Ciclone Duterte nelle Filippine: lotta alla droga, rottura con gli USA e bombe dell’ISIS

Il vento tempestoso del populismo soffia a tutte le longitudini e non risparmia neppure l’Asia, dove il candidato anti-establishment, Rodrigo Duterte, ha conquistato lo scorso maggio la presidenza delle Filippine: con la forza di un ciclone Duterte ha sradicato interessi ed assetti da tempo consolidati. La lotta senza quartiere al narcotraffico è coincisa in politica estera con la clamorosa “separazione” dagli USA e col parallelo avvicinamento alla Cina. Per Barack Obama, fautore del “pivot to Asia”, è l’ennesimo smacco in politica estera. La repentina comparsa dell’ISIS e gli attentati con cui si è cercato di eliminare Duterte non sono casuali: la riconquistata sovranità delle Filippine ed il giro di vite sul traffico di stupefacenti sono duri colpi per l’establishment atlantico.

Il “pivot to Asia” cade a pezzi. Tra le bombe dell’ISIS

Non poteva concludersi nel mondo peggiore la permanenza di Barack Hussein Obama alla Casa Bianca: il fallimento negli ultimi mesi di mandato dell’unica strategia estera dichiarata, “il pivot to Asia”, ossia il disimpegno dal Medio Oriente e dall’Europa, per una maggiore focalizzazione sul Pacifico e sui Paesi asiatici in tumultuosa crescita.

Si può definire l’unica strategia “dichiarata” perché l’amministrazione democratica ne ha perseguite in realtà molteplici negli ultimi otto anni, ma tutte inconfessabili: fomentare la guerra tra sciiti e sunniti, ad esempio, così da lasciarsi alle spalle un Medio Oriente in fiamme e fuori controllo, oppure esacerbare al massimo i rapporti tra Russia ed Europa Occidentale, così da scongiurare qualsiasi integrazione tra le due aree ed il temutissimo asse tra Mosca ed una o più cancellerie europee. Il “pivot to Asia” era invece la meta dichiarata di Obama dal lontano 2011, l’obiettivo strategico decantato da diplomatici, analisti e commentatori: aumentare la cooperazione militare ed economica con i Paesi del sud-est asiatico, così da ostacolare l’avanzata della Cina, creandole tutt’attorno un cordone di contenimento, proprio come fece l’impero britannico con la Germania guglielmina.

Per l’attuazione di questa strategia Washigton faceva affidamento sui soliti alleati anglosassoni (Australia e Nuova Zelanda), sugli storici alleati-occupati asiatici (Giappone, Sud Corea e Filippine) e su alcuni nuovi acquisti (di dubbia fedeltà), tra cui si contavano il Vietnam e la Birmania.

Il progetto avanza a stento per anni, concentrata com’è Washington sul Medio Oriente, dove la determinazione russa ostacola il processo di balcanizzazione della regione: “Losing its rebalance” scrive The Economist nel febbraio del 2014, commentano le difficoltà statunitensi a sganciarsi dal Medio Oriente per focalizzarsi sul Pacifico. Nel febbraio 2016 Barack Obama può brindare alla stipulazione del Trans-Pacific Partnership, la zona di libero scambio che raggruppa alcuni Paesi asiatici a discapito della Cina, ma il bottino in termini di “alleati” è piuttosto magro: Giappone, Australia, Brunei, Malesia, Nuova Zelanda, Singapore e Vietnam.

A decretare il crollo dell’architettura così faticosamente costruita, e veniamo così alla cronaca di questi ultimi mesi, è nel maggio 2016 l’elezione di Rodrigo Duterte a presidente delle Filippine: il “Donald Trump asiatico” che si abbatte come un tifone sui piani statunitensi, sradicando Manila dall’orbita di Washington e proiettandola verso la Repubblica popolare cinese.

Tra gli Stati Uniti e Filippine esiste un rapporto tormentato, perché il Paese asiatico è stata l’unica colonia ufficiale di Washington (quelle controllate informalmente non si contano), conquistata dopo la guerra ispanico-americana del 1898: il neo-presidente Duterte rinfaccia ancora oggi agli USA l’uccisione di 600.000 filippini mussulmani nella “guerra di pacificazione” che seguì all’occupazione americana1. Ottenuta l’indipendenza formale nel 1946, le Filippine, come molti altri Paesi asiatici, videro l’instaurazione di “presidenti a vita” benedetti dagli USA: è il caso di Ferdinand Marcos che governò senza opposizioni tra il 1965 ed il 1986. Sotto la dittatura di Ferdinand Marcos si formò quella ristretta cerchia di oligarchi che conserva il potere anche con l’avvento della “democrazia”: è lo stesso fenomeno riscontrabile in Brasile, Argentina o Cile. I Marcos rimangono infatti al centro della scena politica, tanto che il figlio di Ferdinand, Marcos Junior, tenta senza successo di correre come vicepresidente tra le file del partito liberale in vista delle elezioni del maggio 2016.

