teniamo presente che tutte le mosse del Pentagono degli ultimi anni sono state indirizzate a rompere l’equilibrio assicurato dalla possibilità di distruzione mutua assicurata per conseguire invece vantaggi tattici tali da rendere teoricamente possibile un first strike.

    Già negli anni ’80, durante la seconda guerra fredda, gli Stati uniti avevano rotto il patto di non aggressione varando la Strategic Defense Initiative (SDI), nota da noi come Scudo stellare.
    Dopo l’accordo per lo smantellamento del Patto di Varsavia e della NATO, rispettato soltanto da una delle due parti, gli Stati uniti hanno comunicato il loro recesso dal Trattato sui missili anti balistici (George W. Bush, 31 dicembre 2001).
    Hanno poi iniziato a potenziare il loro arsenale atomico.
    In questi ultimi due anni hanno installato Aegis Ashore in Romania e Polonia. Questo sistema missilistico non soltanto attenta ulteriormente al principio della mutual assured destruction già quando funziona in modalità difensiva, ma può essere anche velocemente riconvertito per finalità aggressive, ed è collocato a poca distanza dalle più popolose città russe.

    Ci possono essere due spiegazioni plausibili a questa frenetica attività in rottura dei trattati internazionali e in spregio dei principi che avevano assicurato una relativa tranquillità al pianeta, nonostante una vita (di circa sessant’anni, dalla fine del secondo conflitto mondiale) vissuta pericolosamente.
    La prima è che quello del nucleare sia un settore del mercato degli armamenti come un altro, complementare a quello convenzionale. Una volta volta persa la motivazione alla spesa data dalla rincorsa tecnologica, per abbandono da parte dell’URSS, ha iniziato a cercare la sua nuova giustificazione nella ricerca della superiorità, secondo l’ipotesi per cui eventuali velleità aggressive sarebbero inibite attraverso dimostrazioni di una maggiore capacità aggressiva. Insomma: business as usual. Ma senza prendersi troppo sul serio.
    La seconda invece è che, a furia di inventare pericoli e nemici per giustificare una spesa per la difesa che diventava sempre meno credibile e sempre meno sostenibile, alcuni strateghi siano rimasti imbrigliati nella loro stessa creazione e, novelli dottor Stranamore, credano ora davvero che l’opzione nucleare sia una scelta disponibile e sensata.

    Non resterà che stare a vedere quali delle due ipotesi si realizzerà. Nel secondo caso, almeno fino a che ciò sarà possibile.

    1. Gradirei che non fossero riportati link senza alcuna introduzione o commento. E’ facile etichettarli come “spam”.

  7. Tortosa e non Tartu, rammenta i giornali Italiani del 1918 che denominavano Versailles, con l’espressione italianizzata Versaglia.
    Una provocazione sovranista alla quale devo adescare.
    Articolo pregevole ed intelligente, ma al quale opporrei l’unico libro sistemico in tema di guerre ovvero
    “Le Guerre” di Bouthoul.
    Le guerre richiedono comunità coese dotate di una sorta di bellicosità delle masse che le costituiscono ed è determinata da una crescita demografica che rende una parte rilevante della popolazione inutile e dannosa; quindi opportunamente sacrificabile nel conflitto con altre comunità, fino all’equilibrio finale.
    Questo surplus di bellicosità è ben presente nelle aree demograficametne eccedenti del mondo arabo fino al Pakistan e nell’Africa sub-sahariana.
    Se vincerà Trump negozieranno un sereno ridimensionamento del potere, se vincerà la Clinton verrano sparati al massimo alcune decine di razzi.
    I veri contendenti demograficamente esili e quasi privi di materiale umano idoneo al conflitto, non potranno superare una soglia bare superiore a qualche migliaio.
    Rispetto alla guerra in Iraq costata agli USA 5000 cadaveri, lo strato disponibile si è ulteriormente assotigliato. Anche i russi hanno poca carne da sprecare. L’Europa non ne ha nessuna.
    Il conflitto prefigurato si esprimerà in una escalation in medio oriente e nelle zone circostanti. Qualche botto in Europa sarà sufficiente a legittimare dichiarazioni di uscita.
    Le elite promotrici sono di stampo massonico e non prevedono cittadini armati. Oltre alle bande mercenarie non possono andare.

