Re di fiori per poker iracheno

Il 17 aprile è stato ucciso in un conflitto a fuoco con le milizie sciite Kataeb Hezbollah l’ex-vicepresidente iracheno Izzat Ibrahim al-Douri, braccio destro di Saddam Hussein e “Re di fiori” nel celebre mazzo di carte dei soldati americani in Iraq. Dopo dodici anni di latitanza Izzat al-Douri era assurto a comandante dell’insurrezione sunnita che ha spinto l’ISIS alle porte di Baghdad. Un filo conduttore unisce il colpo di stato baathista del 1963 alla nascita del Califfato: l’ingerenza angloamericana negli affari iracheni che in cinquant’anni ha cambiato bandiere, volti e sigle, ma si è sempre avvalsa del Re di fiori.

Riscrivere la storia dell’Iraq

Nella primavera del 1941, mentre l’Afrika Korps da poco sbarcato in Libia parte alla riconquista della Cirenaica, un gruppo di alti ufficiali iracheni membri del cosiddetto Quadrato d’oro tenta di rovesciare il reggente britannico ed installare un governo filo-tedesco e filo-italiano: dall’Egitto all’Afghanistan il nazionalismo arabo gioca infatti la carta di Berlino e Roma per liberarsi dal giogo inglese ed il Gran Muftì di Gerusalemme benedice questa non facile alleanza. L’isola di Creta non è però stata ancora conquistata e le forze dell’Asse possono inviare in supporto all’insurrezione irachena solo qualche areo che decolla dall’isola di Rodi: troppo poco per evitare che le truppe anglo-indiane sbarcate a Bassora soffochino la ribellione e riconquistino i fondamentali pozzi petroliferi di Mosul.

Vinta la guerra, Londra si cimenta in una velleitaria restaurazione dello status quo ante: Faisal II , erede dalla famiglia reale hashemita messa sul trono dagli inglesi dopo lo smembramento dell’Impero Ottomano, firma nel 1948 il Trattato di Portsmouth che reitera la dipendenza di Baghdad dalla Gran Bretagna in materia di difesa e politica estera. Il magma del nazionalismo arabo ribolle però sotto la crosta della monarchia filo-occidentale che copta personale inglese per i vertici della burocrazia e dell’esercito.

Nel 1955 l’alleanza tra gli hashemiti e gli angloamericani è cementata dal Patto di Baghdad che impegna ad una reciproca difesa la Gran Bretagna, l’Iraq, l’Iran, la Turchia ed il giovane Pakistan: è la cosiddetta CENTO (Central Treaty Organization) che crea un cordone sanitario lungo le frontiere sud dell’Unione Sovietica. Il malumore tra i ranghi dell’esercito, animati da ideali pan-arabisti ed odio anti-britannico, cresce sensibilmente: sul modello del colpo di stato egiziano che nel 1952 rovescia re Faruq, nascono organizzazioni clandestine emule degli Ufficiali Liberi di Gamal Nasser. La situazione in Iraq è sempre più tesa ed il primo choc esterno minaccia di travolgere lo status quo.

Tra l’ottobre del 1956 ed il marzo del 1957 il Medio Oriente è scombussolato dalla crisi di Suez che vede le due potenze coloniali un tempo rivali, Francia e Gran Bretagna, collaborare a fianco di Israele per occupare il canale di Suez nazionalizzato da Gamal Nasser. L’operazione è militarmente efficace ma si trasforma in una disfatta politica quando Washington intima agli europei di ritirarsi, certificando la fine dei vecchi imperi. L’Iraq, membro del CENTO, è formalmente schierato a fianco di Londra contro l’Egitto del generale Nasser, popolarissimo fra le masse grazie alla retorica pan-arabista: il terreno frana rapidamente sotto i piedi della monarchia hashemita.

Nel luglio del 1958 re Faisal II, il primo ministro iracheno e diversi membri della famiglia reale sono uccisi nel colpo di stato orchestrato dall’ufficiale Abd al-Karim Qasim, che assume in veste di premier il comando della neonata repubblica irachena. L’abbattimento della monarchia ha forti implicazioni per l’assetto internazionali: i Liberi Ufficiali di Qasim, arsi dall’odio anti-britannico ed anti-americano, svincolano l’Iraq dal Patto di Baghdad e l’alleanza militare, dal 1959 fino alla rivoluzione iraniana, cambia il nome in Central Treaty Organization. Baghdad è ora a fianco dei Paesi non allineanti e, come altri governi che abbracciano la politica della terza via, allaccia rapporti economici con l’Unione Sovietica, considerata dai nazionalisti arabi l’erede della Germania nazionalsocialista nella lotta contro le vecchie potenze coloniali.

Nel governo di Abd al-Karim Qasim convivono due anime: il partito comunista iracheno ed il partito Baath di ispirazione socialista e pan-araba, fondato nel 1947 dal siriano cristiano Michel Aflaq e dal sunnita Salah al-Din al-Bitar. Il partito baathista iracheno, che divorzia definitivamente dal ramo siriano nel 1966, mostra una precoce tendenza al complotto: dalle sue fila esce il giovane Saddam Hussein, allora solo 22enne, che architetta un attentato per uccidere Qasim. Nell’attentato muore l’autista del primo ministro, che ne esce con una ferita alla spalla: Saddam è costretto all’esilio in Egitto, mentre Qasim si lega progressivamente al partito comunista per sedare i rigurgiti baathisti e soffocare i tentativi di golpe.

