Moneta unica in avvitamento, tensione militare in ascesa

A distanza di un mese dall’articolo “A che punto è l’euro-notte”, torniamo sull’argomento assimilando le recenti novità politiche e militari: il nostro impianto analitico, secondo cui il collasso dell’euro sarà accompagnato dalla recrudescenza della guerra ucraina dietro impulso angloamericano, è corroborato giorno per giorno dall’evolversi della situazione. Le recenti tornate politiche nel Regno Unito e Spagna confermano l’avanzato stato di decomposizione dell’Unione Europea, mentre il rifiuto greco a qualsiasi ulteriore misura di austerità accelera l’uscita di Atene dall’eurozona, che scatenerebbe l’implosione della moneta unica nel lasso di qualche settimana. Se in Ucraina la tregua vacilla, le elezioni politiche in Polonia rafforzano lo scenario di un nuovo Intermarum a guida angloamericana da opporre a Mosca: le probabilità di un conflitto aumentano di pari passo con la frequenza delle esercitazioni che si svolgono dal Mar Baltico al Mar Caspio.

A Ovest defezioni

Gli imperi nascono da un città, da un popolo o da uno Stato e da lì espandono il loro dominio verso una periferia sempre più lontana: quando l’organismo politico muore, la disgregazione compie il percorso inverso, partendo dagli arti e risalendo in direzione del cuore. L’impero americano, fedele a questo principio, si sta ripiegando su se stesso: ha perso la capacità di eterodirigere il Sud America, l’influenza sull’India, la guerra in Afghanistan ed il controllo del Medio Oriente, dove è stato inoculato l’ISIS perché facesse terra bruciata dopo la dipartita dall’Iraq del 2011. Ora Washington lotta disperatamente per conservare il dominio sull’Europa occidentale, politicamente e militarmente ignava, ma tra le economie ancora più produttive al mondo.

L’Unione Europea, sottoprodotto dell’impero americano fin dai tempi di Jean Monnet e Altiero Spinelli, si attiene alla stessa evoluzione: nata attorno al nocciolo franco-tedesco con la costituzione della CECA nel 1951, prima si allarga alle isole e penisole del Nord (Danimarca, Irlanda, Regno Unito nel 1973), ai Balcani (Grecia nel 1981), alla penisola iberica (Spagna e Portogallo nel 1986), poi alla penisola scandinava dopo il crollo dell’URSS (Finlandia e Svezia nel 1995) e infine al territorio del defunto Patto di Varsavia tra il 2004 ed il 2007 (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria e Romania).

Oggi le forze centrifughe hanno conquistato tutta la periferia della UE, eccezion fatta per Portogallo ed Italia, ed il caos punta prepotentemente indietro verso Bruxelles, non troppo distante dalla cittadina olandese di Oosterbeek, dove nel 1954 nasce il gruppo Bilderberg.

Il più significativo cedimento della costruzione europea, minaccia persino più preoccupante del default ellenico benché meno impellente, è il verdetto delle elezioni amministrative spagnole di domenica 24 maggio, che decreta l’affermazione del partito Podemos di Pablo Iglesias ed il parallelo tracollo di popolari e socialisti: nei comuni di Madrid e Barcellona le liste della neonata formazione politica si piazzano seconda e prima e, coalizzandosi con altre forze politiche, sono in grado di esprimere in entrambi i casi il primo cittadino.

Il premier Mariano Rajoy paga lo scotto di quattro anni d’austerità ed il suo partito, che a novembre affronta la decisiva sfida delle elezioni legislative, perde quasi 24 punti percentuali rispetto alla tornata del 2011. Al contrario Podemos, forte di un programma basato sul rifiuto delle ricette di Bruxelles, si afferma come terza forza del Paese ed apre a nuove alleanze per espugnare Palazzo Moncloa.

La rapida ascesa di Podemos, che segue al successo di Syriza in Grecia, corrobora i timori della tecnocrazia europea che l’euro non cadrà vittima degli assalti speculativi ma dell’affievolirsi della volontà politica di attuare l’austerità, utile alla distruzione della domanda interna tramite il consolidamento fiscale ed al conseguente riequilibrio delle bilance commerciali. Quando i cittadini, a fronte di tasse in aumento e salari in discesa, smettono di consumare, l’import crolla, permettendo così il conseguimento di saldi commerciali attivi, necessari a salvaguardare il sistema a cambi fissi detto “euro”. Nonostante infatti il debito pubblico spagnolo schizzi dal 2008 dal 40% del PIL al 100%, le misure d’austerità affossano l’import e la bilancia commerciale migliora da un rosso di 139 €mld nel 2008 ad una passività di 31 €mld nel 2014.

