Hillary Clinton è accusabile di spionaggio a favore di Paesi stranieri?

“Negligente, ma nessun reato”, fu il giudizio con cui l’FBI archiviò ai primi di luglio l’indagine su Hillary Clinton, abituata ad usare la posta privata per la corrispondenza del Dipartimento di Stato. Ci deve essere qualche serie ragione se il caso riesplode ad una decina di giorni dalle elezioni presidenziali: da un’inchiesta parallela, nata per presunti reati sessuali, emerge che sul computer di Anthony Weiner, marito della più stretta collaboratrice della candidata democratica, Huma Abedin, sono conservate migliaia di email risalenti al periodo di Hillary Clinton al Foggy Bottom. Chi sono il falco pro-Israele Weiner e la moglie Abedin, grande conoscitrice della Fratellanza Mussulmana? Quale uso fecero delle email? È, soprattutto, l’FBI è incappato in un reato di spionaggio a favore di Paesi stranieri?

Personae dramatis: Hillary Rodham Clinton, Huma Mahmood Abedin, Anthony David Weiner

Colpo di scena. Venerdì 28 ottobre, quando mancano una decina di giorni alle presidenziali statunitensi dell’8 novembre, il Federal Bureau of Investigation rivela di essere venuto in possesso di nuove email spedite e ricevute da Hillary Clinton avvalendosi di server privati, quando guidava il Dipartimento di Stato: si tratta di migliaia di nuove email, occorreranno settimane per analizzarne, dice l’FBI al Congresso, ed è impossibile stabilire se siano un duplicato di quelle già vagliate oppure se costituiscano nuove evidenze probatorie.

La notizia rimbalza veloce su tutti i media, Wall Street scivola in territorio negativo e Donald Trump può finalmente esultare: “Forse finalmente sarà fatta giustizia. Il livello di corruzione di Hillary Clinton è di un’entità mai vista prima…questo caso è peggio del Watergate1. Trascorrono poche ore ed anche la diretta interessata reagisce: “È parecchio strano divulgare qualcosa di simile, con così poche informazioni, appena prima delle elezioni. È senza precedenti e molto preoccupate.”2

Ci devono essere ottime ragioni, se il direttore dell’FBI James Comey ha ritenuto di non poter aspettare per informare il pubblico dell’inaspettato sviluppo delle indagini, tanto più se si considera la linea, molto morbida, finora assunta dal Federal Bureau of Investigation nel gestire il cosiddetto “emailgate”: c’è motivo di pensare che l’FBI disponga di informazioni così esplosive che l’eventuale ritardo nel comunicare le novità avrebbe, a posteriori, lasciato adito ad accuse di insabbiamento o, peggio ancora, di complicità. Un rischio che Comey non ha voluto correre, preferendo attirarsi ora gli strali della Clinton, del partito democratico e dell’intero establishment.

Fino a quel momento, infatti, l’FBI si era mosso con molto tatto, prestando molta attenzione a non danneggiare la candidata democratica: ai primi di luglio, al termine del primo filone delle indagini, James Comey aveva parlato di estrema disattenzione”, sottolineando che “gli investigatori non avessero trovato nessuna prova che la Clinton volesse violare la legge con l’uso di email private”. Interrogato sul perché non chiedesse l’applicazione dell’Espionage Act (che rende perseguibile chiunque diffonda, distrugga o perde materiale classificato), Comey aveva risposto che “nessun giudice sensato” avrebbe imputato un simile reato alla Clinton, responsabile solo di “una grossa negligenza”3. Trump era subito insorto, parlando di un “sistema corrotto” e sostenendo, a più riprese, che la candidata democratica non avrebbe nemmeno correre per la Casa Bianca: “la Clinton deve andare in carcere”, ribadisce il 13 ottobre riferendosi allo scandalo email.

Sopraggiunge settembre e l’FBI si imbatte accidentalmente in nuovo filone delle indagini, che culminerà con la clamorosa rivelazione di questi giorni.

Tutto nasce dall’incorreggibile vizio di un’ex-astro nascente del partito democratico, un uomo dai forti appetiti sessuali, di inviare foto osé alle sue ammiratrici. Quando il politico circuisce una ragazzina 15enne, scatta il sequestro del computer, scandagliato dall’FBI che è alla ricerca di immagini pedo-pornografiche: emergono così 650.000 email, tra cui se ne annidano migliaia inviate o ricevute da Hillary Clinton quando occupava il Dipartimento di Stato, tra il 2009 ed 2013. L’allupato politico è Anthony David Weiner, marito (ma i due sono ormai in fase di separazione) di Huma Mahmood Abedin, la più stretta collaboratrice di Hillary Clinton, la “seconda figlia” che, dopo averla assistita al Foggy Bottom, è attualmente vicepresidente della sua campagna elettorale.

I protagonisti di quest’imprevedibile sviluppo dello “scandalo email” sono quindi tre: i tre personaggi del dramma che devono essere analizzati a fondo per capire i motivi che con alta probabilità hanno spinto il direttore dell’FBI ad intervenire clamorosamente al termine della campagna elettorale, pur di scongiurare accuse di insabbiamento. Passiamoli in rassegna.

