Come cambia il subcontinente indiano

Il ventennale conflitto in Afghanistan si è concluso con la ritirata della NATO ed il simultaneo collasso del governo filo-occidentale installato a Kabul: nel giro di poche settimane, i talebani hanno riconquistato l’intero Paese. Il tentativo degli USA di presidiare il cuore dell’Eurasia, “partendo” dall’India, termina tragicamente come il precedente britannico del 1839-1842. L’India ne esce indebolita, la Cina rafforzata: tagliati fuori dall’Eurasia centrale, gli angloamericani aumenteranno la pressione sulla cintura esterna.

Retreat from Kabul 2.0

Questa sarà un’analisi con poco terrorismo islamico e molta geopolitica: sarà un’analisi che abbraccerà in poche righe un ventennio in cui il mondo è radicalmente cambiato e gli USA, da una posizione d’egemonia pressoché indiscussa, tanto da poter pensare di spingersi sino nel cuore dell’Eurasia, sono passati ad una condizione di difesa della loro stessa egemonia, tanto da doversi preparare ad una guerra tra grandi potenze nell’Atlantico e nel Pacifico.

Corre l’anno 2000: la Russia ha fatto default da appena due anni e col neo-presidente Vladimir Putin è entrata in una lunga e dolorosa fase di convalescenza. In Cecenia le forze separatiste sono tutt’altro che domate. La Cina ha un PIL che è un decimo di quello statunitense ed ha scarsissimi mezzi economici-militari per influenzare la politica internazionale. L’Unione Europea, proiezione politica della NATO, è completamente assorbita nell’introduzione dell’euro, le cui basi teoriche sono state fornite da Robert Mundell, professore della Columbia University di New York. Il contesto internazionale è dunque più favorevole che mai per rafforzare il controllo angloamericano su quella fascia di deserti e montagne che avvolge la parte centrale dell’Eurasia: la “mezzaluna interna” di Mackinder o il “Rimland” di Spykman. Paesi a prevalenza mussulmana: Iraq, Iran ed Afghanistan. Così facendo, gli USA intendono ripercorrere le orme degli inglesi che, partendo dall’India, avevano tentato nel 1839 di estendere la propria influenza in funzione anti-russa sino all’Afghanistan, occupando il Paese ed installandovi un monarca amico.

La conquista dell’Afghanistan implica necessariamente l’abbandono della strategia della Guerra Fredda (buoni rapporti col Pakistan, che sostiene i miliziani islamici in funzione anti-sovietica, e rapporti tendenzialmente ostili con l’India filo-russa) ed il prepotente ritorno in scena del vecchio schema imperiale britannico, interamente incentrato sull’India. La visita di Bill Clinton in India nel marzo del 2000 segna l’inizio del “renversement des alliances” della Guerra Fredda, sviluppatosi prepotentemente negli ultimi anni. Nel settembre 2001, pochi giorni dopo l’attacco alle Torri Gemelle, Washington toglie le ultime sanzioni economiche relative ai test nucleari condotti da New Dehli: gli indiani sono ora amici, mentre i pakistani, che col loro potente servizio segreto ISI intrattengono pericolosissime relazioni con “Al Qaida” ed i talebani, sempre più ostili. L’invasione dell’Afghanistan da parte delle truppe americane e la creazione nel dicembre 2001 dell’ISAF, una forza internazionale estesa ai Paesi NATO, sono ovviamente un duro colpo per Islamabad che, orfana dell’appoggio americano, si trova a fare affidamento sempre di più sulla Cina. Si noti che l’alleanza sino-pakistana, risalente alla Guerra Fredda, era stata implicitamente benedetta da Londra e Washington in funzione anti-russa ed anti-indiana: nel nascente assetto geopolitico, l’intesa tra Pechino e Islamabad è invece fumo negli occhi per gli anglosassoni. La cooptazione dell’India nello schieramento occidentale implica necessariamente, infine, il riavvicinamento tra Russia e Cina, accerchiate da ogni lato dalle potenze marittime: il 2001 è, infatti, anche l’anno di nascita della Shanghai Cooperation Organization, cornice di sicurezza estesa a Mosca, Pechino e ad ai Paesi asiatici dell’ex-URSS.

