Grexit/2: gli insospettabili simpatizzanti dell’oxi

Passata la scadenza del 30 giugno senza che Atene abbia rimborsato la tranche da 1,6 €mld, il Fondo Monetario Internazionale, anziché sancirne il default tecnico, dichiara la Grecia “in arretrato”, bloccando però qualsiasi ulteriore aiuto. Le agenzie di rating declassano i titoli di Stato ellenici ad un gradino dall’insolvenza ma i mercati finanziari, contrariamente al 2011, reggono nonostante le probabilità che la Grecia abbandoni l’euro siano preponderanti. Per strappare alla Troika migliori condizioni, Tsipras brandisce infatti il referendum sicuro che sia disinnescato dalla controparte prima del 5 luglio: Berlino, i cui interessi non coincidono più col sistema euro-atlantico, preme invece perché la consultazione avvenga comunque, tifando implicitamente per l’oxi. La vittoria del no sarà l’inizio dello smantellamento dell’euro.

Tsipras, il vincitore riluttante

Alexis Tsipras è eletto premier nel gennaio 2015 col chiaro mandato di porre fine all’austerità che in sei anni ha divorato il 25% del PIL ellenico e prodotto livelli di povertà sconosciuti ad un paese sviluppato in tempo di pace. A questo mandato Tsipras rimane fedele e gli deve essere riconosciuta una buona dose di coraggio e coerenza, considerate le enormi pressioni cui è stato sottoposto da parte di Bruxelles e Washington.

Anche l’uomo più integerrimo può però essere strumentalizzato per il perseguimento di secondi fini: a questo punto della narrazione è infatti lecito sospettare che l’intransigenza di Alexis Tsipras sia abilmente sfruttata da chi vuole la Grecia fuori dall’euro, come primo passo di un processo di smantellamento dell’eurozona, le cui criticità sono sotto gli occhi di tutti (le condizioni dell’economia francese, definite in privato della massima gravità dal ministro dell’economia francese Pierre Moscovici1, il debito pubblico italiano e spagnolo che aumentano incessantemente, un tasso di disoccupazione record in Francia2 ed un’inflazione nell’area euro nuovamente in discesa a giugno, a +0,2% su base annua3).

Dalla recente condotta di Alexis Tsipras si evince che il premier, sebbene deciso a liberare la Grecia dalle vessazioni dell’austerità, non abbia mai davvero preso in considerazione la possibilità di un’uscita dall’eurozona. Era certo che fosse sufficiente soltanto minacciarla perché le controparti scendessero a più miti consigli, cancellando il debito pubblico regresso ed addolcendo le draconiane misure di svalutazione interna.

In più di un’occasione Tsipras ripete il mantra che un’eventuale “uscita della Grecia dall’euro sarebbe l’inizio della fine dell’Eurozona4” e questa (corretta) convinzione gli infonde una tale sicurezza da intavolare durissime trattative con la Troika, spingendole ad un passo dalla rottura: inizia quindi il gioco sul “chi frena per ultimo”, ossia su chi strappa le condizioni più favorevoli alla controparte prima che l’altra si ritiri dal negoziato, facendo solo attenzione a frenare pochi metri prima del “muro”, ossia il default di Atene e l’uscita dall’euro.

Tsipras si accorge nel corso della settimana che qualcuno dei partecipanti al gioco ha però poco o nessun interesse ad evitare lo schianto, ma anzi è ben felice che Atene sfondi per primo il muro dell’irreversibilità dell’euro.

Nell’estremo tentativo di piegare la Troika, la notte tra venerdì 26 giugno e sabato 27 Tsipras annuncia alla televisione la decisione di indire un referendum il 5 luglio affinché i greci si esprimano sulle proposte della Troika. Sempre sabato 27 si tiene l’ennesimo fallimentare Eurogruppo ed il parlamento greco approva il referendum: il lunedì successivo è il crollo delle borse.

Il 30 giugno le piazze finanziarie si ravvivano momentaneamente quando le agenzie diffondono la notizia che Tsipras ha avanzato una controproposta in extremis: si tratta di un piano di aiuti biennali elargito dall’Esm e di una ristrutturazione del debito da parte del fondo Efsf5, punto su cui, peraltro, i creditori europei si sono già più volte detti contrari.