L’esperienza di Podemos insegna che non è sufficiente rifiutare tout court le ricette di Bruxelles per conquistare la maggioranza dell’elettorato: occorre anche dargli un valido programma alternativo. In questo campo il partito spagnolo si differenzia radicalmente dal Movimento 5 Stelle, un partito creato ad hoc per cavalcare il malcontento ed imbrigliarlo, in maniera tale da non disturbare l’ascesa di Matteo Renzi. Sono gli stessi attivisti di Podemos che stigmatizzano la differenza con il M5S, notando come la retorica di Beppe Grillo sia solo distruttiva1 (per spaventare il voto moderato e spingerlo verso i partiti governativi) e sia assente nel dibattito del M5S una pars costruens.

Più a nord si registra un’altra defezione strategica, quella del Regno Unito che tira dritto con l’idea di tenere entro il 2017 un referendum sulla permanenza nell’Unione Europea. Il disimpegno inglese dalle istituzioni di Bruxelles marcia in parallello all’incessante attivismo sul fronte ucraino e baltico: dopo aver inviato 300 paracadutisti a Kiev per addestrare le truppe governative, gli inglesi alimentano infatti il clima da Guerra Fredda schierando la porta elicotteri HMS Ocean (la stessa impiegata nel 2011 nelle operazioni contro la Libia) davanti alla russa Kaliningrad, in vista delle esercitazioni NATO in programma a giugno2 ,e partecipano con la Royal Air Force all’imponente esercitazione Arctic Challenge Exercise in chiave anti-russa.

Il fatto che Washington non abbia richiamato all’ordine il premier inglese David Cameron, dissuadendolo dall’indire il referendum, significa che il processo federativo europeo è ormai defunto e gli inglesi sono liberi di ritirarsi in buon ordine da Bruxelles, dove hanno assolto finora il ruolo di ferrei difensori degli interessi atlantici. Al contrario, la crescente ostilità verso la Russia testimonia che l’unico autentico rivale strategico nella regione è oggi Mosca, capace di offrire una concreta alternativa all’abortita federazione europea: è l‘Europa delle nazioni, unita da rapporti commerciali ed infrastrutture lungo l’asse est-ovest.

A Sud il ventre molle

Della “fortezza Europa” il lato meridionale e balcanico è storicamente il punto debole: il ventre molle che non offre sicurezze a chi esercita il controllo del continente.

L’unica garanzia che dà la Grecia è infatti il perenne sforamento in peggio delle previsioni compilate dalla Troika, ormai avulse dalla realtà: nelle primavera del 2014 il Fondo Monetario Internazionale stima una crescita del PIL ellenico al 2,9% nel 20153 , che si trasforma in 12 mesi nell’ennesima recessione4.

Sprofondata in una depressione economica che dura incessantemente dal 2008, la Grecia manca pure l’obbiettivo di riequilibrare la bilancia dei pagamenti, nonostante una cura da cavallo a colpi di tagli a stipendi ed inasprimenti fiscali per ridurre il costo del lavoro ed uccidere i consumi: il saldo commerciale in sei anni si dimezza soltanto e da una passività di 64 €mld nel 2008 decresce ad una di 27 nel 2014. Il paese esporta poco o niente e vive oggi di finanziamenti esterni che infondono al mercato greco la liquidità necessaria per comprare bene e servizi.

Il diniego del premier Alexis Tsipras di attuare l’ennesimo taglio a salari e stipendi, atte a svalutare il costo del lavoro in assenza di un cambio flessibile, inceppa il meccanismo “denaro contro riforme”: a corto di liquidi, il 12 maggio Atene rimborsa una tranche di aiuti attingendo le risorse dalle sue riserve presso il FMI, poi avvia un estenuante negoziato con la Troika in vista delle rate di giugno ammontanti a 1,6 €mld.

