Sri Lanka: pirateria lungo la Via della Seta

Il giorno di Pasqua l’ex-colonia britannica di Ceylon è stata sconvolta da serie di attentati senza precedenti: a Colombo e in altre due località si contano quasi trecento vittime dopo le violente esplosioni che hanno devastato chiese e alberghi. Le autorità attribuiscono la responsabilità della strage ad un gruppuscolo islamista, ma mettono bene in evidenza le complicità a livello internazionale: in un Paese senza storia di terrorismo islamico alla spalle, è inverosimile che una sigla quasi sconosciuta compia un’impresa così sofisticata. Dietro la strage è leggibile la volontà di indebolire l’industria turistica e destabilizzare la politica cingalese: Colombo, infatti, è tra le nazioni dell’Oceano Indiano più inserite nella Via della Seta Cinese. I precedenti di Malesia e Birmania.

Behemot cinese contro Leviatano angloamericano

Il giorno di Pasqua è stato un giorno di sangue in Sri Lanka, ex-colonia britannica (21 milioni di abitanti) strategicamente posizionata davanti alle coste indiane: una sofisticata serie di attentati ha colpito la capitale Colombo (almeno 82 morti), la città di Negombo (almeno 104 morti) e la città sulla costa orientale di Batticaloa (almeno 28 morti). Luoghi di culto cristiani (nel Paese a maggioranza buddista, circa l’8% della popolazione professa la religione cristiana ed un 9% è di fede mussulmana) e alberghi sono finiti nel mirino degli attentatori, causando vittime locali e straniere. Per lo Sri Lanka l’attentato è un fulmine a ciel sereno: benché reduce dalla violenta e prolungata insurrezione nel nord del Paese (che aveva contrapposto le Tigri Tamil, a maggioranza hinduista, al governo centrale), nel Paese non si erano mai verificati simili episodi di terrorismo, estesi per lo più al turismo straniero. All’indomani della strage, le autorità cingalesi hanno individuato i responsabili in una quasi sconosciuta organizzazione islamista (National Thowheeth Jama’ath), evidenziano, però,che l’attuazione di un simile attacco coordinato necesitasse di qualche “supporto internazionale”. La stessa stampa occidentale, nel frattempo, si è domandata quali ragioni abbiano potuto indurre estremisti della minoranza mussulmana a colpire la minoranza cristiana: sull’isola, infatti, non c’è traccia trascorsa di ISIS, Al Qaida o fanatismo islamico.

Leggendo la stampa anglosassone1 si comprende come l’attentato abbia un chiaro effetto destabilizzante: dopo la vertiginosa crescita del PIL di inizio millennio, lo Sri Lanka è stato costretto nel 2016 a contrarre un debito di 1,5 mld$ con il Fondo Monetario Internazionale2 e la strage di Pasqua, colpendo il turismo, ha gravemente ferito un’industria che è la principale fonte di valuta straniera ed è una colonna portante della crescita economica cingalese. Se a ciò si aggiunge la natura dell’obiettivo (la minoranza cristiana, storicamente invisa a certe potenze) e degli “esecutori” (il terrorismo islamico, tradizionale paravento di servizi israeliani ed angloamericani), si hanno elementi a sufficienze per uscire dalla mera cronaca e scrivere un’analisi che collochi i fatti di sangue del 21 aprile in una cornice geopolitica. Come avevamo sottolineato a inizio anni, la sfida tra Cina e angloamericani sta entrando nel vivo e non c’è continente che ne sia risparmiato: meno che mai lo Sri Lanka, che presidia la rotta tra la Cina meridionale, il Corno d’Africa ed il canale di Suez.

Chi avesse seguito negli anni gli sforzi cinesi per costruirsi una serie di basi navali attorno a quella che Mackinder chiama “World-Island” (Isola Mondo), ricorderà come Pechino sia riuscita a installarsi a Gibuti nel 2017. Ogni arcipelago dell’Oceano Indiano, dalle Mauritius alle Seychelles, è stato però oggetto delle attenzioni cinesi (e, di riflesso, di quella statunitensi): persino dietro al terremoto politico che investì le Maldive nei primi mesi del 2018 è possibile scorgere una manovra per defenestrare il presidente Abdulla Yameen, reo, secondo Foreign Policy”, di consegnare l’arcipelago mussulmano a Pechino3. Gli sforzi cinesi sembravano aver ottenuto un grande risultato pochi mesi dopo il precipitare della situazione alle Maldive quando, nell’estate 2018, appariva la notizia che i cinesi si fossero insediati in una strategica isola dell’Oceano Indiano, già architrave delle vie di comunicazione dell’impero britannico tra l’Africa orientale e l’Estremo oriente: lo Sri Lanka (alias Ceylon).