Per valutare le ultime aperture di Atene è convocato un nuovo Eurogruppo in teleconferenza alle ore 19, quando ne mancano meno di cinque alla fatidica mezzanotte del 30 giugno, scadenza entro cui Atene dovrebbe rimborsare la tranche di 1,6 €mld al FMI: il ministro della commissione europea Jean-Claude Junker, cui è stata consegnata la lettera ancora fresca d’inchiostro del premier greco, si congeda prima del vertice dai giornalisti promettendo risultati inattesi.

Le speranze di un compromesso all’ultimo minuto evaporano in meno di 60 minuti: la cancelliera tedesca Angela Merkel nega qualsiasi possibile accordo prima del referendum e per spersonalizzare la decisione, privandola di una valenza politica e attribuendole solo una natura amministrativa, si sostiene che manchino i tempi tecnici per un’eventuale estensione degli aiuti6.

Passa la mezzanotte del 30 giugno: Atene non rimborsa la tranche al FMI da 1,6 €mld ma l’organizzazione diretta da Christine Lagarde, anziché dichiarare il default della Grecia, etichetta il paese come “in arretrato”. I media, sorvolando sull’insolvenza di Atene, collocano al 20 luglio (scadenza di un rimborso da 3,5 €mld alla BCE) la nuova scadenza inderogabile.

Le agenzie di rating prendono però atto del mancato rimborso al FMI e declassano le obbligazioni sovrane elleniche: Standard & Poor’s abbassa il giudizio a CCC-, Moody’s lo taglia a Caa3 e l’agenzia canadese Dbrs lo porta a CC, sostenendo che sia sempre più probabile un’uscita di Atene dall’euro7.

Sebbene il differenziale tra i bond ellenici ed i bund tedeschi raggiunga la vetta dei 1.400 punti base, la borse europee, incredibilmente, anziché avvitarsi per il default tecnico della Grecia, rimbalzano con forza nella giornata del primo luglio: Dax a +2,15%, Cac a +1,94%, Ftse Mib a +2,15% con lo spread tra Btp e Bund in ripiegamento, a 147 punti base.

Sui giornali si legge che “le borse scommettono sulla soluzione della crisi greca” ma, in realtà, più che una scommessa è l’estremo tentativo dell’alta finanza di salvare l’euro spacciando la situazione come normale: tanto nell’estate del 2011 c’era interesse ad affossare le borse per rovesciare esecutivi ostili (Berlusconi e Papandreou), instaurare governi fantocci (Monti e Papademos), rapinare i risparmi delle famiglie italiane, saccheggiare i beni dello Stato e creare il clima di panico propedeutico alla costituzione degli Stati Uniti d’Europa, quanto oggi le banche d’affari, temendo che l’euro collassi per davvero, sostengono i corsi azionari ed evitano il linciaggio dei titoli di Stato.

Non è casuale infatti che l’estremo tentativo di riconciliazione tra Alexis Tsipras ed i creditori europei si svolga sulle pagine del Financial Times, la voce per eccellenza della City londinese: nella giornata del primo luglio il quotidiano economico pubblica la lettera, datata il giorno precedente, che il premier greco ha inviato al presidente dalla commissione Junker, al governatore della BCE Draghi ed al direttore generale del FMI Lagarde.

Tsipras si dice pronto ad accettare la maggior parte delle condizioni della Troika, a patto che sia conservata l’IVA agevolata per le isole greche e la riforma del sistema pensionistico sia più graduale. La pubblicazione della lettera sul Financial Times galvanizza le borse e durante la mattinata, ad alimentare ulteriormente i rialzi delle borse, circolano voci di una possibile cancellazione del referendum. Per la seconda volta in meno di 48 ore, è però sempre la Germania che si oppone ad una riconciliazione in extremis con la Grecia: la cancelliera Angela Markel chiude la porta a qualsiasi negoziato e ribadisce che è necessario attendere l’esito del referendum del 5 luglio8.

Alexis Tsipras, spiazzato dall’irremovibilità tedesca, torna velocemente sui suoi passi: funzionari dell’esecutivo ribadiscono che la consultazione di domenica si terrà come previsto, mentre il premier greco conferma l’invito ai cittadini greci a votare “oxi” ovvero “no”, quando si recheranno alle urne per esprimersi sulle condizioni della Troika.

