L’unità nazionale è in pericolo? E se sì, perché?

L’Italia vive uno dei momenti più difficili dal secondo dopoguerra: una nuova recessione trova il Paese ancora sotto i livelli di produzione del 2009, appesantito da un debito pubblico in costante crescita e isolato sul piano internazionale. Parallelamente, continua l’iter per l’autonomia delle regioni del Nord, avviato con i referendum dell’autunno 2017: sebbene nessun governatore parli esplicitamente di secessione, non c’è alcun dubbio che l’iniziativa indebolisca ulteriormente un sistema-nazione già molto fragile. La secessione mascherata delle regioni del Nord è solo un effetto collaterale della crisi o nasce da un disegno geopolitico? Per rispondere al quesito non si può che spostare l’analisi a livello internazionale e riflettere sugli equilibri post-UE.

Niente “Via della Seta” per la Sicilia…

Nessuno potrà negare che questi anni siano inquieti e tormentati. Grandi cambiamenti sono in corso ed è probabile che cambiamenti ancora maggiori siano imminenti. Districarsi in simili situazioni è come scalare la vetta impervia di una montagna: bisogna trovare solidi appigli e, di lì, fare piccoli movimenti, evitando pericolosi salti: solo così si potrà arrivare in cima senza perdere l’equilibrio. Analizzare l’attuale situazione dell’Italia richiede un simile approccio.

Partiamo da qualche dato di fatto, che esporremo senza alcuna vis polemica. L’Italia sta vivendo il momento più difficile dal secondo dopoguerra: forse, a giudicare da alcuni parametri come il livello delle nascite, addirittura dall’Unità del 1861. La crisi economica del 2009 ha trovato un Paese già fragile e la successiva dose di austerità imposta per riequilibrare la bilancia commerciale, ha spinto il PIL così in basso che, tutt’ora, è sotto il livello di dieci anni fa. Nel frattempo il debito pubblico, come facilmente prevedibile, è lievitato per la spesa in funzione anti-ciclica (dagli assegni di disoccupazione ai salvataggi bancari), raggiungendo livelli di guardia. Come se non bastasse, il Paese è entrato oggi in una nuova recessione, che potrebbe dare il colpo di grazia alle incerte finanze pubbliche. Negli ambienti della finanza angloamericana la possibilità di un default italiano è apertamente presa in considerazione e tali possibilità sono aumentate dal fatto che gli stessi ambienti finanziari hanno installato a Roma un governo populista in aperta opposizione all’Unione Europea che, piaccia o meno, è l’attuale realtà di riferimento dell’Italia.

Parallelamente al deteriorarsi della situazione economica-politica, si assiste, sin dall’autunno del 2017, ad uno strisciante fenomeno di rinascita del secessionismo al Nord: i referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto (accolti, pelaltro, senza alcun particolare entusiasmo dagli elettori) sono infine sbarcati nei palazzi romani, dove il governo gialloverde ha dato il via libera al processo che dovrebbe concludersi con la cessione al Nord di più poteri fiscali e legislativi. Sommando il fragilissimo quadro economico-finanziario alle spinte centrifughe (si noti, perfettamente “legali”), non è azzardato ipotizzare che l’Italia rischi di spezzarsi in due (o tre?) tronconi, qualora il Paese dovesse imbattersi in un default, ristrutturazione del debito pubblico o cambio di valuta.

Iniziamo col chiederci: chi sta gestendo il processo di autonomia-secessione mascherata? Come evidenziammo in tempi non sospetti, la Lega Nord, da cui provengono i governatori Zaia e Maroni, è un soggetto politico squisitamente atlantico, nato per acuire/accompagnare la crisi della Prima Repubblica, culminata col maxi-processo di Tangentopoli e l’affossamento del Pentapartito. Un prodotto genuinamente angloamericano (ma forse più britannico) è il Movimento 5 Stelle e, come dicevamo, benedetto dall’ambasciata di Via Vittorio Veneto è anche l’attuale governo “populista”. Si può pertanto dire che Londra e Washington stiano supervisionando l’iter di separazione del (centro?)nord-Italia dal (centro?)sud-Italia.

Domanda successiva: perché? Il quesito è senza dubbio il più importante, perché senza un buon movente, l’intero impianto analitico crollerebbe.