Già, il partito liberale: il nome stesso ha un sapore di establishment anglosassone e sono proprio i liberali cui Washington si affida per la gestione degli affari correnti nelle Filippine, delegando il potere a magnati e notabili locali educati negli Stati Uniti e formati nelle più rinomate società americane. Il partito liberale è alla guida del Paese dal 2010, da quando cioè il rampollo di un’altra potente famiglia, Benigno Aquino III (figlio della presidentessa Corazon Aquino, che ha governato le Filippine tra il 1986 ed 1992), si è insediato come presidente. Aquino III è un docile strumento nella mani degli americani: quando la priorità di Washington diventa il contenimento della Cina nei mari del sud-est asiatico, è facile convincere il presidente filippino a trascinare Pechino davanti alla Corte permanente di arbitrato dell’Aja, per una disputa su alcune barriere coralline (Scarborough Shoal), distanti 185 miglia dalle coste filippine e reclamate dalla Cina come una “parte inalienabile del suo territorio”2. Sotto la presidenza di Aquino le Filippine si trasformano così in un avamposto degli USA in chiave anti-cinese: l’accordo militare siglato nel 2014 prevede il pieno accesso americano alle strutture militari di Manila3ed il libero dispiegamento di soldati.

È in questo quadro di totale sudditanza a Washington e di opprimente immobilismo politico, è in questo desolante panorama, dove un pugno di famiglie governano le Filippine da mezzo secolo col placet statunitense, che emerge il “populista” Rodrigo Duterte: 71 anni, più volte sindaco della città di Davao come esponente del partito democratico filippino, il candidato anti-establishment si proclama socialista (ed in effetti coopterà nel governo i comunisti, mettendo fine all’insurrezione a bassa intensità in alcune zone del Paese), ma è allo stesso attraversato da forti venature nazionaliste, che potrebbero fare di lui un peronista in salsa asiatica. Di carattere parecchio schietto, abituato a parlare senza peli sulla lingua e ad agire in maniera altrettanto decisa, Duterte imposta la campagna per le presidenziali sulla lotta alla criminalità, la repressione del narcotraffico ed una politica economica flessibile, che spazia dalle zone economiche speciali all’abolizione della contrattazione aziendale. Per Duterte è un successo: con il 39% delle preferenze si aggiudica le elezioni del 9 maggio.

L’insediamento di Duterte è un vero terremoto per gli equilibri regionali: per la prima volta siede a Manila un candidato che non appartiene alla cricca dei Marcos e degli Aquino, e non accetta che le Filippine siano trasformate in un bastione americano in chiave anti-cinese, con tutti i rischi conseguenti: anzi, da vero “populista”, cioè da “homo novus”, Duterte ha capito che gli equilibri mondiali stanno velocemente cambiando. Perché avvelenare i rapporti con la Cina per un atollo nel Pacifico, quando Pechino, a differenza di Washington, può investire miliardi in infrastrutture ed aziende? Il “pivot to Asia” trema…

Ora, un brevissimo excursus sulla storia delle Filippine: circa il 5% della popolazione è mussulmana (i cosiddetti “mori”, un termine spagnoleggiante) e sin dagli anni ’70 la zona del Sud del Paese è teatro di una guerriglia a bassa intensità tra le forze di Manila ed i secessionisti mussulmani: è, insomma, un Paese (come la Cecenia, la Nigeria o l’India) dove gli angloamericani possono attivare all’occorrenza il terrorismo islamico per i loro fini geopolitici.

Detto, fatto: nel mese di giugno, a distanza di un mese dall’elezione di Duterte, l’agenzia Reuteurs scrive (Southeast Asian Islamic State unit being formed in southern Philippines: officials4) che l’ISIS ha scelto il suo capo nelle Filippine, tale Abu Abdullah, ed ha impartito l’ordine di non raggiungere più la Siria, ma di intensificare l’attività nel Paese. Trascorrono pochi giorni ed anche il SITE dell’israeliana Rita Katz emette il suo verdetto: le Filippine sono nel mirino del Califfato, ossia della triade CIA-MI6-Mossad.

katz-filippine

C’è un motivo se il Califfato issa così in fretta la sua bandiera nelle Filippine: Duterte non ha perso tempo e si è attivato con Pechino per il grande salto di Manila fuori dall’orbita americana. Come si legge nell’articolo “Duterte: China offering to build Manila-Clark railway in 2 years5 la Repubblica popolare cinese è pronta ad investimenti miliardari nel settore ferroviario filippino, costruendo quelle infrastrutture di cui Manila ha bisogno come l’ossigeno per sostenere la crescita economica. La contropartita? Una maggiore flessibilità per quanto concerne le isole contese: in sostanza, Pechino invita a pensare più al portafoglio e meno agli interessi americani. I rapporti tra gli Stati Uniti e Rodrigo Duterte si deteriorano quindi in fretta: il neo-presidente non è una persona che somatizzi la rabbia ed il 5 agosto, davanti ad una platea di militari, etichetta l’ambasciatore statunitense Philip Goldberg come “omosessuale figlio di puttana”6. La situazione precipita.