Si intensificano però le esternazioni di Tsipras e del ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis che svelano come il referendum annunciato il 27 giugno non puntasse, nei disegni dei promotori, a interrogare i cittadini greci sulla permanenza o meno nella moneta unica, quanto piuttosto fosse un’arma (rivelatasi spuntata) per strappare migliori condizioni ai creditori. L’esecutivo greco non prende, fino al primo luglio almeno, mai davvero in considerazione la possibilità di una Grexit, sicuro com’è che sia sufficiente minacciarla per condurre a più miti consigli la Troika.

È altamente probabile che Tsipras abbia valutato con il Cremlino la possibilità di aiuti finanziari nel caso di un abbandono all’euro, ma l’apertura a Mosca, che si inserisce in una più ampia cornice che comprende gli accordi per il Turkish Stream e l’opposizione all’inasprimento delle sanzioni contro la Russia, ha lo stesso valore del referendum del 5 luglio: spaventare la Troika e trattare da una posizione di forza.

La presa di coscienza da parte di Tsipras e Varoufakis che la decisione di indire il referendum non solo non disturba il sonno di alcuni creditori europei, ma è pure gradita perché fornisce l’occasione per espellere la Grecia dall’eurozona, è graduale: il 30 giugno il ministro delle finanze greco minaccia di ricorrere alla Corte di giustizia europea per bloccare l’espulsione della Grecia dall’euro9, ed il premier Tsipras modifica rapidamente i connotati del referendum.

Fermo restando il suo invito a votare “no”, Tsipras si sforza di sottolineare come, recandosi alle urne, i greci non saranno chiamati a votare sulla permanenza o meno nell’eurozona, bensì sulla volontà di modificare lo status quo, tornando “ad un’Europa dei valori10”. Giovedì 2 luglio, Tsipras rassicura poi i greci che, chiuse le urne, sarà raggiunto un accordo con la Troika entra 48 ore, in modo tale da consentire anche la riapertura delle banche il 7 luglio.

Il referendum del 5 nato come un azzardo di Tsipras per piegare la Troika, si terrà quindi puntualmente e, ironia del destino, anche contro i progetti iniziali del premier.

Negli ultimi giorni è un turbinio di sondaggi, non si sa con quale dose di scientificità e quale di propaganda, che presentano come vincenti ora i no, ora i sì: i sondaggi del 28 giugno danno per vincenti i “sì” per l’accordo con la Troika11 (57% vs. 29%), quelli del primo luglio danno per vincenti i “no” (46% vs. 27%)12, quelli del 2 luglio danno per vincenti di nuovo i “sì” (43% vs. 39%).

Vinceranno i gli “oxi” oppure i “nai”?

Se Tsipras avesse voluto vincere senza colpo ferire (ma, come abbiamo visto, non era suo obbiettivo svolgere effettivamente il referendum quanto piuttosto usarlo come arma nei negoziati) avrebbe dovuto anticipare la data del voto, evitando la lunga settimana in cui la BCE, nel tentativo di influenzare il voto, ha lasciato a secco di liquidità la Grecia, con gravi disagi per imprese e correntisti.

Tenendo presente che si sono espressi per il “no” Syriza, i Greci Indipendenti ed Alba Dorata (che se sommati totalizzano il 47% dei votanti alle politiche di gennaio) e che secondo un sondaggio del 21 giugno (quindi prima che iniziassero le manipolazioni in vista del referendum) il 60% dei greci sostenesse l’intransigenza di Tsipras contro la Troika13, è altamente probabile la vittoria dell’“oxi”, ossia “no”.

Il  futuro che attende Tsipras è quindi quello del vincitore riluttante: otterrà il successo al referendum ma, contro le proprie aspettative iniziali, sarà a quel punto costretto ad abbondare l’eurozona. Ci sono infatti insospettabili cancellerie che attendono con trepidazione la vittoria del “no”, per brindare al Grexit.

