Siria: a un passo dallo scontro diretto

Nelle ultime settimane si è inasprita la guerra per procura che Russia e Stati Uniti combattono in Siria dal 2011: raid americani contro l’esercito siriano si erano già registrati in passato, ma il 7 febbraio sono finiti nel mirino anche “mercenaria russi”, impegnati nell’attraversamento del fiume Eufrate. Nel frattempo si moltiplicano le accuse rivolte a Damasco di usare armi chimiche, prodromo di nuovi possibili attacchi aerei, e l’abbattimento del jet israeliano, il 10 febbraio, testimonia il crescente coinvolgimento di Tel Aviv nel conflitto. Il fallimento strategico della destabilizzazione di Siria ed Iraq ha rafforzato l’influenza iraniana e russa sulla regione, alienando allo stesso tempo la Turchia dalla NATO: ne deriva un crescente coinvolgimento diretto di USA e Israele, coinvolgimento disperato e potenzialmente esplosivo.

Bombardare i russi sull’Eufrate: l’epilogo della disastrosa strategia USA

Risale allo scorso giugno il nostro ultimo articolo sul conflitto siriano, dall’emblematico titolo “Gli USA stanno perdendo la guerra in Siria: ed ora?”: al suo interno, commentando l’abbattimento del Su-22 siriano da parte dell’aviazione americana ed il dispiegamento di missili balistici tattici nella base americana di Al-Tanf, evidenziavamo come la guerra per procura combattuta da Russia ed USA si stesse pericolosamente indirizzando verso un scontro diretto tra le due potenze. A distanza di otto mesi, la nostra analisi ha trovato inquietanti conferme negli sviluppi degli ultimi giorni: il 7 febbraio, per la prima volta, un raid aereo americano ha coinvolto truppe russe operanti in territorio siriano, uccidendo e ferendo un numero imprecisato di “mercenari” impiegati con il placet di Mosca.

Il raid aereo, avvenuto con l’impiego di F-22, F-15 e droni MQ-91, si è concentrato su una colonna di circa 500 uomini che ha attraversato il fiume Eufrate, linea di confine informale tra la Siria “russa” e quella “americana”, nei pressi di Deir Ezzor. Il presunto attacco ad una base delle Forze Democratiche Siriane, dove erano presenti alcuni consiglieri statunitensi, avrebbe scatenato il bombardamento statunitense, costato la vita ad un centinaio di soldati tra cui diversi “mercenari” della compagnia privata Wagner. Damasco ha immediatamente bollato l’attacco come spudorata “aggressione”, seguita a ruota da qualificati commenti russi dello stesso tenore2. Ad alimentare la tensione è sopraggiunta anche la notizia di pochi giorni fa secondo cui, sempre nei pressi di Deir Ezzor, una quindicina di “mercenari russi” sarebbe stata uccisa da una trappola esplosiva3.

Un ulteriore salto di qualità nel conflitto è coinciso, il 10 febbraio, con l’abbattimento di un F-16 israeliano, colpito dalla contraerea siriana e schiantatosi presumibilmente nel nord di Israele: l’episodio è indice del crescente coinvolgimento nella guerra siriana di Tel Aviv che, in violazione dell’altrui sovranità, si sente ormai libera di colpire qualsiasi obiettivo siriano-libanese-iraniano che possa rappresentare una minaccia alla sua sicurezza nazionale.

Sullo sfondo, nel frattempo, si moltiplicano le accuse a Damasco di impiegare armi chimiche contro i ribelli:U.S. takes aim at Russia after suspected Syrian government gas attack” scriveva l’agenzia Reuters il 23 gennaio4, riportando le affermazioni del Segretario di Stato Rex Tillerson secondo cui Damasco, e in ultima analisi Mosca, sarebbero responsabili dell’uso di gas cloro sugli insorti. Dall’ormai celebre episodio dell’agosto 2013, è risaputo che le armi chimiche siano soltanto il pretesto per intervenire militarmente nel conflitto, così da alleggerire la repressione sui ribelli e tentare di ribaltare la situazione sul campo.

Stati Uniti ed Israele aumentano quindi drammaticamente il proprio coinvolgimento nel teatro siriano, col concreto rischio che un attacco contro le forze russe (da parte di Washington) o le forze siriane-sciite (da parte di Washington e/o Tel Aviv) sfoci in un’escalation regionale. Come si è arrivati a questo punto? E perché è concreto il rischio che la guerra per procura iniziata nel 2011 evolva in scontro militare diretto?