Il primo settembre l’arresto di un trafficante d’armi, attivo tra le Filippine e gli Stati Uniti, porta a galla la preparazione di un attentato per eliminare Duterte7; l’indomani c’è il salto di qualità: una bomba esplode al mercato di Davao, la città di cui Duterte è stato per anni sindaco e dove è in visita quel giorno, lasciando ipotizzare che l’obiettivo dell’ordigno sia proprio lui. Muoiono 14 persone, ma Duterte è trasferito incolume in una stazione di polizia8. A rivendicare l’attentato è, ovviamente, un gruppo islamista vicino all’ISIS9 che, destrutturata la narrazione, significa i servizi atlantici. La temperatura sale ulteriormente ed il 5 agosto, durante il vertice dell’ASEAN, Duterte sferra un attacco frontale, prendendo come spunto le critiche americane alla lotta senza quartiere al narcotraffico: “Obama, figlio di puttana, te la farò pagare”. L’incontro bilaterale tra i due, previsto a margine del vertice, ovviamente salta.

Il ritmo si fa incalzante: il 29 settembre, ospite del governo vietnamita, Duterte annuncia che le imminenti esercitazioni congiunte tra Filippine e Stati Uniti saranno le ultime, nonostante il trattato di difesa siglato nel 1951 rimanga per il momento valido10. Si, ma per quanto tempo ancora? Non trascorre nemmeno un mese ed il vulcanico Duterte vola a Pechino, dove, siglati diversi accordi commerciali con il presidente cinese Xi Jinping, annuncia la clamorosa “separazione” dagli USA ed il riallineamento delle Filippine alla Cina ed alla Russia:

“I’ve realigned myself in your [China] ideological flow and maybe I will also go to Russia to talk to Putin and tell him that there are three of us against the world – China, Philippines and Russia. It’s the only way”.

Manila, Pechino e Mosca contro il resto del mondo: non solo il “pivot to Asia” di Barack Obama è andato in fumo, ma crolla addirittura l’intera impalcatura geopolitica su cui si basa l’egemonia statunitense sul sud-est asiatico da oltre settantanni. Il 2016, dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, si profila come un vero “annus horribilis” per il sistema atlantico. C’è poi il concreto rischio che la linea adottata da Manila abbia un effetto valanga e sia imitata dagli altri alleati-occupati statunitensi, che assistono incerti all’ascesa della potenza cinese ed al conclamato declino del loro protettore. È infatti a Tokyo che Rodrigo Duterte fa la mossa successiva: il 26 ottobre, il presidente annuncia che gli accordi militari siglati dal precedessore sono da considerarsi nulli e tutte le truppe americane dovranno ritirarsi dalla Filippine entro due anni. La dichiarazione di Duterte è diretta solo a Washington, oppure anche ai milioni di giapponesi stanchi delle basi militari statunitensi?

La Casa Bianca è paralizzata dalle imminenti elezioni presidenziali e le opzioni per reagire alla politica di Duterte, a parte il solito stragismo “islamico” e qualche operazione sporca della CIA, limitate: toccherà al successore di Barack Obama scegliere se assecondare il disimpegno filippino (sarebbe il caso di Donald Trump) o tentare di rovesciare Duterte (e sarebbe il caso di Hillary Clinton). La posta in gioco è di natura prevalentemente geopolitica, il collocamento di Manila nell’orbita angloamericana o in quella russo-cinese, ma, come accade sempre in questi casi, ci sono anche importanti ricadute economiche. Arriviamo, così, alla “sanguinosa” lotta alla droga lanciata da Rodrigo Duterte.

Narcotraffic, my love!

La guerra al narcotraffico condotta col pugno di ferro è, allo stesso tempo, l’origine dell’enorme popolarità di cui Duterte gode tra i filippini e causa delle dure accuse che gli sono rinfacciate dagli USA, dall’Unione Europea e dalle solite organizzazioni non governative angloamericane. Le cifre parlano di 2.500-3.000 morti in circa quattro mesi di operazioni anti-droga, su una popolazione vicina ai cento milioni di persone: numeri che permettono ad Amnesty International, la ong preferita da Londra e Washington per l’attuazione dalla loro agenda geopolitica (come ha insegnato il caso Regeni), di scrivere: “Philippines: Duterte’s 100 days of carnage”, “Filippine: i cento giorni della carneficina di Duterte”. Violazione dei diritti umani, impunità delle forze dell’ordine, squadroni della morte, dure accuse a politici, parlamentari ed alti ufficiali dell’esercito, sono i concetti su cui fanno leva i detrattori del “Donald Trump asiatico”.

L’intento di screditare Duterte, così da punirlo per la sua “separazione” dagli USA, è evidente. Ma c’è anche dell’altro. Bisogna chiedersi perché la guerra al narcotraffico sia stata lanciata da un candidato anti-sistema, socialista e populista come Rodrigo Duterte: per quale ragione i Marcos e gli Aquino, i fedeli alleati degli USA che militano nel partito liberale, hanno lasciato scivolare le Filippine verso la condizione di un “narco-Stato”, per usare la definizione del neo-presidente? Forse l’establishment filo-atlantico aveva interesse che lo spaccio della droga prosperasse?

