L’estate 2016 è stata scandita da due significativi eventi economici: il definitivo addio degli Agnelli-Elkann all’Italia, con il trasferimento all’estero della sede legale e fiscale di Exor, e la conquista di RCS da parte di Urbano Cairo, a discapito della cordata patrocinata da Mediobanca. È la fine di un epoca, quella del binomio Agnelli-Mediobanca, iniziata negli anni ’80 proprio con la conquista del Corriere della Sera ed entrata in crisi già nei primi anni 2000, con la morte di Enrico Cuccia e la crisi industriale della FIAT. Breve ricostruzione, non ortodossa, del binomio che ha a lungo dettato il bello e cattivo tempo in Italia, secondo gli interessi della finanza (e della massoneria) angloamericana.
L’Avvocato ed “il biondino dagli occhi di ghiaccio”: morti e sepolti
La peggiore crisi vissuta dal Paese dai tempi dell’Unità non poteva che avere ripercussioni anche sugli assetti del capitalismo italiano: cancellato un quarto della base industriale, minata alle fondamenta la solidità dei principali istituti di credito (MPS ed Unicredit in testa), erosa la capacità di generare utili per qualsiasi impresa rivolta al mercato interno, era solo questione di tempo prima che la vera e propria depressione economica sperimentata dall’Italia a partire dal 2009 avesse i suoi effetti anche sul cosiddetto “salotto buono”.
L’estate 2016 può, in questo senso, definirsi come l’epilogo di un lungo processo di decadenza del “grande capitale” italiano, avviato nei primi anni 2000, ed accelerato, sino alle estreme conseguenze, dall’eurocrisi: ci riferiamo alla scomparsa della FIAT e della famiglia Agnelli come figure di primo piano del capitalismo italiano ed all’ormai conclamata marginalità di Mediobanca negli equilibri economici nazionali.
A metà luglio, infatti, Borsa Italiana annuncia che l’offerta dell’editore Urbano Cairo per l’acquisizione del controllo del gruppo RCS ha avuto la meglio su quella del finanziare Andrea Bonomi, sponsorizzata da Mediobanca e da quel che rimane dei “poteri forti” riuniti attorno a via Filodrammatici; a distanza di pochi giorni arriva la notizia che l‘Exor, la cassaforte della famiglia Agnelli-Elkann, lascia l‘Italia, seguendo le sorti delle controllate e trasferendo la sede legale e fiscale in Olanda.
Gli assetti italiani, poggianti per decenni sull’asse Agnelli-Mediobanca, o su quello Avvocato-Cuccia se si sposta l’analisi a livello di persone, sono così stati definitivamente archiviati. L’uscita del Corriere della Sera dall’orbita di Mediobanca, preceduta di qualche mese dal disimpegno azionario degli Agnelli-Elkann, sta lì a certificare il tramonto di un’epoca: è il sigillo apposto su un periodo dell’Italia ormai chiuso.
Corre l’anno 1984 quando la Fiat, guidata da quella Mediobanca con cui gli Agnelli vivono in perfetta simbiosi, diventa l’azionista di riferimento del Corriere della Sera, sottraendolo alla famiglia Rizzoli: l’operazione, paradigmatica per comprendere il modus operandi degli “squali” di via Filodrammatici, passa per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, che all’epoca è l’effettivo proprietario del Corriere della Sera, avendo ricevuto in pegno dai Rizzoli l’80% delle azioni del quotidiano a fronte di un finanziamento.
Prima, con lo scandalo della P2 del 1981 (con cui gli angloamericani eliminano un serie di figure economiche e politiche non certo cristalline, ma legate ad interessi nazionali, per sostituirle con semplici esecutori alle direttive atlantiche del calibro di Beniamino Andreatta), si isola Calvi, che si avvale proprio di Licio Gelli ed Umberto Ortolani come intermediari col mondo politico; poi, Calvi scompare misteriosamente a Londra, dove è ritrovato impiccato nel giugno del 1982, sotto il Ponte dei Frati Neri, vittima probabilmente dei servizi segreti inglesi che non gli perdonano il suo appoggio alla giunta militare argentina nella guerra della Malvinas; infine, la morte di Calvi è prontamente sfruttata per il commissariamento straordinario dell’Ambrosiano che, poco dopo (agosto 1982) è dichiarato fallito, nonostante sia una delle banche più patrimonializzate dell’epoca e non mostri alcuna tensione patrimoniale.
Il crack del Banco consente al duo Agnelli-Cuccia di mettere le mani sui gioielli controllati da Calvi, primi fra tutti Toro Assicurazioni ed il Corriere della Sera: il “Nuovo Banco Ambrosiano” chiede il rientro immediato dei prestiti concessi alla famiglia Rizzoli che, nell’impossibilità di pagare, è costretta a cedere nell’autunno del 1984 il controllo alla società Gemina, controllata da Fiat e Mediobanca. Ha così ufficialmente inizio il trentennale predominio della casa torinese e della banca d’affari milanese sull’azionariato di Piazza Solferino.