Abbiamo di recente tracciato un profilo di Hillary Rodham Clinton, sottolineando le sue pulsioni bellicistiche e la sua simbiosi con l’establishment finanziario e mondialista. Ai fini di quest’analisi, ci preme evidenziare come sia la Clinton la regista occulta delle rivoluzioni colorate che sconquassano il Medio Oriente e portano alla ribalta l’islam politico. È durante il suo mandato come Segretario di Stato che vecchi amici degli Stati Uniti come il tunisino Ben Alì e l’egiziano Hosni Mubarack sono rovesciati dalla rete CIA-Otpor!-Canvas, si bombarda la Libia cercando in ogni modo di eliminare il colonnello Gheddafi (celebre è il video dove la Clinton gioisce come una bambina per il suo assassinio4), e si predispongono quelle operazioni sporche per spodestare il siriano Bashar Assad. La strategia, basata sul risveglio della Fratellanza Mussulmana così cara a Londra ed ai servizi segreti britannici, conta sull’appoggio delle potenze sunnite, in primis la Turchia ed il Qatar: lo stretto rapporto tra la Clinton e Doha è stato recentemente confermato dalla pubblicazione di alcune mail, che svelano le donazioni milionarie elargite dalla monarchia sunnita alla fondazione Clinton5. Ultimo beneficiario della destabilizzazione del Medio Oriente è però lo Stato d’Israele, come la stessa Segretaria di Stato riconosce in una email6:

The best way to help Israel deal with Iran’s growing nuclear capability is to help the people of Syria overthrow the regime of Bashar Assad.”

I punti di riferimento per la politica mediorientale della Clinton sono quindi la Fratellanza Mussulmana e Tel Aviv: è facile ipotizzare che il Segretario di Stato, nella concitata fase della “Primavera Araba” e della “guerra civile siriana”, voglia avere al suo fianco alcune figure per tenere aperti i suddetti canali. Si passa, così, agli altri due personaggi del dramma.

Huma Mahmood Abedin, classe 1976, mussulmana, è riconducibile al variegato mondo della Fratellanza Mussulmana e dell’islam politico che, da sempre, ha la propria sede a Londra: il padre, nato nel 1928 nell’India britannica, dirige l’Institute of Muslim Minority Affairs con base nella capitale inglese e focalizzato sullo “studio delle minoranze mussulmane in società non islamiche”, la madre è il caporedattore della rivista Journal of Minority Muslim Affairs,7 dalle inequivocabili simpatie pro-Fratellanza, il fratello insegna all’Oxford Centre for Islamic Studies, centro accademico che da sempre funge da crogiolo dell’islam politico. Entrata nell’entourage della Clinton già nel 1996 (impegno che affianca alla collaborazione col suddetto Journal of Minority Muslim Affairs), la Abedin scala velocemente la gerarchia fino ad affermarsi come la più stretta collaboratrice della Clinton, nonché la sua consigliera in materia di Medio Oriente: quando nel 2011 scatta la “Primavera Araba” è lei che cura i contatti tra Foggy Bottom e la Fratellanza Mussulmana, i cui principali sponsor, oltre gli angloamericani, sono la Turchia ed il Qatar. È sufficiente una rapida lettura delle email inviate dalla Abedin nel periodo 2011-2013, per notare come la Fratellanza fosse in cima ai suoi pensieri: toccherà alla Clinton, ricevuta da Mohamed Morsi nel luglio 2012, impartire la benedizione americana al nuovo corso egiziano, sdoganando così ufficialmente i partiti islamisti.

Attorno al 2007 cominciamo a circolare voci di un rapporto omosessuale tra le due donne8: ridicolo, spazzatura, risponde la cerchia della Clinton. È però lecito sospettare che queste indiscrezioni siano alla base del matrimonio, che molti sospettano essere combinato a tavolino, tra la Abedin ed un’altra figura di spicco del clan Clinton, ossia quel politico la cui promettente carriera sarà rovinata dall’incorreggibile vizio di adescare donne in rete, nonché causa degli ultimissimi guai giudiziari di Hillary Clinton.

Si tratta di Anthony David Weiner, classe 1964, ebreo, entrato nel Congresso degli Stati Uniti nel 1999, considerato una promessa del partito democratico, è così intimo dei Clinton che è proprio l’ex-presidente americano ad ufficiare il suo matrimonio con la mussulmana Huma Abedin nel 2010. Weiner appartiene, come Hillary Clinton, a quella corrente del partito democratico fautrice di una convinta politica pro-Israele: favorevole all’invasione dell’Iraq del 2003, abituato ad usare toni sprezzanti verso i palestinesi, Weiner è un vero “falco”, sempre pronto a difendere la causa israeliana.