    1. Certo, la “carne” da mettere “al fuoco” sembra poca ma la posta e’ altissima per entrambi i contendenti . Gli U$A poi si trovano anche nella condizione del “bullo” che non puo’ “descalare” per paura che gli altri gli restituiscano con odio le prepotenze subite .

      1. Per questo il potere USA vuole la Clinton eletta.
        E per questo la stessa Clinton ha detto che le prossime elezioni setteranno il mondo per i prossimi 50 anni. Dunque una nuova guerra per un nuovo equilibrio. Come sara’ questa guerra non oso pensarlo ma, come si dice, la storia si ripete. Se l’ultima guerra ė stata una tragedia, spero la prossima sia una farsa.

  8. Probabilmente ci sono altre forze in campo che possono variare gli eventi a venire, d’altronde gli USA potrebbero desistere da azioni troppo azzardate, adesso il loro PIB vale il 20% di quello mondiale, non il 50% come alla fine della seconda guerra mondiale.
    Quelli che creano più problemi sono a mio parere le grandi banche, fondi d’investimento e affini, le ONG e quindi potrebbe evolvere in uno spartirsi le zone di influenza anche nel caso della vittoria del presidente democratico, ma con molta guerra “liquida”, sopratutto qui in Europa e in zone che vorranno mantenere sotto la loro dominazione, delegando a qualche paese, come Francia ed Inghilterra le dominazioni di ex colonie in Africa e medio oriente, gli unici due paesi che hanno ancora una certa potenza militare a terra, come ben vediamo quello che fanno i francesi in Africa.
    Dalla parte della Cina, la conquista la fanno a suon di acquisti qui in Europa, cercando di portare avanti le varie vie di scambio tra Asia e Europa, da una parte potrebbero essere ostacolati in alcune zone, ma il capitale è senza frontiere, se anche gli oligarchi anglosassoni o quelli con il talmud sotto braccio ad un certo punto valuteranno che c’è da fare soldi creando veramente l’Eurasia o meglio l’Heartland”, abbandoneranno al loro destino gli USA, ormai falliti e con problemi interni non indifferenti.

    Saluti

  9. Io credo che invece la guerra sia molto probabile, anzi ineluttabile.
    Intanto perchè fa parte di un Piano che è iniziato da parecchi decenni.
    Poi perchè non si fa un Pandemonio simile in tutto il mondo, per poi mollare perchè si scopre che “la Russia è un osso duro”.
    Quindi perchè vedo le “mosse” dei tempi recenti, specie dopo le vittorie russo-siriane ad Aleppo nello scorcio di fine estate.
    1) Ripresa degli attacchi mediatici ad ampio raggio (organi di informazione, dichiarazioni Man Ki Mon, Obama, De Mistura)
    2) Attacco alla base militare di Dei ez Zor (che per me è una specie di spartiacque)
    3) Rottura di ogni collaborazione sulla Siria tra Usa e Russia (e forse presa di coscienza da parte russa dell’impossibilità di questa collaborazione).
    4) Dichiarazioni americane alla stampa (quindi per fare sapere a suocera ciò che genero intende) sul fatto che si discute sempre più concretamente sulla possibilità di una campagna militare diretta contro la Siria
    5) Sospensione da parte russa dell’accordo con Usa sulla distruzione del plutonio
    6) Esercitazione di difesa antiatomica in Russia che vede coinvolti 40 milioni di persone
    7) Schieramento in Siria, da parte russa, del sistema di difesa antiaerea S-300 e S-400 e avvertimento agli USA ad essere certi che saranno usati se i soldati russi verranno attaccati da chicchessia.

    Intanto oggi pare si dovrebbe votare al Consiglio di Sicurezza Onu una mozione che imponga il cessate il fuoco e la Russia ha già dichiarato che metterà il veto.

    Infine, non so se sia una boutade, ma in ambiente Repubblicano parlano che dopo l’ultima gaffe sessista di Trump, lo vogliano costringere a rinunciare alla corsa presidenziale. Al suo posto viene fatto il nome di Pence

  10. Un’altra guerra per Zurigo? Certo, se per loro significa salvare la moneta che stampano senza alcun controvalore che non sia l’imposizione a usarla per comprare e vendere pressoché qualsiasi risorsa primaria. Era anche per questo che il mio amico Lenin fu istruito a Zurigo. Comprare e vendere la Russia sempre nella loro moneta. La guerra però per interposta popolazione. Dunque, gli europei. Che, però, non ci sono più. Dissolti tutti i loro valori e la loro cultura. Aleppo, la nuova Stalingrado.