La convergenza d’interessi tra Agnelli e Cuccia, fulcro dell’economia italiana per decenni, era in un certo senso inevitabile. Inaugurata nella seconda metà degli anni ’70, con la nomina ad amministratore delegato di Cesare Romiti, “l’uomo di Mediobanca” che sposta il focus della casa automobilistica sulla finanza, proprio mentre Volkswagen inizia con la Golf I la sua lunga marcia verso il primato mondiale, l’alleanza tra la Fiat e l’istituto milanese era scritta nelle stelle: le due società erano nate per incontrarsi, piacersi ed unirsi.
Già tiepida verso il regime fascista nonostante le generose commesse militari assegnatele, la Fiat è nell’immediato dopoguerra tra i principali beneficiari del Piano Marshall: il legame tra gli Agnelli e gli USA, retrodatabile al rapporto di stima tra il senatore Giovanni Agnelli ed Henry Ford, si rafforza anno dopo anno e gli americani sono ben lieti di assegnare alla Fiat il ruolo di portabandiera del capitalismo privato, baluardo contro l’invadenza dello Stato-imprenditore che controlla il sistema creditizio (le banche d’interesse nazionale) e buona parte dell’industria di base (l’IRI).
L’amministratore delegato della casa torinese, Vittorio Valletta, è solerte nel ricambiare le attenzioni statunitensi: quando le (sospette) morti di Adriano Olivetti e dell’ingegnere Mario Tchou infliggono un duro colpo al gruppo di Ivrea1, obbligandolo ad entrare nell’orbita di Fiat e Mediobanca, Valletta è veloce nello stroncare sul nascere gli avveniristici progetti dell’Olivetti nel campo dell’informatica, tacciata da Valletta come “un neo da estirpare”, fonte di non poche preoccupazioni per i concorrenti americani ed inglesi.
Simile, e per certi più evidenti ancora, è il legame tra Mediobanca e l’alta finanza di Londra e New York, tradizionale emanazione delle logge massoniche americane ed inglesi (che giocano probabilmente un ruolo di primo piano nell’omicidio del sullodato Roberto Calvi).
“Padre nobile” di Mediobanca, il cui atto costitutivo è datato 1946, può essere considerato Josef Leopold Toeplitz (1866-1938): esponente della finanza cosmopolita, amministratore delegato della Comit (la maggiore holding industriale d’Italia sino alla crisi degli anni ’30 ed alla sua nazionalizzazione), il banchiere di origine polacca alleva alla sua corte Raffaele Mattioli (1895-1973), futuro fondatore di via Filodrammatici, che nel ’33 gli succede alla guida dell’istituto di credito.
Di “sentimenti antifascisti” anche sotto il regime, affiliato come il suo mentore Toeplitz ad ambienti esoterici e massonici (diede disposizioni per essere seppellito presso l’abbazia di Chiaravalle, nella nicchia dove nel Medioevo giacquero i resti dell’eretica Guglielma la Boema2), mente grigia del Partito d’Azione costituito nel 1942, “don Raffaele” è già a Washington nel 1944 per discutere con gli americani dei futuri assetti post-bellici dell’Italia: con i servizi segreti americani ed inglesi, Mattioli è, da sempre in contatto, potendo avvalersi di un promettente ed ambizioso giovane, Enrico Cuccia (1907-2000), come intermediario3.
È lecito supporre che nei piani angloamericani per la “ricostruzione” dell’Italia di cui Mattioli è messo al corrente, sia proprio contemplata la costituzione di Mediobanca che, fondata nel 1946 nonostante i dubbi dell’allora governatore di Bankitalia, Luigi Einaudi, rappresenterà la “testa di ponte” della finanza anglofona in un sistema creditizio altrimenti controllato dallo Stato.
Costituita con l’apporto delle tre banche d’interesse nazionali, cioè pubbliche (la Comit di Mattioli, il Credito Italiano ed il Banco di Roma), Mediobanca (definita anche “il tempio” della finanza laica, con chiare allusioni alla sua matrice massonica) è concepita per svolgere il ruolo di trade-union tra l’economia italiana ed il circuito dell’alta finanza inglese e statunitense: aperta ai capitali privati già negli anni ’50, via Filodrammatici è la porta da cui si riaffacciano i grandi nomi della finanza internazionale, come Lazard e Lehman Brothers.
Sebbene Mediobanca nasca come banca d’affari, per il finanziamento cioè a medio-lungo termine delle imprese e per assisterle nello sbarco in borsa, è chiaro come, più che nell’interesse dello sviluppo italiano, agisca in base alle priorità economiche e politiche di Londra, Washington e Parigi, trovando nella Fiat di Gianni Agnelli una solida spalla.
Si è parlato dell’assassinio in fasce dell’informatica Olivetti e del crack, indotto, del Banco Ambrosiano, ma come dimenticare del delitto perpetrato dal binomio Fiat-Mediobanca in un altro settore chiave dell’economia, dove l’Italia è stata a lungo all’avanguardia per poi esserne completamente estromessa, ossia la chimica?
