L’Italia vanta solidi legami economici con l’Egitto ed il caos regionale ha rafforzato la collaborazione strategica tra i due Paesi, decisi ad evitare che l’incendio libico si propaghi a tutto il Nord Africa. L’asse Roma-il Cairo è però osteggiato da quelle potenze mussulmane ed occidentali che fanno della caduta del generale Al-Sisi e della destabilizzazione dell’Egitto una priorità: l’autobomba rivendicata dall’ISIS che ha devastato il consolato italiano del Cairo è un inequivocabile avvertimento mafioso contro l’Italia. Che abbandoni Al-Sisi e l’Egitto al loro destino o ne pagherà le conseguenze.
Nuove evidenze sulla vera natura dell’ISIS
All’alba di sabato 11 luglio un’autobomba parcheggiata nei pressi del consolato italiano del Cairo esplode sventrando un’ala dell’edificio, uccidendo un cittadino egiziano e ferendone altri nove: la deflagrazione alle 6:30 di mattina, quando la sede diplomatica è vuota, evita che l’ordigno provochi una strage tra i dipendenti del consolato, denotando la finalità intimidatoria più che stragista dell’attentato.
A chi attribuire la paternità dell’attacco, l’ennesimo della lunga scia che ha sconvolto l’Egitto negli ultimi mesi? Nel dare una risposta i nostri servizi d’informazione sono bruciati sul tempo dal SITE Intelligence Group, società privata con sede in Maryland e specializzata nel monitoraggio del terrorismo islamico, che scova in rete la rivendicazione del gesto: l’attentato è opera dell’ISIS1 , che esorta i mussulmani (gli stessi che trucida con leggerezza in Iraq e Siria) a stare alla larga dagli “obbiettivi legittimi”.
È lecito domandarsi se l’ISIS esisterebbe o perlomeno se godrebbe dell’attuale notorietà internazionale senza il lavoro di agenzie come il “Search for International Terrorist Entities” Institute diretto della cittadina israeliana Rita Katz o l’americana TAM-C solutions2, che analizzando il web attribuiscono al Califfato quasi ogni attacco terroristico di matrice islamista, dalla strage al museo Bardo a quella sulla spiaggia di Sousse del 26 giugno. Senza il SITE Institute che, diffondendone i video, la propaganda e le macabre gesta, svolge la funzione di “megafono” del Califfato, l’ISIS sarebbe quasi sconosciuto in Occidente: è grazie a personaggi come Rita Katz se questa fantomatica Spectre islamista ha potuto conquistare l’odierna fama e soppiantare l’ormai logora Al-Qaida, in base allo stesso principio per cui nell’Italia degli anni di piombo si archiviava una sigla terroristica per scoprirne subito dopo una nuova, più giovane, spregiudicata e violenta.
Il riferimento agli anni di piombo non è casuale perché, come una vastissima bibliografia ed il decennale lavoro di magistrati, investigatori e giornalisti hanno dimostrato incontrovertibilmente la connivenza dello stragismo nero, rosso e mafioso con i servizi “deviati” e la rete Stay-Behind angloamericana, così esistono prove inconfutabili sull’origine “occidentale” dell’ISIS: è indubbio che la propaganda del Califfato e la sue pretese universalistiche siano studiate per solleticare le corde del mondo sunnita ed attrarre, specie tra giovani e diseredati, nuovi adepti, ma il nocciolo dell’organizzazione, quello che ha messo a ferro e fuoco la Siria e l’Iraq e cerca ora di destabilizzare Libano, Egitto, Libia e Tunisia, è un prodotto degli apparati di sicurezza occidentali (Washington, Londra e Tel Aviv) e mussulmani (Ankara , Doha, e, con certe differenze, Riyad).
Sull’origine dell’ISIS ci eravamo già espressi nei nostri precedenti lavori: oggi, a distanza di qualche mese, aggiungiamo qualche ulteriore informazione sulla genesi e sulle finalità del Califfato.