Il governo ellenico, pressato dall’ala sinistra di Syriza disposta ad uscire dall’euro piuttosto che continuare con l’austerità5, pone come paletti il rifiuto di qualsiasi ulteriore taglio dei salari e la cancellazione di parte del debito in mano ai creditori internazionali. Tra i creditori internazionali l’FMI non intende però cedere sulla decurtazione di salari e pensioni, mentre la UE esclude una terza ristrutturazione del debito pubblico.

La Germania sembra disposta ad accettare l’uscita di Atene dall’eurozona e tutti i rischi connessi piuttosto che cedere: prima il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble si dice favorevole al referendum sulle nuove misure d’austerità minacciato da Syriza, poi apre alla possibilità di introdurre in Grecia un nuova valuta a fianco dell’euro per pagare pensioni e dipendenti pubblici, instaurando una doppia circolazione monetaria simile a quella vigente in Montenegro6.

Il fatto che il ministro greco dell’interno neghi che sia in programma un referendum7 e che il ministro tedesco ritiri prontamente l’ipotesi di una valuta alternativa8, significa solo che i negoziati si svolgono in un clima di alta tensione, intessuto di ricatti e veti incrociati.

Ad interferire con il lavoro delle delegazioni, intervengono le pressioni internazionali di attori più o meno influenti: il Vaticano, anziché meditare sulla cocente sconfitta subita nella cattolica Irlanda sulla legalizzazione dei matrimoni omosessuali, esorta le controparti a raggiungere un accordo che eviti la destabilizzazione dell’eurozona9. Di maggior peso è l’ammonimento del segretario del tesoro americano, Jacob Lew, a chiudere rapidamente le trattative per non rischiare incidenti10: gli USA infatti, sebbene diano ormai per spacciato il progetto della moneta unica, hanno bisogno di tempo per realizzare un progetto alternativo agli Stati Uniti d’Europa (il TTIP ed il conflitto con la Russia) che vincoli stabilmente l’Europa alla loro sfera di dominio.

Rimarrà la Grecia nell’eurozona? La risposta è no.

Affinché la Grecia resti agganciata all’euro, servirebbe un perdurante processo di austerità (taglio di salari e pensioni) accompagnato in parallelo da una costante ristrutturazione del debito, finché la caduta del costo del lavoro e la distruzione della domanda interna non consentiranno il raggiungimento di bilance commerciali attive. Il governo greco ha già realizzato che è più salutare ricorrere ad una svalutazione esterna (tornando alla dracma) piuttosto che insistere con la folle svalutazione interna che genera solo disoccupazione, povertà e conti pubblici insostenibili.

La decisione greca di abbandonare l’euro potrebbe maturare non tanto il 5 giugno, in occasione della prima tranche da 312 €mln da rimborsare al FMI, quanto piuttosto il 18 giugno, quando Alexis Tsipras parteciperà al Forum economico dei BRICS, dove alla Grecia sarà proposto l’ingresso nella Nuova Banca dello Sviluppo, concepita dai Paesi emergenti per liberarsi dal mortale abbraccio della finanza anglosassone11.

Chi osserva con apprensione l’evolversi della situazione greca è ovviamente l’Italia, altra pericolosissima breccia nel sistema di difesa dell’eurozona, a causa dei 2190 €mld di debito pubblico: come per la Grecia vale il discorso che l’austerità, se da un lato riequilibra le bilance commerciarli abbattendo i consumi, dall’altro genera un cocktail mortale di deflazione, disoccupazione e debito insostenibile.

L’ex- FMI Pier Carlo Padoan confida nell’allentamento quantitativo varato dalla BCE per domare l’incendio innescato dalla prossima uscita della Grecia dall’euro, ma è costretto a riconoscere che tale eventualità renderebbe palese agli investitori (ed ai cittadini) che è possibile abbandonare l’eurozona, destabilizzando nel medio periodo l’intero sistema12.

Preoccupato per la propria testa piuttosto che per i destini della Grecia, è invece il premier Matteo Renzi alle prese domenica 31 maggio con le elezioni regionali: dopo il successo di Podemos alle amministrative spagnole che ha scosso l’esecutivo Rajoy pro-austerità, l’ex-sindaco di Firenze teme che le urne sortiscano un esito analogo, reso ancora più imbarazzante dall’assenza di un reale avversario politico.