È la seconda metà degli anni ’80 quando Raul Gardini, “il contadino” che si è a lungo mosso sulla scia di via Filodrammatici, acquista, entrando in conflitto con l’ex-mentore Enrico Cuccia, il controllo di Montedison, unendo la società alle attività del gruppo Ferruzzi: nasce il secondo gruppo industriale del Paese, secondo alcuni l’unica autentica multinazionale italiana, attivo nella chimica, nell’agricoltura, nell’alimentare, nel cemento, nella finanza. Gardini è “l’anti-Agnelli” per eccellenza, sogna la benzina verde, è chiamato da Gorbacev per ravvivare l’asfittica agricoltura sovietica.
Tangentopoli, orchestrata da Washington e Londra per spazzare via la vecchia classe dirigente e smantellare l’economia mista contando sull’appoggio del ricattabile PCI-PDS, infligge un durissimo molto al gruppo Ferruzzi, i cui più alti dirigenti finiscono sotto inchiesta. Enrico Cuccia completa l’opera, impartendo l’ordine alle tre banche d’interesse nazionale di chiudere tutte le linee di credito e di rientrare nell’arco di 24 ore di tutti gli affidamenti: la Feruzzi, con un patrimonio più solido della Fiat, è costretta a capitolare e Mediobanca invia due uomini fidati, Guido Rossi ed Enrico Bondi, a gestirne lo smembramento4.
A beneficiare dell’omicidio del secondo polo industriale italiano sono, come nel caso del Banco Ambrosiano, la Fiat di Gianni Agnelli che incamera una consistente quota dell‘Edison, e gli altri protetti di Via Filodrammatici, i Pesenti ed i Ligresti, che acquistano a prezzo di saldo le attività nel cemento (Calcestruzzi ed Heracles) e nelle assicurazioni (Fondiaria). Nel 1993 la Ferruzzi Spa cessa ufficialmente le attività e l’Italia imbocca l’uscita anche dalla chimica.
L’azione predatoria ai danni della Ferruzzi è però anche l’ultima occasione di sintonia tra la Fiat e Mediobanca: la gestione del fedelissimo di via Filodrammatici, Cesare Romiti, incentrata sulla finanza anziché sull’auto, non paga, le quote di mercato in Europa, dove Fiat ha lungo detenuto il primato, si assottigliano pericolosamente, ed in Italia la casa automobilistica paga il prezzo degli inasprimenti fiscali e della contrazione dei consumi che accompagnano il percorso del Paese verso la moneta unica, alleviati soltanto degli incentivi elargiti dallo Stato.
Nel 1998 Romiti lascia la guida della Fiat per raggiunti limiti d’età e la famiglia Agnelli si libera formalmente dall’alleanza-controllo esercitata da Mediobanca: quando nel 2002 l’indebitamento del gruppo torinese raggiunge livelli d’allerta, gli Agnelli si guardano bene dal chiedere il “soccorso” di via Filodrammatici, di cui hanno visto gli effetti col Banco Ambrosiano ed il gruppo Ferruzzi, e si affidano ad una cordata di banche che erogano nel 2002 un prestito convertendo da 3 €mld. Inutili sono gli sforzi di Mediobanca, come ad esempio l’acquisto del 34% della Ferrari ad un prezzo di favore, di riportare la Fiat sotto il suo controllo.
Aver schivato la “cura” di Mediobanca, non evita però agli Agnelli il rapido smantellamento dell’impero, smontato pezzo dopo pezzo: Edison, Avio, Fiat Ferroviaria, Alpitour, Rinascente, San Paolo Imi, etc. etc.
Parallelo, quasi che il destino delle due società fosse indissolubilmente legato, è il declino di Mediobanca: nel 2000 si spegne Enrico Cuccia, “il biondino dagli occhi di ghiaccio” abituato a scrivere a matita, così da poter cancellare e riscrivere a piacimento. Poi, nel 2003, il suo delfino, Vincenzo Maranghi, è estromesso dalla guida dall’istituto e morirà di un male incurabile quattro anni dopo.
Ma è sopratutto il mutato contesto economico a sancire la decadenza di via Filodrammatici: Mediobanca non è più il sole immobile del sistema italiano, il salotto attorno cui ruota l’impresa privata e pubblica, bensì è una semplice (e modesta) banca d’affari che deve galleggiare nei marosi della concorrenza nazionale (le ex-banche d’interesse nazionale, ora privatizzate) ed internazionale (colossi come JP Morgan, Lazard e Goldman Sachs). Mediobanca vive, in sostanza, dei dividendi elargiti dalle partecipate (peraltro in continua dismissione), prime fra tutti Generali, e si “svilisce” alla funzione di semplice banca commerciale, costituendo nel 2008 Che Banca! Circola saltuariamente la voce di una fusione tra via Filodrammatici e Unicredit5, ma si tratterebbe di sommare due debolezze nella speranza (vana) di farne una forza.
Sullo sfondo c’è sempre il Corriere della Sera, per quasi trent’anni alcova dove si è consumato l’amore tra Fiat e Mediobanca.