Apriamo un argomento che esula dalle cosiddette “teorie del complotto”, appartenendo da decenni ai libri di storia: il legame, cioè, tra l’impero angloamericano ed il narcotraffico.

Tutto comincia nell’Ottocento quando l’impero britannico, consolidato il dominio sull’India, si pone il problema della penetrazione economica e politica della Cina, chiusa ermeticamente a qualsiasi contatto con il “mondo barbaro”. Cosa vendere ai cinesi che negano alla navi inglesi l’accesso nei porti e disprezzano qualsiasi prodotto occidentale? La soluzione, escogitata dalle grandi famiglie ebraiche dell’India come i Sassoon, è l’oppio: la droga dilaga in Cina, assuefa ricchi e plebei, drena metalli preziosi dalle casse del Celeste Impero a vantaggio di Londra. Quando le autorità, constato il degrado sociale prodotto dall’oppio, dichiarano guerra al narcotraffico, gli inglesi rispondono con le cannoniere (1839-1842), espugnando i porti cinesi, installandosi ad Hong Kong ed inondando il mercato di stupefacenti.

Sboccia quell’amore, tra potenze anglosassoni e narcotraffico, destinato a durare sino ai nostri giorni. Restringendo l’analisi al solo sud-est asiatico, come non ricordare che l’esercito nazionalista di Chiang Kai-shek, sostenuto dagli USA contro i comunisti di Mao Tse Tung, traeva il suo sostentamento dal traffico di droga? O come non citare l’Air America, la compagna area gestita dalla CIA ed operante nel triangolo d’oro dell’oppio (Birmania, Laos, Thailandia e Vietnam), che tra gli anni ’60 e ’70 gestì il contrabbando di stupefacenti per contenere “l’espansionismo comunista”? Già, la CIA, il controspionaggio statunitense sempre attento che anche il ricco mercato domestico sia sempre ben rifornito. Uno degli aeroporti preferiti dall’agenzia per questo genere di affari è negli anni ’80 il Mena Intermountain Regional Airport, nello Stato dell’Arkansas11. Chi è il governatore dell’epoca? Ma ovviamente Bill Clinton: marito dell’attuale candidata democratica Hillary Clinton, dietro cui si è raccolto l’intero establishment americano.

Certamente il narcotraffico assicura guadagni miliardari alle oligarchie nazionali e transazionali che lo gestiscono ed è il mezzo più facile per creare quei fondi neri con cui la CIA, l’MI6 ed il Mossad finanziano le loro amate attività: putsch militari, assassini politici, rivoluzioni colorate, terrorismo islamico, sabotaggi, etc. etc. Ma c’è anche un’altra finalità, di carattere più geopolitico, già riscontrabile nella guerra dell’oppio anglo-cinese: la volontà di destabilizzare e soggiogare i Paesi terzi. Il narcotraffico incancrenisce la società, incattivisce le strade, sottrae vitalità, penetra nell’apparato di sicurezza, corrompe la politica, rende ricattabile la classe dirigente: la droga sfibra lo Stato, rendendolo più debole e facilmente controllabile dall’esterno.

Ecco quindi spiegato perché è stato il candidato anti-establishement ed anti-americano, il populista Rodrigo Duterte, a lanciare la crociata contro la droga e contro la deriva delle Filippine verso la condizione di “narco-Stato”: sovranità non significa solo la chiusura delle basi militari straniere, ma anche la liberazione dal traffico degli stupefacenti controllato dall’oligarchia atlantica.

 

1http://globalnation.inquirer.net/143883/duterte-to-obama-dont-lecture-me-on-rights-ph-not-a-us-colony

2http://www.nytimes.com/2016/05/20/world/asia/benigno-aquino-philippines-south-china-sea.html

3http://thediplomat.com/2016/03/a-big-deal-us-philippines-agree-first-bases-under-new-defense-pact/

4http://www.reuters.com/article/us-philippines-militants-idUSKCN0Z91C5

5http://www.rappler.com/nation/137177-duterte-china-build-manila-clark-railway

6https://www.theguardian.com/world/video/2016/aug/10/president-philippines-insults-us-ambassador-sparking-diplomatic-row-rodrigo-duterte-video

7http://www.philstar.com/2016/09/01/1619406/duterte-assassination-plot

8http://www.repubblica.it/esteri/2016/09/02/news/esplosione_davao_filippine-147073366/

9https://www.washingtonpost.com/world/philippines-blames-isis-related-group-for-deadly-bombing/2016/09/03/b6981394-71ff-11e6-b786-19d0cb1ed06c_story.html

10http://www.reuters.com/article/us-philippines-duterte-idUSKCN11Y1ZI

11http://www.wsj.com/articles/SB854491476811028000

101 Risposte a “Ciclone Duterte nelle Filippine: lotta alla droga, rottura con gli USA e bombe dell’ISIS”

  1. l’ esperienza filippina potrebbe far sperare che anche da noi possa emergere un “populista vero ” ( berlusconi era finto 😎) la domanda pero’ adesso e’ questa : se duterte e’ “vero” ( come sembra ) quanto sopravvivera’ duterte?