La risposta deve essere ricercata nella disastrosa strategia di balcanizzazione del Levante adottata da Washington e alleati, strategia che, anziché rafforzare l’influenza atlantica sulla regione, ha finito col cementare l’alleanza tra Russia, Iran e Turchia, allargata a Libano, Siria ed Iraq. È un’alleanza che rischia di stritolare gli angloamericani e gli israeliani. La volontà di proseguire sulla stessa strada seguita sinora, nonostante sia ormai evidente che non ha sbocchi, sta portando Washington e Tel Aviv ad imbarcarsi in avventure militari tanto disperate quanto pericolose: come l’episodio del 7 febbraio o i progetti israeliani di una terza guerra contro il Libano.

I piani originali dell’establishment atlantico prevedevano, come più volte sottolineato nei nostri articoli, la destabilizzazione ed il collasso di Siria ed Iraq, sulle cui ceneri avrebbero dovuto nascere il Califfato sunnita dell’ISIS, un grande Kurdistan ed una pluralità di staterelli sciiti, alauiti, etc. etc. Lo sforzo di balcanizzare la regione raggiunge l’apice nel 2014, quando lo Stato Islamico, creato e finanziato dagli USA, si espande a cavallo di Iraq e Siria; parallelamente iniziano ad apparire sui media le epiche gesta dei curdi di Kobane ed il Kurdistan acquisisce sempre maggiore concretezza.

Fermamente convinti a sventare i piani di Washington sono la Russia, che non può permettersi di perdere l’affaccio sul Mediterraneo, l’Iran, che non può permettersi di rimanere isolata dagli sciiti libanesi e siriani, la Turchia, che non può permettere che alla sue frontiere nasca un Kurdistan che catalizzi anche la propria minoranza curda. Nell’autunno 2017, l’alleanza russo-turco-iraniana è formalizzata al vertice di Sochi.

La balcanizzazione del Levante si trasforma così in una vera disfatta strategica per “l’Occidente”:

  • la Russia ritrova il rango di superpotenza e si afferma come arbitro degli equilibri regionali;
  • l’Iran, creando il cosiddetto “corridoio sciita” attraverso Iraq, Siria e Libano, raggiunge il Mediterraneo ed ottiene un’influenza che nessuno avrebbe mai immaginato 15 anni fa;
  • la Turchia, costretta a lanciare la missione “ramo d’olivo” per sradicare l’esercito curdo ai suoi confini, si allontana progressivamente dalla NATO  in un crescendo di tensioni con gli Stati Uniti. Parallelamente converge verso Mosca, ben felice che Ankara sradichi le milizie addestrate, finanziate e sostenute dagli Stati Uniti.

Di fronte a questo disastro strategico, agli USA non resta quindi che asserragliarsi a est dell’Eufrate, con l’obiettivo di creare (in una zona peraltro semi-desertica) un piccolo Stato controllato non più dall’ISIS dalle Forze Siriane Democratiche, essenzialmente di etnia curda. È un’operazione disperata, perché le sono contrari pressoché tutti gli attori regionali: la Turchia, che giudica qualsiasi Kurdistan una minaccia alla sicurezza nazionale, la Siria, che vuole riconquistare la totalità del suo territorio, l’Iran, che non vuole intralci sul corridoio sciita, e l’Iraq, dove si svolgeranno ai primi di maggio le elezioni parlamentari che quasi certamente confermeranno il premier “filo-iraniano”5 Haidar al-Abadi.

Analogamente, si è fatta sempre più critica la posizione di Israele, paradossalmente peggiorata dopo 15 anni di guerre mediorientali, Primavere Arabe e destabilizzazioni: tanto era sicura Tal Aviv nel 2003, quando il malconcio Saddam Hussein dominava Bagdad, quanto è fragile oggi che l’Iran è assurto a potenza regionale incontrastata.

Persa l’iniziativa, persi gli alleati, USA e ad Israele devono quindi ripiegare su disperate e pericolosissime avventure militari: bombardare i russi che attraversano il fiume Eufrate, moltiplicare i raid in Siria, progettare una nuova invasione del Libano, sognare di destabilizzare l’Iran con una rivoluzione colorata o sferrargli tout court un attacco.

Scrivendo nel febbraio 2018, possiamo affermare che gli USA hanno perso la guerra in Siria ed è, senza dubbio, la più grave sconfitta militare mai subita: per il valore geopolitico della regione, gli attori coinvolti ed il significato storico, supera di gran lunga la disfatta in Vietnam. Il rifiuto della realtà ed una certa visione apocalittica/messianica che contraddistingue l’establishment atlantico ed israeliano potrebbe condurre anche ad azioni non perfettamente razionali: l’escalation in Siria e la conseguente guerra di sistema.