Gli insospettabili sostenitori dell’oxi

Come abbiamo sempre sottolineato nei nostri lavori, alla base della nascita dell’eurozona non c’era nessun motivo economico ma solo finalità di natura politica: una moneta comune calata su un’area valutaria non ottimale non solo avrebbe arrecato modestissimi benefici economici ma, al contrario, sarebbe sfociata presto o tardi nella prevedibilissima crisi che stiamo vivendo. La speranza dell’establishment euro-atlantico era che l’attuale crisi avrebbe fornito l’occasione per la fondazione degli Stati Uniti d’Europa, con un governo centrale ed un bilancio federale per tutta la zona euro.

Gli USE, un progetto massonico risalente all’Ottocento non ottenibile per via democratica a causa dell’ostilità delle opinioni pubbliche nazionali, avrebbero costituito un duplice vantaggio per le élite anglofone: avrebbe semplificato l’eterodirezione dei singoli Stati (ne abbiamo avuto un assaggio con le sanzioni contro Iran e Russia, difficilmente attuabili senza la coercizione di Bruxelles) e soprattutto avrebbe tenuto saldamente agganciato il Vecchio Continente, e la Germania in particolare, al sistema atlantico o transatlantico.

Abortiti gli Stati Uniti d’Europa, l’euro è rimasto quello che è sempre stato: un banale regime a cambi fissi, dove l’attuale austerità nei paesi più deboli serve a riequilibrare le bilance commerciali in assenza di un cambio flessibile, ossia svalutando il costo del lavoro ed uccidendo i consumi e l’import con il “consolidamento fiscale”.

Data la ritrosia della Germania ad aumentare i propri salari e lasciare crescere l’inflazione, allentando la rigida politica mercantilista post-’45 e facilitando così l’aggiustamento dell’euro-periferia, assurge a primaria importanza l’adozione da parte dei paesi periferici dell’austerità: il primo governo che si ribella ai dettami della Troika ed alle sue ricette neoliberiste (molto apprezzate quindi a Londra e Washington) rappresenta una minaccia mortale per l’intera eurozona. È il caso di Alexis Tsipras, accolto con diffidenza da Berlino sin dal gennaio del 2015 in quanto rappresenta la prima falla nel vallo dell’austerità costruito attorno alla Germania.

È però sbagliato credere che Berlino gioisca nell’imporre misure lacrime e sangue alla periferia, perseguendo un presunto progetto egemonico sul continente. Semplicemente, è l’unica condizione a cui Berlino è disposta a restare nell’eurozona, avendo già scartato da un pezzo l’idea degli eurobond e rifiutandosi di accollarsi i debiti di francesi, italiani e spagnoli.

La Germania sembra infatti restia ad esercitare il controllo sull’intero continente e preferisce ritagliarsi un zona di influenza nell’Europa del Centro-Nord (la Mitteleuropa) omogenea dal punto di vista economico e linguistico, mantenendo allo stesso tempo rapporti privilegiati con Russia e Cina, tali da consentirle una proiezione internazionale. Il definitivo abdicare tedesco al progetto euro matura tra il 2012 ed il 2013, quando è ormai palese che non solo l’Italia e la Spagna, ma neppure la Francia ha un’economia sufficientemente competitiva da reggere un regime a cambi fissi con la Germania: Parigi è infatti una bomba ad orologeria, con l’aggravante rispetto all’Italia che il suo mercato del lavoro è pressoché intoccabile ed il generoso stato sociale è troppo amato dai francesi per essere tagliato.

La comparsa di Alexis Tsipras, il primo a ribellarsi all’austerità, è quindi vista da Berlino come il test definitivo: se i greci rifiutano il calice amaro delle riforme, escono dall’euro, e poco importa se significa il collasso dell’eurozona che, in ogni caso, sta naufragando per conto suo.

La raffinatezza tedesca, resa possibile dall’oggettiva posizione di forza da cui trattano, sta nel fatto che, anziché cacciare tout court Atene dall’euro, Berlino ingaggia una snervante battaglia con la Grecia in modo tale che sia il Paese mediterraneo, sfinito, ad abbondare l’euro, salvando così la Germania dalle accuse di aver smantellato l’eurozona.

I primi, inconfondibili ed inconfutabili segnali che Berlino prema per il “Grexit” risalgono alla fine di maggio, quando il ministro tedesco delle finanze, Wolfgang Schaeuble, avanza l’ipotesi14, poi prontamente smentita, che la Grecia affianchi all’euro una valuta parallela: è superfluo dire che se il governo di Atene finanziasse i propri deficit con le dracme, basterebbero poche settimane perché l’euro scompaia dalla circolazione.

