Losanna chiama, Nairobi risponde

Barack Obama, ai ferri corti con il premier israeliano Benjamin Netanyahu dopo aver tentato invano di bloccarne la rielezione, è artefice di un incerto disgelo con l’Iran finalizzato ad allontanare Teheran dalla Shanghai Cooperation Organisation ed adoperarne le risorse energetiche in chiave anti-russa. Nell’ultimo giorno dei negoziati, le forze ostili all’accordo scatenano una rappresaglia in Kenya, a 72 ore dall’annuncio della visita ufficiale di Obama a Nairobi: la strage di Garissa si aggiunge così ad una lunga serie di attentati falsa bandiera condotti nell’ex-colonia inglese dai servizi angloamericani ed israeliani.

Il fallimento delle sanzioni

Le ingerenze straniere in Iran risalgono all’Ottocento, data la sua triplice importanza come presidio del Golfo Persico, ponte verso il Centro-Asia ed infine produttore di greggio. Paese che conserva al suo interno le antiche vestigia imperiali, è dominato da una maggioranza iranica di lingua farsi e religione sciita, cui si affiancano minoranze azere, curde, armene, arabe, beluci e turcofone. Geloso dalla propria indipendenza e memore degli antichi fasti persiani, l’Iran si cimenta fin dagli anni ’50 in un processo di ammodernamento economico: importando tecnologia occidentale nelle fasi di apertura e sviluppandola in autarchia quando costretto, raggiunge un livello di sviluppo tale (missili anti-nave Hormuz1 e droni clonati dal Lockheed Martin RQ-1702) da elevarlo a concorrente per l’egemonia regionale, sfidando Arabia Saudita ed Israele.

Se gli utopici progetti della prima amministrazione di George W. Bush ambivano, stando alle parole3 dell’ex-comandante della NATO in Europa Wesley Clark, a concludere in tempi brevi la campagna irachena per poi concentrarsi su Teheran, la dura realtà della guerra svela tutti i limiti della macchina bellica statunitense, inarrivabile solo in termini di capacità aerea. Le truppe americane si ritirano da Baghdad nel dicembre del 2011, lasciando sul terreno 4.500 caduti e l’Iran paradossalmente libero di attrarre nella propria orbita il Paese dei due fiumi, la cui maggioranza sciita (65% della popolazione) non è più soggiogata all’élite sunnita (la dittatura di Saddam Hussein), precedentemente sfruttata dagli americani in chiave anti-iraniana (la sanguinosa guerra che tra Baghdad e Teheran del 1980-1988).

Si tenta quindi un regime change per via interna, applicando gli stessi meccanismi già testati in Ucraina nel 2004 con la Rivoluzione arancione, cambiando opportunamente colore ed eleggendo il verde a simbolo della protesta: l’organizzazione semi-governativa National Endowment for Democracy ed l’americano National Iranian American Council investono ingenti risorse4 nel fomentare le manifestazioni di piazza che accompagnano le elezioni iraniane del giugno 2009. Sebbene siano imponenti, le proteste non incrinano la solidità dello Stato che assicura la redistribuzione della rendita petrolifera e trascorrono altri due anni perché, nel febbraio del 2011 in concomitanza della “Primavera Araba”, si tenti una riedizione della Rivoluzione verde: questa volta, a testimonianza della gravità della minaccia, il capo della protesta Hossein Mousavi è tratto agli arresti domiciliari e l’ambasciata britannica5 è presa d’assalto dagli iraniani che danno alle fiamme un edificio, asportano documenti e saccheggiano gli uffici.

La questione del nucleare iraniano è filosoficamente complessa come l’interrogativo se sia nato prima l’uovo o la gallina: l’Iran è sottoposto a sanzioni perché persegue un ambiguo programma nucleare oppure l’Iran persegue un ambiguo programma nucleare perché minacciato dall’Occidente e dalle sanzioni?