Gli Agnelli-Elkann partecipano all’aumento di capitale monstre dell’estate 2013, ma gli interessi della famiglia e del gruppo stanno mutando: sempre più estero e meno Italia, sempre più finanza e meno auto. La Fiat Spa, gloriosa sigla che in Italia incute ancora dimore, cambia ragione sociale nel 2014, assumendo il nome di Fiat Chrysler Automobiles N.V., sede legale nei Paesi Bassi e fiscale in Regno Unito, e più volte è annunciata la disponibilità a diluire il gruppo in una società di dimensioni ancora maggiori, anche a costo di perdere il controllo della neonata FCA (invano è corteggiata questo proposito la General Motors). L’emergere nella successione famigliare del ramo Elkann schiude poi all’ex-dinastia sabauda le porte della grande finanza ebraica: nell’estate del 2015 l’Exor sale al 43% del settimanale The Economist, il principale megafono delle oligarchie della City, consentendo così agli Agnelli-Elkann di sedere, primi inter pares, a fianco dei Rothschild e degli Schroder.
Ceduto il controllo de La Stampa all’acerrimo rivale dell’Avvocato, Carlo De Benedetti, gli Agnelli-Elkann annunciano lo storico disimpegno dal capitale del Corriere della Sera, bisognoso dell’ennesimo apporto di capitale fresco per puntellare il disastrato bilancio. A frenare le velleità di conquista di Urbano Cairo, editore di scuola “berlusconiana” ed estraneo ai salotti buoni, non resta a questo punto che Mediobanca, coadiuvata da quel che rimane dei salotti buoni (i Pesenti hanno nel frattempo venduto l’Italcementi ai tedeschi di HeidelbergCement e l’impero Ligresti è stato travolto dagli scandali giudiziari), per organizzare un’estrema difesa di Piazza Solferino.
A nulla vale l’immancabile appoggio del Finacial Times e della finanza anglofona: Mediobanca perde la battaglia sul mercato a vantaggio di Cairo, che con la sua offerta pubblica di scambio rastrella il 48,8% del capitale di Rcs contro il 37,7% dei rivali. È la fine di un’epoca iniziata nei primi anni ’80 con il crack del Banco Ambrosiano e l’estromissione della famiglia Rizzoli. A distanza di pochi giorni, infine, anche l’Exor, la cassaforte della famiglia Agnelli, dice addio all’Italia, trasferendo la sua sede legale e fiscale in Olanda.
Sul salotto buono e sul binomio Fiat-Mediobanca è calato così definitivamente il sipario: visti i danni prodotti all’industria informatica (Olivetti), bancaria (Banco Ambrosiano), chimica (Ferruzzi), alimentare (Parmalat) e delle comunicazioni (Telecom Italia), non si può che esserne felici.
Resta il fatto che per l’Italia, accertata la pochezza del “grande capitale” nostrano, la sola strada per invertire il processo di decadenza economica e sociale apparentemente inarrestabile, passa per il ritorno alle origini del “miracolo economico”, riconducibili in realtà ai provvedimenti d’urgenza presi negli anni ’30: sistema creditizio pubblico ed economia mista, così robusti da garantire il benessere nonostante le scelleratezze dei “salotti buoni”.
1Il miracolo scippato, Marco Pivato, Donzelli Editore, 2011
2 Confiteor, Massimo Mucchetti, Cesare Geronzi, Universale Economica Feltrinelli, 2013, pag. 309
3La storia di Igor Markevic, Giovanni Fasanella, Giuseppe Rocca, Chiarelettere 2009, pag. 244
4L’uomo che sussura ai potenti, Luigi Bisignani, Chiarelettere, 2013, pag. 134.
5http://www.repubblica.it/economia/rubriche/affari-in-piazza/2016/05/31/news/perche_fondere_unicredit_e_mediobanca_e_una_cattiva_idea-141004631/
Sempre brillante. Comunque direi “a consuntivo” che i giochi siano fatti per sempre poiche’ le zecche lascino il cane solo quando il cane e’ morto . Vedremo ( e gia’ vediamo, es cina ) altrove i successi della “ricetta fascista” di beneduce e mai nessuno che ne riconoscera’ “l’ italico genio” visto che , more solito, a primi rinnegarlo siamo stati noi ( anzi il suo stesso “figlio” 🙂
concordo con WS; mancherebbe un ‘ritrattino’ di Ghiath Pharaon in Montedison; inoltre sarebbe curioso sapere come mai Borrelli non schiacciò giammai l’interruttore di quel “faro che voleva accendere su MEDIOBANCA”……
E POI 1 ADDENDA. Gardini…sì, gran Nocchiere di Bordo ma non ebbe la + pallida idea con chi aveva a che fare…..nemmeno se ne accorse di uno jota, di un angstrom….
“Sul salotto buono e sul binomio Fiat-Mediobanca è calato così definitivamente il sipario: visti i danni prodotti all’industria informatica (Olivetti), bancaria (Banco Ambrosiano), chimica (Ferruzzi), alimentare (Parmalat) e delle comunicazioni (Telecom Italia), non si può che esserne felici.”
Nell’articolo, interessante come al solito, non ci sono i riferimenti al “peso” Fiat/Mediobanca nel crollo
Parmalat. Potresti aggiungere una postilla ?
