Grexit/4: nella mischia

Dopo 72 ore di convulse trattative, le piazze finanziarie europee aprono precedute dalla notizia di una presunta intesa tra Atene e la Troika: i listini possono così continuare a correre nonostante mai come ora l’eurozona sia ad un passo dallo sfaldamento, palesando come spread e crolli di borsa siano strumenti di governo più che termometri dell’economia. La capitolazione di Tsipras è frutto di impreparazione politica e di pressioni NATO: ciononostante, la Grexit è solo rimandata, di pochi giorni o settimane. Sul piano geopolitico è da registrare lo strappo definitivo tra Francia e Germania: l’aggregazione attorno a Berlino di un’area “germanica” divergente dal resto dalla UE, è il prodromo della prossima scissione dell’eurozona.

La testa di Tsipras

Quando papa Giulio II entra a Perugia reclamando il controllo della città, seguito soltanto da uno stuolo di cardinali e dignitari tra cui Niccolò Macchiavelli, il reggitore della città, il condottiero Giampaolo Baglioni, si prostra umilmente davanti al vescovo di Roma e senza opporre resistenza acconsente che il comune umbro entri nei domini papali. Quante maledizioni gli lancia il Macchiavelli! Benché il Baglioni fosse stato assassino, incestuoso e fedifrago, quando la fortuna gli offre un’occasione imperdibile, commenta rammaricato lo scrittore fiorentino, quel poco di buono anziché tagliare la testa al papa e a tutti i cardinali, blindando il suo potere e conquistando fama imperitura, capitola come un povero bigotto!

Altrettanto potremmo dire noi di Tsipras, un giovane e fino a pochi mesi fa sconosciuto greco, cui la fortuna ha offerto su un piatto d’argento la possibilità di tagliare la testa all’euro, all’eurozona ed alla UE, acquistando gloria e notorietà nei secoli a venire: mancò l’appuntamento con la storia ed ora, la testa che cadrà, sarà probabilmente la sua.

Avevamo capito fin da giugno che non era volontà del premier greco né del ministro Yanis Varoufakis spezzare le catene dell’euro: minacciare l’uscita dalla moneta unica è un semplice espediente con cui si cerca di ammorbidire gli interlocutori e strappare migliori condizioni ai negoziati. Quando le trattative entrano in stallo a causa dell’intransigenza tedesca, il premier sfodera il referendum, sicuro che sia l’arma definitiva per piegare la Troika: al contrario, non solo Berlino non si spaventa ma è pure felice perché Tsipras si è ficcato in un vicolo cieco che nel volgere di pochi giorni l’avrebbe obbligato a abbondare l’eurozona. Il referendum del 5 luglio sancisce infatti la clamorosa vittoria dell’oxi, imponendo a Tsipras l’obbligo di dettare le proprie condizioni alla Troika o, in alternativa, uscire dalla moneta unica.

È sempre esistita un terza strada, ovviamente, quella dell’andata a Canossa e della capitolazione ma, benché ne avessimo accennato, poco l’abbiamo considerata, dato il suicidio che questa averebbe comportato, di natura economica per i Greci e di natura politica per Tsipras. Così invece è stato: mentre però la fine del premier greco è quasi certa, rimane sempre all’ordine del giorno la Grexit, rimandata forse di pochi giorni o settimane.

Il 10 luglio Alexis Tsipras sottopone al Parlamento un piano di riforme dal valore di 12 €mld da presentare all’imminente Eurogruppo, compiendo il primo vistoso passo indietro rispetto alle precedenti posizioni anti-austerità: sono contemplati infatti aumenti all’IVA su ristoranti e alberghi, fine delle agevolazioni fiscali per le isole, tagli alla difesa e aumento progressivo dell’età pensionabile.

Il piano, elaborato con il supporto decisivo di tecnici ed esperti francesi1, supera il voto parlamentare con 251 favorevoli su 300, ma si registrano, all’interno della maggioranza, i primi allarmanti segnali di cedimento: su 149 deputati di Syriza, ben 17 non votano il piano del premier, nonché presidente del partito, Alexis Tsipras. Tra i dissenti si conta l’ex-ministro delle finanze Yanis Varoufakis e tutta l’ala sinistra di Syriza, la stessa cui fa capo il sindacato comunista PAME che la sera del 10 luglio organizza una manifestazione in piazza Syntagma per ribadire il proprio no all’austerità e ricordare l’esito del recente referendum2.