  11. Al momento opportuno quando le pistole saranno sul tavolo, gli ammiragli penseranno, come in un incubo, alle loro orgogliose portaerei sprofondare negli abissi, i generali dell’aviazione avranno la visione dei loro aerei espodere e schiantarsi invano a decine; i generali dell’esercito contempleranno, come in un film, masse dei loro soldati sconvolti dall’intensità del fuoco, perchè erano lì per uno stipendio e per lo sballo del sabato, non per morire. Quando sarà il momento di sparare, sapendo che anche gli altri spareranno, il denaro non conterà più. Conterà il sangue e la carne e la durezza delle anime.
    Loro sanno del bluf ed al momento opportuno rilanceranno ed andranno a vedere.
    Noi non avremo il coraggio e abbandoneremo il tavolo.
    Dopo saremo in altra epoca e loro saranno generosi.

  12. Ho visto sul sito di Saker il filmato di un simpatico commentatore e regista americano che ha descritto in modo semplice ed efficace cosa succederebbe se gli USIS attaccassero i russi.
    Diversamente da lui, ogni tanto mi capita di leggere articoli di persone che, pur essendo schierati più con la russia che con gli ammeregani, mettono spesso in evidenza la grande inferiorità della russia rispetto agli ammeregani e i loro alleati.
    Uno di questi articoli è di un certo PIOTR (almeno così si firma) letto su “comedonchisciotte”.
    Mi sbaglierò ma mi sembra che questi signori in fondo finiscono col fare il gioco di chi vorrebbe che la russia si ritirasse in buon ordine e non sfidasse il prepotente cowboy.
    Scrive questo Piotr che il contingente russo in siria è infinitamente più debole (numericamente e militarmente) del contingente americano e della Nato.
    A parte il fatto che la Nato non può intervenire in siria perché nessuno l’ha aggredita e, fino a prova contraria, è un’alleanza “difensiva”, ammesso pure che lo facesse, cosa impedirebbe ai russi di aumentare considerevolmente il proprio contingente siriano in caso di necessità?
    I russi hanno un’intera divisione corazzata aviotrasportabile (stiamo parlando di circa 10 o 20 mila soldati) ….cosa gli impedirebbe di dislocarla in 48 ore in siria?
    Glli Usis e la loro Nato sarebbero in grado di fare altrettanto? Forse si ma non lo faranno perché sarebbe la guerra totale e nucleare contro la russia, la siria, l’iran e la stessa cina.
    Quella siriana è una partita che non si vince in base al numero maggiore di soldati e aerei di cui si dispone. E’ una guerra che la vince chi riesce a fare le mosse migliori anche se dispone di un piccolo contingente…e finora le mosse migliori mi sembra le abbia fatte la russia e non gli USIS coi suoi alleati.
    Quanto poi al quadro generale delle forze armate russe, qualcuno dovrebbe spiegare perché la russia sarebbe inferiore agli Usis quando essa possiede circa 8500 testate nucleari contro le 7400 degli ammeregani.
    Gli Usis e la NATO possiedono più carrarmati della russia ? Non mi risulta e ammesso che sia così i loro carri mi sembra che in confronto a quelli russi siano tecnologicamente dei ferrivecchi.
    La Nato e gli Usis hanno più aerei dei russi? può darsi ma in compenso i russi hanno un sistema di difesa missilistico da far invidia ai generali della Nato e che farebbe piangere parecchie madri e mogli di piloti.
    Gli Usis e la Nato hanno più portaerei e navi da guerra? Si, certo, ma andavano bene nei tempi che furono…oggi un missile antinave russo (o cinese) da 4 soldi può trasformare le ambiziose portaerei Usa da miliardi di dollari in bare galleggianti.
    Insomma, io non credo molto a questa storia della superiorità militare degli Usis.
    La vera debolezza russa in confronto agli Usis e alla Nato non sta nelle armi ma nella presenza, all’interno del potere russo di una componente iperliberista e filo-atlantista (eredità lasciata da quel delinquente ubriacone di Eltsin agente Cia) che, come recentemente ha scritto Paul Craig, espongono la russia ai peggiori attacchi finanziari da parte degli Usis e dei loro accoliti…questo è il vero tallone d’ Achille di Putin e della Russia.

