Il gasdotto russo per alimentare l’Europa centro-meridionale non s’ha da fare, né domani, né mai: l’integrazione economica ed energetica tra russi ed europei è la principale minaccia che incombe sul declinante impero americano e per evitare che il continente si saldi, oggi con i gasdotti e domani con le ferrovie ad alta velocità, si ricorre alle consuete rivoluzione colorate ed al terrorismo islamico. Il colpo di Stato in Ucraina e le pressioni dell’Unione Europea, la cui politica estera è scritta a Washington, arrestano momentaneamente il South Stream. Mosca ripropone il progetto spostandolo a sud, ingresso sul lembo europeo della Turchia e terminale in Grecia, per poi ricalcare il precedente percorso. La destabilizzazione degli angloamericani migra seguendo il nuovo tracciato: obbiettivo Balcani.
C’era una volta il South Stream
Se la Germania, forte del suo peso economico e lobbistico (Berlino è tra i paesi che più investono per influenzare il Congresso degli Stati Uniti1), ha il privilegio di rifornirsi direttamente dalla Russia attraverso il gasdotto North Stream inaugurato nel 2011, il discorso è diverso per gli europei del centro-sud, di peso modesto nell’Unione Europea e nullo nella NATO. Come il North Stream collega la Russia ai consumatori finali del gas evitando gli Stati latori di instabilità politica (i Paesi Baltici nel suddetto caso), così è studiato un gemello meridionale che rigiri l’Ucraina che, dopo la “rivoluzione arancione” del 2004 finanziata dal Dipartimento di Stato americano ed il primo tentativo di agganciarla alla NATO del 2008, è considerata da Mosca come un pericoloso ginepraio: il gasdotto progettato per correre lungo i fondali del Mar Nero, lontano dalla coste di Kiev, è il South Stream.
Il primo via libera alla realizzazione del gasdotto risale all’estate del 2009, quando ad Ankara è siglato un accordo per la cooperazione del settore energetico tra l’allora premier russo Vladimir Putin e l’omologo turco Recep Erdogan: alla firma dell’intesa presenzia anche il primo ministro italiano, Silvio Berlusconi, che si dice orgoglioso perché il nulla osta della Turchia al gasdotto del Mar Nero è un successo della diplomazia commerciale italiana. In questa fase il Southstream si presenta infatti come un’iniziativa esclusivamente russo-italiana, dove Gazprom ed ENI sono soci al 50%. Il progetto ha valore strategico per l’Italia, considerato che due premier in successione, di schieramenti per di più opposti, sponsorizzano l’intervento: quando Romano Prodi è costretto nel 2008 a lasciare Palazzo Chigi in favore di Silvio Berlusconi, il premier russo Putin gli propone senza successo la presidenza del consorzio South Stream, carica ricoperta dall’ex-cancelliere tedesco Gerhard Schröder nel gemello nordico.
Che sia però Silvio Berlusconi il vero artefice dell’iniziativa, costruita anche sugli ottimi rapporti personali con Putin, non c’è dubbio e, soprattutto, non hanno nessuna incertezza a riguardo gli americani. Nel gennaio del 2009, quando l’accordo sul South Stream è in fase di perfezionamento, l’ambasciatore americano Ronald Spogli scrive un cablo classificato “segreto”2 dove deplora l’attivismo russo di Silvio Berlusconi e descrive le contromisure adottate affinché allenti i legami con Mosca:
(…) Since the beginning of the summer, wit Berlusconi’s return to power and the Georgia crisis, we have been engaging with GOI (Government of Italy NDR) leaders aggressively at all levels. Pol, PA and Econoffs have engaged party members, GOI contacts, think tanks and even press to provide an alternative narrative to the Berlusconi insistence that Russia is a democratic and stable country that has been provoked by the West. The effort seems to be paying off. The opposition has begun taking jabs at Berlusconi by portraying him as choosing the wrong side of the debate. Some in the PdL have begun to approach us privately (Gianfranco Fini? NDR) to say that they would like greater dialogue with us on the Russia issue, and have indicated their interest in challenging Berlusconi’s giddiness about Putin. (…) We can help get him back on the right track by sending him a clear signal that the U.S. does not need an interlocutor for its important bilateral relationship with Russia and that his insistence on undermining existin structures and channels based on common interests and shared values within the alliance in exchange for short term stability is not a strategy Washington wishes to pursue.