Il piano di Tsipras incassa l’immediato supporto di François Hollande (come bocciare il lavoro dei propri funzionari?) e circolano voci che un rapido accordo che eviti la bancarotta di Atene potrebbe già essere trovato all’Eurogruppo di sabato 11 luglio, rendendo superfluo l’Eurosummit del giorno successivo: l’ottimismo tanto generalizzato quanto infondato, permette alle borse europee di inanellare l’ennesima seduta sfavillante, con Parigi che guadagna oltre il 3% e Milano che chiude a +2,9%.

L’entusiasmo delle borse e la relativa quiete del differenziale tra bond periferici e Bund tedeschi sono la peculiarità di questa ennesima stagione di crisi dell’euro: durante il biennio 2011-2012, quando l’economia era più sana, i debiti pubblici più smilzi e la disoccupazione ovunque più contenuta, lo spread inanellava record di 400-500 punti base. Oggi, quando la situazione economica è critica e l’uscita di membro dall’eurozona più vicina che mai, lo spread btp-bund è a 120 punti base e la borsa ai massimi da un anno a questa parte. Merito della BCE? No, la paradossale bonaccia in borsa deve essere collegata agli innumerevoli e disperati appelli che arrivano dal mondo anglosassone per tenere la Grecia agganciata all’euro: taglieggiati i risparmi delle famiglie, fatte scattare le clausole di salvaguardia sui derivati in pancia al Tesoro e installati premier amici, non c’è più nessun motivo per affondare le borse. Gli Stati Uniti d’Europa non sono infatti nati ed una nuova stagione di tracolli in borsa incentiverebbe anziché arrestare l’implosione della UE. Ecco spiegata l’incredibile amenità borsistica.

Le riforme approvate dal parlamento greco, nonostante siano di un valore perfino superiore alle richieste avanzate dalla Troika prima del referendum, non commuovono però la controparte europea, specialmente Berlino: il ministro Wolfgang Schaeuble taccia di lacunosità i propositi ellenici, asserendo che è venuta meno la fiducia in Atene, mentre Angela Merkel nega che l’Eurosummit di domenica 12 luglio sia stato cancellato e nega il buon esito scontato dei negoziati, aprendo così le porte alla Grexit.

I vertici di sabato e domenica si chiudono infatti senza un nulla di fatto, talmente forti sono le divergenze in seno alle istituzione europee e tra i diversi membri dell’eurozona: le borse rischiano quindi di aprire la mattina del 13 luglio con la prospettiva di una Grexit sempre più concreta. È proprio per evitare il tracollo delle piazze finanziarie che al termine di un Eurosummit durato 17 ore, il premier belga Charles Michel scrive alle 8:50 su Twitter che l’accordo con la Grecia è stato raggiunto.

Come si è trovata una quadra?

Grazie alla resa totale di Tsipras, che si rimangia non solo le spavalderie dell’ultimo referendum ma addirittura cancella sei mesi di governo e l’ultima campagna elettorale: la Troika si reinstalla de facto ad Atene decurtandone la sovranità; entro il 15 luglio il Parlamento greco deve deliberare l’ampliamento della base IVA, una stretta sulle pensioni e la piena autonomia giuridica dell’istituto statistico; entro il 22 luglio occorre che sia adottato il nuovo codice di procedura civile e sia attuata la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche. Inoltre le privatizzazioni e le dismissioni industriali devono procedere seconda la tabella di marcia rigettata da Tsipras: beni dello Stato per un valore di 50 €mld devono confluire in un apposito fondo che, alienandoli, destini tre quarti del ricavato per ricapitalizzare le banche ed abbattere il debito. La sconfitta di Tsipras è cocente.

Dove nasce la capitolazione di Tsipras e quante sono le possibilità che la Grecia rispetti le scadenze ed i termini dell’accordo raggiunto con la Grecia?

Alexis Tsipras paga innanzitutto lo scotto di non aver mai predisposto il piano “B”, ovvero un dettagliato e fattibile iter per il rapido e ordinato abbandono dell’eurozona: come ha avuto difficoltà a predisporre il piano da 12 €mld presentato all’Eugruppo, tanto che ha sfruttato l’assistenza dei francesi, a maggior ragione non ha mai elaborato un piano strategico dove si contemplasse l’uscita dall’euro e la gestione delle settimane più turbolente (neutralizzazione degli attacchi speculativi, rifornimenti energetici, linee di credito da Paesi alleati, etc.).

