Geopolitica dell’Ungheria

Nel panorama europeo creatosi dopo l’inizio delle ostilità russo-ucraine, sono di particolare interesse gli sviluppi nell’Europa-centrale, dove è in corso un profondo “rimescolamento” delle carte. L’assetto post-Guerra Fredda benedetto dagli angloamericani e incentrato sul “Gruppo di Visegrad” sta lasciando il posto alla classica geopolitica dell’Europa centrale: l’Ungheria riemerge come “potenza revisionista” che tende verso gli sfidanti del sistema. Come sempre, Budapest “anticipa” le dinamiche geopolitiche di Italia e Germania.

Sempre meno “NATO”, sempre più “blocchi”

La retorica superficiale e fuorviante dei media, sprovvisti ormai di personale capace di elaborare analisti critiche e ridotti a semplici “passacarte” di veline straniere, parla in queste settimane di “rivitalizzazione” della NATO: non solo la guerra russo-ucraina avrebbe dato un nuovo senso all’Alleanza Nord-Atlantica, ma avrebbe posto anche le basi per il suo allargamento nella penisola scandinava, dove Finlandia e Svezia potrebbero presto abbandonare la loro tradizionale neutralità. In realtà, il quadro è molto differente. La NATO è sempre più un simulacro: un guscio vuoto che non rappresenta più le effettive dinamiche geopolitiche in essere. All’interno dell’alleanza si registra infatti un numero crescente di “anomalie” che lasciano presagire il prossimo crollo dell’architettura politico-militare post-1945 e post-1991 e la frammentazione dell’Europa in “blocchi” che ricordano molto da vicino quelli degli anni ‘30.

La tradizionale geopolitica europea riemerge, giorno dopo giorno, e alla dicotomia Occidente-Oriente, si va sostituendo quella tra potenze marittime (con relativi alleati) e potenze revisioniste dell’Europa mediana che, sconfitte nel 1945, tendono ora a convergere verso gli sfidanti del sistema (Cina e Russia) in vista della prossima guerra egemonica.

A più riprese, nelle nostre analisi, abbiamo evidenziato come la NATO stesse “perdendo” la Turchia, il cui valore geopolitico è incomparabilmente superiore a quello della penisola scandinava: i fatti degli ultimi due mesi confermano questa dinamica di fondo, perché Ankara ha rifiutato di aderire alle sanzioni occidentali contro la Russia e, a maggior ragione, tutto lascia supporre che sarà impossibile per gli angloamericani cooptarla in vista di un confronto militare con la Russia. In questa sede, però, ci interessa spostare l’attenzione più a nord, nel cuore stesso dell’Europa, là dove l’attrito tra anglosassoni e russi è aumentato sino a sfociare nella guerra per procura che sta insanguinando l’Ucraina.

La fascia latitudinale compresa tra il Mar Baltico ed il Mar Nero, inglobata dall’URSS dopo il 1945 e mantenuta sotto controllo russo fino al 1991, era stata incorporata dagli anglosassoni, attraverso lo strumento della NATO, tra il 1997 ed il 2004. Fin dalle primissime fasi del “nuovo ordine mondiale” seguito al collasso dell’URSS, gli angloamericani si erano però prodigati per la creazione di una “sotto-alleanza” nell’Europa centrale, secondo uno schema simile a quello della Piccola Intesa che, tra gli anni ‘20 e ‘30, aveva riunito Cecoslovacchia, Romania e Jusgoslavia, in funzione anti-tedesca e anti-ungherese. Questa sotto-alleanza è nota al grande pubblico come “Gruppo di Visegrad”, che riunisce Polonia, Cechia, Slovacchia ed Ungheria. Caratterizzato da un alto spirito nazionalista e da istituzioni “democratiche” molto deboli, il Gruppo di Visegrad si proponeva sin dalla sua istituzione nel 1991 una duplice funzione: mantenere alto il tono di scontro con la Russia ed intralciare il processo di integrazione dell’Unione Europea, naturalmente dominata dalla Germania. In termini geografici, è bene infatti notare che il Gruppo di Visegrad costituisca un diaframma che si interpone tra Germania e Russia, la cui alleanza è il massimo spauracchio degli strateghi angloamericani.