L’influenza dei comunisti aumenta, lasciando presagire uno scivolamento di Baghdad nell’orbita sovietica, ed il loro sostegno incoraggia Abd al-Karim Qasim nel calare una carta molto rischiosa, che nel 1953 è già costata all’iraniano Mohammad Mossadeq la poltrona di primo ministro: la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere.

Nel dicembre del 1961, Qasim emana la legge numero 80 che espropria i campi petroliferi controllati dall’Iraq Petroleum Company, un consorzio che annovera i giganti occidentali della produzione di greggio (Standard Oil of New Jersey, Standard Oil Company of New York, Gulf Oil, Pan-American Petroleum and Transport Company, Atlantic Richfield Co., Anglo-Persian Oil Company, Royal Dutch-Shell e Compagnie Française des Pétroles). La misura è colma.

Nel 1962 iniziano i preparativi di CIA ed MI6 per replicare a Baghdad l’operazione Ajax che dieci anni prima ha spodestato con un colpo di stato il premier Mossadeq: la fazione di cui gli angloamericani si avvalgono è ancora il partito Baath, che già nel 1959 s’era incaricato di assassinare Qasim.

Con il sostegno finanziario e logistico delle ambasciate americane in Iraq e Kuwait, nel febbraio del 1963 esponenti del Baath ed unità delle Forze Armate insorgono contro il governo: il capo dell’Aviazione, vicino ai comunisti, è assassinato, le stazioni radio occupate ed il ministero della Difesa, dove si rifugia Qasim, preso d’assalto. Nel paese scoppiano sanguinosi combattimenti tra i comunisti leali al premier ed i golpisti: ne segue una caccia casa per casa dei marxisti che culmina con l’uccisione di Qasim e dei suoi collaboratori.

La reggenza del partito baathista non dura neppure anno, perché già nel novembre del 1963 il nasserista Abdul Salam Arif, che aveva giocato già un ruolo determinante nel colpo di stato del 1958 contro la monarchia hashemita, epura il governo dai membri del Baath e ne smantella le milizie.

Passano ancora altri cinque anni prima che gli angloamericani riescano ad installare il Baath ai vertici dello Stato iracheno: nel 1968 l’ennesimo golpe, noto come la rivoluzione del 17 luglio, che segue la consueta prassi di occupare le stazioni radio ed il ministero della difesa, depone Abdul Rahman Arif e sancisce l’inizio del regime baathista. Ora Saddam Hussein è ad un gradino dal vertice, appena sotto il cugino Ahmed Hassan al-Bakr che riveste la carica di presidente del Consiglio del Comando della Rivoluzione.

Nella primavera del 1979 sono coronati dal successo gli sforzi occidentali di rovesciare lo Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi, (è celebre il telegramma dell’ambasciatore William Sullivan –Thinking the unthinkable- dove inviata a scaricare la Scià2) a causa delle sue ambizioni nucleari e dell’efferato servizio segreto della monarchia (SAVAK) che aliena agli americani la simpatia della popolazione.

Londra e Washington, fedeli al classico schema per cui prima si finanziano le rivoluzioni e poi i moti contro-rivoluzionari, hanno ora come priorità impedire il consolidamento dell’ayatollah Ruhollah Khomeyni che, pur essendo rimasto in esilio a Parigi per oltre quindici anni, si è affermato come indiscusso capo dell’opposizione grazie agli infiammati discorsi contro lo Scià a lungo ritrasmessi dalla BBC inglese (allo Scià è attribuita la frase “se sollevate la barba di Khomeyni troverete scritto Made in England sul suo mento”).

Mentre in Iran i rivoluzionari vittoriosi sono impegnati nella redazione della costituzione islamica, in Iraq l’ora 42enne Saddam Hussein costringe alle dimissioni l’anziano cugino Ahmed Hassan al-Bakr ed epura con una serie di arresti ed esecuzioni i vertici del partito: l’uomo degli americani è saldamente a capo dello Stato e delle forze armate. Qual è la prima mossa del rais? Aprire le ostilità con il vicino Iran per destabilizzare la neonata Repubblica Islamica, lusingato probabilmente della promessa americana di un Iraq egemone del Golfo Persico.

Impiegando come casus belli una schermaglia sul confine, nel settembre del 1980 Baghdad apre un fronte di 600km in territorio iraniano con l’obbiettivo di annettere la strategica provincia di Khuzestan che, affacciando sul Golfo, darebbe all’Iraq il saldo sbocco al mare di cui è privo dopo la secessione del Kuwait per mano inglese.

Quella che si profilava come una guerra lampo si trasforma in un estenuante conflitto che si protrae fino al 1988, mietendo un milione di vittime3. Temendo che Saddam Hussein travolga in poche settimane l’Iran ed emerga come potenza regionale incontrastata, gli USA ed Israele consegnano a Teheran i preziosi componenti di ricambio per rimettere in sesto le vecchie forze armate dello Scià4. L’Iran però non solo regge il colpo ma passa al contrattacco nella primavera del 1982, minacciando a sua volta di assestare un colpo letale al regime di Saddam Hussein: i servizi d’informazione americani, allarmati, inviano rapporti dove si paventa l’imminente crollo del regime baathista.