È vero che l’Iran, fin dalla rivoluzione dell’Ayatollah Khomeini del 1979, paga il prezzo di un isolamento impostogli dagli USA e quindi ambirebbe, come il Giappone6, non tanto alla bomba atomica, ma a possedere il materiale necessario per assemblarla in tre-sei mesi in caso di necessità, disponendo quindi di un valido deterrente contro eventuali aggressioni esterne. Per contro la possibilità di produrre energia elettrica da impianti nucleari, libererebbe ulteriori quote di gas e petrolio da destinare all’esportazione e si porrebbe in continuità con il programma nucleare civile (anch’esso ambiguo) dello Shah Mohammed Reza Pahlavi, condotto dagli anni ’60 fino al suo esilio nel 1979. I tedeschi della Kraftwerk Union lavorano infatti dal 1974 al 1979 alla costruzione di due reattori da 1.200 megawatt presso il sito di Busher7: sono tecnici russi a riprendere nel 2002 i lavori lasciati in sospeso dai predecessori tedeschi ed entro sette l’impianto è completato e funzionante, diventando la prima centrale operativa in Iran.

Nel frattempo l’Iran espande i siti adibiti al suo programma nucleare, tra cui il contestatissimo centro di arricchimento per l’uranio di Natanz, un complesso di tre bunker sotterranei al cui interno lavorano dal 2007 50.000 centrifughe8 per la produzione dell’isotopo di uranio U-235: è contro questo complesso industriale che dal 20099 ad oggi si susseguono voci di un possibile raid aereo americano o israeliano con apposite bombe anti-bunker, per perforare le decine di metri di terriccio e cemento che proteggono le centrifughe. Se l’opzione militare non decolla, Israele opta allora per l’assassinio degli scienziati coinvolti nel progetto (ne muoiono almeno cinque, uccisi da bombe piazzate nelle loro auto10) ed attacchi informatici: un infiltrato all’interno dello sito di Natanz infetta i computer (rigorosamente scollegati dalla rete) con il virus Stuxnet, che danneggia almeno il 20% delle centrifughe11, ma non arresta il programma nucleare.

Se le rivoluzioni colorate non attecchiscono, né gli assassini del personale scientifico apportano significativi ritardi ai piani iraniani, come piegare Teheran?

La risposta non troppo originale si chiama “sanzioni”, che peraltro gli USA applicano già da decenni alla Repubblica Islamica: nel 2012 gli USA fanno pressione sui governi europei, falcidiati in quel periodo dai rating delle americane S&Ps e Moody’s e dai credit default swap di Goldman Sachs, affinché si uniscano a Washington nel porre restrizioni alle relazioni economiche e finanziarie con Teheran.

L’Unione Europea svolge perfettamente la sua funzione di irreggimentare gli indisciplinati e caotici europei e farli marciare all’unisono con gli USA: nella primavera del 2012 è imposto un embargo dei prodotti petroliferi (che soddisfano il 20% della domanda europea), è fatto divieto ai paesi europei di esportare materiale per l’industria estrattiva e commerciare in oro e diamanti12. Se a queste misure si aggiungono il congelamento dei beni della Banca centrale di Teheran e la sconnessione degli istituti di credito iraniani13 dal circuito bancario SWIFT (acronimo della società belga Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) si evince che l’Occidente, su pressione degli USA e di Israele, ha costretto l’Iran alla quarantena, per finalità che esulano dal programma nucleare e puntano piuttosto al collasso economico.

L’idea dell’embargo si basa però su una concezione obsoleta degli assetti internazionali e non tiene conto del peso economico dei Paesi emergenti: l’India si rifiuta di aderire alle sanzioni e assurge a secondo consumatore del petrolio iraniano che paga al 45% in rupie ed al 55% in valute diverse dal dollaro14; la Cina si conferma il primo importatore mondiale di greggio iraniano con i suoi 25 $mld di acquisti annui che paga in yuan ed inondando il mercato persiano di beni made in China15; la Russia conferma la collaborazione nel nucleare civile, ammonisce gli USA ed Israele contro qualsiasi intervento militare16 e sigla un controverso contratto17 per la fornitura dei moderni sistemi di difesa aerea S-300 la cui consegna, dato l’impatto strategico che comporta, è procrastinata fino ai primi mesi del 201518.