In secondo luogo Tsipras manca di una solidità politica e robustezza di spirito tale da consentirgli il salto oltre l’euro che, come la recente crisi ha palesato, è sinonimo di UE/NATO. Qualora Tsipras optasse per l’abbandono all’euro, la sua condizione di protégé degli angloamericani muterebbe rapidamente in “indesiderato”, con tutte le conseguenze del caso: colpi di Stato, ammutinamento delle forze armate, rivoluzioni colorate, terrorismo, etc. L’intesa con Mosca, al di là degli accordi sul Turkish Stream, non è mai stata coltivata in vista di un addio dell’eurozona, quanto piuttosto per spaventare la Troika e aumentare il proprio potere contrattuale.

L’ultima possibilità di salvezza Tsipras se la gioca la mattina di lunedì: di fronte alla umilianti condizioni degli creditori europei ed al ritorno della Troika, il premier avrebbe dovuto rovesciare il tavolo ed invocare la Grexit. Vantando invece il ridicolo risultato di aver conservato in Grecia anziché in Lussemburgo la sede del fondo per le privatizzazioni e di aver sventato i “piani più estremi dei circoli conservatori europei” (ossia l’espulsione di Atene dall’euro), Tsipras ha sigillato il proprio suicidio politico.

Né l’ala sinistra di Syriza ed i Greci Indipendenti né tanto meno l’opinione pubblica greca accetteranno mai le ultime condizioni uscite dall’Eurosummit, studiate appositamente per essere rigettate dai parlamentari di Syriza e dal 61% di votanti al referendum.

L’ossigeno a disposizione della Grecia sta ora finendo, poiché il continuo drenaggio di liquidità dai conti correnti e la decisione della BCE di conservare inalterato il tetto dei fondi d’emergenza ELA a 89 €mld, riduce di ora in ora la capacità greca di sopravvivere ad un collasso finanziario sempre più imminente: è di lunedì l’inaspettata decisione procrastinare sine die la riapertura delle banche, serrate dal 29 giugno scorso3. Un prima, possibile, iniezione di liquidità da parte della BCE sarebbe subordinata al voto del 15 luglio su pensioni ed IVA: fino ad allora, e per ogni giorno di ritardo nel pristino della normale liquidità, sono concreti i rischi di “incidenti”, ovvero il default unilaterale del sistema creditizio greco e delle finanze elleniche, con conseguente uscita dall’euro.

Supererà Tsipras lo scoglio del voto parlamentare? L’approvazione sarà possibile grazie ai voti del Pasok, Nuova Democrazia e To Potami ma certificherà la fine dell’esecutivo guidato da Syriza e l’inizio di governo balneare che traghetti la Grecia a nuove elezioni autunnali.

L’esperienza di Tsipras sarebbe archiviata, il voto anti-austerità travasato su nuovi partiti, la piazza nuovamente in ebollizione, gli scioperi in risalita, l’economia nuovamente oppressa dall’austerità e la Grexit, in ultima analisi, procrastinata di qualche mese soltanto.

A meno che, con un improbabile colpo di reni, Tsipras non ritrovi la lucidità e, assecondando paradossalmente i desiderata di Berlino, non intraprenda finalmente la strada della Grexit.

Un’altra Europa in nuce

La crisi greca trascende dai ristretti confini ellenici e riguarda gli assetti dell’Europa di domani che, indipendentemente dalle sorti di Atene e di Alexis Tsipras, non saranno più quelli attuali: i travagli di questi ultimi giorni possono essere considerati le doglie di un parto di nuovi assetti europei, che supereranno, archiviandoli, l’eurozona e la UE per come le conosciamo oggi.

L’intransigenza tedesca di questi giorni e l’assoluta contrarietà a fare concessioni in materia di debito, privatizzazioni e svalutazione interna del lavoro, dimostra per l’ennesima volta che Berlino rifiuta qualsiasi ipotesi di federazione dell’eurozona, comunione dei debiti e trasferimenti fiscali: è disposta a partecipare all’euro finché i paesi dell’euro-periferia, meno competitivi e dalle bilance commerciali in rosso, sono disposti ad ingoiare l’amara medicina dell’austerità.