Evidentemente i segnali inviati dagli americani al Cavaliere non sono sufficientemente chiari oppure l’interlocutore è particolarmente resiliente alle intimidazioni, se nell’estate del 2009 è sferrato il primo potente attacco contro l’immagine di Silvio Berlusconi, che culminerà nell’autunno del 2010 con lo scandalo “bunga bunga”: il fotografo Antonello Zappadu, munito di un potente teleobiettivo e sfruttando una sospetta falla nella sicurezza, fotografa il premier Berlusconi all’interno della dimora sarda Villa Certosa, in compagnia di allegre e succinte signorine. Gli scatti sono poi pubblicati sulla rivista El Pais e Zappadu, testimoniando la completa dipendenza dei nostri apparati di sicurezza dagli angloamericani, si scoprirà essere amico3 del bandito sardo Graziano Mesina, collegato ai servizi segreti italiani fin dagli anni ’60.
Nel settembre del 2011, quando nelle stanze dei palazzi romani è già data per scontata la sostituzione del Cavaliere con Mario Monti sull’onda dell’emergenza spread alimentata dalla finanza anglosassone e dalla BCE, a Sochi è siglato un nuovo accordo che prevede la diluizione di ENI nel consorzio Southstream (dal 50% al 20%) ed il parallelo ingresso dei francesi di EDF e dei tedeschi di BASF-Wintershall con il 15% ciascuno4: i franco-tedeschi, sfruttando la debolezza italiana, credono di entrare in un affare lucroso, sottovalutando la determinazione americana ad affossare il progetto.
A conferma della natura strategica del South Stream, sia l’ex- Goldman Sachs Mario Monti5che il successore Enrico Letta6 sostengo a livello internazionale la realizzazione del gasdotto. È in particolare il governo del giovane ex-democristiano che difende l’iniziativa7 quando la tecnocrazia di Bruxelles, emanazione degli interessi americani, alza improvvisi steccati a pochi mesi dall’avvio dei cantieri, usando come pretesto il terzo pacchetto energetico, secondo cui il produttore di gas non può possedere anche la rete. Ricordiamo che, sempre in ottemperanza al terzo pacchetto sull’energia, si consuma lo smembramento ENI-SNAM, desiderio proibito degli americani da decenni ed a lungo propugnato da Washington attraverso il fondo d’investimento Knight-Vinke8, azionista di ENI.
Oltre all’Italia, anche gli altri Paesi interessati dal tracciato dello South Stream (Bulgaria, Serbia, Ungheria, Slovenia ed Austria) sostengono convinti il progetto: ad allettarli non sono solo gli investimenti per la posa delle condotte, ma soprattutto il reddito fisso derivante dai diritti di transito. I legami che il gasdotto allaccia tra la Russia e gli europei sono una vera ossessione per Washington che, analogamente al caso italiano, teme che le sinergie economiche tra Mosca e le altre capitali affievoliscano la propria influenza.
Mentre i servizi italiani piazzano dietro ordine di Washington il fotografo Zappaddu a Villa Certosa per scattare qualche foto piccante del Cavaliere, l’ambasciata americana di Sofia scrive un cablo segreto9 dove si sollecita l’intervento delle più alte sfere del governo per convincere la Bulgaria a desistere dal South Stream:
Our aim should be to bolster the government’s confidence to continue Bulgaria‘s strong engagement in Nabucco (il gasdotto sponsorizzato da Washington NDR), make a decision on South Stream participation that is in Bulgaria‘s long-term interests, and rethink the Belene Nuclear Project. While we are moving forward with working-level engagement, including briefings by American companies and U.S. think tank experts, top Russian government officials are visiting Sofia to follow up on Putin’s personal engagement with Borissov. With a November deadline for decision-making looming, we have a narrow window of opportunity to help the government make tough technical, economic and political decisions on issues critical for our own policies on European energy security.