      1. appunto, proprio quel ” trump ante litteram ” a cui credettero tanti italiani più di ventanni fa ..😎

  2. Complimenti!
    al riguardo del narcotraffico, come non pensare all’icremento di produzione di oppio (3000%) dopo l’intervento occidentale in Afghanista?

    1. Imbarcata sugli aerei, sbarcata in Kosovo e poi via! Verso Nord Italia, Austria, Svizzera, Germania, etc. etc.

    2. Profetiche furono le parole di Céline. Non sappiamo niente della vera storia degli uomini. Tutto avviene nell’ombra. All’ombra, si presuppone, di un boschetto nelle Marche si consumò l’elisione di Melania Rea, nel 2011, moglie di un addetto dell’Esercito italiano, tale Salvatore Parolisi, con dei trascorsi in missioni militari in Afghanistan. Da questa vicenda per certi versi a carattere provinciale due bravi autori quali i giornalisti Alessandro De Pascale ed Antonio Parisi ci portano nei meandri di un cubo di Rubik ove i dadi che lo compongono rispondono ai nomi a noi ben noti di sesso, droga, armi: il tridente di Shiva all’opera. Non staremo a ‘pantografare’ minuziosamente nel dettaglio il racconto in quanto le citazioni sarebbe troppo numerose non per via della loro quantità, essendo il libro di dimensioni modeste, ma per via della loro qualità che si attaglia alla perfezione con quanto andiamo dicendo da tempo e cioè che il puteolente Capitalismo della Seduzione, malattia terminale del Capitale Reale, ora pienamente antropomorfizzato in quasi ciascuno di noi, è strettamente intessuto di una Volontà di Potenza di Morte assolutistica. Volontà che si dispiega in un cerchio dell’eterno ritorno che invece d’essere virtuoso è semplicemente esiziale. Perché diciamo assolutistico quasi stessimo trattando un Potere Monarchico Dittatoriale? Ci riferiamo alla vicenda non oscura, ma oscurissima, del magistrato Paolo Ferraro che ha avanzato a più riprese l’ipotesi di un disegno operante in seno alle alte gerarchie militari operato da una o più sette di chiara ispirazione ‘diabolica’. Inutile dire che Ferraro è stato fatto attenzione di reprimende vessatorie che non sono state applicate nemmeno a casi di plateale tradimento del mandato della magistratura, tipo la minaccia di un T.S.O., il trattamento sanitario obbligatorio comminato agli insani di mente e la defenestrazione dal suo ruolo di magistrato. I due autori citati andranno scoprendo, nel corso della loro minuziosa indagine, che li porterà pure in Afghanistan, una tela di ragno tessuta con i segmenti degli incontri sessuali plurimi nelle caserme (non è dato di sapere se versati verso il lato goliardico per così dire della cosa oppure episodi sfruttati a mo’ di iniziazione di adepti…); dell’arte del tradimento continuo e della conseguente menzogna istituita a minima moralia; del traffico di droga innestato dai paesi del fronte bellico, sia per uso personale che per spaccio con evidenti collegamenti, in questo ultimo caso, con la criminalità organizzata (presente in prima persona anche sul teatro dei conflitti a fuoco); dell’annichilimento sistematico e pianificato di ogni mezzo di sostentamento presso la popolazione autoctona del teatro di guerra che non sia quello della coltivazione degli stupefacenti profittevole a senso unico per le Organizzazione Globaliste del Traffico di Stupefacenti; dell’evidentissimo ruolo di centro di gravità permanente incarnato dalle forze militari straniere, supposte portatrici dei Superiori Valori Occidentali, nonché dei contractors ivi presenti, quale promotori dello spaccio di droga (armi e droga hanno come via preferenziale di movimentazione quella dei trasporti militari come, del resto, avvenne già in Vietnam in cui si celavano i pani di droga entro i cadaveri dei caduti in guerra americani avvolti entro un informe telo plastico; inoltre le forze armate supposti veicoli di pace concorrono a far eleggere caporioni locali spesso e volentieri veri e propri ras della droga); dell’effusione di sangue di civili innocenti, senza alcun legame con un fronte o l’altro belligerante per il solo scopo gratuito di omaggiare il Sacrificio Rituale, l’ammazzamento tout court quale Opera d’Arte; il riflusso nelle loro patrie originali di uno sciame di semi-umani, di zombie, affetti dalla scimmia della peste nera della droga che concorreranno ad aumentare sensibilmente la richiesta di stupefacenti toto mundi, chiudendo così il cerchio di questo infernale eterno ritorno verso il Nulla. Un fenomeno drammatico. Non ultimo, da notare, che i traffici di droga si reggono su un coté di appoggio dato dalle forze occidentali verso gli aspetti e le fenomenologie più radicali ed intransigenti dell’Islam: le stesse che a parole l’Occidente dichiara di voler combattere.
      ‘Hitler was a British Agent’ allora; oggi si declina così: Radical Islam is a British Agent. Ice e Shaboo o delle nympholeptos.

