L’Africa orientale nel gioco delle grandi Potenze

Dal crollo dell’Unione Sovietica in avanti, l’area di maggior attrito tra le grandi potenze sono stati il bacino del Mediterraneo e l’Asia anteriore: attorno al 2020, però, emerge con chiarezza che i giochi si stiano allargando all’Africa orientale, segnando un ulteriore salto di qualità nel duello per l’assetto del XXI. Non più Eurasia, ma Afro-euro-asia. I colossi continentali, Cina e Russia, circumnavigando la massa euroasiatica, si stanno incontrando nel Mar Rosso, cerniera tra Asia ed Africa e mare di collegamento tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano. All’attivismo russo-cinese, sigillato dall’installazione di una base navale in Sudan, corrisponde il tentativo angloamericano di destabilizzare la regione fomentando le tensioni inter-etniche, specialmente in uno Stato chiave come l’Etiopia.

Reminiscenze africane degli anni ‘30…

Il 2020, con le sue mille drammatiche sfaccettature, segna un punto di svolta anche nella geopolitica mondiale grazie al “risveglio” dell’Africa Orientale: per ritrovare un antecedente al ruolo giocato oggi dal Corno d’Africa bisogna probabilmente risalire al 1935, quando gli italiani, conducendo e vincendo la guerra d’Abissinia, si installarono in Etiopia che, saldata all’Eritrea e alla Somalia, costituì l’Africa Orientale Italiana (AOI). Una certa storiografia post-bellica, leggera e faziosa, parlò della guerra d’Etiopia come di “un’avventura coloniale fuori tempo massimo”: l’impresa corrispondeva invece al grande disegno geopolitico di saldare Mediterraneo, Mar Rosso ed Oceano Indiano, inserendo l’Italia in quello che avrebbe dovuto essere la principale direttrice economica del XX secolo: non più Europa-America, ma Europa-Asia. Ne parleremo più diffusamente nel secondo tomo delle Pan-regioni, in uscita nella primavera del 2021. La stessa identica dinamica di fondo spiega perché oggi, autunno del 2020, l’Africa Orientale torni ad essere alla ribalta della politica mondiale, dopo un lungo, lunghissimo, periodo di eclissi.

Il processo di “organizzazione” di spazi sempre maggiori da parte delle due grandi potenze continentali, Russia e Cina, ha infatti ormai raggiunto l’Africa, toccando inevitabilmente per primo il Corno d’Africa: la Cina, con un movimento marittimo orario, parte infatti dallo Stretto di Malacca o dalla Birmania, tocca l’Africa Orientale, risale nel Mar Rosso ed infine sfocia nel Mediterraneo, cerniera di tre continenti. Tale percorso è costituito da un mix di infrastrutture militari (la base cinese di Gibuti) ed infrastrutture economiche-civili, meglio note come “la Nuova Via della Seta marittima”. Con un movimento antiorario, invece, la Russia parte dal Mar Nero, supera i Dardanelli, fa scalo a Tortosa in Siria, supera Suez ed infine sbocca nel Mar Rosso, per raggiungere in prospettiva l’Oceano Indiano ed incontrare così le navi cinesi che giungono da Oriente. Il percorso russo è stato sinora molto più “accidentato” di quello cinese, probabilmente a causa della convinzione degli strateghi angloamericani che Mosca fosse la potenze più debole e che fosse quindi conveniente un “Russia first”. Mosca, infatti, ha dovuto difendere col la forza la penisola di Crimea (2014), senza la quale avrebbe perso la sua dimensione mediterranea e quindi afro-asiatica; ha quindi dovuto difendere con la forza le sue posizioni in Siria (2014-2016), senza cui non avrebbe potuto sviluppare la sua dimensione mediterranea e quindi afro-asiatica; maggiore facilità, al momento, la Russia ha invece riscontrato nel creare una base navale in Sudan, sulle acque del Mar Rosso. È di questi giorni, infatti, la notizia che Mosca installerà sulle coste sudanesi la sua seconda base navale all’estero, creando così un corridoio Sebastopoli-Tortosa-Porto Sudan (al momento non si conosce però il nome preciso della località destinata ad ospitare la base). Si noti che l’Egitto, per quanto voglia mantenere buoni rapporti con la Russia, ha finito col negare la base navale alla Russia, a lungo ventilata, preferendo rimanere legato ai finanziamenti americani. Il quadro è infine completato dalla base militare che la Turchia dispone in Somalia: una serie di fattori (la fornitura degli S-400, il Turkish Stream, i forti legami turco-pachistani, i pessimi rapporti turco-americani,etc.) inducono a credere la presenza turca in Somalia “integri” in un certo qual senso quella russo-cinese nel Mar Rosso.