Man mano che i negoziati tra Tsipras e la Troika entrano in stallo, è sempre da ambienti tedeschi o filo-tedeschi che provengono i primi espliciti riferimenti ad una possibile Grexit: i finlandesi premono da mesi per un’uscita di Atene dall’eurozona15 ed il 28 giugno è il ministro delle finanze austriaco, Hans Joerg Shelling, che rilascia un’intervista dando quasi per scontato l’addio del paese mediterraneo alla moneta unica16.

La decisione di Tsipras di indire il referendum del 5 luglio ha quindi un effetto su Berlino contrario a quello sperato dall’esecutivo ellenico: non solo Berlino assiste impassibile alla scelta del leader di Syriza ma è pure intimamente felice del vicolo cieco in cui Tsipras è entrato, perché la vittoria del “no” consentirebbe l’espulsione di Atene dell’eurozona con il minimo danno d’immagine per la Germania.

Da sabato 27 giugno, giorno in cui è indetto il referendum, più volte il governo greco, accortosi del punto morto in cui s’è cacciato, tenta di tornare al tavolo dei negoziati, dicendosi disponibile ad accettare molte delle condizioni della Troika e lasciando trapelare la possibilità di cancellare la consultazione popolare, ma la cancelliera Angela Merkel, inamovibile, rimanda qualsiasi negoziato all’incerto dopo referendum.

Qualcuno sostiene che Berlino sia fiduciosa che vincano “sì” e sia quindi possibile estromettere il premier Tsipras dalla guida dell’esecutivo: al contrario, noi crediamo che in Germania diano per scontata la vittoria de “no” alle urne ed attendano con trepidazione la vittoria di Pirro di Syriza per espellere la Grecia dall’euro, primo passo di un sempre più probabile ed imminente smantellamento dell’eurozona.

Alexis Tsipras e Angela Merkel attenderanno quindi con ansia che le tv greche  annuncino i risultati del referendum, paradossalmente tifando per lo stesso risultato. Quando la Grexit è ormai alle porte, il vero nemico di Tsipras non sono infatti i tedeschi ma l’establishment euro-atlantico che inizialmente lo accoglie con simpatia, salvo poi ostracizzarlo quando questi mette a repentaglio l’integrità dell’eurozona, della UE e della NATO.

Quelli contro il referendum… gli stessi delle rivoluzioni in Libia e Ucraina

Un atteggiamento verso Tsipras diametralmente opposto a Berlino, ossia un’iniziale benevolenza seguita da una divergenza totale negli obbiettivi, è riscontrabile nell’establishment euro-atlantico, ovvero la City e Wall Street.

L’elezione a premier di Tsipras è salutata con sollievo da quegli ambienti della finanza mondialista che apprezzano sì l’austerità che consente di acquistare a prezzi stracciati i pezzi pregiati delle economie europee ed introdurre sul continente i precetti del neoliberismo (le fantomatiche “riforme strutturali”), ma sono anche consci che un eccesso di austerità non accompagnato da un’unione fiscale rischia, come sta avvenendo, di rompere il fantastico giocattolo dell’euro, utile anche ad esercitare il controllo politico sul continente.

Il presidente americano Barack Obama, non appena Tsipras si insedia, si congratula per la vittoria elettorale e gli regala il suo prezioso sostegno schierandosi contro l’austerità, affermando che “You cannot keep on squeezing countries that are in the midst of depression17.

È la fase in cui Tsipras è considerato lo strumento per scardinare la gabbia di austerità che, difesa ad oltranza dalla Germania, rischia di portare al collasso la UE e, di conseguenza, la capacità di Washington di proiettarsi in Europa. Sono i più alti papaveri della finanza anglosassone, come il banchiere di Goldman Sachs Lloyd Blankfein che, ai primi attriti tra Grecia e Troika, invitano i creditori europei ad essere concilianti, perché è di vitale importanza che Atene resti nell’euro18.

Il progressivo avvicinamento di Tsipras a Mosca, che culmina con l’accordo per la posa sul suolo greco del Turkish Stream, lascia certo l’amaro in bocca a Washington e Londra che, poco più a nord del confine ellenico, si adoperano per rovesciare con il classico arsenale delle rivoluzioni colorate il premier macedone Nikola Gruevski, reo di appoggiare il nuovo gasdotto russo.