  3. Tacito ricorderà un rapido quanto disvelatore episodio.
    Ovvero il finto papa e il suo gemello finto cardinale della splendida Manila. Il loro gesto zurighese.
    Ed ecco il Cesare delle Filippine comparire sul proscenio della storia. Soffia un vento come non se ne ascoltava da secoli, a Zurigo e a Roma. Si preparano le vie di fuga.

    1. @Willy Muenzenberg il 27 ottobre 2016 a 10:14 pm
      Soffia un vento come non se ne ascoltava da secoli, a Zurigo e a Roma. Si preparano le vie di fuga.

      Preferirei le forche o la ghigliottina per quelli in fuga.

  4. L’impero sta crollando perché non crea più sviluppo (né più si pone il problema di crearne). Sotto la patina degli “ideali” liberal e la grancassa mediatica il progetto è solo speculazione a pronti e saccheggio coloniale. Anche in casa propria se è il caso (Grecia, ma anche Italia a seconda di come evolvono presidenziali e referendum, e vedremo poi che fine farà la Francia).
    Però nel mondo globale l’autarchia non funziona, e quindi in prospettiva neanche il populismo. A meno di non tornare ai protezionismi e quindi ad ulteriori conflittualità. L’alternativa sarebbe il progetto cinese da Lisbona a Vladivostok (finanziabile grazie ai 25 anni di attivi commerciali con la globalizzazione). Gli Inglesi sembra ci credano (tecnicamente la Bai l’hanno messa su loro), i tedeschi pure, non parliamo dei Russi. I liberal Americani hanno posto il veto e bloccato la Via in Siria ed Ucraina: vediamo come andrà la partita. Saltano paletti anche nel Pacifico: le Filippine di Duterte. Se anche il Giappone cominciasse a ragionare come il Regno Unito cambierebbero molte cose.

      1. E’ senz’altro così se scoppia la bolla. Mi piace però pensare che qualcuno stia provando a immaginare un atterraggio un pò più morbido.

      2. Non ci credo, caro Federico, il Regno Unito non è gli Usa, ma uno stato serio. Il capitano lascia la nave che affonda, è furbo, non è stupido. E’ quello che ha fatto. La Regina gioca bene e non perde mai, al massimo preferisce chiudere il suo regno in attesa di nuove opportunità

        1. La regina mi ricorda la madre del marchese del Grillo quando dice: “Il tempo cancella ogni cosa, prima cosa restare vivi, poi si vedrà”. E’ in quest’ottica che vedo regina e Brexit

        2. Le lobby massoniche inglesi e usa sono legate, anzi si potrebbe dire che gli usa ne sono il braccio operativo around the world

        3. Sì, anch’io a volte ho l’impressione che molte decisioni siano prese a Londra. Ad esempio la fratellanza mussulmana è un prodotto inglese, non americano.

        4. Alla fine però tutto passa per l’economia. La crisi è stata usata anche per raffreddare la crescita dei Brics e disarticolarli, così la Cina ha rilanciato con la Economic Belt. Il cambio di campo di Duterte è clamoroso nei modi ma il progetto cinese in Asia interessa a tutti. Il suo sviluppo rende i “pivot” più difficili da realizzare e le opzioni militari meno probabili. O gli Usa attaccano ora o non potranno più farlo. E poi c’è la bolla che incombe.

        5. Beh, in fin dei conti sono gli inglesi che hanno avuto l’impero coloniale, e che sanno come manipolare le semplici menti degli indigeni dominati…

        6. @Maurizio il 28 ottobre 2016 a 10:00 am said:
          Sotto la patina degli “ideali” liberal e la grancassa mediatica il progetto è solo speculazione a pronti e saccheggio coloniale. Anche in casa propria se è il caso ..

          Ed é proprio questa la stanezza: sono il primo gruppo di potere che non opera, combattendo altri e conquistandone le ricchezze, per migliorare, anche in maniera minima, le condizioni della propria gente.
          E’ possibile che io abbia scarsa conoscenza storica ma mi pare che non sia esistito nel passato un impero che abbia agito in tal modo.
          Ed é per questo che sono portato a supporre, non ne ho prova ovviamente, che agiscano per conto di Altri ancora nell’ombra.
          Anche un demente, uno psicopatico non si comporta in tal modo, caèpisce che deve perlomeno non inimicarsi la sua gente.
          Questi no. Mah!!

  5. Complimenti per l’articolo Federico! E’ impressionante la velocità con cui la terra si sta letteralmente sbriciolando sotto chi comanda in Occidente. Duterte è l’ultimo di una sfilza di leader politici che si sta allineando al duo Russia-Cina. Basti pensare a Al Sisi, al leader del Mali ecc…In questo contesto di rapidi cambiamenti è perlomeno sospetta la velocità con cui sta montando l’escalation militare con la Russia. Capisco l’impellenza della crisi economica, ma in fondo Obama è a fine mandato. Dunque perchè dovrebbe avere a cuore di passare alla storia come colui che ha innescato la III guerra mondiale? Il mio sospetto è il tutto sia legato alle elezioni USA. Cioè non sono per niente sicuri che Hillary vinca perciò, in caso di vittoria di Trump, cerchino un espediente per decretare lo stato di emergenza e rimanere incollati lì al potere. Il punto è se per allora avranno ancora la forza necessaria per farlo dato i rapidi cambiamenti di assetti strategici in corso. Staremo a vedere. Ciao

    1. Stefano il 28 ottobre 2016 a 10:15 am said:
      Il mio sospetto è il tutto sia legato alle elezioni USA. Cioè non sono per niente sicuri che Hillary vinca perciò, in caso di vittoria di Trump, cerchino un espediente per decretare lo stato di emergenza e rimanere incollati lì al potere.