Grazie
Parmalat, come nel caso della Ferruzzi, era fuori dall’orbita di Mediobanca. Inviarono a Collecchio il fidato Enrico Bondi che accumulò nel giro di pochi anni 3,5 €mld di liquidità a fronte di un indebitamento di 5€: la misteriosa famiglia Besnier, riconducibile probabilmente al giro di Vincenzo Maranghi ed Antoine Bernheim, la comprò quasi senza esborsare un soldo.
la misteriosa famiglia Besnier, riconducibile probabilmente al giro di Vincenzo Maranghi ed Antoine Bernheim, la comprò (la Parmalat) quasi senza esborsare un soldo.
E mi sembra che comprò una azienda validissima dal lato industriuale.
Sullo stato finanziario non mi pronuncio perchè nulla so ma ho solo l’impressione che il Tanzi fosse un valido imprenditore che ad un certo punto si fece prendere dal demome del fare a qualunque costo e con qualunque sotterfugio, lecito o meno.
La qual cosa fornì il pretesto per metterlo al tappeto e soffiargli l’azienda da lui creata.
E’ la mia impressione corretta?
Una sote simile mi sembra abbia subito la Liquichimica di Virgillito che ebbe la sfrontatezza di sfidare gli USA con le bio-proteine in sostituzione della soia.
Errore fatale. Risultato: disintegrazione della società.
Bentornato! Una bella analisi come al solito. Ma soprattutto sentivamo la mancanza dell’analista che ci fa sentire meno persi. In una giungla selvaggia popolata da belve feroci Federico Dezzani ci aiuta a distinguere i ruggiti delle belve piu’ pericolose.
Per ricostruire bisogna prima liberare il campo dalle macerie. E in questo senso l’uscita di scena della FIAT è solo che positiva. Il problema principale resta però legato alle popolazioni di questa sfortunata penisola: le classi “dirigenti” che esprimono – volenti o nolenti – sono sempre più corrotte e impreparate. E quando fortunosamente emerge qualcuno veramente in gamba con idee nuove, ci pensano gli “amici” a neutralizzarne il contributo. Tanto nessuno tra i vari “camerieri” italiani avrà mai il coraggio di fiatare… Sinceramente non vedo come uscire da una simile morsa, anche perché il declino degli attuali “padroni” porterà all’arrivo dei nuovi. E i “camerieri” saranno sempre pronti all’inchino…
Se ne sono andati perché oramai la linfa italica è esaurita, e dubito che ci sia una ricostruzione, al limite solo un accentramento del controllo e dei rimasugli economici in una o due mani, ma fortemente controllata dall’esterno.
Bentornato Dezzani, ottima analisi, io nel futuro ci vedrei lo smantellamento del’acciaio, condito da un bel pò di propaganda sulla “decrescita felice”, facendo credere al gregge che un paese come il nostro può vivere di turismo, tanto si bevono tutto, intanto ci impoveriamo sempre di più…
Un bomba a orologeria perfetta direi, chissà, chi vivrà vedrà….
Saluti
certo si può vivere di turismo…. in qualità di camerieri appunto, e non metaforicamente parlando.
è appunto il progetto del renziano Farinetti, che si appresta a trasformare Bologna in una Disneyland del cibo (pardon… food) dove minaccia di condurre un milione di cerebrolesi all’anno
Scusami, ma mi sa che l’acciaio italiano è già stato in pratica smantellato (vedi Ilva). Quello che ora si cerca di attaccare è l’ultima grande azienda italica tecnologicamente di rilievo, Leonardo che si vuole far fondere con Airbus.
QUANDO SI PASSA NELLA A1 PRIMA C’ERA 1 PALAZZONE CON SU SCRITTO AGRIMONT, ORA L’INSEGNA è CARGILL…..ma guarda un po’….
La geniale analisi del neo Tacito resoconta fulminea la catastrofica influenza della famiglia di Marranos sull’economia e lo sviluppo, a causa loro mancato, del Paese che li ospita e che loro hanno sfruttato a fondo; ma che, qui come altrove, non è certamente il loro. A frenarne l’azione, qui ancora più che altrove, era la Chiesa. Che a partire dal 1958, senza più Papa, iniziò a far mancare il suo sostegno: Che era anche finanziario, naturalmente. Messa per l’Italia. Aosta, 1992. Ovvero: il non Papa polacco conferma. L’Italia è vostra. Potete dividerla come credete. Meno di 25 anni dopo, non sarà un nuovo (e nostro caro amico, ben conosciuto in Svizzera) Benito a salvarne ciò che resta della sua economia. Ma l’imminente crollo complessivo, che partirà proprio dal Vaticano.
@Willy Muenzenberg
…la Chiesa. Che a partire dal 1958, senza più Papa,…
per la precisione dal 28 Ottobre 1958.
Sono contento di scoprire che anche altri abbiano colto la vera fonte del tracollo.
Da quella data di Cristianesimo ne é rimasto sempre meno ed oggi, parere tutto personale, siamo al punto che quello in carica sta per sbarrare definitivamente le porte del cielo oltre che distruggere definitivamente l’Europa tutta.