Gli USA ed Israele sospendono quindi il sostegno all’Iran ed iniziano a rifornire in maniera costante l’Iraq affinché le forze in campo si riequilibrino ed il vincitore, chiunque sia, ne esca comunque esausto (“è una peccato che non possano perdere entrambi” scherza Henry Kissinger5). Il sostegno americano al regime baathista si concretizza nel flusso di informazioni proveniente dalla CIA sull’entità e sulla dislocazione delle truppe iraniane; nei servizi offerti dai trafficanti d’armi su libro paga degli americani, come il celebre libanese Sarkis Garabet Soghanalian detto “il mercante di morte”, che fanno incetta di armi prodotte nell’Est-Europa (Saddam Hussein si è dotato negli anni ’70 di materiale sovietico) per poi trasbordarle in Iraq; nel placet accordato all’Arabia Saudita ed al Kuwait affinché lascino filtrare oltre il confine iracheno missili controcarro TOW e rifornimenti.

Grazie all’aiuto americano Baghdad ferma l’offensiva iraniana nell’estate del 1982 e nei successivi due anni la situazione entra in stallo: è in questo contesto che si consuma nel dicembre del 1983 la storica visita di Donald Rumsfeld, allora inviato speciale di Ronald Reagan per il Medio Oriente, presso la corte di Saddam Hussein. Il video che immortala la stretta di mano tra i due sarà poi rispolverata in occasione dell’invasione angloamericana del 2003, quando Rumsfeld declasserà Saddam Hussein a sanguinario dittatore alla stregua di un qualsiasi Hitler, Stalin, Lenin e Ceaucescu6.

Dopo la visita di Rumsfeld, la CIA7 avvia l’assistenza agli iracheni per la produzione e l’impiego di armi chimiche, essenzialmente gas mostarda ed agenti nervini, che tocca l’apice nel 1988, quando Saddam Hussein ne fa un uso indiscriminato per espellere gli iraniani dalla strategica penisola di al-Faw, unico ed angusto lembo di terra iracheno che affaccia sul Golfo Persico.

La macchiavellica politica di armare di entrambi i contendenti registra un altro famoso episodio nel 1985 con lo scandalo Iran-Contras: il governo di Ronald Reagan vende segretamente armi e componenti di ricambio a Teheran e dirotta il ricavato verso un’altra operazione sporca della CIA, non più in Oriente ma in Sud-America. Si tratta infatti di foraggiare i controrivoluzionari nicaraguensi impegnati nella guerriglia contro il legittimo governo sandanista di Daniel Ortega: i proventi derivanti dalla vendita di droga negli Stati Uniti non sono infatti sufficienti a coprire i costi della contro-guerriglia8.

Nel luglio del 1988 Iraq e Iran, esausti, accettano la risoluzione 598 dell’ONU che pone fine al conflitto e dispiega i caschi blu lungo il confine: quella che nell’ottica di Saddam Hussein si profilava con una guerra lampo, si è rivelato uno sfiancante conflitto simile alla Prima Guerra mondiale in termine di tattiche ed armi impiegate. Il regime baathista vacilla pericolosamente e l’insurrezione curda che infiamma il nord del Paese è repressa nell’estate del 1988 con l’ampio ricorso ad armi chimiche.

L’economia irachena è a pezzi; le aree dove si è combattuto sono un cumulo di macerie; le riserve valutarie che nel 1980 ammontavano a 35 $mld sono state prosciugate ed al posto si è accumulato un debito estero per 80 $mld9; il greggio quota l’irrisoria cifra di 15$ 10 (29$ attuali) ed i debiti contratti con le monarchie del Golfo durante lo sforzo bellico non solo strangolano la ripresa ma rendono ricattabile il governo di Baghdad.

È in questo contesto che matura che una della pagine più oscure e determinanti della storia irachena: Saddam Hussein è ingannato dai Stati Uniti d’America, con cui è in rapporti fin dal lontano 1959 e, da alleato di Washington nella guerra contro l’Iran, è abilmente trasformato nel sanguinario e pericoloso dittatore che consente agli angloamericani in due riprese, 1991 e 2003, di militarizzare il Golfo Persico.

Gli USA si insinuano nella diatriba tra l’Iraq ed il Kuwait: la piccola monarchia ha rappresentato infatti per millenni il naturale sbocco al mare dell’attuale Iraq, da cui gli inglesi la separano tra il 1919 ed il 1920 in ossequio alla strategia del divide et impera. Nel 1990 i rapporti tra i due Paesi sono avvelenati dai 14 $mld di debito di cui l’Iraq pretende la cancellazione, asserendo di aver salvato il Kuwait da una sicura egemonia iraniana, e dalle tensioni in seno all’OPEC dove il regime baathista accusa il Kuwait di non rispettare le quote, tenendo così i prezzi bassi ad oltranza.