Tuttavia, è talmente importante che la Grecia resti ancorata all’euro, che gli angloamericani evitano di destabilizzarne il governo, scatenando reazioni dagli esiti imprevedibili.

Come abbiamo visto, il Financial Times, la voce della City, non solo si presta al tentativo di mediazione in extremis pubblicando la conciliante lettera che Alexis Tsipras invia alla Troika, ma sulle sue colonne compaiono anche diversi editoriali di chiara matrice euro-atlantica (da leggere “Making a true union of an embattled eurozone”, articolo non firmato e quindi a nome del quotidiano) che esortano i membri dell’eurozona a procedere verso la federazione della UE:

“Yet unless monetary union becomes more of an economic, financial, fiscal and political union, the next crisis may sweep it away altogether (…) Arguably, the Juncker report displays realism in avoiding grand proposals that are non-starters for political reasons. But all eurozone governments must grasp that the present structures are too weak to guarantee the project’s sustainability.

Alla ricerca di un disperato compromesso tra i creditori europei ed Atene, è anche l’evanescente Barack Obama, preoccupato di passare alla storia come il presidente americano sotto cui è imploso l’euro, l’Unione Europea ed il controllo statunitense del continente. A più riprese Obama esorta la parti a negoziare un compromesso19 prima del referendum, ma solo il presidente francese François Hollande (timoroso che la Grexit mostri al mondo quanto la Francia è periferica rispetto al “cuore teutonico”) si schiera sulle posizioni di Obama, chiedendo il primo luglio che l’Eurogruppo raggiunga ad ogni costo un accordo con la Grecia per evitare il referendum20. Nessun effetto producono invece le pressioni di Obama e del segretario del tesoro Jacob Lew sul governo tedesco, irremovibile dalla decisione di sospendere i negoziati fino a referendum avvenuto.

Matura quindi velocemente il timore nell’estblishment euro-atlantico che la consultazione del 5 luglio sia inevitabile e che una probabile vittoria del “no” rappresenti il primo passo verso la disgregazione dell’euro e dell’Unione Europea.

Come influenzare quindi l’esito del referendum? Come evitare la quasi certa vittoria dell’oxi, propugnato dal premier greco che dosa con cura nazionalismo e rivendicazioni sociali?

Propaganda, propaganda, propaganda.

Si versano fiumi di inchiostro per stigmatizzare un’iniziativa, la consultazione dei cittadini greci, che dovrebbe essere saluta con gioia dall’Unione Europea, paladina delle libertà e dei diritti individuali quando si parla di omosessualità o di rivoluzioni colorate nell’Europa dell’Est.

Di tutti gli editoriali scritti in questi giorni, quello sicuramente più gustoso appare sul Corriere della Sera del 30 giugno e porta la firma del filosofo francese Bernard-Henry Lévy, al soldo degli angloamericani che si tratti di galvanizzare i ribelli islamisti contro Muammur Gheddafi o sfilare a Kiev nei giorni bollenti di Euromaidan.

Scrive infatti Lévy, commentando la decisione di Tsipras di indire il referendum21:

Ma è così che si governa un grande Paese ? E la Grecia non si merita qualcosa di meglio di questo demagogo incendiario, capace di allearsi con i neonazisti di Alba Dorata per far passare in Parlamento il suo progetto di plebiscito?

Evidentemente le consultazioni elettorali sono gradite all’establishment solo se sufficientemente imbrigliate (ovvero se non escono dalla mucillagine di partiti e idee che garantiscono la continuità del sistema euro-atlantico) mentre sono deprecate se scartano dal consueto tracciato: il vicepresidente del parlamento europeo ed ex-conduttore del Tg1, David Sassoli, ha la sfacciataggine di bollare la volontà di Tsipras di consultare i greci come “dittatura della maggioranza22.

Dove finisce la democrazia e inizia la dittatura della maggioranza? Chiedere a David Sassoli.