Non dovrebbe essere tollerato e non lo sarebbe se i più comprendessero la relazione tra cause ed effetti, tra propaganda demente e sua applicazione pratica da parte di politici a dir poco confusi.
applicazione pratica:
13.000 migranti “salvati” negli ultimi cinque giorni
http://www.quotidianolive.com/salvati-circa-13000-migranti-dalla-guardia-costiera-in-5-giorni/28380
non per essere indiscreto,sarei interessato a capire meglio queste sue affermazioni sul 28 Ott 1958
grazie
Salve,non sono d’accordo sulla morte di Calvi per la sua posizione sulle mailvinas, quanto piuttosto sulla sua posizione nel rapporto tra vaticano e solidarnosc. Per fare la guerra occorre denaro,che il papa polacco ha chiesto alla finanza cattolica (Calvi) a cui successivamente non ha restituito niente facendo fallire l’ambrosiano,Calvi minaccio di parlare e ovviamente
fu suicidato
Calvi venne ammazzato per lo IOR. Lui aiutava il riciclo dello IOR. L’intuizione geniale di Andreotti, che lo IOR doveva essere la Cassa dove si detenevano i soldi della Mafia + i fatti sporchi del vaticano (tipo investimenti in armi, ditte di preservativi, ecc..) doveva avere un canale esterno dove far defluire capitali e raccogliere capitali. Questo era il banco Ambrosiano. Quando il banco Ambrosiano saltò, poco dopo il fallito attentato a Papa Vojtila, Calvi fu costretto a fuggire, assistito nei trasferimenti dal massone Carboni (che farà carriera fino ai nostri giorni, visto che è stato “consulente” per la banca Etruria da parte del padre della Boschi). Carboni, allora giovanissimo, lo ammazzò probabilmente con le sue mani, visto che era un uomo di fegato, o aiutato da qualcuno , inglese o barbaricino che fosse.
Tesi vecchia, diffusa da chi ha realmente perpetrato l’assassinio.
bentornato, Dezzani.
crisi cardiache seduti nello scompartimento d’un treno. o passeggiando al mare a 48 anni, come Corso Salani. Digitalina?
incidenti stradali. come il camion contro l’auto di don Balducci. o passaggi a livello apertisi scorrettamente (a very british coup, nella fiction. regia Mick Jackson). od investimenti strani in vacanza, come il maresciallo Zammarelli. o frecciate al cuore dallo zio paterno, come l’avvocata Anelli. o motocicli sabotati (il buon Franceschetti può testimoniare). poi però non si capisce più il limes. si rischia di scrivere ricami mitizzanti anche sull’incidente all’auto trasportante Berlinguer in Bulgaria.
una faticaccia, usare il novacula occami o l’altro di Hanlon.
do not feed the trolls. I starve them
quindi a far fuori Kleeves è stata la cara nipote?
quanto avrà percepito per l’opera prestata?
Si tratta chiaramente di refuso . la “versione ufficiale” recita che ” l’ avvocato anelli (alias J.kleeves )morbosamente innamorato della nipote l’abbia sgozzata per poi suicidiarsi all’ interno della sua utilitaria con un colpo di balestra fatta in casa” una cosa che assomiglia maledettamente ad una sarcastica “soluzione staliniana con damnatio memoriae”
Per cui il buon dezzani va capito nel suo ” rarefare gli interventi” , anche se questo di certo non lo metterebbe mai al riparo … anche J.Kleeves non scriveva piu’ da anni, eppure…
fermi tutti.
precisiamo (grazie dell’ospitalità, Dezzani).
non si tratta di refuso. se ho scritto “dallo” zio, è perchè il dardo secondo la versione ufficiale uccise LA avvocatA Anelli, ok? (ho lasciato suggerimento di lettura citando il Franceschetti, che di procuratori legali stranamente deceduti ne cita ben ulteriori, ok).
lo zio Stefano era sì laureato, ma in ingegneria (che poi ho ipotizzato fosse il paterno, ma non ne sono sicuro. potreste navigare e… corriggermi, a beneficio chiarezza blog).
do not feed trolls. I starve them
Federico, a che punto sei con Henry Laurence Gantt (ingegnere pure “isso”, come direbbe il camorrista che regalò insider trading sul povero Pantani al Vallanzasca)
Occhio, Ws, a non incappare nel filtro “anti-cazzate”.
Beh, ho vissuto a Torino fino al 1986. Gianni Agnelli era un gran signore ( grande tirchio, grande battutista, grande puttaniere) ma assolutamente incapace nel gestire una azienda. A lui dobbiamo il punto unico di contingenza che fomentò l’inflazione anni 70. Aveva il terrore della sinistra vera di quei tempi. Quando Romiti impose la “marcia dei quarantamila” che ribaltò la situazione, gli Agnelli prudentemente, partirono per la Francia, terrorizzati di quanto sarebbe potuto accadere. Ovviamente non accadde nulla. I quarantamila sfilarono per il centro di Torino (Corso Umberto, Corso Galileo ferraris ecc.) tra gli applausi dei torinesi. Ovviamente, era il centro “bene” , vicino alla Crocetta. La sinistra aveva rotto le palle a tutti. Chiedeva il “pizzo” per uscire da Torino e dovevi mollargli mille lire se non di più per andare a prendere l’autostrada. Ho sentito Berlinguer tenere un comizio di fronte a 300 disperati che facevano ancora il picchetto a Mirafiori. Un deserto. Ho avuto pena per il mio conterraneo.