La costruzione delle reti di basi navali ha una fortissima valenza nella geopolitica e tutti gli elementi sinora forniti indicano una precisa direzione: le grandi potenze terrestri stanno organizzando “l’arco concavo” che parte dal Mar Cinese e termina nel Mar Mediterraneo, passando per l’Oceano Indiano. Come stanno reagendo le potenze marittime anglosassoni a tale manovra? In parte, ormai è evidente, Washington e Londra sono impegnate nella costruzione di un “arco convesso” attorno all’Eurasia, che parte dell’isola Réunion francese, passa per l’India e termina coll’Australia. Un arco convesso che, in un futuro non troppo lontano, assumerà probabilmente i connotanti di alleanza militare offensiva. C’è però dell’altro. Le potenze marittime anglosassoni si stanno infatti cementando in quello che, in fondo, riesce loro meglio: alimentare il caos, così da neutralizzare le forze organizzatrici delle potenze continentali con forze disgreganti. Nella manovra di convergenza dei russo-cinesi verso il Mar Rosso, infatti, un ruolo di primo piano è giocato dall’Etiopia, per almeno due motivi: con i suoi 100 milioni di abitanti è il secondo Paese più popoloso dell’Africa (dopo la Nigeria) e, dall’altopiano che costituisce il cuore del Paese (il cosiddetto “acrocoro”) domina le coste somale ed eritree.

Fino almeno al 2018, l’Etiopia era saldamente orientata verso la Cina, tanto che la strategica ferrovia Addis-Abeba-Gibuti, croce e delizia degli strateghi italiani negli anni ‘20 e ‘30, è stata ricostruita con criteri moderni tra il 2011 ed il 2016 grazie a finanziamenti cinesi e alla tecnologia della China Civil Engineering Construction Corporation. Durante questa fase di “idillio” etiopico-cinese, il governo di Addis Abeba era dominato dal Tigray People’s Liberation Front, espressione dell’etnia del Tigré, collocata nel nord-est del Paese. L’Etiopia, come avevano infatti accuratamente studiato i geopolitici italiani del Ventennio (vedi la carta etnico-linguistica elaborata da Corrado Zoli) è un mosaico di più etnie, inevitabilmente rette, di volta in volta, da una componente dominante. Il 2018 segna un punto si svolta per l’Etiopia e, di conseguenza, l’Africa Orientale: alla carica di primo ministro è nominato Abiy Ahmed Ali, appartenente a un’etnia a lungo ai margini del governo, ma in ottimi rapporti con gli angloamericani e gli israeliani, grazie alla religione protestante, agli studi in Inghilterra e alla sua carriera nei servizi d’informazione etiopici. Il nuovo premier si dimostra fin da subito un ottimo investimento per le potenze anglosassoni: per prima cosa, allontana dal governo la minoranza del Tigré, che fino a quel momento aveva condotto la politica estera “filocinese” di Addis Abeba. Nel 2019 è insignito del premio Nobel per la pace per aver ricomposto l’annoso conflitto etiopico-eritreo: il Nobel per la pace, è risaputo, è ormai assegnato a chi ha davanti a sé un luminoso futuro da guerrafondaio. Nel novembre 2020, infatti, il premier Abiy Ahmed Ali, dopo aver procrastinato le elezioni col pretesto della pandemia, attacca la regione del Tigré, innescando quello che, giorno per giorno, assume il rischio di diventare un pericoloso incendio in tutta l’Africa orientale. Non solo, infatti, l’Etiopia rischia di sfasciarsi in più entità, ma c’è anche il rischio che il conflitto si propaghi al vicino Sudan, all’Eritrea e alla martoriata Somalia. Non è a priori escludibile neppure il coinvolgimento dell’Egitto. L’obiettivo delle potenze marittime anglosassoni è chiaro: creare una nuova Jugoslavia/Libia/Siria in una regione che sta assumendo un ruolo centrale nei giochi di potere mondiale. Si vedranno gli sviluppi della guerra in Etiopia: quel che è certo è l’Africa orientale è tornata al centro della rivalità delle grandi potenze. Non avveniva dal 1935.