Ripetendo la tattica del 1980 nella guerra contro l’Iran, Washington assicura un tacito avvallo all’invasione irachena del Kuwait: ad occuparsi materialmente dell’operazione è l’ambasciatrice americana April Glaspie, in servizio a Baghdad dal 1988 all’agosto del 1990, un paio di settimane dopo l’ingresso della Guardia Repubblicana in Kuwait. Nel luglio del 1990, quando l’esercito iracheno è già ammassato a sud, la Glaspie ha un colloquio con Saddam Hussein durante il quale11 l’aggressione al Kuwait non solo non è dissuasa ma incoraggiata:

April Glaspie: We have no opinion on your Arab – Arab conflicts, such as your dispute with Kuwait. Secretary (of State James) Baker has directed me to emphasize the instruction, first given to Iraq in the 1960′s, that the Kuwait issue is not associated with America.

Dopo quel colloquio April Glaspie scompare dalla scena; svolge un impiego di basso profilo presso il Palazzo di Vetro di New York, poi console a Cape Town in Sud Africa ed infine si ritira silenziosamente in pensione nel 2002. Il suo prezioso lavoro l’ha però svolto egregiamente, illudendo Saddam Hussein che gli USA sarebbero rimasti neutrali nel caso in cui Baghdad avesse occupato il piccolo regno.

Nel gennaio del 1991 il presidente George Bush senior lancia l’operazione Desert Storm che nel giro di un mese libera il Kuwait, restaura la monarchia ed annichilisce le forze armate irachene.

Se l’obbiettivo formale di Desert Storm è respingere l’invasione irachena, quello sostanziale è costellare la strategica regione del Golfo Persico di basi aeronavali statunitensi: dove prima era difficile non solo acquartierare soldati, ma pure consentire alla navi americane di attraccare per fare rifornimento, è ora possibile aprire ovunque installazioni e dislocare decine di migliaia di soldati. L’elenco delle basi aperte dopo Desert Storm parla da sè: Camp Doha, Kuwait, 1991; Camp Snoopy, Qatar, 1991; dispiegamento stabile della V flotta in Bahrein, 1991.

l’Iraq è di nuovo in ebollizione e se nel nord si riaccende l’insurrezione dei curdi nel sud esplode la ribellione degli arabi sciiti: agli USA conviene che Saddam Hussein sia rovesciato e che nasca un nuovo governo, forse filo-iraniano, oppure che rimanga in sella un derelitto dittatore reduce da due sconfitte militari in meno di tre anni? Propendono per la seconda soluzione e, non estendendo la no-fly zone agli elicotteri militari, permettono a Saddam Hussein di soffocare l’insurrezione con una nube di gas nervino che miete tre le 100.000 e le 200.000 vittime.

L’Iraq ha bisogno di essere ricostruito ex-novo ma le sanzioni economiche impediscono la vendita greggio sui mercati internazionali: nel 1995 inizia il programma dell’ONU Oil-for-food e la Francia di Jacques Chirac lucra sull’isolamento cui è ridotto l’Iraq per guadagnare terreno nel settore petrolifero12, riproponendosi come interlocutore internazionale di Baghdad dopo un collaborazione negli anni ’80 nel campo del nucleare civile.

L’11 settembre 2001 offre ai neocon americani l’opportunità di attuare l’aggressiva politica mediorientale che ricalca punto per punto il documento “A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm” scritto nel 1996 dall’attuale premier israeliano Benjamin Netanyahu e dal falco repubblicano Richard Perle: defenestrazione di Saddam Hussein, destabilizzazione della Siria, guerra ad Hezbollah, sostegno alle ambizioni territoriali della monarchia giordana, etc.

Il casus belli per l’invasione angloamericana dell’Iraq è fornito dalla presunta produzione irachena di armi di distruzione di massa: il 24 settembre del 2002 Tony Blair riferisce davanti al Parlamento13 di un dossier elaborato dai servizi d’informazione inglesi secondo cui Saddam Hussein sta cercando di acquistare uranio in Africa e, nel caso in cui ci riuscisse, gli basterebbero uno o due anni per produrre armi nucleari.

L’invasione angloamericana inizia nel marzo del 2003 e, al solo costo di 170 caduti, Baghdad è conquistata nel mese di aprile, grazie alla defezione dei generali iracheni ed alla mancata difesa della capitale: delle armi di distruzioni di massa non c’è ovviamente traccia.

Lo scienziato inglese David Kelly, che ha collaborato con i servizi inglesi nella stesura del dossier impiegato da Blair per giustificare la guerra, riferisce ad un giornalista della BBC che il dossier è stato “abbellito” ad hoc14: dopo due mesi è trovato misteriosamente morto nei boschi dell’Oxfordshire.

Il regime baathista si è comunque dissolto ed i suoi membri sono braccati dai servizi e dai soldati angloamericani: per impedire che i papaveri della dittatura sfuggano alla cattura i loro volti sono stampati sulle carta da gioco distribuite alla fanteria.