Ancora più allarmante per gli USA è però il progressivo ingresso nell’orbita militare russa e cinese di un Paese, l’Iran, che fino al 1979 gravita attorno all’Occidente, essendo membro del CENTO (Central Treaty Organisation), ed anche dopo la Rivoluzione Islamica intrattiene rapporti molto tiepidi con l’Unione Sovietica. Dal 2005 l’Iran è infatti un paese osservatore dello Shanghai Cooperation Organization (SCO), l’organismo intergovernativo che sta assumendo sempre più le caratteristiche di un’intesa militare euro-asiatica e, alla luce dei recenti avvenimenti in Ucraina, la Russia si sta spendendo per introdurvi l’Iran entro l’estate del 2015 come membro a tutti gli effetti19.

Non c’è quindi alcun dubbio che il disgelo tra USA e Iran avviato da Barack Obama nel settembre del 201320, due mesi prima dello scoppio di Euromaidan in Ucraina, abbia nella mente degli strateghi della Casa Bianca una forte valenza anti-russa: come afferma la società privata d’intelligence Stratfor21 l’obbiettivo americano è riportare sul mercato un produttore di gas e petrolio alternativo ai russi ed incunearsi nel rapporto tra Mosca e Teheran per attenuare l’influenza russa in Medio Oriente. In particolare gli americani vorrebbero riversare il metano iraniano22 nel gasdotto TAP alternativo al defunto Southstream ed al neonato Turkish Stream.

Una simile strategia, che testimonia l’impossibilità degli USA e dell’Unione Europea di sostenere contemporaneamente sanzioni economiche contro la Russia e contro l’Iran, non può però che scatenare l’ira di quegli alleati regionali (Tel Aviv e Riad in testa) e degli influenti membri dell’establishment americano che fanno dell’isolamento economico iraniano e dell’abbattimento della Repubblica Islamica una priorità della loro agenda. In attesa che un voto del Congresso o le prossime elezioni presidenziali americane ristabiliscano lo status quo ante, questa fazione ha inviato un’equivocabile messaggio a Barak Obama con l’attentato all’università di Garissa, Kenya.

Il compromesso di Losanna

Il 16 marzo 2015 riprendono in Svizzera i colloqui tra il gruppo 5+1 (USA, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e Germania) e l’Iran con l’obbiettivo di raggiungere un compromesso di massima sul programma nucleare entro il 31 marzo ed un accordo politico entro il 30 giugno.

L’amministrazione Obama deve fronteggiare in casa lo strenuo ostruzionismo dei repubblicani, contrari anche a qualsiasi cedimento anche in materia di nucleare civile, ed all’estero l’implacabile opposizione di Israele e dell’Arabia Saudita, che promette di dotarsi a sua volta di qualsiasi mezzo concesso a Teheran23. Il clima è avvelenato dalla contemporanea campagna elettorale in Israele, dove il premier conservatore Benjamin Netanyahu cerca la riconferma nonostante la sua coalizione sia data perdente dai sondaggi24.

Netanyahu gode il 3 marzo di una passerella elettorale concessagli dal Congresso degli Stati Uniti riunito in seduta congiunta (sia il Senato che la Camera dei Rappresentanti sono ora a maggioranza repubblicana): con un discorso di 45 minuti il premier lancia una durissima requisitoria contro l’Iran e chi, negli USA, è favorevole al compromesso sul programma nucleare. Non bisogna farsi illudere dall’impegno degli iraniani contro l’ISIS, continua Netanyahu, perché sono entrambi nemici degli Stati Uniti con la differenza che i primi sono dotati di missili balistici mentre i secondi sono armati di coltelli25. È da notare in quell’occasione la significativa assenza al Congresso del Segretario di Stato John Kerry, rappresentante a Losanna delle delegazione americana.

Nonostante i repubblicani del Congresso sponsorizzino Netanyahu, Barack Obama si adopera prima in ogni modo per evitare la rielezione del premier conservatore e poi per neutralizzare i suoi sforzi tesi a sabotare i negoziati di Losanna. Lo sfidante di Netanyahu, il laburista Isaac Herzog a capo dell’Unione Sionista, è infatti il candidato su cui Obama ripone tutte le speranze per realizzare un vero e proprio “regime change” israeliano26 , che i sondaggi danno quasi per certo.