La promettente carriera di Weiner è però stroncata dai suoi irrefrenabili appetiti sessuali: corre il 2011 (a distanza di un anno dalle “nozze” con la Abedin), quando Weiner invia una foto osé ad un’ammiratrice. Ne nasce uno scandalo che lo obbliga alle dimissioni dal Congresso. A distanza di due anni, Weiner ricasca nello stesso errore (inviando foto spinte con lo pseudonimo di “Carlos Danger”), e manda a monte la sua corsa per la poltrona di sindaco di New York. Il lupo, dice il proverbio, perde il pelo ma non il vizio: adescata una minorenne su internet, Weiner finisce nel mirino dell’FBI, che sul suo portatile scopre accidentalmente migliaia di email inviate dall’allora Segretario di Stato, Hillary Clinton.

Hillary Rodham Clinton, capo del Foggy Bottom abituata ad usare server privati per gestire materiale riservato o segreto, Huma Mahmood Abedin, il braccio destro della Clinton, pro-Fratellanza e pro-autocrazie sunnite, Anthony David Weiner, il protetto dei Clinton considerato un falco pro-Israele: ecco i tre personaggi del dramma.

Abbiamo sufficiente elementi per avanzare un’ipotesi che spiegherebbe il brusco voltafaccia dell’FBI e l’urgenza del suo direttore, James Comey, di comunicare gli sviluppi dello scandalo email a pochi giorni dal voto, pur di scongiurare a posteriori possibili accuse di insabbiamento o complicità: Hillary Clinton ed il suo staff, hanno passato informazioni classificate a Paesi stranieri?

Hillary Clinton rischia l’accusa di spionaggio?

Alcuni ricorderanno la vicenda di Barack Obama e del suo Blackberry: l’NSA premeva perché il neo-presidente si liberasse del telefono, facilmente accessibile dai pirati informatici, mentre Obama era deciso a conservare il amato smartphone anche nello studio ovale. Vince alla fine Obama, ma, come scrive il New York Times nel gennaio 20099:

“To minimize the risk, the government technology gurus have made it impossible to forward e-mail messages from the president or to send him attachments, people informed about the precautions say”.

I geniacci informatici della Casa Bianca modificano cioè le email, affinché non sia possibile inoltrarle, copiarle o stamparle. Una email inviata da server privati è, infatti, come una lettera cartacea: una volta imbucata, il destinatario può girarla a chi vuole o fotocopiarla a piacimento. I sistemi di posta del governo, quelli che avrebbe dovuto impiegare Hillary Clinton, pongono invece severe restrizioni in questo senso, impedendo che materiale riservato o segreto sia diffuso o riprodotto.

Quando nel 2009 Hillary Clinton si insedia al Dipartimento di Stato, anziché passare ai server governativi, continua ad impiegare la sua posta personale (clintonemail.com, wjcoffice.com, presidentclinton.com): forse a causa di una certa leggerezza, o dell’arroganza di chi gestisce lo Stato come un affare privato, o della volontà di raggirare il Freedom of Information Act, o del desiderio di usufruire di “quell’elasticità” che il dominio “state.gov”, come abbiamo detto, non consente.

Capita così che tutta la corrispondenza inerente alla Primavera Araba, all’intervento militare contro Gheddafi ed ai tentativi di rovesciare Bashar Assad siano gestiti da Hillary Clinton da server privati: nessuno, per anni, solleva obiezioni.

Subentra il 2015 ed il Dipartimento di Stato (sarebbe interessante appurare dietro sollecitazione di chi) dall’oggi al domani scopre che informazioni riservate hanno viaggiato su indirizzi di posta non governativi: scatta così l’indagine dell’FBI che obbliga Hillary Clinton a consegnare server e chiavette, contenenti decine di migliaia di email. L’imbarazzo per la Clinton, che ha già iniziato la lunga corsa verso le presidenziali del 2016, è evidente: “Voglio che il pubblico veda le mie email. Ho chiesto che il Dipartimento di Stato le diffonda” scrive nel marzo 2015, nel tentativo di mettere una pezza.

clintontweet

In ottemperanza al Freedom of Information Act, il Dipartimento di Stato accontenta la Clinton, pubblicando quelle 30.000 email che Wikileaks metterà a disposizione sul suo sito. Non tutta la documentazione è però resa nota: un centinaio di email sono, infatti, censurate, perché contenti informazioni riservate, segrete o molto segrete10. Sappiamo quindi che materiale classificato è stato ricevuto o inviato da Hillary Clinton su indirizzi di posta privata che, a differenza di quelli governativi, consentono di inoltrare e riprodurre le email.

L’FBI, come abbiamo detto, si dimostra molto clemente nel giudicare il caso della Clinton ed il direttore James Comey parla, nel luglio 2016, soltanto di “grossa negligenza”. Il Procuratore generale degli Stati Uniti d’America, l’equivalente del ministro della giustizia, Loretta Lynch, si adegua senza esitazione a questa linea, sebbene negli USA infurino le polemiche: pochi giorni prima che gli investigatori rendano noto l’esito dell’indagine, Loretta Lynch si è infatti incontrata all’aeroporto di Phoenix con Bill Clinton, intrattenendo con lui una conversazione di trenta minuti. “Il Procuratore Generale ha violato la legge, ha incontrato Bill Clinton a bordo di un aereo” insisterà più volte Donald Trump11.