Il Gruppo di Visegrad ha assolto egregiamente alla funzione d’intralcio della UE: quando infatti gli anglosassoni, destabilizzando la Siria, hanno attivato i flussi migratori dal Medio Oriente verso i Balcani e l’Europa, i paesi “nazionalisti” dell’Europa centrale hanno sabotato qualsiasi politica comune sul tema dell’immigrazione, creando la prima di una lunga serie di crepe che stanno minando le istituzioni comunitarie. Nel corso degli anni, però, sono emerse all’interno dell’eterogeneo Gruppo di Visegrad anche significative differenze, dovute all’intrinseca natura geopolitica dei membri. Mentre Polonia, Cechia e Slovacchia sono Paesi “saturi” e tradizionali clienti di francesi ed angloamericani, l’Ungheria è un Paese “revisionista”, che aveva storicamente svolto un ruolo di potenza organizzatrice nell’Europa centro-orientale e conta tuttora una discreta diaspora ungherese fuori dai suoi confini. Si ricordi, infatti, che la Piccola Intesa escludeva l’Ungheria ed era stata concepita proprio in funzione anti-ungherese ed anti-tedesca. Nel trentennio che intercorre tra gli anni ‘90 ed oggi, Budapest ha così intrapreso un percorso di riavvicinamento alla Germania e, proprio come la Germania, ha portato avanti allo stesso tempo un percorso di progressiva convergenza verso gli unici poli alternativi al dominio angloamericano: Russia e Cina.

In termini geopolitici si può dire che l’Ungheria sia quindi parte integrante di quella Mitteleuropa a guida tedesca schiacciata tra il blocco occidentale ed i Paesi orientali visceralmente anti-russi e filo-occidentali (Polonia, Paesi Baltici ed Ucraina). Tale Mitteleuropa, distrutta delle ultime due guerre mondiali, tende naturalmente a convergere verso il polo euroasiatico dominato da Cina e Russia. Molte iniziate assunte da Budapest sono in effetti, ad un’attenta analisi, manovre con cui la Germania opera sottotraccia per avvicinarsi agli sfidanti del sistema: tipico, a questo proposito, è il progetto finanziato dalla Cina per costruire una ferrovia ad alta velocità e alta capacità che unisca Grecia, Serbia ed Ungheria. Emerge con chiarezza che, avallando questo progetto, Budapest realizza anche lo storico interesse della Germania ad affacciarsi sul Vicino Oriente (e in prospettiva sul Medio Oriente) attraverso una ferrovia. Il vecchio sogno della Bagdadbahn.

L’accumularsi di queste divergenze geopolitiche di fondo dentro il Gruppo di Visegrad doveva, inevitabilmente, sfociare in una crisi del gruppo stesso non appena l’area dell’Europa centro-orientale si fosse nuovamente incendiata. Così, infatti, è stato. Se infatti, Polonia, Cechia e Slovacchia si sono confermati come valide pedine in funzione anti-russa (tutti i premier dei rispettivi Paesi si sono recati in visita dal presidente ucraino Zelesky dopo l’apertura delle ostilità, promettendogli sostegno militare), l’Ungheria “revisionista” ha rifiutato di interrompere i legami economici con la Russia ed ha altresì vietato il transito di armi sul proprio territorio. Il presidente ucraino Zelensky, agendo per conto di Londra e Washington, ha così alzato progressivamente il tono contro due potenze: la Germania, rea di ostacolare le sanzioni alla Russia e di non inviare abbastanza armi, e l’Ungheria stessa, che alle colpe tedesche somma la disposizione accordata a pagare il gas russo in rubli.

Le tensioni magiaro-ucraine hanno infatti contraddistinto la campagna elettorale che ha portato alla recente riconferma di Viktor Orban alla guida del Paese. La tendenza della Germania a servirsi dell’Ungheria per portare avanti la sua “politica orientale”, svincolata dalla NATO, è stata chiaramente stigmatizzata in un recente articolo del Wall Street Journal dall’emblematico titolo “Germany Has a Hungary Problem”, dove si rinfaccia a Berlino la sua scarsa fedeltà alla NATO ed i suoi legami troppo stretti col governo “anti-occidentale” di Budapest.

Ciliegina sulla torta: da diversi anni, l’Ungheria sta intessendo anche una “relazione speciale” con la Turchia, relazione che è passata anche attraverso la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale ottomano in terra magiara. Difficile non scorgere, dietro l’avvicinamento turco-ungherese, un’altra mossa di Berlino per avvinarsi al “gruppo delle potenze revisioniste” orientali. Sempre più NATO? No, sempre più divisione tradizionale tra blocchi geopolitici, dove l’Ungheria anticipa sempre di qualche anno anche gli sviluppi dell’Italia.