Iniziamo col dire che, non solo l’Italia, ma l’intera Europa, siano oggetto di un profondo ripensamento strategico da parte angloamericana, come sottolineato nella nostra analisi geopolitica del 2019. Di fronte al rischio che l’Unione Europea a trazione tedesca si integrasse in blocco con Russia e Cina, marginalizzando così le potenze marittime, Londra e Washington hanno deciso di “smontare” la loro vecchia creatura, ricorrendo ad mix di immigrazione selvaggia ed austerità targata FMI per alimentare i “populisti anti-sistema”. Dove la medicina non è sufficiente, si sta ricorrendo, come in Francia, a tentativi, neppure troppo velati, di rivoluzione colorata. “The EU looks like the Soviet Union in 1991 – on the verge of collapse” scrive George Soros su The Guardian, il 12 febbraio scorso. Non solo, però, l’Unione Europea deve frantumarsi, ma che i vecchi Stati nazionali e, così, ci riallacciamo al discorso sull’Italia.

Immaginiamo, come farebbe uno stratega, l’Europa post-UE: la Germania, la stessa Germania che sta portando avanti il Nord Stream 2 nonostante i reiterati ammonimenti angloamericani e ha sviluppato una fortissima interdipendenza con la Cina nell’ultimo decennio, continuerebbe ad essere la prima potenza d’Europa in grado, grazie al suo apparato economico-finanziario, di esercitare una forte influenza sui vicini. L’Intermarium a guida polacca conterrebbe la Germania ad est, interponendosi tra Berlino e Mosca. Una Francia post-Macron e, ovviamente, “nazionalista”, farebbe da argine alla Germania ad ovest. Non c’è però nessun motivo, nessuno, perché l’Italia debba contenere la Germania a sud: l’Italia “spinge” verso il Mediterraneo, entrando così in competizione con francesi ed angloamericani, e le sue regioni più ricche e popolose (metà della popolazione italiana è concentrata tra le Alpi e la Romagna) sono strettamente connesse/dipendenti alla/dalla economia tedesca. In sostanza, uno scenario alla Triplice Alleanza (Germania-Austria-Italia) è tutt’altro che improbabile in un’Europa post-Unione Europea, anche perché l’Italia è il naturale “ponte” tra la Germania e la Nuova Via della Sete cinese, che, nella sua variante marittima, dovrebbe sbarcare proprio nella penisola per poi varcare le Alpi.

Che fare? Quali contromisure adottare in ottica atlantica? Semplice: spezzare la penisola italiana in due o tre tronconi, lasciando che il Nord Italia rimanga in orbita tedesca e conservando invece il Sud e le isole come basi per le potenze marittime. Di qui la necessità di alimentare le spinte centrifughe in seno all’Italia in una situazione politico-finanziaria così drammatica.

È giunto ora il momento di corroborare la nostra tesi con qualche dato di fatto:

  1. la Sicilia, vero “gioiello” delle potenze marittime sin dalla guerra napoleoniche, è de facto esclusa dalla Via della Seta. Forti pressioni angloamericane sono esercitate anche su Trieste e Genova perché rifiutino gli investimenti cinesi, ma le pressioni locali, sommate a quelle tedesche, svizzere e austriache, renderanno inevitabile, prima o poi, l’allacciamento dei porti del Nord Italia alla rotta marittima-infrastrutturale cinese, che punta alla Germania centro-meridionale.
  2. Nelle “indiscrezioni” recentemente circolate sul futuro della basi americani in Europa, è prevista la chiusura delle basi in Germania (da spostare nella più fidata Polonia) e nel Triveneto1, lasciando rigorosamente intatte le basi nel Sud Italia e nelle isole.
  3. Qualsiasi strategia anti-continentale applicata all’Italia, implica storicamente che le potenze marittime conservino il controllo della Sicilia, della Sardegna e del Sud Italia.

Il prossimo terremoto economico-finanziario che investirà l’Italia, sarà quindi anche accompagnato da una frantumazione della penisola? Come sempre, ad ogni azione corrisponde una reazione ed è improbabile che il Paese si lasci smembrare senza nemmeno tentare una riposta. Dopotutto, sono forti gli interessi perché sia possibile usare l’Italia come ponte naturale verso l’Asia (via Suez) e verso l’Africa (via Tunisia).