Dal punto di vista temporale è innanzitutto da evidenziare come la comparsa dell’ISIS nel panorama mediorientale, databile attorno all’estate-autunno del 2013, coincida con la strategica vittoria dell’Esercito Arabo Siriano ad Al-Qusayr, che vanifica gli sforzi per la conquista di Damasco ed allontana sine die la caduta di Bashar Assad, il conseguente tentativo occidentale (fallito) di bombardare la Siria impiegando come casus belli l’impiego di armi chimiche e l’inizio dell’addestramento da parte della CIA dei “ribelli moderati”3. È quanto mai singolare che in concomitanza agli sforzi angloamericani per formare ed equipaggiare i ribelli “buoni”, compaiono i terroristi dell’ISIS la cui agenda è grossomodo la stessa.
La recente pubblicazione, in ottemperanza al Freedom of Information Act, di un rapporto4 del Dipartimento della difesa americano stilato nell’agosto del 2012 ed inizialmente classificato come “segreto”, dimostra come risalga a quell’estate l’idea di creare, con il supporto della Turchia e delle monarchie del Golfo, “un’entità salafita” a cavallo di Siria ed Iraq, aggregando tutte le sigle terroristiche pronte a combattere il regime siriano e l’influenza iraniana nella regione: Al Qaida in Iraq (AQI) e la sua più recente filiazione, lo Stato Islamico dell’Iraq (ISI), progenitore dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS o ISIL).
Nella “guerra per procura” tra Cina, Russia, Iran e Siria da un lato, e monarchie sunnite, Turchia, Israele e angloamericani dall’altro, l’ISIS svolge quindi la funzione strategica, continua il rapporto del Dipartimento della Difesa, di separare la Siria dall’Iran, creando quel Califfato sunnita che si nutre di settarismi e di conflitti etnici, in ossequio alla classica politica del “divide et impera”.
Anche a livello operativo è tangibile il supporto angloamericano all’ISIS, cui sono fornite armi e mezzi tali da poter competere con gli eserciti regolari di Damasco e Baghdad.
Il veicolo più amato dai miliziani del Califfato, il fuoristrada Toyota Hilux, è lo stesso fornito da Washington ed Ankara alle unità di ribelli “moderati”5 e diversi sono i rifornimenti paracaduti “per errore” ai tagliagole dell’ISIS6, tanto che nel febbraio del 2015 i media iraniani riportano la notizia dell’abbattimento da parte irachena di due aerei britannici7, impegnati a sganciare rifornimenti sopra le zone controllate dal Califfato. È ancora grazie alla complicità delle fazioni irachene più intime dei sauditi e degli angloamericani se l’ISIS fa il salto da brigata terroristica a esercito semi-professionale: con la precipitosa e provvidenziale fuga di 30.000 soldati regolari dinnanzi a 800 miliziani, il Califfato conquista senza colpo ferire la roccaforte sunnita di Mosul nel giugno del 2014, appropriandosi di tutto il materiale bellico accatastato nella base di al-Qayara, sufficiente ad equipaggiare due divisioni8.
Nel settembre del 2014, di fronte alla rapida avanzata dell’ISIS nel Kurdistan iracheno (resa possibile dal sostegno turco9) il presidente Barack Obama lancia una coalizione internazionale contro il Califfato: ne prendono formalmente10 parte Bahrain, Giordania, Qatar, Arabia Saudita, Marocco ed Emirati Arabi Uniti, oltre a Francia e Gran Bretagna.
A distanza di quasi un anno si è persa qualsiasi traccia dell’operazione “Inherent Resolve”(sebbene il Dipartimento delle difesa statunitense continua ad aggiornarne il bollettino con certosina precisione11): di tanto in tanto compare sui media che un papavero dell’ISIS è stato ucciso nei bombardamenti o nei blitz delle teste di cuoio americane, ma sfugge la ratio di questi interventi chirurgici quando un’intensa campagna aerea di una settimana sarebbe sufficiente a debellare tutti i 20.000-30.000 miliziani dell’ISIS12. È infatti paradossale che le forze speciali statunitensi siano aviotrasportate in Siria per uccidere il presunto “esperto petrolifero” dell’ISIS, tale Abu Sayyaf13, quando gli USA sono impotenti di fronte alle colonne del Califfato che entrano a Palmira, patrimonio dell’Unesco ma anche, e soprattutto, nodo stradale strategico per il regime.