      Infatti io credo fermamente chew sia come scrivi tu.
      Aggiungiamoci anche ciò che risponde Luttwak in una intervista al Giorno alla domanda: E se la Clinton comunque vincesse…

      Luttwak: «Avrebbe poca importanza. Allo stato dei fatti la nomina di uno Special Prosecutor sarebbe probabile, se – come pare – la Camera rimanesse repubblicana. E altrettanto probabilmente uno Special Prosecutor sarebbe l’ inizio di un procedimento di impeachment».

      Fonte: LUTTWAK ATTACK! “HILLARY CLINTON NON SI SALVERÀ NEPPURE SE VINCE DALL’INCHIESTA DELL’FBI. DA PRESIDENTE RISCHIEREBBE L’IMPEACHMENT. LE ACCUSE DI COMPLOTTO? RIDICOLO. VERRANNO FUORI ALTRI SCANDALI NON SOLO SU LEI E BILL MA ANCHE SULLA FIGLIA CHELSEA”

      Ma davvero credete che i neo-con siano così stupidi da farsi infinocchiare?
      E’ la loro contromossa, sacrificano la Clinton (al pari della oca Jo Cox al tempo della Brexit) per salvare il loro progetto e la marionetta Obama da loro pilotata.
      Niente elezioni, riconferma di Obama. Ed il progetto di dominio mondiale continua.

  6. Salve, cosa ne pensa del blog di Stefano Fait? Lui sostiene che l’Ue non é una creazione degli Usa ma qualcosa di relativamente autonomo che sopravviverà alla caduta dell’impero. Malafede o idiozia? Grazie

    1. Non è tanto una creazione degli USA, quanto dell’élite massonica-finanziaria che comanda gli USA e la GB. La UE è già in dissoluzione, quindi è inutile speculare sulla sua sopravvivenza.

    2. La CEE madre della UE è una creazione USA. I paesi fondatori della CEE corrispondono a quelli che erano nel diretto controllo USA negli anni ’50. Per contro l’Inghilterra (preferisco chiamarla cosi’ e non UK perché di unito mi pare non abbia un gran che) rispose creando una sua zona di influenza con l’EFTA. Per un periodo ci furono due Europe occidentali, quella inglese e quella americana. Poi le elite massoanglofone decisero di unificarle e l’Inghilterra venne fatta uscire dall’EFTA per confluire nella UE. Seguirono lo stesso percorso Danimarca, Portogallo, Austria, Svezia e Finlandia. Tutti tranne quest’ultima paesi fondatori dell’EFTA.

    3. La CEE madre della UE è una creazione USA. I paesi fondatori della CEE corrispondono a quelli che erano nel diretto controllo USA negli anni ’50. Per contro l’Inghilterra (preferisco chiamarla cosi’ e non UK perché di unito mi pare non abbia un gran che) rispose creando una sua zona di influenza con l’EFTA. Per un periodo ci furono due Europe occidentali, quella inglese e quella americana. Poi le elite massoanglofone decisero di unificarle e l’Inghilterra venne fatta uscire dall’EFTA per confluire nella UE. Seguirono lo stesso percorso Danimarca, Portogallo, Austria, Svezia e Finlandia. Tutti tranne quest’ultima paesi fondatori dell’EFTA.

  7. Complimenti per l’articolo. Adesso è anche chiaro il motivo per cui il gesuita Francesco è andato a gennaio 2015 nelle Filippine…C’era da incentivare le possibili elezioni del presidente Aquino…
    Inseriamo anche Papa (?? O Antipapa??) Francesco nel clan massonico-atlantico e tutto quaglia.
    Il “sun of the bich” se ne va…adesso vediamo chi arriva.
    Se si ripresenta Hillary ( oggi in rasmussen è alla pari con Trump) sarà una guerra bella..bella…
    Stavolta però hanno quattro fronti da guardare…
    Bravo Dezzani!! Proprio bello, ben documentato e spiegato.
    Grazie.

  8. Mi permette di “allargarmi” un po’? Vorrei proporle un argomento che mi ha incuriosito moltissimo. Su Veterans Today è comparso un articolo – http://www.veteranstoday.com/2016/10/28/neo-rts-bank-accounts-closed-its-nothing-to-do-with-syria/ – in cui si parla (in estrema sintesi e fra le altre cose), della visita del Patriarca della Chiesa Ortodossa Russa a Londra, ipotizzando la confluenza di questa Confessione nella Chiesa Anglicana.