“Sri Lanka to shift naval base to China-controlled port city” scrive Reuters nel luglio 20184, asserendo che il governo di Colombo aveva ceduto l’ottimo porto di Hambantota ai cinesi, decisi a trasformarlo in un nodo strategico della Via della Seta marittima. USA, Giappone e India, continuava Reuters, erano però convinti che l’investimento cinese avesse anche risvolti militari. Da allora, i cinesi sempre hanno manifestato grande soddisfazione per aver coinvolto lo Sri Lanka nel proprio progetto infrastrutturale (comprendente anche l’ammodernamento del porto di Colombo5), mentre gli USA hanno esercitato una crescente pressione, anche indiretta (agenzie di rating, FMI, etc), sullo Sri Lanka perché tornasse sui suoi passi: il governo cingalese si è però soltanto limitato a negare qualsiasi ricaduta militare nelle operazioni cinesi a Hambantota e Colombo6.

Come richiamare all’ordine lo Sri Lanka dunque? Bé, magari destabilizzando lo stesso governo che sta sviluppando legami così stretti con Pechino: ritorniamo così all’inizio dell’articolo e agli attentati del 21 aprile. Sia chiaro, come abbiamo spesso evidenziato nei nostri articoli, il caso cingalese non è certo isolato: diversi Paesi del sud-est asiatico, colpevoli di intrattenere relazioni troppo strette con i cinesi, sono già stati “oggetto di attenzione” da parte degli angloamericani. Qualche esempio:

Lo scontro tra il Behemot cinese ed il Leviatano angloamericano è solo agli inizi: la triste Pasqua dello Sri Lanka rischia di essere solo il primo di una lunga serie di drammatici eventi.

 

 

1https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-04-22/sri-lanka-searches-for-answers-after-easter-blasts-kill-hundreds

2https://www.reuters.com/article/imf-sri-lanka/update-1-sri-lankan-economy-remains-vulnerable-due-to-high-debt-imf-idUSL4N1QR4UR

3https://foreignpolicy.com/2018/03/21/is-abdulla-yameen-handing-over-the-maldives-to-china/

4https://www.reuters.com/article/us-sri-lanka-china-port/sri-lanka-to-shift-naval-base-to-china-controlled-port-city-idUSKBN1JS22H

5http://www.chinadaily.com.cn/a/201902/06/WS5c5ad0c3a3106c65c34e847a.html

6https://economictimes.indiatimes.com/news/defence/sri-lanka-rejects-us-claims-says-no-chinese-military-base-at-port/articleshow/66163389.cms?from=mdr

6 Risposte a “Sri Lanka: pirateria lungo la Via della Seta”

  1. A questa ottima analisi bisognerebbe aggiungere i numerosi attentati, naturalmente ufficialmente di matrice “islamica”, che hanno insanguinato il Kenia negli ultimi anni. I cinesi hanno investito molto nel porto keniota di Mombasa, che fa parte della Via della Seta, ed hanno pure costruito la linea ferroviaria tra Mombasa e la capitale Nairobi. Ed ecco con tempistica svizzera apparire gli “islamisti”.

  2. Riguardo al Porto di Hambantota, vorrei aggiungere alcuni particolari, spero utili all’analisi. Vero che la Reuters nel 2018 scrisse “Sri Lanka to shift naval base to China-controlled port city”, asserendo che il governo di Colombo aveva ceduto l’ottimo porto di Hambantota ai cinesi.

    Bisogna però aggiungere che il porto di Hambantota, costruito nell’entroterra e gestito dall’Autorità dei porti dello Sri Lanka – costo totale stimato del progetto “361 milioni di dollari” – è stato finanziato, sin da subito, per la quasi totalità dei costi, ovvero per l’85 % , dalla EXIM Bank della Repubblica Popolare Cinese.

    La prima fase del progetto portuale doveva fornire servizi di bunkeraggio, riparazione navale, costruzione navale e cambio equipaggio. Le fasi successive avrebbero dovuto aumentarne la capacità fino a 20 milioni di teu all’anno.

    Il porto di Hambantota, una volta completato, doveva essere il più grande porto del mondo, costruito fino ad oggi nel XXI secolo. Qualcosa però è andato storto. Infatti, il progetto nel 2016 ha realizzato un fatturato di soli 11,81 milioni di dollari e ha sostenuto spese di 10 milioni di dollari come costi diretti e amministrativi, registrando alla fine, un utile operativo di appena 1,81 milioni di dollari.

    Poiché il porto ha subito pesanti perdite, rendendo difficile il rimborso del debito, nel 2016 è stato proposto di affittare l’80% del porto con uno swap di debito per capitale alla holding China Merchants Ports (CMPort), che investirà $ 1,12 miliardi per rilanciare il porto nell’ambito di un partenariato pubblico-privato.