Nonostante gli sforzi diplomatici, mediatici e finanziari di Washington, la mancanza di una reale alternativa al gas russo e le buone prospettive di ritorni economici ed occupazionali imprimono vigore al South Stream. Come extrema-ratio per bloccare il progetto, Washington non ha remore nel portare la guerra in Europa, orchestrando nel febbraio 2014 il colpo di stato ucraino, dove giocano un ruolo determinante gli ultra-nazionalisti ucraini della vecchia, ma sempre funzionante, Organizzazione Gehlen che dal 1945 fa capo alla CIA.
Muore il South Stream e nasce il Turkish Stream
Mentre i riflettori dei media sono puntati sull’annessione russa della Crimea via referendum e sugli scontri che divampano nel Donbass tra separatisti e governativi, è il gasdotto South Stream che monopolizza la sfida senza esclusioni di colpi tra Mosca e Washington.
Nella primavera del 2014, inscenando una normalità inesistente, il consorzio assegna a SAIPEM il contratto per la costruzione della linea nel Mar Nero, dal valore di 2 €mld, nonostante una prima azienda russa che partecipa ai lavori, la Stroytransgaz, sia già stata inserita nella lista delle imprese sottoposte alle sanzioni europee.
Gli Stati Uniti, attraverso la tecnocrazia di Bruxelles, aumentano la pressione affinché il progetto sia sospeso: diventa fondamentale bloccare il gasdotto non appena questo risale dal Mar Nero ed entra nell’Unione Europea.
La Bulgaria, membro della UE ma tradizionalmente filo-russa, è oggetto di vessazioni da parte di Bruxelles e Washington perché rinunci al South Stream, di cui avrebbe un disperato bisogno non solo per questioni di sicurezza energetica ma anche, e soprattutto, per rivitalizzare la propria comatosa economia: è la commissione europea presieduta da Josè Manuel Barroso, uno dei capi di stato che nel 2003 firmano la lettera a sostegno dell’intervento angloamericano in Iraq10, che accusa la Bulgaria del socialista Plamen Oresharski di pullulare di agenti russi11 ed apre una procedura d’infrazione contro il governo di Sofia adducendo come pretesto irregolarità nelle gare d’appalto.
Le intimidazioni contro il traballante governo bulgaro sortiscono gli effetti sperati, considerato che nel mese di agosto i lavori del South Stream sono definitivamente sospesi: la resa di Sofia alle pressioni di Washington e la successiva sostituzione dell’esecutivo socialista con una coalizione di centro-destra guidata da Boyko Borissov precipitano le relazioni con Mosca che, sentitasi tradita dallo storico alleato, stabilisce per rappresaglia di escludere la Bulgaria dal futuro nuovo tracciato.
Perso il tassello bulgaro, a poco servono le rimostranze di Serbia (il cui atteggiamento verso la UE muta radicalmente dopo la vicenda South Stream), Slovenia ed Austria affinché il progetto non sia fermato: in un primo momento il tragitto è modificato, stralciando il terminale italiano di Tarvisio dal progetto, ma nel corso dell’autunno 2014 Mosca realizza che il boicottaggio di Bruxelles è insuperabile.
Il 2 dicembre Vladimir Putin, ospite a Istanbul del premier turco Recep Erdogan, annuncia la definitiva cancellazione del South Stream: Gazprom ricompra da ENI, EDF e BASF le quote del consorzio e rimane incerto il destino delle commesse già assegnate, tra cui il contratto miliardario vinto da SAIPEM.
Lo stesso giorno, parallelamente al funerale del South Stream, il presidente russo annuncia la nascita del Turkish Stream, ovvero la riproposizione del precedente progetto con la differenza che il gasdotto controllato da Gazprom non approda più sulle coste bulgare ma si ferma sull’istmo della Turchia europea, al confine con la Grecia. Il ragionamento di Gazprom per eludere le restrizioni di Bruxelles è semplice: dei 63 mld di metri cubi annui di gas in arrivo dal Mar Nero, 16 saranno acquistati direttamente da Ankara, ed i restanti 47 saranno portati al confine greco, lasciando a carico dei consumatori finali l’onere di trasportarlo entro i loro confini con i propri mezzi.