L’analisi a questo punto passa al fatidico 2009: la Grande Recessione, anziché segnare una battuta d’arresto  dell’economia cinese, determina l’affermazione della Cina come motore della crescita mondiale. Nonostante le gravi difficoltà economiche interne e le spese già sostenute (1.000 miliardi di $), l’interesse angloamericano per l’Afghanistan rimane altissimo, perché il Paese centro-asiatico si trova al crocevia di tre grandi potenze continentali ostili agli anglosassoni: Cina, Russia ed Iran. In risposta alle iniziative sempre più aggressive dei talebani, Barack Obama risponde perciò nel 2009 col “surge” (l’ondata), ossia l’invio addizionale di 17.000 soldati americani. Lo sforzo americano sta per raggiungere l’apice: l’ISAF conta 130.000 soldati, di cui 100.000 statunitensi. In risposta Cina e Pakistan rafforzano i legami finanziari e militari. Emerge il significato strategico che il Paese mussulmano riveste per Pechino: deterrente contro l’India e piattaforma logistica per raggiungere l’Oceano Indiano attraverso il Kashmir. A latere occorre ancora evidenziare che il 2009 coincide con l’inizio dell’eurocrisi, ossia il tentativo da parte angloamericana di destabilizzare l’Europa, portando al collasso la moneta unica creata appositamente su basi instabili.

Anno 2014: rivoluzione colorata in Ucraina ed annessione russa della Crimea. Nuove sanzioni occidentali contro Mosca. Obama dichiara che la missione in Afghanistan è terminata e che le truppe d’ora in avanti addestreranno solo l’esercito afghano: il ritiro dei soldati si velocizza e all’epoca si contano circa 16.000 soldati americani. La neonata Nuova via della Seta, l’ambizioso progetto infrastrutturale cinese per connettere tutto il Rimland asio-afro-europeo, fa del Pakistan il primo destinatario dei fondi cinesi. Gli angloamericani rinsaldano il controllo sull’India, ottenendo la nomina a premier di Narendra Modi, esponente di quel nazionalismo hindù, visceralmente anti-mussulmano e anti-comunista, che aveva giocato sino a quel momento un ruolo del tutto marginale nella vita politica dell’India indipendente. Tra il 2014 ed il 2015, i rapporti tra Washington e New Dehli conoscono un ulteriore salto di qualità, dall’economia alle sinergie militari.

Anno 2020: la pandemia sancisce l’inizio delle ostilità tra Washington e Pechino per l’egemonia mondiale. Il “cuneo” angloamericano tra Cina, Russia ed Iran, dopo aver assorbito 2.000 miliardi di $, è ormai intenibile, perché gli angloamericani devono prepararsi ad affrontare le potenze continentali nel luogo che, soltanto vent’anni prima, era di loro esclusivo appannaggio: gli oceani, ed in particolare il mare antistante alle coste cinesi. L’obiettivo di Washington è dotare il governo afghano di forze militari tali da conservare i grandi centri urbani (con gli annessi aeroporti) e di ritirare le proprie truppe. In una prospettiva più ampia, la pandemia determina il definitivo decollo delle ferrovie intercontinentali che uniscono Cina, Russia e Germania.

Estate 2021: la scommessa degli strateghi angloamericani in Afghanistan si rivela completamente fallace e l’annuncio del neo-presidente Biden (decisione unilaterale, che decreta lo stato terminale della NATO) di ritirare i soldati entro il 20esimo anniversario dell’attentato delle Torri Gemelle genera una velocissima dissoluzione politica, e quindi militare, del governo afghano filo-occidentale. La velocità del collasso è così rapida che i talebani riconquistano Kabul il 15 agosto, addirittura prima che gli USA e le potenze occidentali terminino l’evacuazione del loro personale diplomatico. Solo la disponibilità di velivoli e l’assoluto predominio dell’aria scongiurano una ritirata sanguinosa come quella britannica del 1842. Vincono Cina e Pakistan ed è solo questione di tempo prima che la Russia seppellisca i rancori risalenti alla Guerra Fredda e riconosca il governo talebano come il legittimo rappresentante dell’Asia: del resto, Mosca ha sfruttato l’avanzata talebana per ristabilire il controllo militare sui propri ex-satelliti centro-asiatici. Perdono USA e UK e, soprattutto, perde l’India: con l’uscita dell’Afghanistan dall’orbita occidentale, la frontiera settentrionale dell’India è più debole che mai, proprio come se l’impero zarista fosse riuscito nel corso dell’Ottocento a attrarre Kabul nella propria sfera d’influenza.

Cina, Pakistan e Russia hanno attuato con successo un “roll back” degli angloamericani nel cuore dell’Eurasia. 20 anni sono occorsi perché, infine, Washington si rassegnasse a perdere il controllo del Paese che domina l’Asia centrale. La risposta degli angloamericani si concentrà sopratutto sulle estremità dell’Eurasia: sviluppo a fondo dell’eurocrisi, con la conclusione del processo di dissoluzione politico-finanziaria dell’Italia iniziato negli anni ’90, crescente pressione politico-militare sulla Germania, provocazioni a Taiwan per costringere i cinesi all’invasione, assegno in bianco al nazionalismo indiano. 1-0 per i continentali. Palla al centro.