Gli angloamericani non si affrettano neppure a dotare l’esercito iracheno di mezzi adeguati alla sfida contro l’ISIS: mentre Mosca avvia la fornitura di decine di caccia Su-25, batterie Pantsir ed elicotteri Mi-35 già nell’estate del 201414 (giocando un ruolo determinante nel fermare la marcia dell’ISIS verso la capitale), solo nella prima metà del luglio 2015 sono consegnati quattro sparuti F-16 americani, decisamente troppo poco e troppo tardi per aiutare le autorità di Baghdad15.
Certo, c’è il sostegno dell’aviazione israeliana, completamente equipaggiata dagli USA: peccato però che Tel Aviv non bombardi i miliziani dell’ISIS, ma al contrario l’Esercito Arabo Siriano e le milizie di Hezbollah ogni qualvolta questi si avvicino alle alture del Golan, dove, casualmente, si è proprio installato il Califfato16. Resta un mistero perché il governo di Tel Aviv preferisca avere come vicini i tagliagole dell’ISIS, senza riceverne peraltro alcun disturbo, piuttosto che le truppe regolari di Damasco. Insospettabili simpatie?
A distanza di quasi due anni dalla comparsa dell’ISIS sono anche evidenti le finalità dell’ISIS, che variano soltanto a seconda che il Califfato sia impiegato nei Paesi mussulmani oppure come sigla terroristica in Occidente.
L’ISIS è il principale strumento con cui gli angloamericani e gli israeliani, spalleggiati anche dai francesi, attuano la politica di balcanizzazione del Medio Oriente, sgretolandolo lungo faglie religiose ed etniche. La nuova cartina geografica tracciata grazie all’ISIS è innanzitutto gradita alle potenze sunnite, in particolare Turchia, Arabia Saudita e Qatar, che ambiscono a riempire gli spazi geopolitici lasciati vuoti dallo sfaldamento di Iraq e Siria. Il disegno di frammentare i precedenti Stati in un mosaico di entità su base nazionale e religiosa, è poi perseguito dall’establishment euro-atlantico per tre principali motivi: sgravare Israele da qualsiasi minaccia strategica; impedire il decollo economica dell’area, mantenendola in una condizione di eterna prostrazione (basti ricordare che in Libia, prima della somalizzazione del Paese, si progettava la costruzione di ferrovie ad alta velocità17); giustificare il costante intervento militare nella zona, evitando che altri attori (Cina e Russia in testa) occupino gli spazi lasciati liberi dai declinanti USA (l’intervento contro l’ISIS è infatti quantificato da Londra in termini “non di mesi ma di anni”18).
Per l’Europa l’ISIS svolge poi il duplice ruolo di “barbaro alle porte” e, allo stesso tempo, sigla terroristica sotto cui riproporre il classico repertorio della strategia della tensione.
Creando un arco di instabilità che dal Levante scivola verso la sponda sud del Mediterraneo, si taglia qualsiasi ponte su cui gli europei possano fuggire dal dal sistema euro-atlantico: anziché in mercati di sbocco (e nel caso della Libia una fonte di approvvigionamento energetico ma anche di capitali per l’Italia) i paesi nord-africani sono trasformati in buchi neri, fonte solo di immigrazione selvaggia, terrorismo ed instabilità. Così l’Europa, anziché porsi come nel XIX secolo come centro aggregante del Mediterraneo, mantiene la sua condizione subalterna di periferia dell’impero americano.
In secondo luogo, in un’Europa attanagliata dalla crisi economica, dalla disoccupazione e dal crescente antagonismo contro l’establishment, gli attentati dell’ISIS svolgono una funzione analoga alle stragi compiute tra gli anni ’70 e ’80 Italia da sigle come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e Brigate Rosse: diffondere la paura e lo sconcerto, in modo tale che aumenti la domanda di sicurezza e l’appoggio alle autorità.
Con lo sbarco dell’ISIS in Libia (gennaio 2015), Tunisia (strage al Bardo del 18 marzo 2015 e attacco alla spiaggia di Sousse il 26 giugno) ed Egitto, si punta ora alla destabilizzazione dell’intero Nord-Africa, colpendo specialmente i settori chiave dell’economia: la produzione di greggio in Libia (crollata a 400.000 barili giornalieri dai 1,6 mln ante 201119), l’industria vacanziera in Tunisia, il turismo ed il canale di Suez in Egitto.
La caduta di quest’ultimo, il “gigante” del mondo arabo, scatenerebbe in particolare un terremoto di incalcolabile magnitudo.