Partendo da una situazione di cinque regioni amministrate dal PD e due in mano al centro-destra, Renzi pronostica all’inizio della primavera una vittoria secca, sette a zero. Lo scontro frontale con l’ala sinistra del partito ed i sindacati confederali partorisce però, nelle regione chiave della Liguria, la candidatura di Luca Pastorino, in opposizione alla democratica Raffaella Paita. Se il capogruppo al senato del PD Luigi Zanda, già braccio destro del ministro dell’interno Francesco Cossiga durante il rapimento Moro, assicura che la vittoria in Liguria è sicura13, Matteo Renzi, assalito da improvvisi dubbi, si premunisce negando un valore nazionale alle imminenti elezioni.

Una sconfitta di Renzi alle regionali di domenica galvanizzerebbe la minoranza di sinistra del PD, alimentando spinte centrifughe in seno al partito ed al Parlamento: la speculazione finanziaria farebbe prepotentemente rotta verso l’Italia, affossando Piazza Affari ed i Btp.

Al centro smarcamenti e nuovi alleati di ferro

Il cuore dell’Europa è oggi più che mai decisivo per le sorti del Continente, dato il ripiegamento della UE sul triangolo Parigi-Bruxelles-Berlino.

A cadere vittima del clima da nuova Guerra Fredda è la parata moscovita del 9 maggio, disertata dalla totalità dei capi di stato occidentali. Il ricordo dell’ultima guerra, unito ai robusti rapporti commerciali ed industriali, induce però la Germania a divincolarsi dalla scontro frontale con il Cremlino: la cancelleria Angela Merkel, in segno di distensione, partecipa il 10 maggio a fianco del presidente russo Vladimir Putin alle cerimonie in commemorazione del Milite Ignoto14.

La mossa della cancelliera si inserisce all’interno di una poltica che, pur non sancendo la rottura con gli angloamericani, perlomeno denota uno chiaro smarcamento dall’escalation anti-russa studiata da Washington.

Sembra archiviata l’era della politica tedesca monopolizzata dalla CDU/CSU succube dei diktat americani e visceralmente ostile a Mosca: campione di quel periodo è senza dubbio il bavarese Franz Josef Strauss, ministro della difesa dal 1956 al 1962, acerrimo avversario della Ostpolitik del socialdemocratico Willy Brandt, propugnatore degli Stati Uniti d’Europa e padre della cooperazione militare tra Germania ed Israele15, che consente oggi a Tel Aviv di dispiegare le proprie testate nucleari (illegali) su sottomarini Dolphins made in Germany.

Le divergenze tra tedeschi ed angloamericani si acuiscono man mano che la rivoluzione in Ucraina esce dai binari di cambio di regime “morbido” e si inoltra nei territori inesplorati del golpe ultra-nazionalista: Berlino coopera infatti in un primo momento con Washington e Londra per scalzare Viktor Yanukovich ed attrarre l’Ucraina nell’orbita UE/NATO, ma il candidato sui cui i tedeschi investono è il moderato Vitali Klitschko, ex-pugile campione mondiale di pesi massimi e creatura della Konrad Adenauer Foundation16.

Quando il gioco si fa sporco e per spodestare Yanukovich gli angloamericani non esitano ricorre ai neo-nazisti di Settore Destro, epigoni dell’Organizzazione Gehlen/Stay Behind, Berlino si irrigidisce: l’intesa va definitivamente in frantumi quando la rivoluzione colorata si trasforma in una cruenta guerra civile, che obbliga i tedeschi a congelare la “drang nach osten” economica.

Le divergenze sull’Ucraina si saldano alle tensioni tra Washington e Berlino sulla gestione dell’euro-crisi: gli americani pretendono invano da due anni che la Germania allenti la morsa dell’austerità (gradita da Wall Street e dalla City nella misura in cui non mette a repentaglio l’euro) e si impegni nella fondazione degli Stati Uniti d’Europa; la Germania legge invece nitidamente nelle manovre ucraine degli angloamericani la volontà di separarla da Russia e Cina.

Gli screzi con la NATO aumentano quindi giorno per giorno: Berlino si oppone all’ingresso nell’alleanza nord-atlantica di Ucraina, Moldavia e Georgia e definisce come pericolosa propaganda le accuse che Mosca stia ammassando truppe nel Donbass. Gli americani passano al contrattacco con lo scandalo spionistico che si dipana tra Germania ed USA, facendo trapelare come Angela Merkel, contrariamente a quanto affermato, non abbia mai strappato una rinegoziazione degli accordi che disciplinano l’attività della NSA sul territorio tedesco17.