 

Mappa del teatro siriano-iracheno6.

1https://edition.cnn.com/2018/02/07/politics/us-strikes-pro-regime-forces-syria/index.html

2http://www.newsweek.com/us-attack-assad-allies-syria-was-unprecedented-act-aggression-russia-senator-801551

3https://www.theguardian.com/world/2018/feb/15/fifteen-russian-security-staff-killed-in-syria-explosion

4https://www.reuters.com/article/us-syria-chemicalweapons-france-usa/u-s-takes-aim-at-russia-after-suspected-syrian-government-gas-attack-idUSKBN1FC27O

5https://www.reuters.com/article/us-mideast-crisis-iraq-iran/iraqi-leader-visits-iran-as-tehran-seeks-to-drive-wedge-with-washington-idUSKBN1CV14G

6https://syriancivilwarmap.com/

20 Risposte a “Siria: a un passo dallo scontro diretto”

  1. Gli hanno fatto trovare la statua di Tito, all’ex petroliere divenuto ministro. Roma, in altre parole, è di nuovo pronta a ricivilizzare il mondo chiudendo l’era duesecolare aperta – come spiega ancora a tutti Tacito — dal Bonaparte e dai suoi finanziatori.

  2. In questi giorni Nethanyahu è stato accusato di corruzione e frode e la sua fine politica potrebbe essere alle porte.
    Questa è la grande speranza per tutto il Medio Oriente: che questo sbruffone arrogante si faccia finalmente da parte e finisca l’opera di destabilizzazione messa in atto dal suo governo.
    Con un leader israeliano nuovo potrebbe rinascere la speranza di un accordo generale tra le tre potenze regionali: Iran, Israele e Turchia sotto la garanzia della Russia.

      1. Il miliardario inglese ebreo Joe Lewis, che fa affari con l’amico George Soros ed è il padrone della squadra di calcio Tottenham, comincia “ad acquistare immensi territori nel Sud argentino, ed anche nel vicino Cile. Le sue proprietà coprono più volte l’estensione dello stato d’Israele. Sono situate in Tierra del Fuego, all’estremo meridione, zona che dà accesso alle ricchezze minerarie del continente antartico”.

        Joe Lewis, padrone della Patagonia.
        Il miliardario può farlo in base al trattato di pace che Londra impose all’Argentina sconfitta nella guerra della Falkland (o Malvinas): lo spazio aereo del territorio meridionale è stato tolto a Buenos Aires. E’ alla Royal Air Force che oggi le linee aeree argentine devono chiedere il permesso di sorvolo sulla loro patria.

        Le terre di Lewis fra l’altro “circondano il Lago Escondido [proprietà demaniale] impedendo ad esso l’accesso, nonostante una sentenza di giustizia. Un aeroporto privato con pista di 2 chilometri gestito dal miliardario accoglie aerei civili e militari”.

        https://www.maurizioblondet.it/perche-si-crea-uno-parallelo-ebraico-patagonia/

    1. Scusa, ma credi davvero che lo sbruffone abbia autonomia strategica come persona singola? Prova a ricostruire la sua carriera, le sue conoscenze e i suoi sponsors. Non è facile ma ……

  3. Nella partita che gli U$A ha riaperto con la russia il tentativo di ripetere il successo del bluff di reagan non può che finire nel disastro perché stavolta la russia non può più arretrare e sa per dolorosa esperienza . che sta giocando con un baro.
    Daltronde nemmeno U$rael , avendo scelto di dominare con la forza , può accettare meno di una “vittoria totale”. E’ la meledizione del bullo che perde tutto se qualcuno dimostra che gli si può resistere
    La dinamica di questa “partita” quindi è automatica: quando nessuno dei giocatori può arretrare il ” pokerista ” raddoppia la posta e lo ” scacchista” muove i suoi pezzi e alla fine STAVOLTA “vedrà ” .. e buonanotte
    Per evitare questo disastro dalle proporzioni che potrebbero essere letali per miliardi di persone STAVOLTA dovrebbe esserci “qualcuno” a washington che capisse che la posta in siria andrebbe lasciata; ma abbiamo visto che ciò è impossibile perché ” chi comanda in ” U$A non sta a Washington e non si cura di cosa succedrà ai suoi “burattini” amerikani.

  4. Sarebbe interessante sapere cosa c’è di vero nelle notizie riportate tempo addietro circa grossi acquisti immobiliari di miliardari nel sud della Nuova Zelanda e di ebrei nella Patagonia cilena. Immagino siano i posti più lontani dall’emisfero boreale. Perché diciamocelo, se si innesca lo scontro, sarà devastante.