Alla Clinton è così risparmiata una gogna simile a quella ricevuta dall’ex-generale David Petraeus, un giudizio che per la candidata democratica avrebbe significato la fine della corsa per la Casa Bianca, se non la morte politica. Ricordiamo, infatti, che “l’eroe nazionale” che risollevò le sorti della guerra irachena, è condannato nell’aprile 2015 a due anni di libertà vigilata e ad una multa di 100.000 dollari, al termine di un’indagine dell’FBI che ha rivelato come Petraeus avesse fornito informazioni riservate alla sua biografa-amante Paula Broadwell.

Una simile clemenza, benché clamorosa, è giustificabile dal fatto che Hillary Clinton ha impiegato la posta privata per inviare o ricevere informazioni riservate a/da persone abilitate, in ragione delle loro funzioni istituzionali, ossia membri cioè del Foggy Bottom e del governo americano.

Può dirsi lo stesso con le email trovate sul computer personale di Anthony David Weiner?

Probabilmente no e questo spiega perché il direttore dell’FBI James Comey abbia sentito l’urgenza di comunicare al Congresso l’imprevisto sviluppo delle indagini, nonostante manchino pochi giorni dalle elezioni e nonostante il Procuratore generale degli Stati Uniti d’America, la sullodata Loretta Lynch, abbia esercitato forti pressioni sull’FBI affinché l’annuncio fosse sospeso in attesa del voto12.

È forte il sospetto che, seguendo questo nuovo filone delle indagini, l’FBI abbia scoperto che le email private della Clinton, contenenti informazioni riservate o segrete, siano state inviate a persone che non ne avevano l’abilitazione o, addirittura, a cittadini non statunitensi.

Ricomponiamo tutte le tessere del mosaico: sappiamo che le email spedite da server privati come quelli impiegati dalla Clinton, a differenza del dominio “state.gov”, si possono inoltrare; sappiamo che la Clinton ha inviato almeno 110 email con materiale “segreto” o “molto segreto”; sappiamo che migliaia di queste email sono finite sul computer personale di Anthony David Weiner, marito dell’assistente Huma Abedin; sappiamo che Weiner è un falco pro-Israle, il trait d’union, probabilmente, tra i Clinton e Tel Aviv.

A questo punto è lecita la domanda: Anthony David Weiner ha inoltrato informazioni segrete ad Israele, col placet della Clinton o perlomeno grazie alla sua negligenza? Huma Abedin ha fatto lo stesso con esponenti della Fratellanza Mussulmana in Inghilterra, Qatar, Turchia od Egitto? Grazie all’impiego di server privati da parte dei Hillary Clinton, è stato possibile diffondere materiale “top secret” a Paesi stranieri, coinvolti nelle operazioni contro la Libia di Muammur Gheddafi e la Siria di Bashar Assad?

Non è azzardato rispondere: sì.

Se fossi presidente nominerei un procuratore speciale per indagare l’uso del server privato e tu andresti in galera” ha affermato Donald Trump ad inizio ottobre. Se lo scenario appena descritto si concretizzasse, se cioè emergesse che la Clinton ha reso possibile la diffusione di materiale classificato verso Israele o qualche Paese mussulmano, l’applicazione dell’Espionage Act sarebbe inevitabile e per Hillary Clinton si profilerebbero davvero anni di carcere o di libertà vigilata.

E tutto ciò, ricordiamolo, a causa dell’incorreggibile abitudine di Anthony David Weiner di inviare foto pornografiche via internet: un vizietto che rischia di costare carissimo ad Hillary Rodham Clinton ed al suo entourage, diviso tra Fratellanza Mussulmana e falchi israeliani.

 

clintonemail

1http://www.agi.it/estero/usa-2016/2016/10/28/news/fbi_riapre_inchiesta_su_emailgate_di_clinton-1203171/

2http://www.nytimes.com/2016/10/30/us/politics/hillary-clinton-emails-fbi-anthony-weiner.html

3https://www.washingtonpost.com/world/national-security/fbi-director-set-to-appear-before-congressional-committee-to-answer-questions-on-clinton-investigation/2016/07/07/eb43ec7e-43c1-11e6-88d0-6adee48be8bc_story.html

4https://www.youtube.com/watch?v=lNyaWq4wxy0

5http://www.reuters.com/article/us-usa-election-clinton-idUSKBN12E2IF

6https://wikileaks.org/clinton-emails/emailid/18328#efmADMAFf

7http://www.dailymail.co.uk/news/article-3755266/Radical-Muslim-magazine-edited-Hillary-Clinton-s-staffer-Huma-Abedin-claimed-Jews-adept-working-political-aided-memory-Holocaust.html

8http://www.theweek.co.uk/people/36161/clinton-camp-angry-rumours-lesbian-affair-aide

9http://www.nytimes.com/2009/02/01/us/politics/01obama.html

10http://abcnews.go.com/Politics/fbi-director-james-comey-hillary-clinton-email-probe/story?id=41044927