    1. Dando per assodato che un “primo colpo nucleare risolutivo” degli U$A esiste solo come un bluff, la (futuribile) guerra in siria dovrebbe ( e sottolineo il condizionale ..) rimanere localizzata al MO e cosi’ assomigliera’ alla guerra di corea in quanto si trovera’ a ridosso della russia che di certo disporra’ anche di sicuro retroterra in iran e irak mentre il retroterra americano in turchia e ” emiristan” ( SA giordania , golfo ect) non restera’ sicuro su lunghi periodi. In pratica gli americani avrebbero la tanto desiderata guerra ma al grave rischio di essere espulsi dal MO.
      Ma i vassalli U$A in €uropa , corea giappone ( e soprattutto israele ) ne sarebbero contenti ? .
      In merito poi alla debolezza interna russa , se questa effettivamente ci fosse sarebbe gia’ venuta fuori nel 2015 nel picco dell’ attacco finanziario alla russia. .Anche li sembra ormai che la ” maschirovka ” di putin abbia lavorato egregiamente 🙂

  13. Duterte sarebbe segno dei rapporti egemonici statunitensi in piena crisi. Possono permetterselo?

    1. dipende da quanto ha in controllo l’ apparato dello stato , perche’ dl punto di vista finanziario Duterte ha gia’ certamente le spalle coperte dalla Cina.

  14. ws, la possibilità di una guerra di stile coreano in siria è praticamente nulla.
    In corea non c’erano i russi, invece in siria, purtroppo per gli ammeregani neocons, i russi ci sono e sono pure bene armati.
    Sbarcare in siria con gli scarponi o bombardarla con gli aerei come vorrebbe la pazzoide Clinton significherebbe semplicemente la guerra con i russi, guerra che a meno di un cedimento dei russi, si trasformerebbe in guerra generale e nucleare.
    Se è questo che vuole la Clinton e gli altri sbruffoni, avrà pane per i suoi denti e sarà la fine dell’impero ammeregano … anche se contemporaneamente sarà la fine di tanti altri poveracci come noi anche in russia e nel resto del mondo.
    La Clinton farebbe meglio a mettersi l’anima in pace, in siria non può vincere, può solo accordarsi con i russi.

    1. il tuo ragionamento e’ logico , e mi pare di capire che appunto aldila’ delle sparate verbali gli U$A puntino ancora ad una “guerra di attito” per provocare un collasso interno alla russia ” modello afganistan ” .,e che la russia stia accettando il gioco in quanto punta a logorare in siria la legione Wahabita che gli U$A programmavano di spedire in caucaso dopo la conquista della siria .

      Ma poiche’ agli U$A questo stallo non va bene c’ e da aspettarsi comunque un rilancio U$A in siria che potrebbe presto passare ad un confronto diretto U$A-Russia , datosi anche che i centri finanziarii U$A hanno assolutamente bisogno di un stato di guerra sotto cui nascondere. l’inevitabile implosione del sistema creditizio.

      1. Ma perché questo “rilancio” dell’USIS dovrebbe avvenire in Siria e non da qualche altra parte? E perché questo “rilancio” dovrebbe sfociare in uno scontro diretto in Siria tra USIS/Russia?
        Ma te lo immagini cosa significa che russi e ammeregani si ammazzano a vicenda in siria? Secondo te saranno in grado di autocontrollarsi e di non mettere mano alle pistole nucleari?
        Io non riesco a immaginare uno scenario come quello che proponi senza che le due parti finiscano col buttarsi addosso (e buttarci addosso) anche le bombe nucleari.
        Una guerra solo “convenzionale” e limitata al teatro siriano è solo una pessima illusione.
        Se davvero i neocons e la Clinton pensano a questo siamo fottuti, siamo belli e che fritti.
        Mi dispiace, ws ma la tua ipotesi non mi convince e continuo a credere che gli Usis, a meno che davvero non siano tutti “strafatti” di cocaina, continueranno solo ad inasprire lo scontro tra i loro burattini (di vario tipo) e le truppe di assad.
        Il problema è che i russi probabilmente lanceranno i loro S300/400 se qualche aereo ammeregano, con la scusa di bombardare i tagliagole, sgancerà bombe anche sulle loro installazioni e le loro truppe. A quel punto o gli ammeregani si fermano prima che sia troppo tardi oppure continueranno a bombardare anche i russi…e sarà la fine!