  5. Il presupposto è che il diritto internazionale ha ormai il valore dei coriandoli a carnevale. Dunque si ritorna alla legge del più forte (militarmente ed economicamente). Questo però non significa che il più grosso e muscoloso tra i contendenti sia necessariamente invincibile; chi ha un minimo di esperienza di arti marziali sa bene che si può mettere fuori combattimento anche chi ci sovrasta in forza e arroganza (anzi l’arroganza è un punto debole), si tratta di sferrare il colpo giusto al momento giusto, non si provocherà alcuno sfacelo mondiale, se ci sono individui che vogliono distruggere il pianeta per loro pruriti messianici, voglio sperare verranno isolati e resi inoffensivi.
    D’altronde, tra i vari leader in grado di influenzare sul serio gli eventi, mi pare ci sia qualcuno che si intenda sul serio di arti marziali …
    Auspichiamo ciò accada velocemente e con il minor danno possibile per tutti.

  6. Il rifiuto della realtà ed una certa visione apocalittica/messianica che contraddistingue l’establishment atlantico ed israeliano potrebbe condurre anche ad azioni non perfettamente razionali: l’escalation in Siria e la conseguente guerra di sistema.

    C’è un altro blogger che stimo molto e che il Vicino Oriente lo conosce molto bene avendoci vissuto nella sua giovinezza al seguito del padre, addetto militare in Libano, che perviene alla stessa conclusione. In fatti un suo recente articolo si chiude con la frase:
    Il Grande Gioco torna alla casella di partenza e punta sul nucleare, vista l’assenza di una politica estera. (Enfasi mia ed in effetti dovrei riprendere il mio iniziale e profetico avatar: quello di una esplosione termonucleare, perchè lì comincerà e mi auguro che lì ci si arresti).

    Link: LA SIRIA, LA TURCHIA, I CURDI, ISRAELE, IL LIBANO, L’IRAN. TANTE VITTIME CON UN PASSATO COMUNE E UN FUTURO INCERTO. di Antonio de Martini

  7. L’ambasciatore russo in Israele ha dichiarato che in caso di attacco dell’Iran nei confronti di Israele la Russia si schiererebbe dalla parte di quest’ultimo.
    Sembra che Putin stia prendendo le distanze del regime degli ayatollah e che abbia mandato un messaggio chiaro: la Russia intende garantire lo status quo in Medio Oriente e non è disposta a tollerare tentativi di riconquista islamica.

    1. La Russia prende le distanze dall’Iran? La diplomazia è una cosa. La realtà sul campo un’altra.
      E poi l’Iran ha già vinto. Il tempo lavora contra Israle e sarà questa ad attaccare.

      1. Putin sa bene che Israele ritiene la destabilizzazione degli Stati confinanti come condizione indispensabile della sua sopravvivenza e l’attacco al regime iraniano un’evento inevitabile.
        Ma è anche possibile che il leader russo, vinta ormai la guerra in Siria, cerchi di prendere le distanze dagli alleati per accreditarsi come arbitro “super partes” in previsione di un accordo generale relativo all’area mediorientale.
        Considerata la politica aggressiva di Israele potrebbe sembrare un’ingenuità, ma Putin di questi errori ne ha già commessi.
        Basti pensare a quando ha permesso agli americani di impiantare proprie basi nell’Asia Centrale nel 2001 in vista dell’attacco all’Afghanistan o di come i suoi servizi segreti si sono fatti sorprendere dalle rivoluzioni colorate in Ucraina e in Georgia, orchestrate dalla CIA.
        Le ingenuità di Puti hanno permesso agli USA di arrivare a ridosso dei confini nudi e crudi della Russia, speriamo la smetta di cercare di compiacere americani e israeliani.

      2. La partita che la Russia gioca in Medio Oriente e’ senza dubbio molto delicata.
        Ma gli ebrei, anche Russia, sono molto importanti per la stabilita’ degli equilibri regionali, ma anche interni.
        Dal punto di vista delle relazioni internazionali, la Russia e’ il simbolo di un espressione nazionalista degli affari esteri. E stessa cosa vale per Israele. In questo senso vedo Russia e Israele piu’ vicine di qualsiasi altra ipotetica -perche’ di ipotesi stiamo parlando- alleanza regionale.
        In aggiunta non si puo’ far finta di non sapere che il primo Stato ad aver riconosciuto e sostenuto Israele, fu l’URSS.
        La Russia HA BISOGNO di un sostegno forte per acquisire sviluppo tecnologico per la produzione di beni che la Cina non le cedera’ mai, nonche’ una struttura finanziaria ramificata . Israele e’ chiaramente un partner importante in tal senso, perche’ e’ esattamente cio’ che possiede e che puo’ barattare in cambio della protezione russa.
        I rapporti tra Russia e Paesi islamici, e in generale minoranze di etnia non slava, sono sempre stati molto lineari, ovvero di forte conflitto se non di pulizia etnica.
        Gli accordi tra Russia e Paesi islamici sono dettati da mere condizionalita’ geopolitiche di breve termine. Per progetti che vadano oltre il mero interesse geopolitico, l’alleato naturale della Russia e’ Israele, sia per motivi economico-finanziari, sia per motivi CULTURALI, sia per motivi militari, sia per motivi geopolitici.