Del colpo di Stato iracheno orchestrato dalla CIA nel lontano 1963 sopravvivono solo più tre uomini: “l’asso di spade” Saddam Hussein, catturato nel dicembre 2003 e giustiziato nel 2006; “il dieci di quadri” Taha Yassin Ramadan, vice-presidente iracheno catturato nell’agosto del 2003 e giustiziato nel 2007; il “Re di fiori” Izzat Ibrahim al-Douri, braccio destro di Saddam e vice-presidente del Consiglio del Comando della Rivoluzione, latitante dal 2003 fino alla sua uccisione nel 2015, ad opera delle milizie sciite impegnate contro l’ISIS.

Perché Izzat Al-Douri è stato uccel di bosco per dodici anni?

Come ha potuto uno degli uomini più ricercati dell’Iraq non solo evitare la forca, ma assurgere persino a comandante dell’insurrezione sunnita contro il governo di Baghdad? La risposta è semplice: dal lontano putsch del 1963 contro Abd al-Karim Qasim fino al comando dell’ISIS, Izzat Al-Douri è sempre stato un agente al servizio degli angloamericani.

Il Re di fiori tra CIA, sufismo, sauditi e troppi arresti mancati

Izzat Al-Douri, inconfondibile grazie al rutilismo dei capelli e della carnagione, nasce nel ’42 da un’umile famiglia di Tikrit, città che dà i natali anche a Saddam Hussein. La fortuna di Al-Douri come longevo e fidato agente degli angloamericani è riconducibile probabilmente alla sua religione: è infatti membro dell’ordine Naqshbandi, una delle principali confraternite irachene del sufismo, la corrente mistica dell’Islam su cui gli USA e Gran Bretagna hanno investito molto (alcuni studiosi definiscono il sufismo come la massoneria dell’Islam15)

Membro del sufismo è ad esempio l’imam turco Fethullah Gülen, che dal suo ranch in Pennsylvania ha assistito Recep Erdogan nella scalata al potere ed ha supervisionato l’apertura di diverse scuole religiose nell’area ex-sovietica con l’assistenza finanziaria degli USA16; membro della confraternita Naqshbandi è l’imam Muhammad Hisham Kabbani, anche lui residente negli USA, dove si prodiga per la diffusione del sufismo nel mondo mussulmano e dirige l’Islamic Supreme Council of America; ostile alla diffusione del sufismo è, ça va sans rien dire, l’Iran, che tanto è tollerante con la comunità cristiana quanto si è dimostrato duro con le confraternite mistiche dell’islam17, soprattutto dopo i recenti tentativi di rivoluzione colorata (l’Onda verde del 2009).

Dopo il colpo di stato del 1963 con cui la CIA e l’MI6 rovesciano e eliminano il primo ministro Abd al-Karim Qasim in odore di comunismo, Izzat Al-Douri e Saddam Hussein occupano per un breve periodo i vertici18 del l’Al-Jihaz al-Khas, il servizio d’informazione del partito Baath finché, con l’avvento al potere del nasserista Abdul Salam Arif, Izzat e Saddam sono tratti in arresto ed incarcerati: è in questo periodo che si salda l’alleanza tra i due.

Quando il Baath prende il potere con la rivoluzione del 17 luglio 1968, Izzat partecipa già al ristretto direttorio del partito e le sue fortune sono indissolubilmente legate a quelle di Saddam: il futuro rais diventa finalmente primo ministro nel 1979 ed Izzat è nominato in parallelo vice-presidente del Consiglio del Comando della Rivoluzione.

Da allora il nome di Izzat è associato alle pagine più oscure del regime: l’attacco all’Iran del 1980, la repressione dei curdi tra il 1986 ed il 1988, l’invasione del Kuwait del 1990 ed il brutale annichilimento dei tumulti sciiti del 1991. L’unione tra Izzat e Saddam si fa di sangue quando il primo concede la figlia in sposa a Uday Hussein, per un breve matrimonio che poi è sciolto.

Saddam si fida ciecamente di Izzat perché il vice-presidente appartiene, come il cristiano Tareq Aziz, ad una minoranza religiosa, il sufismo, e mantiene un basso profilo, evitando di adombrare il rais. Saddam non sa, probabilmente, che Izzat è molto più scaltro ed intraprendente di quanto non sembri. Quando tra il 2002 e l’inizio del 2003, è ormai palese che che gli angloamericani vogliono rovesciare la dittatura ed occupare l’Iraq, Izzat si attiva come molti altri notabili del regime affinché il cappio non si stringa attorno al suo collo: rientra in contatto con l’Arabia Saudita e probabilmente mette a punto la defezione in massa degli ufficiali iracheni.

Ad un mese dall’invasione angloamericana del marzo 2003, compare la notizia19 che Izzat Al-Douri ha riparato a Mosul in un rifugio noto ai servizi segreti militari e, ciononostante, risparmiato dai bombardamenti alleati. Il principe saudita Abdullah l’avrebbe scelto come alleato numero uno per gestire l’Iraq post-Saddam e si ipotizza l’ingresso di Izzat nella “National Unity Coalition”, una formazione politica che raccoglie i defezionisti del partito Baath e dell’esercito che hanno scelto di non opporre resistenza alle truppe angloamericane. La National Unity Coalition è stata appena fondata da Nehro Abdulkarim Kasnazani, noto capo religioso del sufismo iracheno e da tempo uomo della CIA in Iraq20.