Al momento del voto però Netanyahu effettua una rimonta che sembrava impossibile, solleticando gli ebrei ortodossi e le fasce più estreme dell’elettorato. Promette infatti che con lui in carica uno Stato palestinese non vedrà mai la luce27: l’azzardo gli consente di vincere le elezioni ma provoca lo sdegno dell’amministrazione Obama che accusa il premier israeliano di minare il processo di pace28.

Con Netanyahu ancora in sella e lo strenuo ostruzionismo israeliano ai negoziati di Losanna, Obama passa quindi al contrattacco e nella seconda metà di marzo appare la notizia che il Pentagono ha declassificato un documento datato 198729 che descrive dettagliatamente il programma nucleare con cui Israele si è dotata tra il gli anni ’70 ed ’80 di armi atomiche, la cui esistenza non è mai stata formalmente riconosciuta.

Sferrato questo potente gancio a Netanyahu, l’amministrazione Obama può proseguire le concitate trattative con la controparte iraniana per raggiungere un compromesso di massima entro il 31 marzo: i colloqui procedono incessanti, si sforano i tempi, si negozia ad oltranza finché il 2 aprile è raggiunto un accordo quadro propedeutico ad un’intesa finale da concludere entro il 30 giugno. L’Iran si impegna a ridurre di 2/3 il numero delle centrifughe, limitare l’arricchimento dell’uranio ed accettare le ispezioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, al termine delle quali USA ed Unione Europea rimuoveranno le sanzioni.

Quello stesso giorno, il 2 aprile, le forze ostili al compromesso con l’Iran scatenano un rappresaglia in Kenya che, paese natale di suo padre, Barack Hussein Obama ha promesso di visitare nella veste di presidente degli Stati Uniti appena 72 ore prima30.

L’attacco al college di Garissa e la lunga serie di attentati falsi bandiera in Kenya

Il Kenya è la maggiore economia dell’Africa Orientale, con i 45 mln di abitanti che professano al 47% il protestantesimo, al 23% la religione cattolica ed all’11% quella islamica, essenzialmente sunnita con una discreta minoranza sciita. Ex-colonia britannica, il Kenya ha seguito fin dalla sua indipendenza nel 1963 una politica filo-occidentale, dove all’influenza inglese si è affiancata quella americana ed israeliana: Tel Aviv ha in particolare intessuto una stretta collaborazione con Nairobi in materia di sicurezza, forze armate e servizi d’informazione, tanto che il presidente Jomo Kenyatta non solo riconosce Israele già negli anni ’60 ed ospita da subito un’ambasciata dello stato ebraico, ma consente anche al Mossad di aprire una stazione nella capitale keniota.

A partire dalla seconda metà degli anni ’90 il Kenya è teatro di una serie di attentati di matrice islamica che, come afferma la stessa stampa israeliana31, saldano ulteriormente i legami tra i due paesi. Meritano di essere ricordati almeno tre episodi, perché testimoniano come il Kenya sia stato già precedentemente vittima, consenziente o meno, di attacchi falsa bandiera.

Il 7 agosto 1998 l’organizzazione terroristica Al Qaida e l’oscuro emiro Osama Bin Laden conquistano le prime pagine dei giornali grazie all’attentato terroristico che sventra l’ambasciata americana di Nairobi: un camion carico di esplosivo è fatto esplodere lungo il muro di cinta del complesso ed uccide 223 persone di cui 12 americani. Ebbene, l’architetto dell’attentato di Nairobi, che promuove Al Qaida come nuova, temibile, Spectre islamista, è Ali Mohamed32, un doppio agente che lavora per la CIA e la jihad islamica: addestratore dei talebani che combattono contro i sovietici in Afghanistan, mentore di Bin Laden, fluente in inglese, francese, ebraico ed arabo, Mohamed trascorre la sua avventurosa esistenza progettando attentati contro obbiettivi americani ed allo stesso fornendo informazioni agli USA su come estirpare la minaccia islamica.