    Le implicazioni sarebbero incalcolabili, sia per la Chiesa Cattolica che per il progetto NWO (non devo certo dirglielo io). Chissà che non possa inserire questa vicenda (dopo le opportune verifiche) in uno dei suoi prossimi articoli. Credo che indagare le posizioni delle varie Chiese in relazione alle vicende geopolitiche mondiali possa portare a “scoperte” molto, ma molto, interessanti.

    1. Intanto pare che l’FBI ha riaperto le indagini sulle mail della Clinton?
      Cosa avranno scoperto da riaprire le indagini a 10 giorni dalle elezioni. Questa riapertura si abbatte come un ciclone sulla sua candidatura.
      Sono sorpreso

    2. La posizione delle varie chiese nelle vicende geopolitiche è sicuramente molto interessante, ma una confluenza della chiesa ortodossa russa nella chiesa anglicana è un’ipotesi che può essere fatta solo da un’incompetente in materia. Ogni chiesa ha infatti i suoi tabù che non può violare. L’unica chiesa in cui potrebbe confluire la chiesa ortodossa è la cattolica, ma la ricomposizione dello scisma d’oriente dopo mille anni è decisamente impossibile.

    3. Volevo dire la confluenza della Chiesa Anglicana in quella Ortodossa. Mi scuso per il refuso.

      1. la chiesa anglicana si e’ troppo protestantizzata e oggi avrebbe problemi pure a “confluire” nella assai piu’ vicino cattolicesimo bergogliano .
        Invece il tratto comune interessante ( sicuramente in discussione tra i due “primati” il patriarca , la regina ) e’ che anglicani e ortodossi sono chiese NAZIONALI . Evidentemente qualcuno in inghilterra vuole ripristinare lo stato anche nel settore religioso e si e’ informato sul ripristino della binomia stato.-chiesa in russia , suppungo per la gestione del comune problema dell’ “islam nazionale”

  9. su questo articolo giù il cappello

    ho come una sensazione….l’eroina è tornata di moda con numeri abbastanza preoccupanti e in crescita, dopo che era quasi scomparsa in Italia e in Europa in generale….guardacaso il ritorno di fiamma coincide con l’intervento in Afghanistan…è un caso ?

  10. Cambiamenti epocali in corso, certo è che il Pivot to Asia è sempre stato meno importante dell’Europa, quindi direi che le cose peggiori potremmo proprio vederle a casa nostra.
    Trump potrebbe vincere le elezioni, è un gesuita, come il papa, o perlomeno ha fatto tutti i suoi studi dai gesuiti, così come la sua famiglia, c’è un legame in tutto ciò?
    Ci sono stati parecchi movimenti “centrifughi” dei vari capi religiosi, dall’incontro a Cuba del papa e il patriarca della Russia, il convegno mondiale Islamico in Cecenia che condanna ISIS, il viaggio in Inghilterra del patriarca Russo, come mai tutti questi movimenti, forse che si sta cercando di contenere qualcosa che avrebbe potuto scoppiare all’improvviso, come una grande guerra, oppure un crollo delle economie mondiali…
    Oppure come abbiamo visto con il Brexit, c’è una certa “elite mondiale”, che sta scaricando i neocon americani, che sono diventati semplicemente dei predoni, spargendo sangue e morti ormai da anni, con uno stato fallito che ormai in declino non potrà di certo più imporre il proprio impero ai quattro punti della terra, alla fine si cerca di contenere anche un eventuale crollo economico, che potrebbe impattare sull’economia dell’intero pianeta, questo si, ma con un impatto minore rispetto al 2008.
    Intanto oggi firmano il CETA, la stampa Italiana tace….
    http://www.lepoint.fr/europe/le-grand-jour-pour-le-ceta-30-10-2016-2079542_2626.php

    Saluti

  11. Buondì Federico,
    la seguo con attenzione e finalmente la ringrazio per gli innumerevoli nuovi pensieri che mi ha saputo suggerire, il suo lavoro è preziosissimo.
    Verrà finalmente esplicitato il segreto di Pulcinella legato all’economia politica globale del mercato degli stupefacenti, creando un effetto domino sulle logiche di dominio internazionali?
    Come prevede si comporteranno altri paesi asiatici connessi alla produzione/smercio: Tailandia, Myanmar, Cambogia e Laos, territorialmente confinanti con la Cina?
    Cari saluti a tutti.
    Marco

  12. Il pivot americano in Asia è fallito, in compenso però in America latina gli Usa si stanno riaffermando, eliminando uno dopo, con vari mezzi (golpe, rivoluzioni colorate, inchieste giudiziarie, attacchi economici, mediatici ecc.), tutti i governi ostili o anche solo neutrali. Ormai come antagonisti rimangono solo Venezuela (fino a quando?) e Nicaragua. Ho dimenticato qualcuno?

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    Dans tous les cas, vous pouvez faire faire le testament par un cabinet d’avocats ou encore le déposer chez celui-ci.

  27. Annulation testament

    La représentation d’un avocat s’avère nécessaire afin de vérifier de
    la validité d’un testament authentique ou, au contraire,
    le rejeter. Dans tous les cas, vous pouvez faire
    faire le testament par un cabinet d’avocats ou encore le déposer chez celui-là.

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    il souhaite donner ses biens lors de son décès et dans
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