Libia/2. Evitata la follia del 2011, aiutare i nostri a vincere

Ripartiamo dall’articolo pubblicato quattro mesi “Libia: sfida Russia-USA?” confermandone in toto l’analisi: sul campo si fronteggiano uno schieramento di nazionalisti laici, il governo di Tobruk, guidato dalla coppia Khalifa Haftar e Abdullah al Thani, ed un secondo di islamisti, Alba della Libia, installato a Tripoli e presieduto da Omar al-Hassi. A livello regionale il primo ha l’appoggio di Egitto, Algeria ed Emirati Arabi Uniti, mentre il secondo gode all’appoggio di Turchia e Qatar. Sul piano internazionale eravamo certi, a ragione, che la Russia si sarebbe schierata con i nazionalisti mentre gli USA avrebbero coltivato il loro piano di destabilizzazione del paese e dell’intera aerea. Chiudevamo con la speranza, o meglio dire illusione data l’incapacità del governo Renzi, che l’Italia sostenesse con forza Khalifa Haftar, consentendogli una rapida vittoria: la nostra esitazione ha consentito agli USA di investire la Libia con una nuova ondata di caos.

Non fa sosta la politica di destabilizzazione degli Stati Uniti che, a distanza di quattro anni esatti dalla “Primavera araba”, fanno rotta nuovamente sul Nord Africa dopo aver devastato con discreto successo l’Iraq, lasciato di fresco dalle truppe americane (dicembre 2011). Dislocando la brigata internazionale dell’ISIS in Libia, ventre molle del Nord Africa, Washington spera di infliggere un colpo letale all’Algeria (salvatasi dalla destabilizzazione del 2011) e di impedire il rappacificamento dell’Egitto, gravitante non a caso sempre più attorno Mosca e Pechino. La strategia angloamericana è diretta in ultima analisi sia contro il consolidamento dei suddetti rivali in Africa e Medio Oriente sia contro l’Europa, attorno cui si sta facendo terra bruciata per inglobarla definitivamente in un’entità trans-atlantica. Il paese europeo che più ci sta rimettendo, e che collasserebbe nel caso saltassero anche Algeri ed Il Cairo, è ovviamente l’Italia, sottoposta a flussi crescenti di immigrazione clandestina e privata delle proprie fonti di approvvigionamento energetico.

La prima mossa della nuovo attacco è stata dunque fatta in Libia, ed è da lì che inizieremo la nostra analisi.

Un piano di destabilizzazione articolato e complesso

Le notizie pregiate sono talmente annacquate da un profluvio di informazioni inutili da fare pensare che alla disinformazione si preferisca oggi la loro diluizione in una mucillagine confusionaria. Pochi osservatori hanno infatti notato l’attacco complesso ed articolato cui è stata sottoposta la Libia tra la seconda metà di gennaio ed oggi: ad essere presi di mira sono stati, attraverso i tagliagole  dell’ISIS, le infrastrutture petrolifere e gli obbiettivi ad alto impatto mediatico.

Nel giorno di Natale le milizie islamiche di Alba della Libia, capeggiate da Omar al-Hassi e di stanza a Tripoli, sferrano un sanguinoso attacco al terminal petrolifero di Sidra che affaccia sul Golfo della Sirte: l’esito è catastrofico. Venti soldati dell’esercito nazionale libico muoiono sotto i colpi degli assalitori e, soprattutto, prende fuoco una cisterna, scatenando l’inferno: l’incendio si propaga alle infrastrutture ed in nove giorni bruciano tra i 500.000 ed in 1.8 mln di barili di greggio. Il disastro ecologico è tale che il ministro degli interni del governo di Tobruk, Omar al-Sinki, chiede aiuto anche all’Italia affinché fornisca assistenza e mezzi per domare l’incendio.

La produzione e l’esportazione di greggio, che nel 2012 aveva momentaneamente raggiunto i livelli ante-rivoluzione, crolla: per un paese che dipende per il 70% del PIL ed il 90% delle esportazioni dall’estrazione di greggio, significa avviarsi ad una rapida morte.

Il disastro di Sidra fa prendere coscienza ai governi di Tobruk e Tripoli della necessità di fermarsi prima che sia troppo tardi: verso la metà di gennaio gli islamici di Alba della Libia dichiarano il cessate il fuoco, seguito a distanza di pochi giorni da un medesimo annuncio1 del premier Al-Thani (riconosciuto come legittimo rappresentante della Libia dalla comunità internazionale). Se il cessate il fuoco non è ovviamente rispettato ovunque in paese in preda al caos, è comunque un passo promettente per l’imminente avvio dei negoziati presieduti dall’inviato speciale dell’ONU Bernardino León.