Posto che difficilmente gli utenti austriaci ed italiani si accalcheranno al confine greco-turco con le bombole da riempire, si ripone il problema di costruire, spostato a sud-ovest della Bulgaria, il gasdotto che risalga i Balcani per raggiungere l’Europa Centrale.
Il primo decisivo passo in questo senso è compiuto durante la visita a Mosca del neo-premier greco Alexis Tsipras, che si dice disponibile ad ospitare in territorio ellenico il prolungamento del Turkish Stream. Per non incappare nelle procedure di infrazione di Bruxelles, Gazprom è disposta ad anticipare ad Atene i futuri utili derivanti dai diritti di transito, in modo tale che l’esangue Grecia costruisca un gasdotto di cui è proprietaria12.
L’infrastruttura che nasce sulle ceneri del South Stream prende forma un passo alla volta: il 7 aprile 2015 si riuniscono a Budapest i ministri degli esteri di Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia ed Ungheria per discutere di approvvigionamenti energetici. L’esito della conferenza è positivo se a distanza di una settimana il ministro russo dell’energia Alexander Novak riferisce che il Turkish Stream si collegherà all’impianto di stoccaggio di Baumgartner, in Austria, transitando lungo il territorio balcanico ed ungherese13.
Come un’araba fenice, il South Stream resuscita e con lui sono rispolverati i contratti firmati dal precedente consorzio: SAIPEM riceve agli inizi di maggio la notifica dal cliente South Stream Transport Bv che sospensione dei lavori è revocata e può ripartire la posa delle condotte nel Mar Nero, lungo il tracciato che è rimasto immutato rispetto al precedente disegno14.
Possono gli angloamericani, dopo aver speso ingenti risorse nel colpo di stato ucraino e nel foraggiare il traballante esecutivo di Kiev, consentire a Mosca la costruzione dell’aborrito gasdotto per l’Europa centro-meridionale, spostato solo più a sud di qualche centinaio di chilometri rispetto al progetto originario? La risposta è ovviamente no.
Dopo l’Ucraina, il Levante ed il Nord Africa, Washington e Londra aprono quindi l’ennesimo fronte di destabilizzazione, che ricalca il tracciato del nuovo gasdotto: i Balcani.
Irredentismo albanese ed ISIS per la destabilizzazione dei Balcani
I Balcani sono teatro di ingerenze angloamericane sin dalla dissoluzione dell’URSS nel 1991, quando Washington, collaborando con Berlino e Vienna, si adopera per lo smembramento della Iugoslavia, considerata come un moltiplicatore dell’influenza russa nella regione grazie al ruolo di guida esercitato dai serbi nella federazione. In ossequio al classico principio del “divide et impera”, si fomentano i nazionalismi e le tensione interreligiose, finché questi non sfociano nella guerra: qualora poi il conflitto tra le etnie segni il passo o non segua il percorso auspicato, Washington interviene direttamente nel conflitto, adducendo come pretesto attentati o stragi falsa bandiera.
È un attentato falso bandiera la strage al mercato di Sarajevo del 1994, attribuita all’esercito serbo ma perpetrata in realtà dai mussulmano-bosniaci, affinché la NATO bombardi le postazioni dell’esercito di Belgrado schierate attorno la città15: è la BBC inglese a documentare quasi in diretta la carneficina tra le vie storiche di Sarajevo, ritenute da tutti al riparo dai colpi d’artiglieria perché protette dagli alti edifici circostanti.
È costruito a tavolino il massacro di Srebrenica del 1995, che fornisce a Bill Clinton il pretesto per avviare l’Operazione Deliberate Force contro l’esercito serbo stanziato in Bosnia: secondo recenti ammissioni16, i mussulmani bosniaci non sono giustiziati dai soldati di Belgrado ma dai loro stessi connazionali, che li immolano sull’altare della NATO cui serve un’ecatombe per intraprendere un’operazione militare che esula dalla sua missione originaria.