Nel frattempo si attivano tutti i canali per creare, dentro e fuori alla Grecia, un clima di panico attorno al referendum, dipingendo esiti catastrofici per chi si ribella alla UE: “Code in farmacia, razionamenti. Grecia, prove di un’economia di guerra” titola il Corriere23, “Grecia, paura e allarme tra la gente” scrive l’Ansa24, “Grecia, assalto alla banche per riscuotere la pensione” rilancia La Stampa25, “Grecia: botte tra pensionati in coda davanti alla banca” insiste il Corriere26, “Atene, bus gratuiti e spesa razionata: il primo giorno senza banche” continua La Repubblica27, etc etc.

Dittatura della maggioranza ed economia di guerra, ecco lo scenario orwelliano che i media tratteggiano per chi sfida la Troika.

“L’Occidente” messo in crisi da una consultazione popolare in Grecia è un dramma da crepuscolo degli dei: sarà la vittoria degli “oxi” l’inizio della fine dell’Unione Europea, che si tratti di Grexit o di Deutschexit.

greciapropaganda

1http://www.francetvinfo.fr/monde/espionnage-d-internet/les-ex-ministres-de-leconomie-baroin-et-moscovici-ont-ete-espionnes-par-la-nsa-americaine-selon-mediapart-et-liberation_975561.html

2http://www.journaldunet.com/economie/magazine/en-chiffres/chomeurs-en-france.shtml

3http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2015/06/30/eu-19-eurostat-inflazione-in-calo-02-a-giugno_2b349709-3928-4c30-8ee3-5869f1c9ab2e.html

4http://www.repubblica.it/economia/2015/06/19/news/grecia_tsipras_lunedi_summit_verso_accordo_positivo_-117203256/

5http://www.agi.it/economia/notizie/grecia_controproposta_di_tsipras_aiuti_biennali_e_taglio_debito-201506301619-eco-rt10149

6http://www.lastampa.it/2015/06/30/economia/scade-il-termine-per-il-rimborso-allfmi-grecia-verso-il-default-ObpQ0pZQCTQbWeVBcYLAyH/pagina.html

7http://it.reuters.com/article/topNews/idITKCN0PB54Z20150701

8http://it.reuters.com/article/topNews/idITKCN0PB4LR20150701

9http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2015/06/30/bce-grexit-possibilita.-varoufakis-andremo-a-corte-ue_7cc7cf8b-c929-4d40-ae1e-19a01187dcc3.html

10http://www.iltempo.it/economia/2015/07/01/grecia-tsipras-pronto-ad-accettare-l-accordo-schaeuble-quot-non-si-torna-indietro-quot-1.1432389

11http://www.huffingtonpost.it/2015/06/28/sondaggi-grecia-tsipras_n_7680616.html

12http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/greciasondaggio-avanti-i-no-ma-divario-sceso-dal-27-al-9/news-dettaglio/4589386

13http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/21/sondaggi-60-dei-greci-sta-con-tsipras-nessun-passo-indietro-nelle-trattative/1801389/

14http://www.ilgiornale.it/news/economia/schaeuble-ipotesi-valuta-parallela-grecia-1132109.html

15http://www.reuters.com/article/2015/05/08/us-eurozone-greece-finland-idUSKBN0NT0V920150508

16http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-a23393ef-dd1a-454f-9464-41822e9f6bd3.html

17http://news.yahoo.com/obama-joins-ally-list-greek-austerity-relief-033040983.html

18http://money.cnn.com/video/news/2015/02/20/goldman-sachs-ceo-lloyd-blankfein-greece-europe.cnnmoney/

19https://www.agi.it/economia/notizie/grecia_obama_continuate_a_negoziare_e_smussate_i_rischi-201506301925-eco-rt10197

20https://it.finance.yahoo.com/notizie/grecia-hollande-serve-accordo-adesso-per-evitare-referendum-132353251.html

21http://www.corriere.it/economia/15_giugno_30/roulette-azzardata-tsipras-quell-errore-demagogico-voto-81b7a9e8-1f2e-11e5-be56-a3991da50b56.shtml

22http://www.huffingtonpost.it/david-sassoli/il-referendum-tsipras-dittatura-della-maggioranza_b_7689712.html

23http://www.corriere.it/economia/15_giugno_30/grecia-code-farmacia-razionamenti-prove-un-economia-guerra-ef606c0a-1ee8-11e5-be56-a3991da50b56.shtml