        1. Non mi sembra che abbiamo punti di vista molto diversi , comunque per rispondere alla tua domanda penso che gli USA non possano ( ancora) ridirigere la loro legione wahabita su altri fronti perche’ non si possono permettere di perdere in siria.
          Pero’ se continueranno solo ad inasprire lo scontro tra i loro burattini (di vario tipo) e le truppe di assad. (sempre che ne abbiano di riserva) con cosa armeranno i loro burattini ? Con altri T55 croati altri mortai e ” tecniche ” toyota con mitragliatrice da 22 mm e magari aggiungeranno al pacchetto anche qualche grad preso dagli arsenali di gheddafi e gli daranno anche tanti stinger inutili contro il bombardamento da alta quota. Ma questo alla russia andra’ ancora bene , perche’ l’ aviazione russa decimera’ comunque i tagliagole . e soprattutto i preziosi ( in quanti pieni di specialisti NATO) ” centri di comando&controllo” che li gestiscono .
          Per limitare questo gli U$A dovrebbero dare ai loro tagliagole missili carreggiati moderni di propria fabbricazione ( con altro grande sputtanamento) , e il cui impiego effettivo richiederebbe ‘ mesi e non salverebbe comunque la sacca di aleppo
          E se questo per gli U$A e’ una iattura agli U$A non restera’ che intervenire direttamente con tutti i rischi che questo comporta.
          E se si considera e che una bella guerra e’ perfetta per coprire la bolla finanziaria vicina a scoppiare io direi che sia questo lo scenario piu’ probabile.

        2. Ws, se come sembra probabile Aleppo è oramai persa per gli Usis, potranno consolarsi facendo prendere dai loro tagliagole qualche altra città o riuscendo a fargli mantenere almeno alcune di quelle che ancora hanno in mano.
          E per far questo probabilmente non c’è bisogno che scendano in campo direttamente per sparare contro siriani e russi. Ammesso, come spero, che non ci riescano e che i tagliagole siano spazzati via da tutta la siria (un po’ per mano dei russi, un po’ per mano dei curdi e un po’ per mano dello stesso erdogan), significa che finalmente dovranno assaggiare il fiele della sconfitta.
          Se non saranno disposti a farlo e vorranno intestardirsi a vincere, allora sarà la loro fine (e la nostra!).
          Insomma, è vero che siamo sostanzialmente d’accordo su molte cose, però diversamente da te e, forse, dallo stesso autore dell’articolo, io non credo che i neocons ammeregani si spingeranno fino alla guerra diretta contro i russi….almeno lo spero!

        3. aleppo e’ ” la capitale del nord ” una citta’ simbolo la cui caduta rende impossibile anche “dichiarare un pareggio ” . E se non c’e’ nemmeno il pareggio non ci saranno oleodotti ( cosa che fara’ arrabbiare gli emiri ) e l’ asse sciita non sara’ spezzata ( cosa che terrorizzera’ sia gli emiri che igli israeliani ) .
          Insomma sarebbe un bel fallimento che U$rael non puo’ permettersi, quindi : rilancio sicuro, come ,vedremo 😟

        4. Quello preoccupato per la classe media è lei mi pare. Pensi invece a come funzionerebbe meglio con un pò di robot (e di Cottarelli) il settore pubblico italiano!!

  15. Gentile Dezzani,

    la leggo da tempo e solo oggi mi decido a inviare un commento.

    Le sue analisi sono sempre estremamente accurate, stimolanti nonche’ davvero gradevoli alla lettura; su questo non vi e’ alcun dubbio, grazie.

    Ma, e ripeto ma, esse si muovono e si alimentano all’interno del paradigma e della forma maentis ‘geopolitico’, chiave di lettura imprescindibile ma non univoca.

    La faccio breve; ritengo che una lettura ‘di classe’ dei fenomeni macro-politici / economici sia ancora (sottotraccia, of course) il grimaldello dei mutamenti storici.

    Che vi sia in atto una guerra di classe, nessuno lo nega, direi. E’ solo cambiato il verso. Le elite hanno deciso di riprendersi quel tanto di benessere e diritto che, in parte concesso ai fini di espansione industriale, in parte conquistato con un secolo e mezzo di lotte, sembrava acquisito almeno nei paesi occidentali ad economia (e consapevolezza politica) matura.

    E’ una questione infinita… volevo solo gettare il sasso nello stagno e cogliere le sue, senza dubbio raffinate, considerazioni in merito.