Nel maggio del 2003 Paul Bremer, a capo dell’Autorità Provvisoria della Coalizione che amministra l’Iraq sul modello del viceré d’India, emana gli Ordini 1 e 2 che smantellano rispettivamente il Baath e le forze armate: i defezionisti di Saddam, che aveva accolto senza resistenza gli invasori per poi essere riciclati, si sentono ingannati e scatenano la guerriglia. Nel dicembre del 2003 appare la notizia che Izzat al-Douri, il secondo uomo più ricercato dell’Iraq su cui pende una taglia di 10 $mln, è stato ucciso in un raid aereo americano21: a distanza di poche ore però un ufficiale americano ne smentisce la morte22.

Da allora Izzat riaffiora di tanto in tanto nella cronaca dell’Iraq occupato: nel settembre 2004 la stampa riporta del suo arresto nonostante fosse protetto da 150 miliziani, ma gli USA negano subito la cattura23; nel 2005 un sito internet del disciolto Baath afferma che Izzat è morto di cancro24; nel 2006 Izzat registra un video dove incita alla resistenza contro gli americani25; nel 2007 fonda le “Brigate della Rivoluzione del 1920” che stigmatizzano la violenza di Al Qaida e si dicono pronte a collaborare con gli angloamericani26; nel 2008 si parla di un nuovo suo arresto da parte delle autorità irachene, ma secondo gli USA il detenuto “assomiglia” solo a Izzat27.

Nel 2009 ci sono due novità di rilievo: si intensifica l’attività dell’esercito creato dalla confraternita sufi Naqshbandi che ha Izzat come comandante28 ed una delegazione del disciolto partito Baathista, nonostante le proteste del premier sciita Nuri al-Maliki, si incontra con ufficiali americani per discutere della situazione in Iraq29.

Nel 2010 appaiono in rete video che immortalano presunti attacchi dell’Esercito degli uomini dell’ordine Naqshbandi (JRTN) contro le truppe americane30 e nel 2011, quando gli americani si apprestano a lasciare il Paese, l’unica zona dell’Iraq senza pace è il centro-nord sunnita, dove è attivo il JRTN di Izzat al-Douri31.

Gli americani si apprestano a lasciare l’Iraq libero di esportare greggio, con un leader sciita e filo-iraniano al comando e, smacco intollerabile dopo aver investito 2.000 $mld tra invasione ed occupazione32, il governo iracheno nega l’installazione di qualsiasi base militare permanente33.

La sconfitta di Washington è cocente e per il governo di Al-Maliki è già in gestazione la nemesi angloamericana.

Nel 2012 è caricato in rete un video34 dove Izzat deride il governo dello sciita Al-Maliki, fantoccio dell’Iran, ed incita alla rivolta. Nel 2013 la violenza settaria cresce e le forze di sicurezza irachene segnalano il coordinamento del JRTN di Izzat con l’organizzazione terroristica sunnita Al-Qaida35. Gli analisti credono che le milizie di Izzat, avendo assimilato molti ufficiali dell’esercito e dell’intelligence baathista, siano più pericolose delle sigle terroristiche concorrenti.

Siamo nel 2014 e da pochi mesi ha conquistato la ribalta una nuova organizzazione che si è fatta le ossa in Siria contro l’esercito del filo-iraniano Assad e ora minaccia l’Iraq. Porta curiosamente il nome di un’antica dea egizia, molto cara anche alla massoneria di rito scozzese: ISIS.

Gli angloamericani calano il Re di fiori nella partita dell’ISIS

Nella primavera del 2014 l’ISIS, fin a quel momento relegato al nord-est della Siria, si manifesta con virulenza nella regione occidentale dell’Iraq, l’Anbar, confinante con la Giordania e l’Arabia Saudita dove gli angloamericani hanno casualmente allestito i campi d’addestramento per i ribelli anti-Assad36. Altri ribelli “moderati” sono inquadrati dalla CIA in Qatar, nei pressi della base area statunitense di Al Udeid37 e si presume che siano poi aviotrasportati in Turchia, dove è attivo un altro centro di addestramento38.

L’avanzata dell’ISIS sembra inarrestabile ed entro la prima metà del giugno 2014 il Califfato, che non si sposta più in sella a robusti cavalli arabi ma a bordo di comodi fuoristrada Toyota Hilux freschi di fabbrica (gli stessi forniti dalla CIA ai ribelli “moderati”39), conquista quattro città fondamentali: Ramadi e Falluja (grazie ai miliziani che arrivano dalla Giordania e dall’Arabia Saudita) e Mosul e Tikrit (grazie al flusso di combattenti in arrivo dalla Turchia). La caduta di Baghdad sembra imminente.

Come fanno poche migliaia di miliziani dell’ISIS a conquistare una città come Mosul dove sono dislocate due divisioni dell’esercito iracheno per un totale di 30.000 uomini40? Semplicemente perché l’esercito, come in occasione dell’invasione angloamericana del 2003, sceglie di non combattere e defeziona in massa: davanti alle milizie dell’ISIS, i soldati dell’esercito irregimentato dagli USA si dileguano, riversando sul mercato nero le proprie armi al e prendendo d’assalto taxi e bus per abbondonare in fretta la città.