24http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2015/06/29/paura-grecia-mercati-in-rosso-e-banche-chiuse_953dd161-8140-46d7-9b66-ff779f2097f7.html

25http://www.lastampa.it/2015/07/01/multimedia/esteri/grecia-migliaia-in-fila-per-riscuotere-la-pensione-l2HNbewscOLEQwssKnK33K/pagina.html

26http://video.corriere.it/grecia-pensionati-ancora-fila-alle-banche/1803b03a-20a7-11e5-b510-55e71b40db58?playlistId=9700b1ec-7de3-11df-a575-00144f02aabe

27http://www.repubblica.it/economia/2015/06/29/news/grecia_primo_giorno_banche_chiuse-117919578/

14 Risposte a “Grexit/2: gli insospettabili simpatizzanti dell’oxi”

  1. Sui giornali, tutti da noi posseduti: specialmente quelli che vi facciamo chiamare “di sinistra” o, ancora meglio, “comunisti”, le persone capaci di un simile articolo vengono chiamati “analisti”. In genere, però, si producono in una serie di banalità o menzogne del tipo messo giustamente alla berlina da Marco Cobianchin un libro tanto bello quanto sconosciuto.

    Se io fossi l”ad di ENI, diciamo: un’altra azienda che ci siamo presi, le darei un consistente assegno annuo per non far altro che scrivere cose com questa.

    Grazie, caro professore!

  2. Superlativo anche questo! Per caso è attiva una mailing list alla quale iscriversi per essere avvisati quando è disponibile un nuovo articolo?

    Grazie

    1. Grazie! la newsletter è in prima pagina: “ricevi le ultime per posta”. Basta inserire la mail.

  3. ipotesi di scenario:

    le oligarchie finanziarie sono perfettamente conscie del fatto di non poter esercitare ulteriore pressione sulla popolazione greca, pena la perdita di controllo della situazione;
    le medesime oligarchie favoriscono la formazione di un governo populista (populismo strumentale stile M5S);
    il governo pseudo-populista rimette nelle mani del “popolo sovrano” la scelta, tramite referendum, del proprio destino;
    dopo il trattamento di austerity subito dal popolo greco non ci vuole una pala di cristallo per capire in che direzione vada realmente l’opinione pubblica greca, tuttavia la stampa unificata del regime unico lascia credere che tra il sì e il no ci sia una competizione al fotofinish;
    in tal modo (cioè falsificando i risultati del referendum) sarà più facile far ingoiare al popolo greco ulteriori diktat dell’oligarchia finanziaria;
    inoltre il governo collaborazionista e pseudo-populista potrà continuare a eseguire i diktat dell’oligarchia senza opposizione alcuna in quanto espressione più alta della sovranità popolare.

    (perché l’oligarchia avrebbe difficoltà a condizionare la gestione di un paese piccolo come la Grecia quando riesce a controllare totalmente la gestione di un paese delle dimensioni dell’Italia?)

    1. Infatti, secondo la mia analisi, è la Germania la vera “mina vagante”. L’euro finisce quando Berlino si stanca, non certo quando lo scelgono i Greci. L’Italia rispetto al 2011 è enne volte più debole, l’euro è ora più in forse che mai e lo spread… è a 160 punti base. Perchè? Perchè la finanza mondialista non ha nessun interesse a fare saltare la moneta unica: finché la gabbia tiene, è il modo migliore per controllare l’Europa.

  4. Ho trovato per caso questo prezioso blog per chi desidera essere informato correttamente e
    senza eccessi di megalomane protagonismo come succede ad altri blogger che ho letto in passato e non voglio più leggere: quando il protagonismo irrompe nella fluida passione della conoscenza e
    della onesta trasmissione a chiunque, guasta sempre qualcosa…
    Leggere i suoi articoli è come attraversare una buia galleria che pian piano s’illumina e
    all’improvviso arriva la luce del giorno.
    Grazie per il suo impegno

    1. No, non riesco proprio a pubblicarlo, neanche da iscritta … mi da pagina non trovata!

  5. Ciao ,sai qualcosa sul quel giacimentino di gas naturale li tra cipro e grecia scoperto nel 2010 ? sembra sia uno dei primi 3 più grossi al mondo. .. sembra abbia un valore dai 2 ai 4 trilioni di dollari usa

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