È inutile dire che un’eurozona siffatta ha gli anni (o i mesi) contati e l’inflessibile rigidità tedesca negli ultimi negoziati dimostra che a Berlino lo smantellamento parziale o totale dell’euro non è più tabù.

Durante i negoziati la Germania non valuta mai l’ipotesi di scendere a compromessi con la Grecia ma, al contrario, è la più determinata assertrice della Grexit, con tutte le implicazioni che l’azzardata scelta comporterebbe per la sopravvivenza della zona euro. Al “falco” Wolfgang Schaeuble sono da imputare le posizioni più oltranziste, le aperte pressioni per la Grexit seppur ridotta ad un lasso di 5 anni (che nelle condizioni attuali dell’eurozona equivalgono a mezzo secolo), ma anche anche i socialisti di Sigmar Gabriel non escludono l’uscita di Atene dall’eurozona, purché “concordata” con il governo greco4. La cancelliera Angela Merkel corona infine la politica di intransigenza tedesca, ribadendo, come più volte asserito dal ministro delle finanze Schaeuble, che la cancellazione del debito greco è proibita dai trattati, pur aprendo timidamente a una dilazione.

Per la Germania, la Grexit oggi e la disgregazione dell’eurozona domani sono procrastinabili nella misura in cui prevale la volontà politica di adeguarsi ai dettami dell’austerità, considerati da Berlino la conditio sine qua non per la sopravvivenza della moneta unica. Le attuali convulsioni elleniche dimostrano però chiaramente che la forza crescente dei partiti populisti e l’affievolirsi della tensione politica sul progetto europeo, avvicinano rapidamente la fine dell’eurozona: ecco quindi che il caso greco diventa il primo test sulla tenuta dell’eurozona. È un chiaro aut aut quello di Berlino, o svalutazione interna o valuta nazionale.

Con l’avvicinarsi delle elezioni in Spagna, Francia e Italia e la parallela esplosione dei debiti pubblici è però chiaro che l’intera architettura dell’eurozona sarà sottoposta ad enormi forze centrifughe: ecco quindi che all’interno della moneta unica stessa, iniziano a delinearsi gli assetti dell’Europa di domani.

Il motore franco-tedesco è ormai completamente sbiellato: non solo la Francia, smarrita di fronte al naufragio dell’eurozona, si oppone frontalmente alla Germania dinnanzi all’ipotesi di un Grexit, ma fornisce persino i funzionari che assistono il governo greco nello stilare in extremis il nuovo piano ellenico. Nella battaglia che ingaggia con Berlino sulla questione greca, la Francia gode certo dell’appoggio di Italia, Cipro e Malta, ma come può non soffrire l’Eliseo nell’essere relegato in serie B, combattendo in retroguardia per evitare l’implosione dell’euro? La debolezza francese è tale che, pur di evitare la Grexit, Hollande assiste impassibile alla capitolazione del premier greco, costretto a tornare in patria con un’umiliante agenda di riforme.

La Germania al contrario, giorno dopo giorno, costruisce in seno all’eurozona un’area economica, linguistica e culturale plasmata a sua immagine e somiglianza, forte dell’attrazione esercitata dal suo magnete economico: sulle posizioni di Berlino ed in favore alla Grexit durante i negoziati sono infatti Slovacchia, Slovenia, Finlandia, Lituania, Olanda, Estonia ed Austria.

L’insieme di questi Paesi deve essere considerato il prodromo di un’unione monetaria alternativa all’euro che, date le affinità culturali e linguistiche, si presta anche più facilmente ad un’integrazione politica e fiscale attorno al perno tedesco: sarebbe la riproposizione a distanza di un secolo della Mitteleuropa, obbiettivo delle élite tedesche allo scoppio della Prima guerra mondiale. L’alleanza di ferro con i paesi “germanici” (la Finlandia, ancora più intransigente, minaccia di bocciare in Parlamento gli aiuti alla Grecia) è cementata da un’integrazione finanziaria che pone le basi per una futura unione politica: la cancellazione del debito negata a Atene, è infatti prontamente concessa dai tedeschi ai vicini austriaci, cui sono condonati 1,45 €mld frutto della nazionalizzazione della banca Hypo Alpe Adria da parte del governo federale della Carinzia.