Il secondo singolare episodio avviene il 19 giugno 2012 quando due cittadini iraniani, dall’aspetto ben poco marziale, sono arrestati dalle autorità keniote perché sospettati di essere membri dei reparti d’élite della Guardie Rivoluzionarie, distaccati in Kenya per preparare attentati contro le ambasciate israeliane, inglesi ed americane33. Fatto curioso, i due uomini sono interrogati in Kenya da agenti israeliani ed è proprio da Tel Aviv che arriva per bocca di Benjamin Netanyahu l’immediata condanna del fantomatico complotto terroristico. Gli investigatori kenioti, accusati da due iraniani di aver loro iniettato misteriose sostanze al momento dell’arresto, ipotizzano uno scenario tanto lambiccato da sfiorare l’assurdo: una volta compiuto l’attentato, gli agenti delle Guardie Rivoluzionarie non avrebbero riparato in Iran ma nella vicina Somalia, ospiti della milizie islamiste al-Shabab. Teheran nega ovviamente qualsiasi coinvolgimento nella vicenda ma, due mesi dopo, vede stracciato il contratto appena siglato con Nairobi per la vendita di 4 mln di tonnellate annue di greggio34.

Il terzo episodio è l’assalto del 21-24 settembre del 2013 al centro commerciale Westgate di Nairobi che, essendo di proprietà israeliana, era già stato segnalato come obbiettivo sensibile35: quattro o più uomini mascherati fanno irruzione nel supermercato armati di fucili d’assalto e granate e tengono in ostaggio per oltre 72 ore centinaia di clienti, tra cui molti turisti occidentali. Al termine dell’assedio si contano 67 civili morti e 170 feriti: sono sempre le fantomatiche milizie somale al-Shabab a rivendicare l’attentato su Twitter, perpetrato per punire il Kenya del suo coinvolgimento militare nel martoriato paese del Corno d’Africa. I servizi d’informazione kenioti sarebbero stati a conoscenza dell’imminente attacco al centro commerciale 24 ore prima che avvenisse, tanto che alcuni agenti erano già sul posto in concomitanza all’assalto36. A dare manforte alle teste di cuoio keniote, intervengono i commandos israeliani che nelle foto scattate37 all’interno del centro commerciale durante il blitz si mischiano con ufficiali inglesi delle SAS, in abiti civili perché in vacanza a Nairobi, ma da cui pantaloni fa capolinea un sospetto calcio di pistola.

Se ne ricava quindi un quadro molto opaco dell’apparato di sicurezza keniota: dall’attentato all’ambasciata americana del 1998 all’assalto al centro commerciale di Westgate, è riscontrabile ovunque l’infiltrazione dei servizi angloamericani ed israeliani che hanno eletto il Kenya a centro delle loro operazioni grazie alla compiacenza del governo ed all’importanza strategica del Paese per il controllo dell’Africa Orientale. L’elezione nel marzo del 2013 di Uhuru Kenyatta come presidente, non ha che incrementato l’influenza di Israele sul Paese, tanto che nel 2014 il ministro degli esteri Avigdor Liberman si è recato in visita ufficiale38 a Nairobi per siglare nuovi contratti commerciali ed aumentare le sinergie in materia di sicurezza, con un focus particolare su ISIS, Boko Haram e le milizie islamiste somale al-Shabab.

Se dietro ai più nefasti avvenimenti accaduti in Kenya negli ultimi venti anni si nasconde lo zampino dei servizi occidentali ed israeliani, che dire della recente strage al college universitario di Garissa, cittadina situata a 350 km ad est di Nairobi?

Ricordiamo che il 30 marzo 2015 Barack Obama rende noto che si recherà in visita ufficiale in Kenya; il 2 aprile a Losanna sta per essere annunciato al mondo il raggiunto compromesso sul nucleare iraniano fortemente voluto da Obama; sempre il 2 aprile, quando a Losanna è ancora piena notte, un commando di cinque uomini mascherati fa irruzione nei dormitori del college di Garissa e compie uno dei più efferati crimini che il Kenya abbia conosciuto dai tempi del camion bomba all’ambasciata di Nairobi.

Armati di fucili d’assalto ed esplosivi, i cinque terroristi prima freddano i guardiani all’ingresso dei dormitori, quindi penetrano nei locali dell’università ed obbligano gli ostaggi a pronunciare versetti del Corano in arabo, separando i mussulmani dai cristiani: sui secondi si accaniscono con esecuzioni sommarie che mietono 147 vittime. Trascorrono ancora altre 15 lunghe ore prima che le forze di sicurezza penetrino nel college ed elimino i terroristi: se nei giorni successivi è fornita l’identità di alcuni degli attentatori, è però il portavoce delle milizie somale al-Shabab, Sheikh Ali Mohamud Rage, a rivendicare ufficialmente l’attentato, il cui obbiettivo è punire Nairobi per il dispiegamento di soldati in Somalia.