Si curano però di lasciare intonse la basi dell’esercito, in particolare quella di Mosul, che grazie alla santabarbara di due divisioni permette al Califfato di trasformarsi in un vero esercito professionista: carri armati T55, T72, blindati Humvees, pezzi d’artiglieria M198 e M-46, missili anticarro M79 Osa ed antiaerei FIM-92, lanciagranate e fucili d’assalto a volontà41.

Chi è l’artefice della fulminea avanzata dell’ISIS da Mosul a Tikrit senza colpo ferire? Il 72enne Izzat Al-Douri42 ,che dopo aver servito per quasi quarant’anni gli angloamericani nei ranghi del Baath, ora è scelto per guidare la novella creatura di Londra e Washington, allevata per destabilizzare l’Iraq ed il Medio Oriente (grazie alla minaccia del Califfato Londra ha riaperto una base navale in Bahrein –pagata dalla periclitante monarchia-, contravvenendo alla politica “nessuna base a est di Suez”43).

Gli uomini del JRTN di Izzat prima rincalzano le fila dell’ISIS che scende verso Sud poi, quando i tagliagole del Califfato proseguono verso Baghdad, rimangono di guarnigione nelle città conquistate44. Quando nell’estate del 2014 la conquista di Baghdad sembra a portata di mano ed il governo filo-iraniano dello sciita Al-Maliki vacilla paurosamente, Izzat diffonde un messaggio audio45 dove ringrazia “i cavalieri di Al-Qaida e dell’ISIS”, invita la popolazione ad unirsi all’insurrezione e assicura che la liberazione di Baghdad è imminente: la vittoriosa guerra contro i Persiani ed i colonizzatori Savafidi (gli iraniani) sta per concludersi!

Nel settembre 2014 il premier sciita Nuri Al-Maliki si dimette ed è sostituito da Haider al-Abadi, con un passato di vent’anni in Gran Bretagna come esule: l’esercito iracheno è però ormai sotto l’influenza dell’Iran che schiera soldati ed ufficiali, tra cui il generale Qasem Soleimani che si impegna personalmente nella riconquista di Tikrit46.

Il 31 marzo del 2015 l’esercito iracheno entra vittorioso nella città natale di Saddam Hussein e  l’ISIS ricacciato a nord.

Izzat Al-Douri, sempre vicino al fronte dove si consumano i combattimenti tra il Califfato e l’esercito, è in continuo movimento: è ad est di Tikrit che il 17 aprile il convoglio su cui viaggia si imbatte nelle milizie sciite Ketaeb Hezbollah impegnate contro i terroristi dell’ISIS. Il re di fiori e nove guardie del corpo rimangono uccisi nel conflitto a fuoco47. Il governatore della provincia di Salah al-Din esulta alla notizia della sua morte: la mente delle operazioni terroristiche è stata uccisa48.

Le milizie sciite depongono il corpo di Izzat in una cella refrigerata in vetro e, caricatala a bordo di un fuoristrada Mercedes, sfilano per le vie di Baghdad tra la folla giubilante: consegnano il corpo al Ministero della Sanità per espletare il riconoscimento del cadavere con il test del DNA49.

A pochi giorni dalla morte di Izzat, appare la notizia che gli investigatori iracheni hanno rinvenuto ed esaminato il telefono cellulare dell’ex vice-presidente baathista: nelle rubrica compaiono i numeri di politici iracheni di primo piano, ministri e parlamentari50. Questo consentirebbe di spiegare perché le due divisione di stanza a Mosul si sono squagliate come neve al sole davanti ad un migliaio di terroristi dell’ISIS. L’ordine di non combattere, come in occasione dell’invasione angloamericana del 2003, è arrivato dalle più alte sfere dell’establishment.

Nella rubrica del defunto Izzat comparirebbe un nome in particolare, quello di Ayad Allawi, scelto dagli angloamericani per la carica di premier nel giugno del 2004 quando l’ Autorità Provvisoria della Coalizione di Paul Bremer si scioglie, e nuovamente tornato alla ribalta nel settembre del 2014 quando, in piena emergenza ISIS, è eletto vice-presidente dell’Iraq. Non bisognerebbe stupirsi se Allawi, uomo fidato dell’MI6 e della CIA fin dagli anni ’9051, avesse scambiato qualche telefonata con Izzat Al-Douri, ex papavero del regime baathista e poi comandante dell’ISIS: dopotutto facevano capo entrambi a Washington e Londra.

E l’esame del DNA, che esiti ha dato? Purtroppo, il Ministero della Salute iracheno non ha trovato al momento nessun parente di Izzat con cui confrontare il DNA.

Così si può ancora sperare che Izzat Al-Douri sia uccel di bosco e che, tra una telefonata ai ministri filo-americani ed una ai comandanti dell’ISIS, continui a guidare l’insurrezione contro Baghdad e gli elementi filo-iraniani.

La morte del Re di fiori è infatti un colpo durissimo per gli angloamericani e la loro politica destabilizzatrice: se giocando a poker non si possiede una carta, il segreto è bluffare.