    Con stima,

    Edoardo

    1. Del pensiero di Marx salvo la matrice hegeliana e la naturale tendenza del capitalismo, se non corretto, ad accumulare più che a ridistribuire i profitti.

      La vera dialettica oggi non è capitale-lavoro, ma economia reale vs economia di carta, produzione vs finanza, salari crescenti vs deflazione. La crisi in cui versa l’Occidente sarebbe facilmente risolvibile, non con la collettivizzazione totale dei mezzi di produzione, ma riportando la finanza al servizio dell’economia reale: poiché questa soluzione scardinerebbe la gerarchia del potere, si preferisce rischiare il tutto per tutto e lanciarsi in una guerra.

      1. E’ interessante credo questa intervista a Cottarelli.
        http://www.repubblica.it/economia/2016/10/05/news/cottarelli_e_la_crescita_colpa_di_una_globalizzazione_troppo_veloce-149139809/?ref=HRLV-4

        Con la globalizzazione il capitalismo ha generato e redistribuito un’enormità di profitti, altro che. Solo che (trattandosi di capitalismo) l’ha fatto e ha creato sviluppo dov’era più redditizio farlo e infischiandosene di molti status quo economici, sociali, geopolitici, religiosi. La gerarchia del potere è già stata scardinata (dagli stessi atlantisti) e gli spiriti animali sono scappati dal barattolo per non tornare. Giusto o sbagliato che sia tutto ciò, il Brexit la dice molto lunga su tante cose.

        1. Sì, ha redistribuito così tanti profitti che la classe media in Occidente è incazzata nera. Cottarelli è un uomo del Fondo Monetario Internazionale e non aggiungo altro: se ne resti negli USA che è meglio per la sua salute.

  16. Analisi condivisibilissima. Credo che la situazione sia talmente fluida che è molto difficile, se non impossibile, prevedere le modalità con cui si arriverà al conflitto (evento su cui credo tutti concordiamo) le dinamiche con cui esso si svilupperà e le aree geografiche che verranno interessate.
    Ritornando agli USA, è interessante vedere la fibrillazione crescente con cui viene affrontato il “fenomeno” Trump oltre che dalle elites USA anche da tutti i media…. e non solo dalla nota giornalista del TGCIA in onda su RAI 3.
    Mai si è visto un trattamento così tragicomico nei confronti di un candidato alla presidenza USA, emblematica della follia che ormai impera è l’ultima accusa di sessismo per quel colloquio di 11 anni fa, se consideriamo l’atteggiamento che la Clinton ha avuto nei confronti del marito ai tempi in cui egli stava comodamente seduto davanti alla sua scrivania alla Casa Bianca, questa ultima accusa a Trump sembrerebbe più una performance Dadaista che un passaggio di una incredibile campagna elettorale.
    Se consideriamo che negli USA il Presidente è poco più di un fantoccio nelle mani delle elites atlantiche e delle varie lobbies, e che quindi una eventuale elezione di Trump sarebbe comunque teoricamente gestibile da queste, appare strano questo accanimento trasversale nei suoi confronti al fine di impedirne la vittoria.
    Una spiegazione potrebbe essere che, al di la dei vari “partiti” interni ai ministeri ed alle agenzie dell’amministrazione USA, ne esista uno trasversale formato da persone a livelli di responsabilità elevati che proprio perché ritengono devastante per la loro nazione un conflitto potrebbero fornire a Trump, qualora vincesse, quel supporto indispensabile per poter proseguire nel suo disegno di “disimpegno” al fine di evitare una guerra che appare ormai certa e rischiosa per tutti. Forse siamo di fronte ad uno scontro tra coloro che potremmo definire “nazionalisiti” che aspirano ad una rinascita “concreta” più equilibrata internamente degli USA diciamo Keynesiana e diametralmente opposta all’economia di carta attuale, contro le elites finanziarie atlantiche che hanno “usato” gli USA come strumento di controllo planetario (riducendoli nello stato attuale) e ritengono auspicabile un conflitto al fine di consolidare per altri 50 anni il loro dominio mondiale. Certo per loro sarebbe più comoda una soluzione alla Lincoln o alla Kennedy, ma forse per motivi imperscrutabili non è al momento percorribile.

    1. “La stagnazione secolare nei dati non esiste, e la recessione attuale riguarda solo gli Usa e una parte dell’Europa”: Cottarelli sottolinea una cosa che mainstream si tende a nascondere.