    Successivamente, è stato deciso che, in base all’accordo, CMPorts cederà il 20% delle sue azioni a una società cingalese entro dieci anni. CMPort dovrà spendere almeno 700-800 milioni di dollari per portare il porto a livello operativo. Nel mese di luglio 2017 è stato firmato l’accordo, ma solo il 70% del porto è stato versato a CMPort anziché l’80% inizialmente proposto.

    Nel luglio 2018, http://sicurezzainternazionale.luiss.it/2018/07/03/sri-lanka-base-navale-verra-spostata-presso-porto-hambantota/ fu annunciato che lo Sri Lanka avrebbe trasferito la sua base navale da Galle a Hambantota.

    In questa interessante analisi, del 2013, di “Asia Major”, Osservatorio Italiano sull’Asia, si legge:”……….https://www.asiamaior.org/files/07%20Sri%20Lanka%20Berloffa.pdf ….. Tra il 2005 e il 2008, il volume di scambi commerciali tra i due stati ( Cina e Sri Lanka) era raddoppiato; tale tendenza si era quindi rafforzata, con la firma di ulteriori sedici accordi nel 2012, i quali inquadravano svariati campi di cooperazione (dalle infrastrut-ture al turismo, dai trasporti alle telecomunicazioni) e prevedevano ingenti investimenti cinesi nello Sri Lanka, destinati a finanziare una serie di progetti, tra cui l’ultimazione del porto di Hambantota, nel Sud dell’isola. Quest’ultimo progetto rivestiva un importante ruolo nella strategia cinese dell’«accerchiamento» del subcontinente India-no, portata avanti tramite la creazione di porti «amici», oltre che in Sri Lanka, anche in Pakistan e in Bangladesh. Nel maggio del 2013, in seguito a nuovi accordi bilaterali, la Cina aveva offerto allo Sri Lanka un ulteriore prestito ammontante a 2,2 miliardi di dollari, acconsentendo oltre a ciò a fornire tecnologia e addestramento militare alle forze armate singalesi, nel quadro di un nuovo trattato difensivo firmato dai due paesi. Nonostante che il ministro degli Esteri dello Sri Lanka, G. L. Peiris, fornisse rassicurazioni riguardo al fatto che l’accordo in questione non avrebbe rappresen-tato una minaccia per gli altri stati, tale sviluppo nelle relazioni sino-singalesi non poteva lasciare indifferenti né gli Stati Uniti, né tanto meno l’India [WReu 29 maggio 2013, «China, Sri Lanka agree loans, defence; seek to allay Indian worries»]. 7.3. La risoluzione dell’UNHRC come strumento di pressione internazionaleIn quest’ottica, la delibera emanata dall’UNHRC, poteva essere interpretata come uno strumento adottato da Washington, promotore
    202dA n iL A Be rL o f fAdella risoluzione, al fine di esercitare una decisiva pressione sul go-verno Rajapaksa perché ponesse fine agli stretti rapporti con la Cina.

  3. Chi come Te si occupa della Storia trova diversi riscontri, Federico.
    Una preghiera per le vittime di questo altro “sacrificio umano”. Suicidi compresi.
    Chi ha tirato le “leve lunghe” con esplosivi e detentori ha aggregato più bersagli.
    -è la prima Pasqua dopo laccordo Vaticano-Pechino
    -si tiene attizzato uno schifoso “scontro di civiltà “, buttandola sullocchio per occhio vs. NZ.
    -“Rimane un altro punto interessante. L’ India. Sul piano militare l’India oscilla tra una cooperazione strettissima con la Russia e una produzione domestica di armi. Sinora ha preso parte solo in modo marginale alla strategia cinese. Tuttavia e’ chiaro che un processo di avvicinamento alla Cina e’ in atto, e questo cambia molto le cose.” Tratto da https://keinpfusch.net/2019/march/10/gli-usa-al-momento-del-conto—la-via-della-seta/
    Rmiani amo umani.
    DNFTT. IST

  4. a federico mega.
    cosa pensi degli attentati in nuova zelanda?
    c’è qualche collegamento?
    grazie

    1. Oggi sui giornali è pubblicata la prova del 9 che conferma l’analisi di Dezzani. I servizi segreti indiani avevano avvisato gia da quattro mesi gli omologhi cingalesi circa la preparazione degli attentati, compresi i nomi di molti attentatori.
      Emerge con chiarezza il modulo operativo di queste operazioni di false flag. Che in buona sostanza prevede la creazione in loco di un gruppo di estremisti che viene fatto crescere indisturbato . Si procede ad infiltrare gli apparati di sicurezza del paese bersaglio affinchè l’attacco si svolga come programmato.
      Unico elemento di novità, che andrebbe approfondito, è l’appartenenza alle classi medie ed dei kamikaze,

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