Secondo i media locali39, l’unità delle forze speciali Recce di stanza a Nairobi, a 350 chilometri di distanza dall’università, riceve l’allarme alle sei di mattina, mezz’ora dopo l’irruzione dei terroristi, e predisposto in breve tempo l’equipaggiamento si raccoglie all’aeroporto di Wilson per essere aviotrasportata fino a Garrissa: inspiegabilmente attendono lì per sette ore e solo dopo mezzogiorno saranno imbarcati su due aerei da trasporto. Sommando il volo e due ore di preparazione in loco, trascorrono in totale 11 ore prima che i reparti speciali entrino nel campus e liquidino in mezz’ora i terroristi: undici ore fondamentali per i terroristi impegnati nelle esecuzioni degli studenti.

Cosa sappiamo del gruppo terroristico somalo Al-Shabaab? Affiliata ad Al Qaida dal 2012, l’organizzazione somala condivide con la rete di Bin Laden la comune formazione dei suoi capi, come i somali Ahmed Abdi Godane40 e Ibrahim al-Afghani41, nel teatro di guerra afgano ai tempi dell’invasione sovietica, dove gli islamisti lavorano a stretto contatto con la CIA e l’ MI6. Uno dei maggiori sponsor42 degli Al-Shabaab è poi il Somaliland, ovvero l’ex-Somalia Britannica che sta ricevendo43 proprio dalla Gran Bretagna un deciso sostegno per il suo definitivo distacco dalla Somalia. Infine gli Al-Shabaab si contendono con l’ISIS le attenzioni della società privata SITE che monitora il terrorismo islamico.

È infatti l’immancabile israeliana Rita Katz che a 48 ore dalla strage di Garissa scova sulla rete44 l’ultima minaccia degli Al-Shabaab contro il Kenya:

“Kenyan cities will run red with blood. No amount of precaution or safety measures will be able to guarantee your safety, thwart another attack or prevent another bloodbath.”

Conclusione

L’attacco al campus di Garissa è correlato ai concomitanti negoziati di Losanna sul nucleare e deve essere inteso come una rappresaglia contro il disgelo voluto da Barack Obama ad opera di quelle fazioni (israeliani, sauditi, repubblicani ed apparati di sicurezza) che si oppongono al compromesso con l’Iran.

Se l’amministrazione Obama è complice della destabilizzazione del Medio Oriente per mano dell’ISIS, ogni qual volta si è presentata la possibilità di un intervento militare (in Siria nell’estate del 2013 ed in Yemen dopo la strage a Charlie Hebdo) si è sempre tirata indietro, memore dei recenti disastri in Iraq ed Afghanistan: ha invece preso atto che i tentativi di un regime change in Iran sono falliti e le sanzioni economiche non sono sostenibili per l’Occidente, sommandosi ora a quelle imposte a Mosca.

Nel tentativo di impiegare il gas iraniano in chiave anti-russa ed allontanare Teheran dalla Shanghai Cooperation Organization, Barack Obama tenta riallaccia quindi i rapporti con la Repubblica Islamica. I detrattori del negoziato, interni ed esterni agli USA, faranno però di tutto per sabotare l’accordo, attendendo che le elezioni del novembre 2016 portino alla Casa Bianca un presidente in sintonia con i loro interessi. La strage in Kenya è un avvertimento per Obama in puro stile mafioso.