La destabilizzazione dell’Egitto
La rivoluzione colorata che spodesta nel febbraio 2011 Hosni Mubarak ed apre le porte al primo governo della Fratellanza Mussulmana, presieduto da Mohamed Morsi, è ideata, finanziata e coordinata dagli angloamericani: suo scopo è sostituire il fedele ma senescente Mubarak con un governo religioso che, sul modello della Turchia di Erdogan, spalanchi le porte all’islamizzazione della società, abbracciando però i principi dell’economia neoliberista e conservando l’Egitto nella sfera “occidentale”. Non c’è quindi da stupirsi se l’allora Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, sia una delle più entusiaste sostenitrici della svolta egiziana20, che vede la Fratellanza mussulmana affermarsi come prima forza politica del Paese.
Nonostante i lauti aiuti concessi dal Qatar, l’economia egiziana però non decolla ed in materia di politica estera il governo di Mohamed Morsi dà parecchi grattacapi ad Israele e Washington: il nuovo Egitto infatti riallaccia i rapporti con l’Iran e, sopratutto, con Hamas, che controlla la striscia di Gaza21. A quel punto, persino un secondo colpo di stato, per di più in senso autoritario, è visto come un male minore rispetto della Fratellanza Mussulmana che minacci Israele. Gli americani danno luce verde al golpe del comandante delle forze armate, generale Abd al-Fattah al-Sisi, che nel luglio 2013 rovescia Morsi assumendo la carica di vice-primo ministro, fino all’elezione a presidente nel giugno del 2014.
Memore però della sorte toccata al filo-americano Mubarak (prosciolto nel frattempo dall’accusa di complicità per gli omicidi del 2011) ed fautore di una linea autoritaria-laica antitetica a quella rivoluzionaria-islamista propugnata dagli angloamericani, il generale Al-Sisi si allontana velocemente dall’orbita di Washington ed apre a Pechino e Mosca.
Nel dicembre del 2014 Al-Sisi è ospite del governo cinese, con cui sigla una collaborazione strategica nel settore delle infrastrutture (porti e ferrovie), turismo, difesa ed energia, mentre nel febbraio del 2015 è il presidente russo Vladimir Putin a volare al Cairo. Il piatto è ancora più succulento: sfruttando la debolezza americana nel Paese, Putin firma un accordo per la costruzione di una centrale nucleare e perfeziona l’accordo per la vendita di armi di fabbricazione russa per un ammontare di 3,5 $mld.
Non pago dell’attivismo in campo internazionale, il generale Al-Sisi, ancora in stretta collaborazione con il Cremlino, rispolvera il ruolo dell’Egitto come potenza regionale, assumendo un ruolo guida nella vicina Libia, martoriata da guerre intestine.
Può il generale Al-Sisi appoggiare il governo islamista di Tripoli, sostenuto dal Qatar, dalla Turchia e dagli angloamericani? Accetterebbe una Libia in mano alle stesse potenze che in Egitto hanno congiurato per la caduta di Mubarak e l’insediamento degli odiati Fratelli Mussulmani? Decisamente no. Al-Sisi si schiera quindi a fianco del governo nazionalista e laico di Tobruk, gettando nell’agone tutto il peso politico e militare dell’Egitto.
È senza dubbio l’intervento egiziano in Libia, concordato con l’Italia e la Russia, a provocare il precipitare delle quotazioni di Al-Sisi presso gli angloamericani: matura in fretta la convinzione che in Egitto occorra l’ennesimo cambio di regime: per rovesciare il governo militare egiziano, sul solco dell’esperienza siriana, si mobilita quindi l’ISIS, sotto i cui vessilli è riciclata la sigla terroristica locale Wilayat Sinai, radicata nell’omonima penisola confinante con Gaza ed Israele.
Nell’ottobre del 2014 i miliziani dell’ISIS sferrano il più sanguinoso attacco degli ultimi decenni contro le forze armate egiziane: una trentina di soldati rimangono uccisi durante un assalto alle guarnigioni dell’esercito, condotto con autobombe e lanciagranate. A distanza di meno di anno, il 21 luglio 2015, è la volta di una nuova strage ancora in Sinai: almeno 300 miliziani del Califfato, pesantemente armati, prendono di mira una quindicina di postazioni dell’esercito egiziano, infliggendo perdite per una ventina di soldati uccisi al costo di un centinaio di caduti22. Infine, il 16 luglio, l’ISIS rivendica l’attacco contro una nave militare egiziana per il trasporto truppe, colpita al largo delle coste del Sinai da un sofisticato missile terra-mare.