11https://it.sputniknews.com/mondo/201610303566196-Trump-accusa-Procuratore-Generale-violare-legge-incontrando-Bill-Clinton/

12http://www.nbcnews.com/news/us-news/attorney-general-met-fbi-director-comey-discuss-email-probe-officials-n676366

26 Risposte a “Hillary Clinton è accusabile di spionaggio a favore di Paesi stranieri?”

  1. Ciao Federico, complimenti per l’articolo! La chiave di lettura che dai è interessante. In questa ottica la situazione sembra molto pericolosa perchè non c’è solo in ballo la carriera politica dei candidati ma addirittura è tutto l’estabilishment neocon che rischia di essere incriminato non solo per le email ma anche per tanti altri reati (vedasi 11/9) legati al loro intendimento del potere come una cosa personale. Per cui non abbandoneranno il potere senza provare un ultimo colpo di coda sempre che ne abbiano ancora le forze. Volevo chiederti se la vicenda non possa essere letta anche come un riposizionamento di James Comey in vista di una probabile vittoria di Trump. Ciao

    1. O anche che vista la ormai sconfitta certa della Clinton (ancora prima di questa nuova riapertura dell’indagine da parte FBI), si cerca di “cancellare” e “screditare” alcuni che sanno, cancellando l’ormai peso e permettendo la “redenzione” di alcuni personaggi e idee in modo da non venir epurati totalmente dal “nuovo” che avanza. Insomma alla Gattopardo.

  2. Io sono molto curioso di vedere cosa succederà nei prossimi giorni e, dopo le elezioni (elezioni che, sinceramente, non riuscirei a mettere la mano sul fuoco che si svolgeranno), nei prossimi mesi.

    Quanti problemi:

    1) Hanno già votato (prima che si sapesse della riapertura delle indagini ben 22 milioni di americani).
    2) L’indagine non potrà concludersi prima di giorno 8. Se vincesse la Clinton e la presidente venisse incriminata?
    3) Sempre se vincesse la Clinton. La Clinton è ricattabile da “servizi” stranieri?
    4) Sempre se vincesse la Clinton, non potrebbero nel frattempo partire richieste infinite di impeachment da parte dei repubblicani (per lo meno quelli che appoggiano Trump)?
    5) Arriviamo anche ai brogli elettorali di cui si discute sempre più. Sempre se vincesse la Clinton, tenuto conto della percezione dei brogli da parte della popolazione e di questa scabrosa inchiesta, è da escludere che i cittadini americani si riversino nelle strade a protestare. E’ possibile una guerra cvile negli USA?

    6) E’ possibile che queste mie domande se le “facciano” anche negli States e là dove le decisioni vengono prese si decide di sospendere le elezioni (che Trump potrebbe concretamente vincere)?

    7) Dico sciocchezze?

    1. Hai dimenticato che, qualora si sospettassero brogli, Trump non ha alcuna intenzione di “concedere”, e Trump non è Al Gore.
      Se vincesse la Clinton questi rischiano eccome una guerra civile.

      1. …avevo già parlato di questo caso ne LA SUPERFICIE OPACA ma oggidì che la cosa è al calor bianco vale la pena di riportare la sinossi di questo sconvolgente testo sui Clinton:
        Year of the Rat is a sharp polemic that does what Sen. Fred Thompson’s hearings failed to do: show Chinese penetration of the American political elite. — The Wall Street Journal, Michael Ledeen

        America’s survival in the coming Century in the shadow of China’s rapid nuclear and space-based weapons modernization program, built largely with Western technology and know-how, has yet to be fully understood by American policy-makers and the general public. A clarion call to action is clearly documented in the YEAR OF THE RAT, a thoroughly documented and important new book by Congressional investigators and former Defense Department officials, Edward Timperlake and William Triplett. They describe in painstaking detail how members of the American business community and foreign agents of the Chinese military-industrial vanguard have used massive political donations to facilitate the build-up China’s first-strike capabilities through influencing White House policies on export controls and other national security safeguards.

        While Capitol Hill and the American media was transfixed on the Presiden t’s dalliances with young women, Timperlake and Triplett, who have a combined fifty years of service in American national security agencies, collected information from recently declassified U.S. Government documents and traveled to China, Hong Kong, Macau and Taiwan, combing through records and documents related to key Donor-Gate personalities. In colorful description, they describe how they used undercover techniques to interview numerous sources with first-hand knowledge of illegal links between the Chinese military- industrial establishment and the Clinton-Gore political campaigns. The tragic consequence is the rapid escalation of China’s military into a world-class nuclear, space and information-warfare power.

        The influence of the President’s Chinese friends on American foreign policy is illustrated by an incident involving the down-and-out “Little Rock restauranteur” Charlie Trie during the March, 1996 crisis involving Chinese communist missiles fired toward Taiwan. Following the deployment of U.S. aircraft carriers to the region, Trie showed up in Washington, delivering $460,000 to the President Clinton’s Legal Defense Fund — and a letter, delivered to the White House, regarding the Taiwan crisis. The provocative letter stated, in part [verbatim], “Any negative outcomes of the U.S. decision in the China issue will affect your administration position, especially in the campaign year… If the U.S. recognizes “one China” policy, don’t such conduct will cause a conflict for intervening in China’s internal affairs?…”

        In response, the Clinton National Security Council drafted a letter to Trie, assuring the communist Chinese that the aircraft carriers were simply a “redeploymnet,” and “not intended as a threat to the PRC.”