È ancora una manipolazione mediatica la strage di Racak del 1999, quando all’esercito serbo è attribuita la brutale esecuzione di 45 civili albanesi: l’episodio immediatamente rilanciato dai media occidentali è propedeutico all’intervento della NATO in Kosovo ed all’installazione della base americana Camp Bondsteel nel cuore dei Balcani. A distanza di nemmeno un anno, si scopre che i presunti civili uccisi dai serbi sono in verità paramilitari dell’UÇK albanese, morti in combattimento e venduti alla stampa compiacente come ignare vittime delle truppe serbe17.
Gli albanesi in particolare sono eletti da Washington a strumento prediletto per la destabilizzazione dei Balcani, in virtù della loro duplice natura di mussulmani tra cristiani ortodossi e di illirici tra slavi, connotati che li differenziano dalle popolazioni circostanti e soprattutto dai serbi, che nutrono uno storico sentimento di affinità linguistica e religiosa con Mosca.
Anche l’Esercito di Liberazione del Kosovo, alias UÇK, deve la sua fortuna all’Occidente, sebbene le milizie albanese rimangano a lungo schedate dalle polizie internazionali come organizzazione terroristica a causa delle efferate azioni contro civili e poliziotti serbi. Armato ed addestrato dal BND tedesco e dalla CIA americana18, l’UÇK svolge un ruolo di primo piano nel fomentare la guerra in Kosovo, per poi dedicarsi al termine del conflitto ad attività più o meno gradite alla NATO, che spaziano dal traffico di droga (da Pristina passa il 70% dell’eroina venduta in Germania e Svizzera19) a quello d’organi umani20.
Quando nei primi mesi del 2011 va in onda la “Primavera araba” eterodiretta da Washington, anche l’Albania ha la propria rivoluzione colorata, nonostante il Paese sia come la Tunisia e l’Egitto saldamente ancorato all’orbita angloamericana.
Usando come pretesto le consuete accuse di corruzione e brogli elettorali, sono organizzate imponenti manifestazioni contro l’esecutivo di centro-destra di Sali Berisha, di cui la piazza invoca a gran voce le dimissioni. Per alzare il tono dello scontro ed assestare il colpo definitivo alle istituzioni albanesi, il 21 gennaio 2011 è un orchestrato un tragico assalto alla sede del governo (muoiono tre persone), le cui riprese video sono di primaria importanza, perché documentano con dovizia di particolati le tattiche e le dinamiche delle rivoluzioni colorate.
In un primo filmato21, ritrasmesso quasi in tempo reale dai media per alimentare lo sdegno dell’opinione pubblica, è venduta l’informazione che siano le forze di sicurezza albanesi a sparare contro la folla, uccidendo un manifestante davanti ai cancelli del palazzo governativo; nel secondo filmato22, che riprende la stessa scena da una diversa angolazione, un’analisi a freddo svela l’evidente intervento di un agente provocatore che, infiltrato nella ressa, spara a bruciapelo al manifestante di cui sopra, gettando così un cadavere tra i piedi dell’esecutivo albanese.
Nonostante il tentato cambio di regime, il mandato del premier Sali Berisha si estingue normalmente e nel 2013 l’ex-cardiologo di Enver Hoxa è sconfitto alle elezioni legislative: a vincere la tornata elettorale è il socialista Edi Rama, che durante le bollenti giornate del gennaio 2011 capeggia nella veste di sindaco di Tirana la protesta contro l’esecutivo, spalleggiato dall’ambasciata americana.