La crisi greca, scandita dalla ferrea volontà tedesca di respingere al mittente qualsiasi tentativo di ammorbidimento, più che l’egemonia della Germania sul continente denota il progressivo disimpegno dall’UE e dal progetto “euro”. Se Tsipras ha mancato l’appuntamento con la storia, spetta a qualcun altro compiere l’unico gesto che Berlino non può compiere per ragione storiche e politiche: tagliare la testa alla moneta unica. Agli altri, in primis agli angloamericani, tutte le contromisure per arrestare il crescente disimpegno tedesco dal sistema euro-atlantico.

 

 

 

1http://www.nytimes.com/2015/07/10/world/europe/greek-debt-talks.html?_r=0

2http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Tsipras-difende-il-suo-piano-Non-ho-svenduto-il-popolo-greco-riforme-parlamento-c6695bd6-393a-4e96-a059-a9e0aa9b0ff6.html

3http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-22952db7-fe74-4082-ac4d-dbcb15acd7b9.html

4http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-07-11/stampa-tedesca-schaeuble-propone-grexit-5-anni-182534.shtml?uuid=ACdxc3P

33 Risposte a “Grexit/4: nella mischia”

  1. Buongiorno dott. Dezzani. Vedo che le sue previsioni si spostano sempre più in avanti nel tempo. A proposito, credo che i greci dovrebbero vedere con gioia la cessione di sovranità nazionale nei confronti della UE, dal momento che da più di un secolo dimostrano di non sapere gestire non solo l’economia dello stato, ma proprio lo stato greco in generale. Credo se importassero funzionari tedeschi, in massa, farebbero il migliore affare della loro storia. Ma, ovviamente, a loro questo non piace. Vada in Grecia, si renda conto di come i greci lavorano, di quanti scontrini fiscali le fanno, poi capirà come oggi c’è solo un modo per restare a galla nel mondo: rispettare le regole. Cioè proprio quello che i paesi latini non sanno fare. End of story.

    1. Dalla mia parte ho la certezza granitica che un regime a cambi fisso, calato su un’area valutaria non ottimale e senza trasferimenti fiscali, è destinato al collasso. Dato che l’establishment ci ha investito tutto, è ovvio che rimandino il più possibile il collasso: personalmente non avrei troppa fretta, mi spiace solo per questo Paese sempre più povero, stanco e fatiscente.

      1. Grazie per la risposta e per l’ospitalità. Sulle condizioni del paese siamo d’accordo, sulle cause no. Fintanto che non impareremo a rispettare le regole, continueremo ad essere il paese cialtrone che siamo. Il problema non è l’euro, ma il fatto che noi non vogliamo rispettare le regole, qualunque esse siano. Basta guardare all’evasione e soprattutto ai continui bastoni fra le ruote che i politici mettono alla giustizia, che nessuno vuole riformare solo perchè facendolo i reati di politici e loro sodali diventerebbero perseguibili. Altro che prescrizione a processo in corso.

    2. @Spumeti: e dare a questo fantastico paese che produce bene e rispetta le regole anche il vantaggio di una sottovalutazione del 30% sul prezzo della produzione ha fatto inbitare tutta l’Europa cialtrona e improduttiva, che proprio per questo motivo ha subito il trattamento inverso, vedendo sovrastimare di un 30% il proprio prodotto con annessi fallimenti di massa e disoccupazione alle stelle. E ora per sanare quel debito fittizio la cura è ancora più austerità e recessione. Ma si faccia furbo!

      1. Guardi, si faccia furbo lei, io ritengo di esserlo più ch ea sufficienza. Quando l’Italia la smetterà di essere il paese dei furbi (che sembrano essere a lei molto cari), cioè di quegli spregevoli personaggi la cui unica occupazione sta nell’impiegare il tempo cercando di ottenere vantaggi eludendo la legge, forse avrà quaclhe possibilità di non tornare ad essere un paese del terzo mondo. Magari lei, che è più furbo di me, si sarà accorto che i paesi che funzionano sono i paesi con un’amministrazione pubblica non corrotta, con politici meno corrotti dei nostri e con cittadino che anzichè avere come modelli veline e calciatori studiano un pelino più degli italiani.