La fiducia americana in Angela Merkel, la stessa che nel 2003 si esprimeva in favore della guerra in Iraq, è ai minimi termini, né contano più sulla Germania per la prossima escalation militare: le attenzioni di Washington migrano quindi ad est, nei territorio della “Nuova Europa” celebrata da Donald Rumsfeld nel lontano 2003.

Alla “coalizione dei volonterosi” che invade l’Iraq partecipa infatti la Polonia del premier socialdemocratico Aleksander Kwasniewski, entrando in netta collisione con l’asse franco-tedesco. Le relazioni americano-polacche migliorano ulteriormente con l’avvento sulla scena politica dei gemelli Lech e Jarosław Kaczynski, rispettivamente presidenti (2005-2010) e premier (2006-2007).

Fondatori del partito conservatore Diritto e Giustizia, i due vulcanici fratelli rappresentano la vera quinta colonna degli americani sul continente: definiscono il gasdotto North Stream tra Russia e Germania una riedizione del patto Ribbentrop-Molotov, sviluppano in chiave anti-russa i rapporti con gli Stati Baltici, Georgia ed Azerbaijan, siglano l’intesa con Washington per il dispiegamento sul suolo polacco dello scudo-antimissile aborrito da Mosca18, premono nel 2008 contro la volontà tedesca per l’ingresso di Kiev nella NATO19.

Favorevole ad un raffreddamento dei rapporti con Berlino e fautore di un’alleanza di ferro con Washington e Londra è non a caso Andrzey Duda, il neo-presidente polacco fresco di una netta vittoria elettorale a capo del suddetto partito Diritto e Giustizia: per non la lasciare adito a dubbi, Duda si autoproclama “erede spirituale” di Lech Kaczynski20, scomparso nel 2010 in un tragico incidente aereo.

Nazionalista duro e puro, anti-tedesco21 ed ancor più russofobo, contrario all’unione politica dell’Europa ed all’ingresso di Varsavia nell’euro, favorevole all’installazione di basi NATO permanenti sul territorio polacco, Duda si inquadra alla perfezione nella nuova strategia angloamericana: sfumati gli Stati Uniti d’Europa e caduta l’ideologia comunista, la massima minaccia strategica agli interessi di Washington è l’integrazione economica tra l’Europa occidentale e la Russia, da fermare ad ogni costo. In quest’ottica è indispensabile fomentare i nazionalismi del centro-est Europa anti-tedeschi ma soprattutto anti-russi, in primis quelli di Polonia, Ucraina e degli Stati Baltici.

L’elezione di Andrzey Duda alla presidenza della Polonia accelera la formazione dell’Intermarum sognato tra il 1918 ed il 1920 dal capo delle forze armate polacche Jozef Pilsudski: la federazione di Lituania, Polonia ed Ucraina che, allargandosi dal Mar Baltico al Mar Nero, separi Germania e Russia. A fornire oggi i mezzi militari, economici e soprattutto il collante politico per la riedizione dell’Intermarium sono gli angloamericani che, abbondata l’eurozona ad un lento ed ineluttabile naufragio, si concentrano ora sull’asse Estonia-Ucraina sviluppandone tutto il prezioso potenziale anti-russo.

A Est crescendo rossiniano di tensione

A distanza di quindici mesi dal golpe di Kiev, è arrivata al capolinea l’economica ucraina: recisi i legami con la Russia nell’industria siderurgica e militare, perse le agevolazioni sul prezzo del gas divorato dalle inefficienti ed obsolete fabbriche di era sovietica, bloccato l’export verso Mosca che valeva il 35% del totale, separatosi il Donbass che produceva il 20% del PIL ucraino ed il 25% delle esportazioni22, il fallimento delle finanze pubbliche era solo questione di tempo.

Sebbene un’agonizzante Unione Europea abbia concordato una terza tranche di aiuti da 1,8 €mld, le magre casse di Kiev impediscono di rimborsare i creditori internazionali: di conseguenza il 19 maggio il parlamento delega al governo la facoltà di sospendere i pagamenti sulle obbligazioni in mano gli stranieri. La prima a protestare è ovviamente la Russia che nel 2013 ha elargito a Kiev una linea di credito da 3 $mld, di cui oggi sembra irrealistica la restituzione.