La dinamica è chiara: come le alture del Golan e la provincia siriana di Daraa, confinante con la Giordania, servono da retroterra per l’infiltrazione ed il rifornimento dei miliziani dell’ISIS impegnati contro il regime di Assad, così la penisola del Sinai serve da base d’appoggio per i gruppi terroristici impegnati nella destabilizzazione dell’Egitto di Al-Sisi. È evidente che l’obbiettivo cui puntano i miliziani dell’ISIS è il canale di Suez, colonna portante dell’economia nazionale nonché principale arteria dell’Europa Occidentale per l’approvvigionamento di greggio.
Se il generale Al-Sisi nutrisse ancora qualche dubbio sul destino che gli angloamericani hanno in serbo per lui, gli sarebbe sufficiente sfogliare qualche copia del Financial Times dove, a partire da questa primavera, si susseguono duri attacchi contro “l’autocrazia egiziana”, sciagura per l’intero Medio Oriente: “Egypt’s Sisi is selling delusions of stability23” scrive il giornale della City il 3 febbraio, “Egyptian autocracy bodes ill for Arab region” rilancia il 22 aprile, “Autocracy is the cause, not the cure, of the Middle East’s ills” incalza il 5 maggio.
L’Egitto di oggi è come la Libia nel gennaio 2011: un regime non certamente conforme ai canoni della democrazia occidentale (peraltro ridotta ad uno stanco rituale formale, se si considerano i continui golpi bianchi nell’eurozona e l’evidente subalternità dei Parlamenti alla finanza) ma che garantisce stabilità, la protezione alle minoranze cristiane ed un ambiente economico sufficiente rasserenato da consentire di investire nel Paese.
Oggi è interesse dell’Italia che il regime di Al-Sisi continui la sua opera, come era interesse nazionale che sventare l’assalto NATO contro il Colonnello Gheddafi nel 2011, anche a costo di scontro frontale con Washington. L’autobomba al consolato italiano del Cairo è un avvertimento mafioso rivolto al governo di Roma, perché accantoni le sue velleità autonomistiche e rientri nei ranghi, uniformandosi come quattro anni alla volontà angloamericana.
La presenza italiana in Egitto nel mirino
Torniamo al principio: alle 6:30 dell’11 luglio, un’autobomba sventra un’ala del consolato italiano al Cairo e prontamente arriva, filtrata dal SITE Intelligence Group, la rivendicazione dell’ISIS.
L’attentato dinamitardo vuole lacerare il tessuto economico e politico tra i due Paesi, che in questi anni hanno rafforzato i legami nonostante il caos regionale.
L’Italia è il terzo Paese per interscambio commerciale coll’Egitto, preceduta da Cina e USA, con un ammontare annuo di commerci pari a 5 $mld: la presenza italiana spazia dalla finanza all’industria estrattiva, passando per l’esportazione di macchine utensili ed i classici articoli del Made in Italy. A fianco delle medie imprese italiane, operano anche le poche grandi imprese superstiti: Bank of Alexandria (Intesa-San Paolo), Enel, Eni, Ansaldo, Danieli, Technit, Italcementi, Pirelli Tyre, etc. etc., interessate a sfruttare la nuova stagione di sviluppo dell’Egitto. L’economia egiziana è attesa in crescita del 4% nel 201524 e a far da volano è l’ampliamento del Canale di Suez che con 72 nuovi chilometri, paralleli a quelli attuali, abbasserà il tempo di transito da undici a tre ore e consentirà di raddoppiare i traffici.
Agli interscambi commerciali, si aggiunge poi l’accordo politico strategico in concomitanza con l’irruzione dell’ISIS in Libia nei primi mesi del 2015: accantonata l’idea di un insensato ed azzardato intervento militare nell’ex-colonia, il governo italiano trova infatti nell’Egitto un interlocutore sensibile al dossier ed il vertice arabo del di Sharm El Sheikh del marzo 2015 riconosce formalmente un ruolo speciale dell’Egitto nella pacificazione della martoriata Libia.