Se dietro le velleità americane di scalzare Berisha si nasconde il desiderio di sbarazzarsi di un “ferrovecchio” sopravvissuto alla dittatura di Hoxa ed accelerare l’ingresso di Tirana nell’Unione Europea23, ad accomunare i due leader è il fervore nazionalistico: anche il socialista Edi Rama è infatti un fautore della Grande Albania, un’entità statale che superi i ristretti confini attuali ed inglobi i territori albanesi irredenti in Grecia, Macedonia, Kosovo e Montenegro. Le recenti dichiarazioni di Edi Rama (che provocano lo sdegno serbo e non possono non essere state preventivamente concordate con l’ambasciata USA24) non lasciano adito ad alcun dubbio a riguardo25:
“L’unificazione degli albanesi di Albania e Kosovo è qualcosa che si realizzerà in modo inevitabile e indiscutibile. E avverrà nel contesto dell’Unione europea come un processo naturale e accettato da tutti, o al di fuori, come reazione alla cecità e al lassismo dell’Europa”
Il nazionalismo albanese, ora come ai tempi del conflitto kosovaro, è il grimaldello impiegato dagli angloamericani per scardinare il labile equilibrio balcanico: un primo assaggio della nuova destabilizzazione ad opera degli estremisti pan-albanesi si ha il 9-10 maggio 2015 in Macedonia dove, nei quartieri periferici di Kumanovo, le forze di sicurezza fronteggiano per quasi 30 ore un gruppo di terroristi provenienti dal vicino Kosovo26. Il bilancio dello scontro sembra un bollettino di guerra: sul terreno rimangono 22 morti, di cui 8 poliziotti e 14 terroristi, e 37 agenti feriti.
Nelle ore successive la polizia rivela che i terroristi erano cittadini albanesi, kosovari e macedoni ed erano muniti di un’imponente santabarbara. Poi i media di Skopje diffondono una rivendicazione degli indipendentisti albanesi, compreso l’UÇK, dove i terroristi avvertono che è iniziata la secessione della Repubblica di Illiria e, qualora il governo macedone non accettasse la sua nascita, il Paese sarebbe distrutto insieme al resto dei Balcani27. Il premier macedone Nikola Gruevski non ha dubbi sulle finalità dei terroristi: reduci da una serie di operazioni armate nei Balcani e nel Medio Oriente, i miliziani albanesi puntano ad attaccare istituzioni statali, centri commerciali ed eventi sportivi, con l’obiettivo di destabilizzare Skopje.
L’azione dell’UÇK si inserisce infatti all’interno di una più ampia manovra per rovesciare il governo Macedone, ricorrendo agli stesi arnesi delle rivoluzioni colorate che, senza spostarsi troppo nel tempo e nello spazio, sono stati usati nel 2011 contro l’esecutivo albanese di Sali Berisha.
L’attacco contro l’esecutivo del conservatore Gruevski è innescato nel febbraio del 2015: il leader dell’opposizione Zoran Zaev, dopo aver ricattato invano il primo ministro con un dossier stilato da un servizio segreto straniero28, finisce nel mirino delle autorità di Skopje che lo accusano di tramare un golpe in comune accordo con l’ambasciatore inglese Charles Garrett29.
È probabilmente fabbricato a Londra o Washington il materiale propagandistico (accuse di intercettazioni illegali, corruzione, insabbiamento di un omicidio, autoritarismo) con cui lo stesso Zoran Zaev fomenta la protesta che da maggio interessa Skopje, con l’occupazione della piazza antistante alla sede del governo. Il caso di Euromaidan insegna però che le manifestazioni tendono ad affievolirsi fino a spegnersi, a meno che il tono dello scontro non sia artificialmente alzato.
Come la caduta del presidente Viktor Yanukovich coincide con la strage dei manifestanti del 20 febbraio perpetrata da cecchini di Settore Destro ma attribuita alla forze speciali ucraine30, così anche a Skopje servirebbe che la manifestazione pacifica contro Gruevski degenerasse in una rivolta violenta: sono quindi fondati i timori del premier macedone secondo cui il commando terroristico albanese, se non fosse stato neutralizzato a Kumanovo, avrebbe dovuto compiere attentati destabilizzatori nel Paese.