        1. @Spumeti: se non vuol farsi furbo abbia almeno la modestia di impadronirsi dei più elementari concetti della macroeconmia prima di commentare. Anche volendo darle ragione sulle carenze caratteriali e di ethos dei paesi periferici i nessi causali da lei ipotizzati farebbero arrossire uno studente di ragioneria. Con gli stessi difetti una quindicina di hanno fa, prima di vincolare i cambi valutari, eravamo ESPORTATORI e CREDITORI netti verso la somma Germagna, nonchè più ricchi (PIL/pro capite) e con un debito pubblico equivalente (lo ico per lei perchè le persone meno rozze sanno che il debito publico è una semplice intermediazione finanziaria e crea problemi quando si vuole che li crei, la invito a citare un solo studio che abbia dimodtrato che il debito pubblico abbia effetti recessivi, chi ci ha provato è stato sbugiardato e ha dovuto truccare un foglo i exc)el. A tutt’oggi siamo pù produttivi dei tedeschi (CLUP) e lavoriamo più ore. Faccia come me che lavoro poco: STUDI, abbia l’umiltà di informarsi prima di inquinare con luoghi comuni razzisti e rivoltanti uno dei pochi blog seri della rete.

        2. La sua risposta si commenta da sola. Non nulla da aggiungere ne alla sua supponenza, ne alla sua maleducazione.

  2. pochi stanno riuscendo a interpretare il ruolo dei tedeschi ,i loro giornali la Merkel i politici e l opinione pubblica, molto chiaro il quadro … grande Dezza

  3. Grazie dell’usuale stringente percorso logico e delle acute riflessioni. Mi permetto di rispondere a Spumeti che è rarissimo trovare tra il flos florum degli analisti online “l’avevodettoio” chi si assuma la responsabilità e abbia la sicurezza nei propri mezzi di fare una inequivocabile chiara previsione, e onestamente una volta che si riveli in parte inesatta lo dica egli per primo nel testo seguente, anche di questo grazie. Nessuno ha la sfera di cristallo, si può però credere nei propri sistemi di analisi, proporli con un serio appoggio di apparato critico e aggiustarli mano mano che la tumultuosa realtà si dipana come il filo delle Moire. Venendo allo specifico forse la spiegazione più semplice è che Il povero Tsipras, manutengolo atlantico come tante realtà politiche simili a lui in Europa, ma più raffazzonato e picaresco, abbia ricevuto l’ordine di forzare la mano ai tedeschi per creare un precedente che avrebbe permesso la sostenibilità a medio e lungo termine dell’euro, priorità assoluta per gli atlantici; ma i tedeschi hanno detto “vedo” al rilancio, e a quel punto, come nel caso siriano ove a dire “vedo” fu la Russia, gli atlantici si sono cacati nelle braghe e gli hanno intimato un controdine compagno, preferendo una capitolazione imbarazzante e un euro zombie ancora in piedi con la possibilità di provarne miracolosamente un’altra nel momento in cui si presenterà un’altra fantomatica occasione, all’esplosione dell’euro seduta stante. Lo scantonamento di Varoufakis potrebbe essere un interessantissimo segno del fatto che in questo momento in America esiste una significativa voce del dissenso, anche se per adesso in minoranza, anche Napolitano del resto in tempi recenti ha aperto a Putin sulla prima pagina del Corriere, e Napolitano non va nemmeno in bagno senza un permesso atlantico. Ad ogni modo la debolezza americana è sempre più patente, la protervia Tedesca sempre più chiara, il riassetto degli schieramenti partito, l’anabasi dell’europa temo ancora lunga, in questo trovo il quadro generale descritto molto convincente.

    1. Grazie Tönnies. FOrse ha ragione lei su Tsipras, o forse ha visto gli alieni. O
      magari la sera prima ha mangiato pesante. Tutte cose plausibili quanto la sua
      teoria. Sono congetture. Per quanto riguarda il sig. Dezzzani, già nel mio primo
      intervento gli ho comunicato come sia pressocchè del tutto in disaccordo con lui, anche se ritengo interessante la lettura del suo blog. La ringrazio e le auguro
      buona serata.

      1. Assolutamente Spumeti, congetture, e c’è il caso si riveleranno fantascientifiche, sono quelle che dal mio limitato punto di osservazione mi sembrano plausibili con i dati che vedo

        1. Beh, sapesse quanto è limitato il mio, di punto di vista! Grazi eper la risposta, buona serata!

  4. In tutto ciò ancora non mi è chiaro quale sia il vantaggio della Germania a tornare a un super marco che renderebbe i propri prodotti meno concorrenziali. Quale sarebbe la strategia tedesca una volta abbandonato l’euro, la svalutazione del marco per rimanere appetibile? Quale mercato di sbocco sarebbe di riferimento per la Germania? L’Asia? Possono russi e cinesi comprare prodotti tedeschi?