        Charlie Trie, as the authors found in Asia, is member of a Chinese Tria d crime gang that has close ties to the Chinese Communist Party. Trie’s money contact in Macau, who wired more than $1 million to Trie’s U.S. account, most of which is believed to have ended up in Clinton Defense Fund and Democratic Party campaign coffers, is Ng Lapseng, a Triad mobster and Chinese communist official. In fact, Ng visited the White House and attended a number of Democratic Party fund-raisers in Washington, sitting next to President Clinton at some events.

        In some respects, Clinton owes his presidency to his closest Asian frien ds, ethic-Chinese

        Indonesian bankers Mokthar and James Riady have billions of dollars in investments in China. In 1992, with the Clinton campaign broke and reeling from the Jennifer Flowers scandal, the Riady’s persuaded the Arkansas-based Worthen Bank, of which their Lippo Bank was a part owner, to issue a $3.5 million letter of credit to the Clinton campaign. In addition, James Riady and his wife donated $450,000 that year, making them the largest private donors to the Clinton-Gore campaign.

        Who are the Riady’s? The authors cite a CIA report to the U.S. Senate , that states, in part: “James and Mochtar Riady have a long-term relationship with a Chinese intelligence agency. The relationship is based on mutual benefit… the Chinese intelligence agency seeks to locate and develop relationships with information collectors particularly those with close association to the U.S. government.” Within months of Clinton’s election, a Riady executive and Democratic party fund-raiser, John Huang, had a Top Secret security clearance, with access to the most sensitive CIA information on China. Huang was issued the security clearance five months before working for Ron Brown at the Commerce Department. Incredibly, Huang maintained the clearance after he left the Administration to do full time fund-raising at the Democratic National Committee.

        Timperlake and Triplett further describe how other influential American and foreign corporate donors to the Democratic Party, some of whom are directly or indirectly linked to Chinese military and intelligence networks, have influenced Clinton-Gore policies that decimated national security export controls — despite protests by Pentagon arms-control experts. Citing testimony by highly respected American aeronautical experts, the improvement of Chinese missile performance is shown to be a direct product of negligent Administration oversight of joint U.S.-China high technology programs and satellite launches, that have dramatically improved Chinese nuclear missile accuracy and reliability.

        The critical premise of the authors has been validated by the recent rel ease of an explicit Pentagon report to the Congress illustrating how the China’s People’s Liberation Army (PLA) is developing a range of high technology weapons to destroy American satellites and establish “capability to establish control of space and to deny access and use of military and commercial space systems in times of crises or war.” Equally troubling, the Chinese are ready to test fire a new generation of mobile intercontinental ballistic missiles that can hit the entire Western area of the United States. According to the U.S. National Air Intelligence Center the new DF-31 missiles give China a major first-strike capability, “that will be difficult to counterattack at any stage of its operation, through terminal flight phases.” The rocket-motor of the DF-31 was first tested in July 1998, while President Clinton was visiting Beijing. Although U.S. intelligence was fully aware of incident, citing it as a “political test,” the Clinton Administration failed to raise the issue. YEAR OF THE RAT is must-reading to understand why the betrayal of American national security is the most dangerous and tragic legacy of the Clinton-Gore era. — Al Santoli, Author of Everything We Had and Leading The Way. Editor of the weekly “China Reform Monitor,” for the American Foreign Policy Council

    2. @Giuseppe M. il 2 novembre 2016 a 6:22 pm said:

      Io sono molto curioso di vedere cosa succederà nei prossimi giorni e, dopo le elezioni (elezioni che, sinceramente, non riuscirei a mettere la mano sul fuoco che si svolgeranno), nei prossimi mesi.

      7) Dico sciocchezze?

      No non dici sciocchezze, Anzi a mio avviso segnali la cosa più importante: non é certo ormai che le elezionio si terranno.
      Se viene a mancare un candidato perchè messo sotto processo (non l’hanno ancora incriminata al momento), si possono tenere le elezioni?

      Credo di no. Ed in tal caso chi a naso guiderà il Paese? Direi l’attuale Presidente in carica che causa emergenza nazionale sarà riconfermato.
      Ed il sig. Obama da che parte stà? Con i We the People o coi neo-con?

      E quindi chi alla fine avrà realmente vinto perchè avrà mosso correttamente le sue pedine nella partita a scacchi?

      1. Le indagini dell’FBI sul computer di Weiner sono partite da poco: è impossibile che sia formulata un’accusa prima dell’8 novembre. Le elezioni si terranno e Trump ha alte probabilità di farcela.

  3. Mah, chissà cosa conterranno quelle mail caro Federico, magari fra le altre ci sarà pure qualcosa inerente l assassinio di Cris Stevens e tutti quei giocattoli che dalla Libia prendono il largo verso Al-nusra e Boko Haram?