L’Ucraina vive in sostanza di aiuti internazionali e tanto l’FMI e la UE si mostrano intransigenti con Atene, quanto sono magnanimi con Kiev: non è questione di simpatie, ma della funzione destabilizzatrice assolta dal governo ucraino.

Denaro, istruttori militari ed armi sono inviati in Ucraina con il solo scopo di aumentare la tensione con Mosca, fino al prossimo riesplodere delle ostilità nel Donbass che seguirà di giorni o di settimane l’uscita della Grecia dall’eurozona: nel disperato tentativo di sedare le spinte centrifughe in seno all’Europa, Washington e Londra non esiteranno a scatenare una guerra regionale che compatti la NATO e mantenga separata Berlino, libera dai legacci dell’euro e dell’Unione Europea, da Mosca, ponte economico e logistico verso l’Asia.

Nelle due settimane intercorse dalla nostra ultima analisi, la correlazione tra crisi greca ed acuirsi della tensione in Ucraina non ha fatto che rafforzarsi. Man mano che aumentano le divergenze tra la Grecia e la Troika, in Ucraina si annoverano crescenti insidie alla fragile tregua di Minsk: il 19 maggio la città di Donetsk finisce sotto i colpi di mortaio dell’esercito ucraino23; il 22 maggio riesplodono i combattimenti tra separatisi del Donbass ed i governativi, che perdono almeno tre soldati24; negli stessi giorni il ministro della difesa della Repubblica popolare di Donetsk, Eduard Basurin, rende noti gli spostamenti di artiglieria pesante e truppe governative a ridosso dei territori in mano separatisi. Le autorità ucraine, continua Basurin, sfruttano la tregua per consolidare le posizioni e prepararsi ad una nuova guerra25.

Una guerra di nervi tra la NATO e Mosca c’è già e si combatte dal Mar Baltico al Mar Caspio con una serie di esercitazioni militari sempre più vaste e frequenti. Gli angloamericani si cimentano nell’Arctic Challenge Exercise26 (25 maggio-5 giugno) che interessa la penisola scandinava coinvolgendo 115 caccia e 3.500 soldati: oltre ai consueti membri NATO, figurano tra i partecipanti anche i non allineati Svezia, Finlandia e Svizzera. Stupisce in particolare la presenza di Berna che, dal segreto bancario ai recenti arresti dei vertici FIFA, dimostra, come il resto dell’Europa, di non essere più in grado di esprimere un politica diversa da quella angloamericana.

La Russia risponde con un’esercitazione militare a sorpresa (25-28 maggio) che coinvolge 12.000 soldati e 250 aerei, simulando un attacco aereo sul fronte sud della Federazione russa, nella regione di Astrakhan che affaccia sul Mar Caspio: l’agenzia Interfax comunica il 28 maggio che le forze armate hanno respinto con successo l’aggressione simulata27. Mosca è fresca di un’altra esercitazione militare, quella condotta nel Mar Mediterraneo insieme alla marina cinese tra il 17 ed il 21 maggio, dove i russi dispiegano la flotta del Mar Nero ed i cinesi le modernissime fregate Type 054A. L’operazione, più che la capacità di Mosca e Pechino di proiettarsi nel Mediterraneo, certifica che gli accordi strategici russo-cinesi nel campo economico stanno velocemente evolvendo verso un’alleanza militare de facto, già in nuce all’interno della Shanghai Cooperation Organisation.

In definitiva, il quadro internazionale si sta deteriorando a velocità sostenuta: l’economia è in pericolosa decelerazione, il diritto internazionale ha il valore della carta straccia ed i balbettii di politici decotti sono sovrastati dal frastuono delle esercitazioni militari.