Qual è il motivo dell’accanimento di Washington e Londra, con la consueta collaborazione di Bruxelles, contro il premier Gruevski, fresco tra l’altro di una netta vittoria elettorale nell’aprile del 2014? Oltre al rifiuto, insieme alla Serbia, di aderire alle sanzioni varate dell’Unione Europea, la Macedonia di Gruevski, come abbiamo visto sopra, è un tassello fondamentale del nuovo gasdotto progettato da Mosca in sostituzione del South Stream: al vertice di Bupadest del 7 aprile, dove sono discussi i tempi ed i modi per la realizzazione del Turkish Stream, presenzia anche il ministro degli esteri macedone Nikola Poposki.
Se nei Balcani centro-meridionali è l’irredentismo albanese il principale strumento di destabilizzazione, nella zona centro-settentrionale è nuovamente l’elemento mussulmano, come ai tempi della guerra in Bosnia ed Erzegovina del 1992-1995, il fattore con cui si fomentano le tensioni. Appoggiandosi alle scuole religiose ed alle moschee finanziate dall’Arabia Saudita31, in Bosnia ed Erzegovina è recentemente comparso l’ISIS, o meglio la propaganda del Califfato, che ha issato in qualche villaggio montano i propri vessilli. Nonostante il radicamento dell’organizzazione sia marginale e l’islam bosniaco sembri immune alla sirene del terrorismo sunnita, la sua segnalazione deve preoccupare perché, dalla Libia all’Iraq, l’ISIS agisce da scherano degli angloamericani per la destabilizzazione dei Paesi mussulmani.
La Bosnia ed Erzegovina forgiata dall’accordo di Dayton del 1995, che sancisce la nascita all’interno di un unico Stato della Federacija croato-musulmana e della la Repubblica Srpska a maggioranza serba, è una fragile costruzione politica, entrata in un delicata fase dopo le elezioni presidenziali dell’ottobre 2014 che hanno registrato la netta affermazione dei partiti Snsd e Sda, rispettivamente filo-russo e filo-islamico. Data la polarizzazione politica, il terrorismo dell’ISIS esacerberebbe gli animi, trascinando nel caos anche la vicina Serbia.
Infine, ma ci lasciamo già alle spalle i Balcani per entrare nell’Europa centrale, in cima alla lista dei governi da rovesciare dato il suo appoggio al Turkish Stream e le simpatie verso Mosca, c’è l’esecutivo di Viktor Orban. In Ungheria la febbre rivoluzionaria di Washington e Londra è però neutralizzata dalla compattezza etnica e religiosa del paese, oltre che dal radicato sostegno elettorale di cui gode il primo ministro magiaro: Orban, in ogni caso, ha già adottato le adeguate contromisure espellendo le ONG straniere, consueto focolaio delle rivoluzioni colorate32.
In conclusione si può dire che, seguendo le condotte del gas, la destabilizzazione degli angloamericani si è allargata dall’Ucraina fino ai Balcani e, saldandosi a quella libica, minaccia di circondare l’Italia, in prima linea sul fronte delle diverse crisi.
La tensione internazionale, rapida ed implacabile, aumenta giorno dopo giorno.