In concomitanza avviene un altro evento dirimente, anch’esso sull’onda della drammatica situazione che vive il Paese: il 18 gennaio il generale Khalifa Haftar, comandate dell’operazione Dignità lanciata contro gli islamisti, ottiene dal governo di Tobruk la promulgazione di un decreto che riabilita la sua figura ed altri 108 ufficiali che prestarono servizio sotto Muammur Gheddafi2, epurati dopo la caduta del rais.

Anziché essere uno dei tanti signori della guerra che infestano la Libia, Haftar pone le basi per un suo rafforzamento politico, seguito infatti, secondo i media libici[3], dalla sua nomina a Comandante generale delle Forze armate libiche e ministro della difesa. Facendo un parallelismo con l’Iraq, precipitato nel caos quando il governatore provvisorio Paul Bremer bandì qualsiasi membro dell’ex-partito Baath da cariche pubbliche o militari, la riabilitazione dei 108 ufficiali di Gheddafi costituisce un importante passo in avanti per la ricostruzione dell’esercito e dello Stato.

In questo contesto, per impedire che l’ordine abbia sopravvento sul caos, Washington schiera l’artiglieria pesante, come già fatto nell’Iraq di Al-Maliki nell’estate del 2014: in Libia sbarca l’ISIS. Ecco la lista degli attentati, concentrati tutti nella seconda metà di gennaio:

  • 27 gennaio: l’ISIS fa detonare un’autobomba all’hotel Corinthia di Tripoli, quindi i terroristi fanno irruzione nell’albergo uccidendo dieci persone (5 libici, 1 americano, 1 francese e 3 tagiki). Per gli analisti è l’ingresso ufficiale del Califfato in Libia4.

  • 29 gennaio: tentato assalto dell’ISIS all‘hotel Rixos di Tripoli

  • 3 febbraio: sconosciuti, forse membri dell’ISIS, assaltano l’impianto petrolifero di Mabrouk, sul golfo della Sirte, di cui ha una partecipazione Total. Dodici morti

  • 13 febbraio: sconosciuti ritentano l’assalto all’impianto di Mabrouk ed al vicino sito di Bahi della compagnia Waha Oil Co. Desistono dopo uno scontro a fuoco con la sicurezza.

  • 13 febbraio: l’ISIS carica in rete il filmato dei 21 coopti egiziani rapiti a Sirte all’inizio di gennaio. Inginocchiati sulla spiaggia, hanno un boia armato di coltello alle spalle. Il filmato della loro aberrante decapitazione è pubblicato il 15 febbraio.

  • 14 febbraio: sconosciuti piazzano bomba sotto l’oleodotto che parte dal più grande giacimento libico, Saris nell’ovest della Libia, ed arriva al terminal portuale di Hariga, non distante dal confine egiziano. La produzione libica di greggio crolla ai 180.000 barili al giorno dai 1,6 mln del 20115 e l’Italia vede arrestarsi quasi completamente il flusso di gas e petrolio in ingresso.

  • 14 febbraio: l’ISIS conquista Sirte, l’ambasciata italiana a Tripoli chiude e la Farnesina evacua gli ultimi nostri connazionali con un mercantile scortato dai caccia dell’aviazione militare.

Scatta la trappola americana per gettarci nelle sabbie mobili libiche.

L’ISIS, un’esca per utili idioti

Attraverso l’improvviso attivismo dell’ISIS, fino a pochi mesi prima relegato alla sola città di Derna6, Washington ha voluto imprimere nuovo slancio alla destabilizzazione della Libia.

Rispetto alla situazione caotica che già regnava in Libia, il palesarsi dell’ISIS offre di nuovo solo il pretesto per un intervento militare, sull’onda di quella lotta al Califfato per cui Barack Obama ha ricevuto nuovi poteri di guerra7 dal Congresso degli Stati Uniti. L’ISIS non ha infatti la forza di sopraffare le milizie islamisti di Alba della Libia, da cui subisce non a caso una pensante sconfitta militare perdendo il controllo di Sirte8 dopo neanche una settimana di reggenza.