1https://www.washingtonexaminer.com/opinion/its-time-to-close-some-us-military-bases-in-europe

17 Risposte a “L’unità nazionale è in pericolo? E se sì, perché?”

  1. Dott. Dezzani buonasera,
    il suo pensiero a riguardo una possibile divisione della penisola in 2 o 3 parti fa ricordare molto le idee di un famoso politologo oramai scomparso ;)…che forse già al tempo aveva visto giusto ?
    Il suo pensiero geopolitico è sempre entusiasmante.

    ps. ancora non ho trovato la sua ultima pubblicazione scaricabile dalla piattaforma della mela

  2. Salve complimenti per le sue analisi sempre molto interessanti anche se a volte al limite della fantapolitica. Mi chiedo in un contesto simile se si dovesse avverare , non sia piu’ probabile una balcanizzazione della penisola.Mi spiego meglio la prima repubblica ha avuto tanti difetti ma ritengo che sotto il profilo di stato nazione sia stata perfettamente in contiguita’ con il fascismo creando nei decenni successivi una parte consistente della popolazione oggi sicuramente di mezza eta’ che potrebbe decidere di ricorrere a forme di lotta estrema per impedire cio’ che lei ha scritto.Le rammento che fino alla meta’ degli anni 90 il servizio di leva obbligatorio e un addestramento particolarmente efficente per una parte seppur piccola dei ragazzi di allora abbia formato un nocciolo duro di cittadini anche se al momento silenti ,pensa che queste persone accetteranno di buon grado lo smembramento del paese anche se fosse mascherato da libere scelte democratiche?La ringrazio anticipatamente di una sua aventuale risposta.

    1. Fantapolitica… Se qualcuno le avesse detto, nel gennaio 2011, che avrebbero fatto a pezzi Libia, Siria e Ucraina, lei gli avrebbe creduto?
      Sulla tenuta dell’Italia, ripeto, ci sarà una risposta alle spinte centrifughe.

    2. O che fosse collassato a fine eighties il blocco est europeo, causa prime rivoluzioni colorate….

  3. leggerti è sempre un piacere, lucido e preciso;devo dire che questa è diventata sempre più una partita a scacchi,noi italliani siamo purtroppo dei pedoni…..secondo te farà più danni la prossima grande crisi economica o un probabile attacco all’Iran? p.s. urge il tuo prossimo libro…..

  4. Grazie per la sua interessante analisi.
    Il piccolo grafico che ha pubblicato fa capire meglio il piano atlantico.
    Comunque, guardando la cartina geografica e mappa dell’Europa, non pensa che una nuova via della seta cinese potrebbe invece gia’ passare da Russia>Turchia>Bulgaria>Serbia o Romania>Ungheria>Austria> Germania ?

  5. Caro, lucidissimo Dezzani, tutto ciò mi ricorda la birra Heineken dei primi anni Novanta, la nave Concordia e il movimento dei forconi (fermato sul nascere). Sono forse ubriaco?
    Prosit!

  6. Stante questo disegno angloamericano di sezionare il paese e trattenere il centrosud d’Italia sotto la propria influenza come portaerei nel Mediterraneo, perché la controparte non fa niente per impedire che ciò accada? L’atteggiamento della Germania verso l’Italia tutta è riconoscibile e definibile come strangolamento economico di un concorrente commerciale. Non mi pare l’atteggiamento più utile da assumere nei confronti di un potenziale alleato in una novella triplice alleanza. E perché mai poi la Germania dovrebbe lasciare il sud Italia e le sue basi ali angloamericani, tanto più che intralcerebbe la via della seta, in quella posizione. Può benissimo allearsi con il paese integro, basterebbe favorire e spingere verso politiche più concilianti della UE verso l’Italia.
    Non mi sembra insomma che la Germania sia granché interessata a giocare a scacchi con gli USA in questo frangente.

    1. Nell’articolo evidenzio i tempi della “alleanza”. Inutile essere precisi, se poi si fa un gran casino nel leggere e commentare.

  7. Grazie per l’interessante articolo. Complimenti per l’ultimo libro, che ho divorato.
    Potrebbe pubblicare qualche riferimento o chiarire con un commento riguardo alle pressioni anti-cinesi sui porti del Nord Italia? L’ argomento è molto interessante.