Ça va sans rien dire che schierarsi con il presidente Al-Sisi, significa implicitamente sostenere il generale libico Khalifa Haftar che, fedele anch’egli ad una visione nazionalista-laica, è impegnato in una dura repressione della Fratellanza Mussulmana, dei salafiti e dell’ISIS. A ruota si evince che affidarsi ad Al-Sisi implica uno scontro frontale con Turchia e Qatar che, appoggiate dal Regno Unito e dagli USA, perseguono l’islamizzazione della Libia e la sua spartizione in più regioni e città-stato.
Se a ciò si aggiunge che l’Egitto gode dell’incondizionato appoggio25 della Russia di Vladimir Putin, il quadro si chiude: si è creata una triangolazione Roma-il Cairo- Mosca, che presenta forti affinità con quella Roma-Tripoli-Mosca, già finita nel mirino di angloamericani e francesi nel 2011. Se nel 2011 Londra e Washington si affidano agli islamisti di Bengasi per innescare i disordini in Libia e giustificare l’intervento militare, oggi tocca ai miliziani dell’ISIS in Sinai il ruolo di destabilizzare dell’Egitto.
L’autobomba al consolato egiziano, per concludere, è un’inequivocabile intimidazione mafiosa rivolta all’Italia, affinché abbandoni al suo destino il generale Al-Sisi, come nel 2011 fece con Gheddafi.
Il 9 luglio, due giorni prima dell’attentato al consolato26, il premier Matteo Renzi rilascia un’intervista all’emittente qatariana Al Jazeera dove rinnova il sostegno italiano al presidente egiziano:
“In questo momento l’Egitto sarà salvato solo con la leadership di Al Sisi. Questa è la mia posizione personale, e sono fiero della mia amicizia con lui. Darò il mio sostegno per lui e la direzione della pace (…). Penso che Al Sisi sia un grande leader. Penso che la posizione dell’Egitto sia assolutamente cruciale nel Mediterraneo, e che dopo molte crisi, molte tensioni, l’Egitto stia finalmente investendo nel futuro con la leadership di Al Sisi.”27
Poi, l’11 luglio, l’esplosione al consolato del Cairo.
Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni asserisce che l’autobomba è un avvertimento, ma nega che sia espressamente diretto contro l’Italia28. Eppure un ordigno che esplode all’alba sotto la facciata del consolato, ha tutte le sembianze delle bombe fatte esplodere la mattina presto davanti alle saracinesche dei negozi che si ribellano alla mafia.
1https://news.siteintelgroup.com/Jihadist-News/is-claims-credit-for-car-bombing-at-italian-consulate-in-cairo.html
2http://www.tamc365.com/?page_id=12771
3http://www.businessinsider.com/cia-secret-training-syrian-rebels-2013-6?IR=T
4http://www.judicialwatch.org/wp-content/uploads/2015/05/Pg.-291-Pgs.-287-293-JW-v-DOD-and-State-14-812-DOD-Release-2015-04-10-final-version11.pdf
5http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/syria/11419243/Moderate-Syrian-rebels-to-be-given-power-to-call-in-US-air-strikes.html
6http://www.theguardian.com/world/2014/oct/22/isis-us-airdrop-weapons-pentagon
7http://english.farsnews.com/newstext.aspx?nn=13931204001534
8http://www.theguardian.com/world/2014/jun/11/mosul-isis-gunmen-middle-east-states
9http://www.corriere.it/inchieste/reportime/societa/i-curdi-denunciano-turchia-aiuta-isis/1fe8fc7c-4279-11e4-8cfb-eb1ef2f383c6.shtml
10http://www.nbcnews.com/storyline/isis-terror/obama-isis-airstrikes-not-americas-fight-alone-n209546
11http://www.defense.gov/home/features/2014/0814_iraq/
12http://edition.cnn.com/2014/09/11/world/meast/isis-syria-iraq/
13http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/16/isis-raid-usa-in-siria-ucciso-leader-del-petrolio-abu-sayyaf-ordinato-da-obama/1690512/
14http://archive.defensenews.com/article/20140724/DEFREG04/307240026/Report-Russia-Delivering-Weapons-Iraq