    1. Un pensiero sempre più forte in Germania sostiene che anziché mantenere l’eurozona, sarebbe più conveniente tornare al marco ed investire i “risparmi” in infrastrutture e tecnologie. Effettivamente gli aeroporti tedesche e le autostrade non sono più all’avanguardia rispetto agli omologhi cinesi o arabi.

  5. Mi scusi sig. Dezzani, ma non può trovare il modo di sistemare la qustione delle parole che vengono spezzate andando a capo in modo incontrollato? Renderebbe più agevole seguire gli interventi di tutti. La ringrazio.

  6. Caro professore. Lei ancora una volta coglie il punto. Questo non è un accordo. Ma una irrealistico e vergognosa umiliazione che nemmeno il più collabo’ dei governi da noi progettati potrebbe accettare. Il signor Schauble ha voluto dire al signor Renzi — lei avrà notato lo stesso modo di vestire e muoversi dei due, l’italiano e il greco –: Fra pochi giorni la Grecia uscirà chiedendocelo lei. Tu, il tuo Mose, l’Expo, Roma Capitale, gli immigrati e la Regione Siciliana siete i prossimi. Il tuo dante causa che ospitiamo qui a Francoforte non potrà nulla. Prima la Grecia, fra pochi giorni. Dopo il Portogallo. Quindi Spagna, Italia e Francia. Mese dopo mese. Mi creda: sono nato non lontano da Berlino.

    1. @Willy Muenzenberg:
      speriamo, finirà l’incubo euro e l’assurdo progetto massonico della UE.

  7. Buongiorno sig. Dezzani, sarò lieto di conformarmi ai dettami di correttezza da lei giustamente pretesi per non trasformare questo blog in una rissa. Sono pertanto a chiederle una valutazione sulla seguente frase rivoltami dal sig. roxgiuse: “STUDI, abbia l’umiltà di informarsi prima di inquinare con luoghi comuni razzisti e rivoltanti uno dei pochi blog seri della rete.” Giusto per sapere cosa si può dire e cosa no, dato che leggo che io non rispetterei il galateo. Dopodichè, come già detto più volte, sono lieto di essere ospitato in casa sua, e so benissimo che lei ha il sacrosanto diritto di avere chi desidera, in casa.

    1. Esponga le sue tesi e lasci che gli altri utenti intervengano in libertà, evitando continui rilanci.

      1. La ringrazio, come sempre. Mi guarderò bene dal rilanciare, certo che quando verrò tacciato di razzismo, o quando qualcuno rilancerà sui miei interventi, vigilerà lei. A presto!

    2. @spumeti: il concetto di razzismo non l’ho delineato io, è l’attribuzione di predicati denigratori a classi di invidui che sono raggruppati, appunto in classi, per altri predicati. Un italiano è tale perchè risiede in Italia, attribuirgli altre caratteristiche è del tutto arbitrario. Un nero è tale per il colore della pelle e la morfologia fisica, altre attribuzioni non sono pertirnenti. Se ho trasceso, e me ne scuso, è perchè la retorica della superiorità delle nazioni più prospere ci ha fatto perdere di vista le vere cause della crisi economica e sociale che stiamo vivendo. E persone come Federico Dezzani, penso sacrificando il proprio tempo e le proprie energie, stanno cercandi di dissipare le retoriche per far emergere i fatti e le dinamiche macroeconomiche. Le chiedo cortesemente di darmi atto che anch’io, nel mio piccolo, ho esposto fatti liberamente confutabili e interpretabili.