Nei giorni che abbiamo appena vissuto, c’è stato però il rischio (sarebbe meglio dire la volontà) che l’ISIS spingesse indirettamente nel baratro la Libia e l’intero Nord-Africa. Le efferate decapitazioni, gli attacchi agli alberghi nel cuore di Tripoli e gli assalti dell’ISIS agli impianti petroliferi si inserivano in un crescendo di tensione finalizzato a provocare la reazione occidentale. La situazione sarebbe precipitata se i propositi americani di un’operazione militare europea in Libia fossero andati a buon fine. Sarebbe infatti bastata un’ambigua risoluzione dell’ONU, per consentire agli utili idioti europei di sbarcare in Libia, trasformando la quarta sponda in un catalizzatore dell’estremismo islamico del Magreb e del Levante, causando drammatici problemi di sicurezza ad Algeria ed Egitto.

Di affermazioni di un possibile intervento militare italiano, anche terrestre, ne abbiamo lette a decine nei giorni passati: “pronti a intervento in Libia con la cornice Onu” sosteneva il ministro degli esteri Paolo Gentiloni9, “guida della coalizione ed almeno 5.000 uomini” secondo il ministro della difesa Roberta Pinotti10, “Operazione Libia: lo Stato maggiore chiamato a pianificare l’intervento militare11” titolava l’Huffington Post, ”un intervento di forze militari internazionali, sebbene ultima risorsa, deve essere oggi un’opzione da prendere in seria considerazione per ristabilire ordine e pace” ragionava Silvio Berlusconi12, etc.etc.

È impossibile che gli esponenti di due dicasteri come la Difesa e gli Esteri, di un paese semi-coloniale come l’Italia e nel più assoluto silenzio del premier Matteo Renzi, abbiano potuto avanzare proposte di intervento militare senza il preventivo assenso degli Stati Uniti. A distanza di quattro anni dall’operazione NATO “Odissey Dawn” che ha scatenato l’attuale caos libico, l’Italia ha rischiato per 72 ore di ripetere lo stesso errore del 2011, quando Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi cedettero alle pressioni di Washington trascinandoci in guerra contro il colonnello Gheddafi.

Il nostro dispiegamento di soldati in Libia non solo ci avrebbe impantanato in una missione dagli obbiettivi strategici oscuri e dai costi insopportabili in termini di vite e denaro, ma avrebbe pure compromesso 70 anni di politica filo-araba.

Non conosciamo, e forse non lo sapremo mai, chi o cosa ci ha salvato dall’intervento militare, se le minacce di Hamas13 o l’avvedutezza del premier egiziano Abd al-Sisi, ma il rischio che cadessimo nelle sabbie mobili libiche, come auspicato da Washington, è stato altissimo. Difficilmente ne saremmo usciti vivi.

Scegliere un cavallo e puntarci tutto

La situazione in Libia è precipitata da quando le milizie islamiste di Alba della Libia hanno preso il controllo di Tripoli lo scorso 23 agosto 2014 e costretto il premier Al-Thani a rifugiarsi a Tobruk. Da allora la produzione di greggio è calata sino ai 150.000-200.000 barili giornalieri di oggi che, uniti al parallelo dimezzamento delle quotazione del greggio, rendono la situazione economica libica drammatica.

L’Italia, parallelamento al velleitario lavorio diplomatico, doveva scegliere se puntare sulla coalizione islamista di Tripoli o sul governo di Tobruk dominato dalla coppia Khalifa Haftar e Abdullah al Thani: non è un segreto che, pur tra mille ambivalenze, Roma abbia scommesso sul generale Haftar, cui i nostri servizi forniscono informazioni e sostegno alle truppe in termini di ricognizione e sorveglianza14.

Le truppe di Khalifa Haftar hanno riportato di recente una vittoria strategica riconquistando le ultime basi militari di Bengasi in mano agli islamisti15, e usufruiscono di un’importante assistenza dal Cairo, sotto forma di copertura aerea e di sporadici ma preziosi blitz dei commando egiziani16. Il ruolo dell’Egitto non può però essere spinto oltre misura per ragioni politiche, come ha riconosciuto lo stesso Haftar che ha rifiutato il dispiegamento dell’esercito del Cairo sul territorio libico17: occorre quindi fornire armi efficienti e moderne all’esercito nazionale libico, ancora sotto embargo ONU nonostante il premier Al-Thani sia riconosciuto come legittimo dalla comunità internazionale.