 

 

1https://www.youtube.com/watch?v=aNxwPLk2syc

2http://www.reuters.com/article/2014/05/15/us-iran-nuclear-missiles-idUSBREA4E11V20140515

3https://www.youtube.com/watch?v=r8YtF76s-yM

4http://www.foreignpolicyjournal.com/2009/06/23/has-the-u-s-played-a-role-in-fomenting-unrest-during-irans-election/

5http://www.bbc.com/news/world-middle-east-15936213

6http://www.nbcnews.com/storyline/fukushima-anniversary/japan-has-nuclear-bomb-basement-china-isnt-happy-n48976

7http://www.oxfordresearchgroup.org.uk/oxford_research_group_chronology_irans_nuclear_programme_1957_2007

8http://www.bbc.com/news/world-middle-east-11927720

9http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/BUSH-BOCCIO-RICHIESTA-ISRAELE-PER-BOMBARDARE-NATANZ/news-dettaglio/3494466

10http://www.cbsnews.com/news/us-pushing-israel-to-stop-assassinating-iranian-nuclear-scientists/

11http://www.businessinsider.com/stuxnet-was-far-more-dangerous-than-previous-thought-2013-11?IR=T

12http://edition.cnn.com/2012/01/23/world/europe/iran-eu-oil/

13http://www.swift.com/news/press_releases/SWIFT_disconnect_Iranian_banks

14http://www.thehindu.com/news/national/iran-rejects-indias-plea-for-full-rupee-payment-for-oil-import/article5182797.ece

15http://www.bbc.com/news/business-17988142

16http://www.reuters.com/article/2012/09/06/us-nuclear-iran-russia-idUSBRE88507K20120906

17http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/1.546418

18http://www.reuters.com/article/2015/01/20/us-russia-iran-missiles-idUSKBN0KT1K420150120

19http://www.eurasianet.org/node/72336

20http://www.repubblica.it/esteri/2013/09/27/news/iran-usa_via_al_disgelo_telefonata_obama-rohani-67428610/

21http://www.marketwatch.com/story/russia-nervously-eyes-the-us-iran-deal-2015-04-07?page=1

22http://theiranproject.com/blog/2015/04/10/trans-adriatic-pipeline-project-open-to-iran-when-sanctions-removed/

23http://www.theguardian.com/world/2015/mar/16/iranian-nuclear-talks-resume-lausanne-deadline-john-kerry

24http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/israel/11469195/Benjamin-Netanyahu-behind-in-final-polling-day-before-election.html

25http://www.washingtonpost.com/blogs/post-politics/wp/2015/03/03/full-text-netanyahus-address-to-congress/

26http://spectator.org/articles/62056/israel-must-choose-between-bibi-and-barack

27http://www.cnn.com/2015/03/16/middleeast/israel-netanyahu-palestinian-state/

28http://www.wsj.com/articles/obama-chides-netanyahu-over-comments-on-palestinian-state-1427042770

29http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/193175#.VSZQf5Msbik

30http://www.theguardian.com/us-news/2015/mar/30/barack-obama-kenya-visit

31http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Analysis-Israel-and-Kenya-blood-ties-326880

32http://en.wikipedia.org/wiki/Ali_Mohamed

33http://www.dailymail.co.uk/news/article-2167999/Two-Iranians-elite-Revolutionary-Guard-unit-arrested-Kenya-plotting-attack-U-S–Israeli-British-targets.html

34http://www.bbc.com/news/world-africa-18690440

35http://www.dailymail.co.uk/news/article-2167999/Two-Iranians-elite-Revolutionary-Guard-unit-arrested-Kenya-plotting-attack-U-S–Israeli-British-targets.html

36http://www.theguardian.com/world/2013/sep/28/kenya-authorities-warned-of-attack

37http://www.theguardian.com/world/interactive/2013/oct/04/westgate-mall-attacks-kenya-terror#part-two

38http://www.president.go.ke/kenya-is-safe-for-investment-says-israel-deputy-prime-minister/

39http://www.nation.co.ke/news/Shame-of-slow-response-in-15-hour-campus-terror/-/1056/2676432/-/13wgdjy/-/index.html

40http://en.wikipedia.org/wiki/Ahmed_Abdi_Godane

41http://en.wikipedia.org/wiki/Ibrahim_Haji_Jama_Mee%27aad

42http://allafrica.com/stories/201403250346.html

43http://www.voanews.com/content/somaliland-hails-british-step-forward-in-independence-bid/1886918.html

44http://www.washingtonpost.com/world/africa/in-kenya-crowds-flock-to-view-bodies-of-alleged-campus-attackers/2015/04/04/82eaa892-da4b-11e4-bf0b-f648b95a6488_story.html

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