  4. Buona sera Federico, e grazie per il solito capolavoro di analisi. Questo però è uno dei pochi argomenti in cui dopo la lettura il mistero non si inaridisce ma al contrario si infittisce. Alle già intelligenti domande di Stefano, Germano e Giuseppe, formulate cronologicamente prima di me, vorrei aggiungere anche le mie ad infittire il mistero. E’ possibile che l’arrapato e la lesbica siano solo una parte del motivo per cui la Clinton abbia usato un server privato per le mail di stato? L’unica certezza è che la cornuta ha usato il server per beneficiare della funzione dell’inoltro. E’ possibile che tra i beneficiari dell’inoltro ci siano i vari Soros, Brezinski, e compagnia bella che tengono in mano il dipartimento di Stato indipendentemente da chi ne sia titolare? Wikileaks ha scoperto esempi di come Soros abbia impartito direttive alla Clinton ai tempi del famoso server. E se lo scandalo che bolle in pentola riguardasse una loggia P2 in salsa americana, proprio i famosi poteri forti massonici e anglofoni di cui siamo ormai consapevoli da tempo?

  5. Adesso si capisce meglio il perche’ della “sbadataggine” della clinton, da sempre in politica certe cose non devono essere registrate negli atti , ma oggi anche la politica e’ perennemente soggetta al “grande fratello”.
    Ma allora perche’ conservare copie telematiche di cio’ che non deve essere registrato ? Questo e’ addirittura idiozia , sia della clinton e , peggio ancora, di chi ne ha conservato copie personali .
    Ora ,magari sara’ per l’ abuso di sostanze eccitanti ( uno addirittura sarebbe pornografo compulsivo) ma ho difficolta’ a pensare a tutta questa gente come un brano di idioti.

    1. Le mail sono da e per il segretario di stato, Huma è il segmento che unisce gli USA agli attori arabi del medio oriente.
      Le mail potevano servire per ricattare chi le inviava e chi rispondeva, oltre alla funzione di inoltro a seconda della convenienza o di salvacondotto in casi estremi.
      Questo da cmq la misura del come si vive ai piani attici, in perenne apprensione…..

    2. Macché sbadataggine, quella è la scusa con cui salvare la faccia davanti al popolo bue. Qui ci sono interessi grossi sotto. E’ chiaro che aveva il server privato per condividere informazioni con qualcuno. E’ chiaro che la condivisione con la lesbica e con il maniaco è ormai provata. Secondo me ci sono anche i vari grandi vecchi della politica americana come Soros e Brezinski. E poi chissà quanti altri ancora a tirare i fili del dipartimento di stato? Multinazionali, grandi lobby, massoneria…

    3. devi superare quella difficoltà: il potere non solo è l’obbiettivo di moltissimi idioti, ma una volta conseguito ti idiotizza giorno dopo giorno, anno dopo anno. Se non si parte da questa considerazione di base si corre il rischio di diventare folli nel cercare la razionalità nelle scelte della gente di potere.

    4. Le 650000 email erano in una cartella nominata “life insurance”. Servivano a garantire al pedofilo o alla lesbica mussulmana di non avere strani incidenti.

  6. Usare i server della pubblica amministrazione per le comunicazioni effettuate nell’esercizio di funzioni pubbliche non soltanto permette di controllare la sicurezza dei dati. Consente anche alla pubblica amministrazione, e quindi ai cittadini, di controllare che tali comunicazioni si svolgano nell’ambito delle funzioni attribuite, che osservino costituzione, leggi, indirizzi del congresso. Sottoporsi alla possibilità di un eventuale controllo significa trasparenza, responsabilità, accountability. La Clinton ha dato prova di volersi sottrarre a questo controllo, trattando comunicazioni pubbliche come se fossero affari privati. Questo l’opinione pubblica americana un tempo non l’avrebbe perdonato.

    Ma perché rischiare; che cosa c’era da nascondere? Per un americano mediamente attento ci sono ormai pochi dubbi che la famiglia Clinton abbia usurpato funzioni pubbliche per favorire interessi stranieri e che questi ultimi abbiano a loro volta favorito le carriere politiche e le fortune famigliari dei Clinton. [1]