Non concordo con la “caduta dell’impero” Fiat descritta nel pezzo. Non è stata una “caduta”. Semplicemente, l’avvocato aveva posto la sua condizione : finchè sono vivo, non rompetemi le palle. La Fiat resta qui. Nel frattempo, aveva predisposto il trasferimento dei beni da Torino a New York, dove era di casa. Infatti, la Fiat, che aveva sostituito Romiti con Fresco, che funzionava da cerniera per la vendita alla GM, e faceva la “due diligence” Fresco, con l’aiuto di mediobanca, vendette tutto: il 5% di GM, la Fiat Avio, la Toro assicurazioni, la Magneti Marelli, l’IPI, la Fidis, ecc.ecc. In più riuscì a presentare bilanci in rosso di 40.000 miliardi in due anni, vendendo circa due milioni di auto e senza investire una lira nella azienda. Evento impossibile. Bilanci truffa che nessuno contestava. I miliardi furono trasferiti a New York. Con quei soldi, l’erede Elkann venne “adottato” dalla finanza ebraica – Elkann è ebreo per parte di padre – e gli venne venduta la Chrysler, che pagò appena possibile, prendendo il cash che il nonno aveva trasportato là. Naturalmente, lui non c’entrava, era Marchionne a fare e disfare.
Un altro punto che avrei sviluppato era la sinergia che Agnelli provava con Kissinger ( con Ford erano amici, ma Ford era fuori dai giochi essendo solo un rentier . L’amicizia con Ford era del nonno dell’avvocato, durante l’intervallo tra le due guerre). Invece Agnelli era amicissimo di Kissinger, che veniva personalmente a Torino per trasmettere gli ordini della finanza ebraica ed assistere alle partite della Juve..Kissinger è potentissimo anche oggi, che ha quasi novant’anni…
Scusatemi, continuo dopo.
Già, Kissinger e Agnelli furono entrambi membri del Club or Rome, la storia recente italiana passa tutta da lì, il processo di deindustrializzazione e contestuale decrescita demografica (si pensi al ruolo dei socialisti e dei radicali nello spingere la legge sull’aborto), messo in pratica a partire dall’assassinio di Aldo Moro in poi, è uno dei tanti risultati ottenuti da questa sorta di “governo ombra” che aveva lo scopo di mettere in atto la politica estera della superloggia di potenti che controlla il mondo occidentale. Aurelio Peccei era il Marchionne dell’epoca, anche lui membro direttivo del Club of Rome come Kissinger. Come si assegna la guida di un governo al capo di un partito (Craxi, anche lui ne era membro) con solo l’11% dei voi? Semplice, basta essere membri del club e portare avanti l’agenda di quello che oggi chiamiamo “globalismo”. La disintegrazone dell’industria italiana è stata pianificata e portata avanti nei minimi dettagli e chi si è opposto (Moro, tanto per fare un nome) non ha fatto una bella fine, per non parlare del boicottaggio dell’energia nucleare da parte delle associazioni ambientaliste dell’epoca finanziate dai soldi di questi stessi personaggi, esattamente come oggi Soros finanzia i sostenitori del riscaldamento globale che serve a portare avanti l’agenda globalista dei prossimi 15/20 anni
Circa il “contadino” Gardini, che viene descritto quasi come una vittima – ed in effetti vittima fu, proprio fisicamente- avrei qualche appunto da fare. Gardini aveva sposato la figlia di ferruzzi, uno che aveva veramente i soldi. Ma sempre a livello di produttori. Ora , Gardini vuole entrare nella grande finanza e nella Borsa. Perciò chiede a Cuccia di organizzare un aumento di capitale della sua Agricola, che era il titolo del listino di Piazza Affari dell’epoca. Cuccia, visto che la Fiat si era ritrovata in mano il 17% di montedison, di cui non voleva occuparsi, su imput di Romiti, organizza l’aumento di Agricola. 600 miliardi di allora, tanti soldi. (Le assicurazioni di Pesenti, la RAS, era passata ai tedeschi per 550 miliardi). esce la pubblicità dell’aumento sul Sole 24 Ore. L’icona scelta era un sole con molti raggi intorno.Ogni raggio terminava con la scritta della azienda che sarebbe stata conferita da Gardini-Ferruzzi contro i 600 miliardi cash, che dovevano mettere i risparmiatori retail. In pratica, Gardini-Ferruzzi, dicevano: noi mettiamo 10 aziende ( erano anche di più) e voi mettete i soldi.
Cuccia garantì la sottoscrizione. A pochi giorni dell’aumento, vien fuori un comunicato, in cui viene detto, : Voi mettete i soldi, noi diremo DOPO quali aziende conferiremo, PER MOTIVI FISCALI.
A quel punto io dissi tra me: Questo è un ladro, e finirà male.
Ma vi è di più. Sottoscritto l’aumento, ed incassati i 600 miliardi, Cuccia gli offre – diciamo che era la conditio sine qua non- di sottoscrivere il 17% della Montedison in mano alla Fiat, ma gardini rispose a Romiti: A me il 17% non mi interessa. E si tenne i soldi.