      Nel mondo non c’è solo l’Occidente con la sua classe media, ci sono altri 6 e passa miliardi di persone (buona parte delle quali in Asia) che sta migliorando velocemente la propria condizione. La questione mondo unipolare o multipolare, quella di cui discutiamo nel suo blog e che non sappiamo se sfocerà in una guerra o no, è tutta qui. L’Occidente prenderà atto o no del fatto che ora ci sono anche gli altri (e che sono anche, com’è normale, piuttosto cazzuti)?
      Sappiamo che Trump (pragmatico) intenderebbe prenderne atto, e Hillary (fanatica) no. Lei signor Dezzani da che parte sta?

        1. Pensavo che con “Dove finisce la finanza e inizia il terrorismo” alludesse a “stay behind”, lei mi sorprende!

          Il problema cmq non è la finanza. Siamo in una terra incognita dominata dalle nuove tecnologie e dai loro (rapidi) sviluppi. Oggi nuovi massicci investimenti industriali in Occidente significherebbero per lo più robotica. E certo non risolleverebbero le sorti della classe media, semmai ne accelererebbero la crisi.

  17. Questa analisi la trovo eccessivamente realista (stesso errore che commettono gli americani, soprattutto in Medio Oriente).
    Inoltre non c’è alcuna certezza che, come si è verificato nel caso della guerra fredda, il Mondo si sia assestato su un assetto geopolitico bipolare. Ma se anche così fosse Cina e Germania rimangono delle grandi incognite. Nessuna delle due potenze, per vocaziona storica ha intenzione di avere un ruolo subalterno alla Russia, la quale si propone come alternativa di riferimento occidentalista (agli USA ma anche alla Cina) della imminente svolta europea verso oriente. L’ipotesi di due blocchi contrapposti quindi sembra più una nostalgia che non la conclusione di una disamina politica. Una situazione così ambigua mi fa pensrare ad un assetto multipulare.
    Sulla opzione Trump di cui hai parlato e che cito,
    “A meno che la potenza dominante in declino, sostiene sempre Gilpin, non rinunci volontariamente all’egemonia (“pare che non esistano esempi di potenza dominante disposta a rinunciare al dominio del sistema internazionale a favore di una potenza emergente per evitare la guerra”, anche se l’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump potrebbe rappresentare un’eccezione, proprio come Michail Gorbacev smantellò l’URSS di sua sponte), una guerra che riequilibri il sistema si è sempre verificata”
    vorrei far notare che il personaggio politico e ciò che rappresenta da repubblicano, non è poi così lontano dalla storia USA che è stata caratterizzata anche da un atteggiamento attendista e focalizzato sulle questione domestiche.

    Un messaggio chiaro in tal senso è arrivato proprio dal Regno Unito, che uscendo dall’UE non fa altro che battersi in ritirara per aspettare momenti migliori. Momenti migliori che, sperano gli inglesi, magari arriveranno proprio grazie ad una posizione più defilata che consenta il commercio e la fornitura di materiale bellico al Continente Europeo (e non solo europeo), senza però rischiare troppo.
    Di qui la ragione meramente politica (proprio così: politica. Altro che piano Kalergi!) per cui Svizzera e UK saranno costrette ad assumersi le responsabilità dei rischi dei loro affari proprio grazie o a causa (dipende dalla prospettiva) delle famose 4 libertà UE.

    Un’altro appunto. Io penso che valga la pena di iniziare a considerare l’Impero anglo americano come una amalgama d’interessi ben lungi dall’essere unitaria. Le distinzioni tra Usa e Regno Unito ci sono. E sono presenti persino tra le elite finanziarie dei due corrispettivi Paesi. Sarà un lavoraccio riuscire a carpirle tutte, ma secondo me Lei Dezzani potrà provare a identificarne almeno qualcuna.

  18. Penso che nell’attuale situazione geopolitica, conoscendo chi realmente domina e tira le fila del gioco dalla parte occidentale, la Russia abbia di fatto una sola reale opzione: attacco devastante ad Israele . oltre a costituire uno smacco notevole per i centri del potere economico finanziario occidentali sarebbe un forte avvertimento per chi a Londra , Parigi e New York pensa ancora di poter dare ordini a tutti.
    a quel punto o chinano subito la testa, per sempre, o ……. finiscono per perderla del tutto.

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