    Ma ciò che non sfugge più nemmeno a un comune lettore difficilmente può essere ignorato a lungo da investigatori del ministero della giustizia e dell’FBI.
    I Clinton organizzano allora la loro risposta. Nell’unico modo che conoscono: comprando le persone.
    Così il ministro della giustizia Loretta Lynch, amica di vecchia data di Bill Clinton, insabbia diligentemente le indagini. [2]
    Resta un problema con il direttore dell’FBI, James Comey, il quale ha fatto tutta la sua carriera con il partito repubblicano e quindi non frequenta gli stessi aeroporti dei Clinton. Ma ciò che non si può tramite il direttore, può riuscire attraverso il suo vice. Ecco allora che una quasi sconosciuta candidata democratica al senato della Virginia, tale Jill McCabe, riceve nel 2015 ben 467,500 dollari di finanziamento per la campagna elettorale da Terry McAuliffe. Terry non è soltanto il governatore democratico della Virginia, ma è anche amico di vecchia data dei Clinton e, fino a fine 2013, membro del consiglio di amministrazione della Clinton foundation. Più o meno nello stesso periodo del 2015 accade che Andrew McCabe, marito di Jill, venga trasferito ai quartieri generali dell’FBI, diventando inaspettatamente il numero tre nella catena di comando. Poco dopo, nel febbraio 2016, una carriera davvero folgorante lo porta a diventare il numero due di tutta l’FBI: il vice direttore. Con l’incarico, ovviamente, di gestire le indagini sulle email della Clinton e sulla Clinton foundation. Così tutto si arena e il povero James Comey, in base alle risultanze delle indagini del suo vice, deve dichiarare che le stesse sono prive di particolare interesse giudiziario. Quando si accorge del tranello si sente presumibilmente preso in giro e, sentendo di non potersi fidare né del suo vice, né del governo guidato dal partito democratico, né da un presidente che invece di rappresentare l’unità nazionale appoggia sfacciatamente la candidata del suo stesso partito, né del ministro della giustizia, si rivolge direttamente al congresso. [3] [4]

    Ne risulta un quadro desolante. I Clinton, avvocati di estrazione e formazione, sembrano vendere la politica del partito democratico e, quando eletti, la politica di tutta la nazione, allo stesso modo in cui i legali offrono le loro prestazioni professionali ai clienti che le richiedono. Sono fatti privati e quindi basta che paghino. Inoltre si comportano come quegli avvocati che pur di vincere la causa non esitano a corrompere investigatori e giudici.
    Se il presidente degli Stati uniti incarna lo spirito della nazione, non ne è una rappresentazione edificante quella che Hillary Clinton si propone di interpretare.

    Ormai le elezioni presidenziali sono alle porte, l’operazione di copertura è saltata e la Clinton incomincia a essere mollata dai suoi stessi sostenitori. Rupert Murdoch non le risparmia critiche dai suoi giornali. Forse i finanziatori hanno concluso che a questo punto può risultare più conveniente favorire l’elezione del candidato repubblicano, condizionandone la politica attraverso la designazione di collaboratori fidati, piuttosto che avere un presidente democratico a rischio di impeachment, ricattabile in ogni momento da qualunque avversario politico o concorrente economico? Il business richiede stabilità innanzi tutto.

    A margine del discorso politico è poi singolare notare quante persone nella cerchia della famiglia Clinton sentano il bisogno di cercare emozioni adescando giovanette. Similmente a vicende che hanno interessato stimati politici europei: noti i casi finiti nelle pagine delle cronache giudiziarie in Belgio, Regno unito, Italia.
    Come se ridurre la politica e la vita privata a un affare, svuotandole di sentimenti e passioni, alla lunga non si rivelasse poi un gran bell’affare.
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    [1] http://www.clintoncashbook.com
    [2] http://canadafreepress.com/article/andrew-mccarthy-explains-exactly-how-loretta-lynch-is-quashing-the-fbis-cli
    [3] http://www.wsj.com/articles/clinton-ally-aids-campaign-of-fbi-officials-wife-1477266114
    [4] http://www.wsj.com/articles/clinton-ally-aids-campaign-of-fbi-officials-wife-1477266114

    1. Non essere troppo ottimista, Mihai. Non è ancora certo che Trump vinca e se la “poraccia” diventa presidente, sono c**** per tutti (e per l’Italia in particolare).

  7. Il collettore di fondi, diciamo così, del partito che facemmo nascere nell’800 cosiddetto “socialista” di nome si chiamava Silvano. Architetto. Milanese. “Fatela vedere il più possibile in tv”, diceva riferito alla Parata per la vittoria con cui i russi, nonostante Stalin e al prezzo di quasi metà della popolazione maschile, sconfissero noi tedeschi inviati a prendere le Russie e consegnarle alla maestà malintesa britannica, in realtà di Zurigo. Il pubblico, impaurito, avrebbe smesso di votare per il partito ‘comunista’ in realtà nostro sin dalla fondazione.

    Mai avrebbe immaginato, Silvano, che suo nipote avrebbe guardato ogni anno con gioia sul web la Parata della vittoria. Roma, tornata Cristiana, a Mosca, avrebbe difeso la civiltà.

    Silvano ripensa a queste cose, e sorride.

    1. Willy, un piacere leggerti.
      Mi sembra di conoscere la tua fonte di ispirazione.
      Speriamo sia presto

      1. No, quale Silvano Larini.
        La “Fonte” cui io mi riferivo sta mooolto più in alto ed è lì tutta la mia speranza.

        1. Danilo si riferiva all’architetto Silvano Larini citato da Willi Muenzenberg (dovrei ricevere un compenso solo per il lavoro di “decifratura” dei commenti…).

        2. Quello ci ero arrivato. Ero io che mi riferivo ad altro….quando Willy scrive che l’Europa tornerà cristiana e la Russia difenderà la nostra civiltà….

          🙂

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