 

izzatcollage

 

 

1http://globalresearch.ca/articles/SAN210A.html

2http://www.telegraph.co.uk/news/obituaries/10450380/William-Sullivan-Obituary.html

3http://www.theguardian.com/world/2010/sep/23/iran-iraq-war-anniversary

4http://www.nytimes.com/1992/01/26/world/us-secretly-gave-aid-to-iraq-early-in-its-war-against-iran.html

5http://en.wikiquote.org/wiki/Talk:Henry_Kissinger

6http://www.theguardian.com/world/2003/apr/10/iraq.iraq2

7http://www.dailymail.co.uk/news/article-2402174/CIA-helped-Saddam-Hussein-make-chemical-weapons-attack-Iran-1988-Ronald-Reagan.html

8http://rt.com/usa/194992-cia-crack-scandal-webb/

9http://scholarship.law.berkeley.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1091&context=facpubs

10http://www.eia.gov/forecasts/steo/realprices/

11http://www.globalresearch.ca/gulf-war-documents-meeting-between-saddam-hussein-and-ambassador-to-iraq-april-glaspie/31145

12http://www.english.rfi.fr/france/20130122-total-pasqua-trial-un-oil-food-scandal

13http://www.theguardian.com/politics/2002/sep/24/foreignpolicy.houseofcommons

14http://www.theguardian.com/politics/2013/jul/16/david-kelly-death-10-years-on

15http://www.newrepublic.com/article/118356/izzat-ibrahim-al-douri-saddam-husseins-pal-key-stopping-isis

16http://www.huffingtonpost.com/david-l-phillips/turkeys-fight-against-ter_b_6445664.html

17http://www.huffingtonpost.com/stephen-schwartz/iran-continues-crackdown-on-sufis_b_3181642.html

18http://www.newrepublic.com/article/118356/izzat-ibrahim-al-douri-saddam-husseins-pal-key-stopping-isis

19http://www.alternet.org/story/15626/joining_forces_with_izzat_ibrahim_ad-duri

20http://www.dcbureau.org/20090515643/national-security-news-service/what-are-an-iraqi-cia-agent-and-his-novice-lobbyist-up-to-in-washington.html

21http://news.xinhuanet.com/english/2003-12/02/content_1210151.htm

22http://www.repubblica.it/2003/k/sezioni/esteri/iraq10/alduri/alduri.html

23http://www.cbsnews.com/news/elusive-saddam-deputy-captured/

24http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/4429608.stm

25http://www.chinadaily.com.cn/world/2006-03/27/content_553558.htm

26http://www.longwarjournal.org/archives/2007/10/al_douri_forms_natio.php

27http://www.telegraph.co.uk/news/1901519/Saddam-Husseins-ally-Izzat-Ibrahim-al-Duri-captured-in-Iraq.html

28http://www.npr.org/templates/story/story.php?storyId=105507397

29http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/iraq/6030153/Saddam-Husseins-Baath-Party-loyalists-engage-with-US-over-Iraq.html

30http://www.liveleak.com/view?i=6ba_1292850065

31https://www.ctc.usma.edu/posts/the-jrtn-movement-and-iraq%E2%80%99s-next-insurgency

32http://www.reuters.com/article/2013/03/14/us-iraq-war-anniversary-idUSBRE92D0PG20130314

33http://www.theguardian.com/world/2011/oct/21/iraq-rejects-us-plea-bases

34https://www.youtube.com/watch?v=VH6mLLOf42I

35http://www.reuters.com/article/2013/06/11/us-iraq-alqaeda-idUSBRE95A0T520130611

36http://www.washingtonpost.com/world/national-security/cia-ramping-up-covert-training-program-for-moderate-syrian-rebels/2013/10/02/a0bba084-2af6-11e3-8ade-a1f23cda135e_story.html

37http://www.reuters.com/article/2014/11/26/us-mideast-crisis-qatar-syria-idUSKCN0JA1BX20141126

38http://www.bbc.com/news/world-middle-east-29591916

39http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/syria/11419243/Moderate-Syrian-rebels-to-be-given-power-to-call-in-US-air-strikes.html

40http://www.theguardian.com/world/2014/jun/11/mosul-isis-gunmen-middle-east-states

41http://www.businessinsider.com/isis-military-equipment-breakdown-2014-7?op=1&IR=T

42http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/iraq/10907319/Iraq-crisis-Red-haired-devil-of-Saddams-Iraq-back-in-the-fray.html

43http://www.bbc.com/news/uk-30355953

44http://www.theguardian.com/world/2014/jul/18/new-militant-group-replaces-isis-mosul

45http://english.alarabiya.net/en/News/middle-east/2014/07/13/Report-Iraq-s-fugitive-Saddam-era-deputy-praises-ISIS.html

46http://www.bbc.com/news/world-middle-east-27883162

47http://www.theguardian.com/world/2015/apr/17/iraqi-troops-kill-saddam-aide-tikrit-allied-isis

48http://www.reuters.com/article/2015/04/17/us-mideast-crisis-iraq-douri-idUSKBN0N81EZ20150417

49http://www.dailymail.co.uk/wires/afp/article-3047594/Paramilitaries-hand-suspected-Saddam-VP-body-Iraq-govt.html

50http://www.presstv.ir/Detail/2015/04/20/407228/Iraqi-politicians-had-links-to-alDouri

51http://www.theguardian.com/world/2004/may/29/iraq.lukeharding