Romiti, furibondo, va da Cuccia e disse sistema la cosa in qualche modo. E Cuccia si inventò un venditore di vernici, mi sembra di ricordare la Max Meyer. come sottoscrittore. Naturalmente gli offrì tutti i soldi necessari attraverso Mediobanca ed il retail che comprarono le azioni.
Altro episodio vergognoso della finanza di allora.
Tra Romiti e Gardini fu guerra aperta. Più tardi, Gardini fece l’OPA su montedison, poichè , avendo creato la maxitangente per tutti i partiti politici, volle creare un gruppo comprandosi l’ENI chimica.
Nacque quindi Enimont, formata da una jont venture Montedison- sotto Gardini- ed ENI- sotto lo Stato che divennero soci paritari al 40%, con il 20% sul mercato, cioè sotto controllo di Cuccia.
Il tracollo di Borsa , unito a tangentopoli, fece il resto. Gardini venne probabilmente suicidato, perchè non era tipo da depressione.
Fai un po’ di confusione, Guido. Nel 1993 Gardini era già uscito dalla Ferruzzi.
Chiedo a Federico se farà un aggiornamento sulla strage di Nizza. Esistono nuovi elementi? Per me, sì. L’attacco nella notte all’Istituto di Criminologia di bruxelles, un incendio quasi sicuramente provocato per distruggere prove all’interno dell’istituto. (Meglio: si portano via le prove e si incendia un po’ tutto, per far scomparire tracce…). Lo collegherei alla strage di Parigi e, perchè no, magari anche a quella di nizza…Che ne è del prigioniero trasferito? Esiste una autopsia del cadavere dell’attentatore ? Perchè sarebbe interessante capire come i colpi della polizia siano arrivati attraverso i vetri del camioncino…ecc.
Magari scriveremo qualcosa in occassione dell’anniversario del 13/11.
Volevo sapere se, secondo Dezzani, oggi è rimasto qualche economista, all’interno dei quadri dell’attuale blocco di potere politico al potere, che abbia una visione delle prospettive del Paese libera dai condizionamenti asfissianti delle politiche economiche euro atlantiche.
Keynesiani e liberisti sono un tutt’uno: pedine dell’oligarchia finanziaria. Se ne esce con politiche non ortodosse, le più odiate dai banchieri: moneta stampata dallo Stato.
Vorrei fare un commento su Mediobanca del tempo e Cuccia.
Per chi non ricorda quei tempi, bisogna sapere che allora le Banche erano dello Stato. Comit, Credito italiano (oggi unicredit) e banca di Roma. Mediobanca era privata, ma per rastrellare danaro emetteva obbligazioni che venivano sottoscritte dalle banche di Stato. Lei, pagava le obbligazioni, facendo speculazioni di Borsa, che allora erano facilissime, perchè il mercato era solo italiano, in pratica chiuso. Una delle speculazioni principali veniva fatta sulle Generali, che avevano una figlioletta prediletta, la Alleanza, dove venivano versati i guadagni. Le Generali ogni quattro o cinque anni, facevano un aumento di capitale, in cui offrivano nuove azioni agli azionisti, pagando un prezzo modesto. In pratica, le azioni Generali quando arrivavano a 100.000 lire, venivano dimezzate ed il valore ripartiva da 50000, per tornare in breve tempo a 100.000. Ed a quel punto di nuovo si vendevano altre azioni a metà prezzo, ecc. In pratica da una azione, con i continui aumenti di capitale ne facevano una decina. L’azienda era sempre la stessa, ma i foglietti di carta erano molti di più.
Le generali erano di proprietà ( cioè il controllo) degli Agnelli per il 5,5%, in un misterioso fondo francese- mi sembra si chiamasse Euralux- alleate con Mediobanca al 7% circa e le banche nazionali con il 2-3% ciascuna. Un blocco di ferro. Il resto era retail, in pratica non contava.
La Fiat approfittava di Mediobanca, ovviamente. Quando si trattò di rilevare la quota di gheddafi del 16% di Fiat, e la Fiat valeva un sacco di soldi, allora ( 17000 lire ad azione ), Romiti ottenne da Mediobanca i soldi depositati in Svizzera, al tasso del 2% per un prestito decennale. ( I BOT davano il 12% nel 1986). Idem quando si trattò di rilevare Alfa Romeo nel 1990. Anche qui due prestiti, uno all’1% e l’altro al 3% , sempre decennali.
In pratica, le nostre Banche nazionali (Comit, Credit, Banca Roma) sotto lo Stato, foraggiavano le scorribande di mediobanca e della Fiat. Era proprio un impero. Naturalmente, anche i politici avevano il loro tornaconto con mazzette in contanti portate personalmente da romiti, che si prese i quattr anni per patteggiamento nei fatti di tangentopoli, ma salvando Agnelli.
Come liquidazione: Gemina, 10% di ferrari, ecc…in pratica un centinaio di miliardi…
Mi sembra molto interessante leggere un articolo che riporta le malefatte di personaggi importanti che hanno contribuito alla decadenza italiana.Trovo inoltre importanti i commenti che aiutano a capire il succedersi dei fatti che purtroppo i nostri media trattano in modo troppo superficiale.
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