1http://www.washingtonpost.com/blogs/in-the-loop/wp/2014/05/14/which-foreign-countries-spent-the-most-to-influence-u-s-politics/
2https://cablegatesearch.wikileaks.org/cable.php?id=09ROME97&q=berlusconi%20south%20stream
3http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/politica/berlusconi-divorzio-4/parla-fotografo/parla-fotografo.html
4http://www.eni.com/it_IT/media/comunicati-stampa/2011/09/2011-09-16-Eni-firmato-accordo-Wintershall-South-Stream.shtml
5http://www.naturalgaseurope.com/south-stream-important-to-europe-7338
6http://www.blitzquotidiano.it/energia/gasdotto-south-stream-italia-sponsor-dei-russi-1743402/
7http://www.ilsole24ore.com/art//2013-12-10/per-south-stream-salgono-costi-e-polemiche-064816.shtml?uuid=ABRkK5i
8http://archiviostorico.corriere.it/2012/gennaio/20/Knight_Vinke_compra_Eni_torna_co_8_120120040.shtml
9https://cablegatesearch.wikileaks.org/cable.php?id=09SOFIA538&q=bulgaria%20south%20stream
10http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/2708877.stm
11http://en.apa.az/news/209580
12http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-04-08/tsipras-putin-mosca-pronta-ad-alleggerire-l-embargo-grecia-155426.shtml?uuid=ABjgy6LD
13http://sputniknews.com/business/20150414/1020873717.html
14http://www.lastampa.it/2015/05/08/economia/saipem-torna-a-costruire-il-south-stream-FTHlDI0DiwupwgZjtNAHoJ/pagina.html
15http://www.ilpost.it/2014/02/05/strage-mercato-sarajevo/#
16http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=295:confessione-sensazionale-di-ibran-mustafic-veterano-di-guerra-e-politico-bosniaco-musulmano-abbiamo-ucciso-la-nostra-gente-a-srebrenica&catid=2&Itemid=101
17http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/16/Kosovo_dubbi_sulla_strage_Racak_co_0_0004163632.shtml
18http://www.ncpn.nl/archief/navo50/jul_10.htm
19http://it.sputniknews.com/italian.ruvr.ru/2012_11_07/kosovo-usa-clinton/
20http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/01/30/soldi-armi-droga-tutti-traffici-dell-uck.html
21https://www.youtube.com/watch?v=dRXmhnXi5Bg
22https://www.youtube.com/watch?v=QeJOVvsYP-Q
23http://www.agoravox.it/Uova-contro-Sali-Berisha-in-scena.html
24http://tirana.usembassy.gov/embassy-events/2015-events/ambassador-donald-lu-meets-with-prime-minister-edi-rama-january-22-2015.html
25http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3076
26http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Macedonia-neutralizzato-gruppo-armato-a-Kumanovo-morti-almeno-8-agenti-e-14-terroristi-5c0cd799-7850-40f5-942e-bec6f540ca48.html?refresh_ce
27http://www.repubblica.it/esteri/2015/05/10/news/macedonia_scontri-114037912/
28http://www.reuters.com/article/2015/02/06/us-macedonia-opposition-usa-idUSKBN0LA28420150206
29http://macedoniaonline.eu/content/view/27241/2/
30http://europapluskemerovo.ru/lavrov-on-the-maidan-worked-snipers-right-sector/
31http://kfip.org/the-saudi-arabian-high-commision-for-donations-to-bosnia-herzegovina/
32http://it.euronews.com/2014/09/17/ungheria-orban-contro-le-ong-incriminate-due-organizzazioni-norvegesi/
Complimenti .. una esposizione chiara e altamente delucidante… seguo sempre il suo blog con molto interesse!! Inquietanti i contenuti , ma vale la pena venirne a conoscenza!!!
Grazie Antonio,
scrutiamo il cielo e se annuncia tempesta, diciamo tempesta, cercando di conservare sempre una certa leggerezza.
I passaggi dai vecchi ai nuovi assetti non sono mai indolori.
E tempesta sarà.
Complimenti per il blog, libero e indipendente. Bisogna informare la gente e metterla in guardia dall’imperialismo criminale anglo-atlantico-sionista, che sta portando il mondo alla rovina.
Ancora pochi giorni e con la doppia circolazione in Grecia, le borse crolleranno trascinando con se’ prima euro. E poi wall street. Avranno bisogno di una guerra. Ma per combattere occorre averne almeno un motivo, i soldati. E così, usciranno di scena. Tornando periferia. Non solo oltre Atlantico. Ma anche oltre Manica.
Concordo Willy. Sto finendo un lavoro sull’argomento: domani notte sarà ciclostilato
Complimenti! Ho scoperto il tuo sito web ieri linkato su goofynomics e in 2gg ho letto tutti i post. Analisi impeccabili e concordanti coi fatti. Ma lo fai di professione?
Grazie! Non lavoro come analista in questo settore, ma mi tengo sempre informato dato il momento storico un po’ unico che stiamo vivendo
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