Il generale Haftar, analogamente a quanto sperimentò Al-Sisi quando represse la Fratellanza Mussulmana in Egitto, sa che il principale ostacolo alla sconfitta degli islamisti ed alla ricostruzione di uno stato centrale si chiama Washington: non è causale che i suoi sostenitori siano scesi in piazza a Tobruk chiedendo le dimissioni dell’ambasciatrice americana Deborah Jones ed invocando l’adempimento di un contratto per la fornitura di armi siglato mesi fa con un alto ufficiale russo18. Tutte le speranze di Haftar quindi (e anche le nostre) sono riposte nella Russia che, saldato l’asse con l’Egitto, ha l’opportunità d’oro di armare l’esercito nazionale libico e rientrare prepotentemente nel paese africano da cui si è cercato di espellerla nel 2011.

E l’Italia? Anziché fantasticare su improbabili avventure per cui mancano mezzi e soldi, daremmo un contributo concreto alla stabilizzazione della nostra ex-colonia se attuassimo un blocco navale dei porti libici. Come ha dimostrato l’incidente della nave greca avvenuto ai primi di gennaio, bombardata dai caccia del generale Haftar nel porto di Derna19, è per mare che i miliziani islamici sono trasferiti dal teatro siriano a quello libico.

Il contrasto del flusso di terroristi diretti in Libia  ci espone a possibili sanguinose ritorsioni di Washington e Londra per mezzo dell’ISIS, ma l’alternativa è un rapido e definitivo collasso della “quarta sponda”.

1http://america.aljazeera.com/articles/2015/1/18/libya-tobruk-ceasefire.html

2http://www.reuters.com/article/2015/01/19/libya-security-idUSL6N0UY2BD20150119

3http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2015/02/15/libia-media-haftar-nuovo-capo-esercito_27045f4c-8cdd-4760-8e34-7078a9f18cfe.html

4http://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/article/lo-stato-islamico-tenta-di-replicare-libia-lo-scenario-siro-iracheno

5http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-02-14/bomba-una-pipeline-si-ferma-piu-grande-pozzo-petrolio-libia-141527.shtml?uuid=ABQeJruC

6http://www.theguardian.com/world/2014/dec/06/us-fears-isis-nothern-libya-derna

7http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/nordamerica/2015/02/11/isis-obama-chiede-al-congresso-poteri-di-guerra_514b2c85-c7c9-497a-a7ab-1b589ab29f9b.html

8http://www.ilgiornale.it/news/mondo/libia-lisis-perde-sirte-conquistata-dalle-brigate-misurata-1095397.html

9http://www.ansa.it/sito/videogallery/mondo/2015/02/14/gentiloni-pronti-a-intervento-in-libia-con-la-cornice-onu_77abf626-1771-430d-af39-132812f854b4.html

10http://www.ilgiornale.it/news/mondo/libia-pinotti-pronti-guidare-coalizione-almeno-cinquemila-1094373.html

11http://www.huffingtonpost.it/2015/02/15/libia-operazione_n_6688396.html

12http://www.adnkronos.com/fatti/politica/2015/02/15/libia-berlusconi-intervento-militare-opzione-considerare_o6BPD7SxKb0gI3ghguY0CJ.html

13http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/ESTERI/libia_hamas_italia_non_intervenga/notizie/1186272.shtml

14http://english.alarabiya.net/en/views/news/middle-east/2015/02/16/Black-flags-over-Libya-show-ISIS-is-on-the-warpath.html

15http://www.aawsat.net/2015/02/article55341319/haftars-troops-recapture-key-stronghold-libyas-benghazi

16http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Libia-attacchi-egiziani-via-terra-in-a-Derna-Catturati-55-miliziani-Isis-83ddbef6-ea83-44d5-b648-a3bffed2e50f.html

17http://www.agi.it/estero/notizie/libia_generale_haftar_intervento_egitto_sia_aereo_non_di_terra-201502162245-est-rt10217

18http://www.lastampa.it/2015/02/14/esteri/libia-lisis-avanza-e-lancia-un-ultimatum-appelli-allonu-per-un-intervento-coordinato-84Mzio5rCe6nx6zFgawpnI/pagina.html

19http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2015/01/05/nave-greca-bombardata-in-libia-2-morti_dcdc9edf-5960-4319-b76e-40058e9d4900.html