15http://www.askanews.it/minaccia-isis/iraq-consegnati-i-primi-quattro-f-16-americani_711558523.htm
16http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Jihadists-at-the-border-Operatives-loyal-to-ISIS-seen-near-the-Golan-Heights-400720
17http://www.corriere.it/cronache/09_settembre_01/frecce_firma_tricolore_programma_celebrazioni_tripoli_fe8919ee-96df-11de-864c-00144f02aabc.shtml
18http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Raid-anti-Isis-Cameron-chiede-il-via-libera-al-Parlalmento-intervento-durera-anni-7ac8beaf-7ed7-4427-adce-ee1991b992b8.html
19http://www.agenzianova.com/a/0/1162148/2015-06-17/libia-national-oil-corp-promette-aumento-produzione-petrolifera-ma-la-situazione-sul-terreno-resta-incerta-2
20http://www.nytimes.com/2012/07/15/world/middleeast/clinton-arrives-in-egypt-for-meeting-with-new-president.html?_r=0
21http://www.haaretz.com/news/middle-east/hamas-chief-meets-egypt-s-morsi-in-cairo-hails-new-era-1.452281
22http://www.reuters.com/article/2015/07/01/us-egypt-security-sinai-idUSKCN0PB3VJ20150701
23http://www.ft.com/intl/cms/s/0/7749b84c-aba8-11e4-b05a-00144feab7de.html#axzz3g41ZWQO4
24http://www.egyptindependent.com/news/imf-predicts-4-growth-egypt-s-gdp-2015
25http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2015/02/16/libia-putin-russia-pronta-cooperare-con-egitto-contro-minaccia-terrorismo_aX5DkXObw449N3iq1ho8xN.html?refresh_ce
26http://www.ilpost.it/2015/07/12/renzi-al-sisi/
27http://www.askanews.it/top-10/pieno-sostegno-di-renzi-alla-leadership-di-al-sisi-in-egitto_711557756.htm
28http://www.corriere.it/esteri/15_luglio_13/gentiloni-cairo-bomba-fatto-grave-ma-non-rivolto-all-italia-e2819600-2954-11e5-8a16-f989e7f12ffa.shtml
Grazie Federico per i tuoi sempre esaurienti e stimolanti argomenti che redigi in modo impeccabile.
Grazie, Antonio. Commenti come il tuo sono di grande incoraggiamento e stimolo.
Grazie Federico, l’ho “scoperta” da non molto ed é stata una gradevolissima sorpresa, libri inclusi. Un saluto
Grazie Maurizio!
Buon giorno Federico, secondo lei sono da inquadrarein questo contesto, o comunque in queste dinamiche geopolitiche, anche i rapimenti degli italiani in Libia e gli immediatamente successivi arresti dei due presunti simpatizzanti dell Isis qui in Italia, o questi sono fattiche attengono ad altri settori?
Il rapimento si inquadra nello scontro tra governo islamista di Tripoli e governo nazionalista di Tobruk, supportato dall’Italia. Gli islamisti di Tripoli (gli stessi che supervisionano il flusso di clandestini) hanno l’appoggio di Qatar, Turchia, USA e GB e vedono come fumo negli occhi il nostro impegno con l’Egitto di Al-Sisi e l’esercito di Haftar: il rapimento, come l’autobomba al Cairo, è l’ennesimo avvertimento minaccioso contro l’Italia.
Ma quindi l Italia nonostante Renzi e ilsuo governo fantoccio vuole giocare comunque un ruolo che va a contrapporsi agli interessi angloamericani comedice lei?
Non è però questa una contraddizione?
Mi spiego, se Renzi è un burattino che si appiattisce sempre su posizioni filo
UE filo USA filo NATO filo Israele, se s
i china ai voleri di frau Merkel contro l
a grecia, se non fa una piega se gli co
mandano di mettere le sanzioni alla R
ussia e lui obbedisce, perché dovrebb
e assumere un atteggiamento diverso,se si parla di nord africa?
Dove sbaglio?
Renzi è un fantoccio, ma gli interessi italiani in Egitto risalgono all’Ottocento, ben prima che nascesse la donna che concepì la donna che concepì la donna che partorì quel c^^^^^ di Renzi
Bagnai, Il Tramonto dell’euro. Mi sembra che tratti l’argomento.
😀 ahahaha….. Grazie Federico.
Chiave di lettura interessante (e convicente). Il recente rapimento dei 4 italiani in Libia si può inquadrare nello stesso contesto