  8. Salve, le analisi esposte sono interessanti e verosimili, ed in questi contesti estrapolare un analisi verosimile è già un buon lavoro, quindi complimenti.
    Vorrei domandarle quali sono secondo lei le ragioni per cui gli angloamericani in questo momento spingono per tenere la Grecia dentro l’euro. Ha già risposto un po’ genericamente che in questo modo tengono controllata l’intera regione europea, ma sarebbe interessante precisare le meccaniche del controllo.
    Io un’idea ce l’ho, e la mia ipotesi è che voglione ottenere un effetto annacquamento della moneta: i paesi periferici vanno inclusi precisamente per realizzare i trasferimenti centro->periferia che altrimenti non sarebbero possibili, poichè le politiche fiscali nazionali sono ovviamente blindate. Non così blindata invece si è dimostrata essere la BCE, che con Draghi discepolo e burattino delle istituzioni monetarie angloamericane, come era prevedibile dal lontano 2008 e soprattutto dalla sua elezione come governatore, ha cominciato a sbracare la moneta euro e quindi, arrivo al punto essenziale, ha impedito ed impedisce all’euro di imporsi come moneta di riserva internazionale, penso soprattutto all’area mediorientale ed euroasiatica. A mio avviso il motore primario è sempre questo: gli Usa non possono permettersi di far perdere al dollaro il ruolo di moneta internazionale perchè per il paese il danno equivarrebbe a quello di un attacco nucleare.

    1. La unioni commerciali sono sempre il prodromo di una moneta unica: il TTIP ha come finalità ultima un’unione monetaria tra USA e UE. Se non tenesse l’euro, difficilmente si potrebbe però arrivare ad una valuta transatlantica o mondiale. Il più grande problema per loro si chiama oggi Germania e chiunque possa indebolirla, da Tsipras a Grillo passando per il FMI, è un prezioso alleato.

      1. Mmmh, non so se gli Usa abbiano interesse a creare un’unica moneta transatlantica. Il TTIP è una concessione che rivela solo il progressivo indebolimento Usa. Secondo me si accontenteranno, si accontentano e si sono accontentati, di una politica monetaria ben allineata. Di sicuro non accetteranno più scherzetti quale quello che Trichet gli fece nell’estate 2008, quando inaspettatamente alzò i tassi di interesse, una prova di forza e di indipendenza che ho sempre pensato abbia dato una spintarella sostanziosa al collasso finanziario statunitense dello stesso autunno e che è tuttora in atto (finchè la Fed tiene a zero i tassi per me il sistema è in coma, e non c’è rialzo borsistico che mi faccia cambiare idea). Sarebbe interessante anche ricostruire la politica monetaria di Duisenberg, morto di cuore nella sua piscina pochi anni dopo la fine della sua carica di governatore. Stay tuned sul destino di Trichet quindi. Con “Super Mario” è tutta un’altra storia perchè il primo responsabile della crisi dell’euro e del gioco di sponda a favore del dollaro è lui: per dare il colpo di grazia all’economia Usa a tutto vantaggio del sistema euroasiatico basterebbe dare una stretta monetaria al sistema euro come Dio comanda e l’Europa si tirerebbe fuori dal pantano economico grazie all’eurizzazione di mezzo pianeta ed alla frantumazione del dollaro, e saremmo noi allora a tenere le redini della Fed, e non il contrario. Piccolo dettaglio: le basi militari e i missili usa sul nostro continente, tutti per noi, non per la Russia come spesso mediaticamente ci vogliono far credere.
        Sul problema tedesco sono d’accordo: il tenore di vita dei tedeschi non è negoziabile per la Merkel, non certo per gli americani. Ma siamo ancora lontani da una situazione seriamente problematica e siamo ancora alle scaramucce. Nel caso agli Usa non gli ci vorrebbe molto a minacciare una destabilizzazione del paese, e la Germania non andrebbe molto lontano e dovrà necessariamente piegarsi. Il problema sta tutto nelle basi militari di cui la Germania non a caso è imbottita.
        Insomma gli Usa “sono contro” il sistema di austerità germanica perchè l’austerità fa funzionare l’euro, c’è poco da fare, e più senti dire il contrario sui media più bisognerebbe convincersene. Ed a loro non serve un euro forte, a loro interessa solo trovarsi un’euro sbracato che non possa competere minimamente con il proprio dollaro allucinato.

  9. Concordo con chi ha scritto che è sempre difficile prevedere gli avvenimenti in anticipo, perciò bisogna dar merito a Dezzani, che con i suoi ragionamenti suggerisce probabili scenari futuri, di cogliere quasi nel segno. Lo leggo con ammirato stupore. Spero però che nei prossimi venerdì si possano leggere le sue riflessioni e le sue previsioni anche su altri argomenti come il recente accordo Iran Usa

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