L’estate 2015 si preannuncia la più bollente dell’ultimo mezzo secolo: non sarà una pallottola sparata a Sarajevo ma un’obbligazione non pagata ad Atene ad innescare il conflitto per gli assetti mondiali di domani.

armata

 

1http://www.corriere.it/esteri/15_maggio_24/spagna-elezioni-regionali-risultati-7ac5ab4c-0243-11e5-8422-8b98effcf6d2.shtml

2http://rt.com/uk/261637-nato-military-drills-russia/

3http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-03-24/fmi-pil-italia-come-grecia-2014-ma-2015-atene-ci-stacchera-180111.shtml?uuid=ABgaUG5

4http://www.wsj.com/articles/greece-falls-back-into-recession-1431519144

5http://www.ekathimerini.com/4dcgi/_w_articles_wsite1_1_25/05/2015_550355

6http://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/radiocor/economia/dettaglio/nRC_22052015_1623_411158775.html

7http://it.reuters.com/article/topNews/idITKBN0NY0LK20150513

8http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/atene-no-ipotesi-valuta-alternativa_2112711-201502a.shtml

9http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-05-27/vaticano-trovare-presto-accordo-la-crisi-grecia–120746.shtml?uuid=AB9wsOnD

10http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2015/05/27/grecialewognuno-faccia-passo-indietro_85b30401-1fa5-4547-9588-a62204c62ba3.html

11http://www.ilvelino.it/it/article/2015/05/14/grecia-fonte-governo-invito-brics-e-una-piacevole-sorpresa/29af7e96-fa0a-4ae0-a4da-4110153df264/

12https://www.agi.it/economia/notizie/grecia_padoan_se_esce_dall_euro_possibili_shock_anche_per_noi-201505220808-eco-rt10027

13https://www.agi.it/politica/elezioni-regionali-2015/notizie/zanda_in_liguria_paita_vincera_pastorino_ha_ferito_pd-201505271625-pol-rt10181

14http://www.bbc.com/news/world-europe-32682063

15http://www.spiegel.de/international/world/israel-deploys-nuclear-weapons-on-german-built-submarines-a-836784-2.html

16http://www.spiegel.de/international/europe/eu-grooms-boxer-vitali-klitschko-to-lead-ukraine-opposition-a-938079.html

17http://www.nytimes.com/2015/05/22/world/europe/intelligence-spying-germany-us.html

18http://www.corriere.it/esteri/08_agosto_14/polonia_usa_scudo_antimissile_92b2ba22-6a3f-11dd-af27-00144f02aabc.shtml

19http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/esteri/russia-ucraina/bush-nato/bush-nato.html

20http://washpost.bloomberg.com/Story?docId=1376-NOWT326S972901-3EQ7LNOK3CKJKEMCCT44655PFI

21http://www.ilmessaggero.it/RUBRICHE/IL_PUNTO/regionali_renzi_podemos_ue/notizie/1374260.shtml

22http://www.dw.de/the-significance-of-the-donbas/a-17567049

23http://rt.com/news/259825-civilian-killed-ukraine-shelling-donetsk/

24http://www.reuters.com/article/2015/05/22/us-ukraine-crisis-casualties-idUSKBN0O714C20150522

25http://it.sputniknews.com/mondo/20150525/436324.html

26http://mil.no/excercises/Pages/ace.aspx

27http://www.interfax.com/newsinf.asp?id=595303

13 Risposte a “Moneta unica in avvitamento, tensione militare in ascesa”

  1. Beh, caro professore, scrive in italiano il più grande, fine e profondo interprete della situazione geopolitica mondiale. Mi permetto solo di farle notare che il mio amico Lenin fu ampiamente foraggiato da Zurigo (Berna, non esiste), là dove io lo conobbi. Il fatto che Zurigo prenda parte alle suddette esercitazioni, dice tutto. Ma, come le dissi, sia Zurigo che Roma che Londra — e non solo Berlino — non saranno risparmiate dalle truppe russe.

    1. A Berlino, se hanno un po’ di sale in zucca, stanno fermi e non fiatano qualsiasi cosa capiti: errare humanum est, perseverare diabolicum

  2. Ottimo articolo, che va oltre la retorica dell’euroscetticismo. L’unica cosa che sento di dover aggiungere è la rinnovata vicinanza di Polonia e Regno Unito. Non a caso, entrambi vogliono uscire dall’Unione Europea, sotto l’egida degli USA, che le hanno praticamente staccato la spina, dopo aver rotto con la Germania della Merkel.

    Credo che a questo punto, gli USA abbiano capito che, in Germania, cambiare governo è inutile. Le élites tedesche hanno interessi divergenti da quelle americane.

    Credo che questo giugno i dissapori tra Germania e USA si giocheranno nell’eveltuale Grexit. Ricordo che qualche giorno la, l’FMI ha annunciato che la Grexit non sarebbe un problema grave.