    1. La bibliografia sulle pressioni anti-cinesi si trova qui e là.
      Pence si è dichiarato pubblicamente contro la Nuova Via della Seta:
      https://www.scmp.com/week-asia/geopolitics/article/2173326/mike-pence-unveil-rival-dangerous-belt-and-road-initiative
      Il sistema portuale di Trieste è sottoposto a forte pressioni per rinunciare a investimenti cinesi:
      https://www.ilfoglio.it/economia/2018/12/16/news/attenti-ai-cinesi-quando-bussano-ai-porti-228896/
      Idem Genova, ma non so fornire un articolo in merito.
      Ad ogni modo, sono veti che presto o tardi cadranno, quindi…

  8. In effetti, se consideriamo quanto sottotono è stata celebrata l’Unità d’Italia il 4 novembre scorso… buongiorno e grazie Dezzani.
    Sono a metà del 5° capitolo del cartaceo. Complimenti.
    Per il successivo volume, suggerirei di arrivare a dopo l’insediamento di Paul Volcker alla FED ed alla decisione cinese di inuziare ad aiutare i mujaheddin nel 1979, dopo la massima espansione dell’URSS (gli incidenti sull’UsSuri del ’69 furono solo degli incidenti, storicamente, IMVHO).
    DNFTT. IST

  9. Sono spunti interessanti, da tempo leggo le riflessioni di Dezzani e conosco la sua impostazione.
    A parer mio, a questo mondo tutti hanno progetti o mire: cambia parecchio, però, nella forza disponibile che ha ciascuno di mettere in pratica certi propositi.
    È possibile che Bossi e Miglio negli ani ’90 fossero nell’orbita U.S.A., come ora lo sono i vari Salvini, Maroni, Giorgetti, Picchi e Fontana.
    Però, c’è un piccolo particolare: nessun partito in Italia è fuori dall’orbita U.S.A.
    Condivido l’opinione di chi ha scritto, tra i commenti, che per compiere qualsivoglia disegno geopolitico nel Mediterraneo la spaccatura dell’Italia è un fattore pleonastico, del tutto irrilevante.
    Forse a qualcuno potrebbe interessare la spaccatura della Russia, della Cina, o anche dell’Arabia saudita, dell’Iraq o della Turchia: sono asset geo-strategici davvero chiave.
    Ma la povera Italietta… non ce la vedo proprio, per quanto sia in una posizione importante nel Mediterraneo: peccato che sia già interamente occupata dalla NATO e non sia di ostacolo a nessuno (a parte la Francia, ma insomma…).
    Diciamo, potrebbe interessare a qualcuno dare via libera ad una possibile secessione, in cambio di un rapporto preferenziale con la forza politica che la attuasse.
    Tutto è possibile, per carità, ma sull’Italia non vedo, almeno oggi, grandi mire.
    Inoltre, gli U.S.A. e la NATO sembrano avviati ad inesorabile declino: non hanno già abbastanza grattacapi anche senza la frantumazione di uno Stato-fantoccio ?
    Neppure la cosa attirerebbe l’attenzione di Russia e Cina.
    Un errore che ho visto ripetere in continuazione sulla “questione secessione” in questi anni è stato quello di attribuire alla Lega la spinta secessionista; secondo me, la Lega l’ha sfruttata in abbondanza, ma non l’ha creata.
    Avere uno Stato degno di questo nome è un chiodo fisso di Veneti e Lombardi, perché sopravvive ancora il ricordo della Veneta Serenissima Repubblica, ottimo termine di paragone che svela l’insopportabilità dell’attuale non-Stato unitario italiano.
    Il problema vero è tutto di Roma: devono convincere Milano e Venezia a restare sotto l’attuale regime corrotto.
    Avranno qualche buon argomento per convincere Veneti e Lombardi ?
    Questo mi pare il dilemma.

    1. la Yugoslavia era d’ostacolo a qualcuno? E la Siria?
      Il valore strategico dell’Italia è tale da giustificare smembramenti perchè Cina e Germania non possano usarla.
      Tra l’altro lei introduce la categoria “corrotto”, tipica di certi idealisti…

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