      3. Una cosa importante che non scritto.
        Il mio ragionamento parte dal presupposto che la linea politica della Russia e’ di tipo espansionista. Cioe’, la Russia reclama una posizione di dominio quantomeno territoriale.
        Lo testimoniano le relazioni politiche tra Russia e Caucaso degli ultimi 200 anni.

    2. E’ giocoforza dal momento che sono in guerra, la Russia astutamente si tira fuori dal un punto di vista diplomatico.

      Israele: lo Shin Bet dichiara di aver sventato attentato a Lieberman (ministro della difesa)

      Iran: “cade” aereo con 66 persone a bordo

      A voi le conclusioni

  8. “Sarà Israele ad attaccare”? Sì, ma dopo un false flag. Usa e Israele ci metteranno davanti al fatto compiuto, nessuno avrà il coraggio di sbugiardarli (tutti faranno finta di credere al false flag, come sempre), e come sempre dovremo mandare i nostri aerei e concedere le nostre basi per incenerire il nemico di turno dei neocon-sionisti.
    Temo che la Russia con quella dichiarazione si sia impantanata da sola; voglio vedere come fa, di fronte all’attacco pretestuoso o preventivo Usraeliano, non solo a non scendere in campo con Israele, ma a contrastarlo. Fantascienza.
    A parte che le parole dell’ambasciatore suonavano molto sincere … Israele è veramente piena di russi, e Putin è in buonissimi rapporti con tanti oligarchi ebrei dal doppio passaporto.
    Lascieranno incenerire l’Iran, e dovranno ingoiare l’ennesimo rospo, come tutti noi.
    L’unica speranza è che il diavolo faccia la pentola ma non riesca a fare il coperchio; che gli vada storto qualcosa, che so: che gli salti in aria una base atomica, che lancino per sbaglio un’atomica sulla Turchia, che scoppi una rivolta dei negri in Usa, … La fantasia della Provvidenza non ha limiti.

  9. Un’altra importante zona d’ombra che ha caratterizzato la cooperazione militare russo-iraniana è costituita dalle operazioni israeliane in territorio siriano avvenute successivamente all’intervento di Mosca.

    Oltre ai ripetuti attacchi ai convogli e ai depositi di munizioni ai Hezbollah nella regione di Qalamun, al confine siro-libanese, tra 2015 e il 2016 Israele ha compiuto con successo alcune operazioni mirate a Damasco, come l’eliminazione dei suoi leader Samir Kuntar e Mustafa Badreddine (sebbene in entrambi i casi l’attribuzione sia controversa).
    A ciò si aggiungono decine di attacchi aerei perpetrati anche all’interno della MEZ (Missile Engagement Zone) coperta dalle batterie anti-missile S-300VM Antey-2500 e S-400 Triumf schierate dai Russi.
    È implicito che Mosca abbia volutamente tollerato molte incursioni di Israele in Siria contro Hezbollah, in cambio della neutralità di Tel Aviv all’insieme dell’operazione russa in sostegno di Assad.
    Tale può essere stato il contenuto del deconfliction talk tra il Capo di Stato Maggiore russo Valerij Gerasimov e il suo omologo israeliano Gadi Eizenkot avvenuto a Mosca poco prima dell’avvio dei bombardamenti russi, il 21 settembre 2015, e ufficialmente dedicato a prevenire incidenti aerei in vista dell’inizio dell’operazione russa.
    Alcune fonti datano invece al marzo 2016 la formalizzazione dell’accordo con cui Israele ha garantito alla Russia neutralità nel conflitto siriano, come contropartita all’impegno del Cremlino a non rifornire di armi russe Hezbollah oppure a non ostacolare raid mirati dei caccia israeliani contro i clienti del suo alleato iraniano.

    http://www.analisidifesa.it/2018/01/alleati-ma-rivali-la-disputa-tra-russi-e-iraniani-in-siria/

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