    Quindi abbiamo gli USA che provano in tutti i modi di ridimensionare l’Unione Europea, e quindi l’egemonia tedesca.

    Inoltre, potremmo aspettarci un cambio nelle politiche mainstream dell’Unione, come ad esempio sugli immigrati. È risaputo che l’operazione Mare Nostrum e l’immigrazione di massa sono dirette dagli USA. Nel momento in cui questi decidono di abortirla, è logico che queste stesse politiche cambino. Non a caso il mese scorso si parlava, in Europa, dell’idea di affondare i barconi degli “scafisti”. Coincidenza?

    Inoltre, quale sarà la posizione della Francia? Con l’uscita del Regno Unito, penderà verso Est o verso Ovest?

    1. Ferma restando la solidarietà e l’amicizia umana verso chiunque, in geopolitica ciò che conta sono gli interessi dell’establishment. Londra e Washington sono la stessa cosa, dai servizi d’informazione al sistema bancario, vivono in simbiosi. L’euro non doveva fallire, doveva entrarci anche Londra con Tony Blair e trasformarsi negli USE: niente ha funzionato ed ora gli angloamericani hanno il terrore che, libera dall’euro, Berlino si unisca a Mosca: sarebbe scacco matto per loro. La Polonia, popolo molto amabile ed orgoglioso, si presta purtroppo ai disegni di Washington e temo che sarà coinvolta in prima linea quando la guerra in Ucraina riesploderà dietro volontà americana. La Francia è alla sbaraglio come negli anni ’30 ai tempi del Fronte popolare… seguirà gli americani all’inizio e poi passerà ad est quando la storia imboccherà una nuova strada

      1. Mi corregga se sbaglio, ma quindi la sopravvivenza dell’Unione Europea è nell’interesse di chi? USA e NATO la vogliono liquidare con nuove forme di aggregazione (TTIP e asse Polonia-Lituania-Ucraina). Tuttavia, stando a quanto ha scritto, una liquidazione troppo veloce dell’UE porterebbe a una Germania “libera” di unirsi a Mosca.

        La domanda è: ai vertici dell’UE ci sono le élites europee/tedesche o angloamericane? Perché se fossero europee, niente impedirebbe alla Germania di tenere in vita un’Unione Europea ristretta a Francia e Italia e commerciare con la Russia, dato che la Germania ci guadagna molto dalla sua posizione nell’UE.

        1. L’Unione Europea è un morto che cammina, ma fu partorita per fondare gli USE. Gli angloamericani stanno studiano un progetto alternativo per inglobare definitivamente l’Europa: TTIP e guerra fredda/calda con la Russia. I tedeschi l’euro non lo hanno mai voluto e sebbene ne siano stati (come facilmente prevedibile) i maggiori beneficiari lo danno ormai per spacciato: nel corso degli anni hanno creato solidissimi legami con Pechino e Mosca. L’incubo angloamericano non è la UE morente, che è pure figlia loro, ma l’asse tedesco-russo-cinese.

  3. Leggo con grande interesse i suoi articoli e sono tra i pochi sul web che mi fanno riflettere sulla complessita del momento in cui viviamo, volevo domandarle se alla luce degli ultimi accadimenti e ancora convinto che la Grecia lascera l’eurozona, sembrerebbe invece che alle parole del premier tsipras seguiranno accordi sottobanco e tutto tornera alla fase iniziale, ovvero rinvio di 6 mesi delle riforme ed in attesa, erogazione dei fondi necessari a pagare tutti i creditori fino a quella data, i fondi ELA appena aumentati di 500 ml di euro sono la testimonianza del mio pensiero , dopo averli ricevuto il premier si impegna verbalmente al pagamento della rata di domani.

    1. Grazie Giovanni! Sono tornato adesso da correre e leggo che la Grecia rimanda al mittente i diktat della Troika e procrastina a fine giugno il pagamento da 1,6 $mld al FMI: il gasdotto Turkish stream è partito ed il 18 giugno potrebbe essere perfezionato l’ingresso di Atene nella banca dei Brics…Atene è già fuori dall’euro. D’ora in avanti la propaganda mediatica, dall’euro-crisi all’Ucraina, toccherà nuove vette: leggi i contenuti, vedi chi è la fonte e sappi che quella non è la verità, ma la pubblicistica di una parte.

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