I soliti sospetti: criminali e poi terroristi. E nel mezzo reclutati

È stato dato un nome ed un’identità a quasi tutti gli attentatori di Bruxelles e si possono, di conseguenza, trarre le prime conclusioni: come nel caso del strage del 13/11 non si tratta di sconosciuti alle forze dell’ordine, ma di piccoli criminali noti alle forze dell’ordine per reati comuni, caduti, come il franco-algerino Mohammed Merah, in quella zona grigia tra islamismo e servizi segreti. Sorge l’interrogativo in che misura i“kamikaze” del 22 marzo fossero “martiri” consapevoli ed in quale semplici rotelle di un meccanismo di cui non afferravano il funzionamento: il testamento audio trovato tra i rifiuti in strada stona, come pure il terzo, superfluo, uomo all’aeroporto poi dileguatosi. Come nel romanzo “Dieci piccoli indiani” i terroristi della nidiata franco-belga sono eliminati uno ad uno, cancellando così ogni collegamento con i servizi segreti: l’unica incognita è Salah Abdeslam, vivo ed in carcere. Occhio al caffè!

Criminali. Poi reclutati. Infine “kamikaze”

La quantità di informazioni riversata a strage avvenuta sui terroristi del 22 marzo è tale da domandarsi come sia possibile che le autorità belghe non abbiano saputo prevenire l’attacco, soprattutto considerato che è da un anno (il raid della polizia a Verviers del gennaio 2015 sull’onda di Charlie Hebdo) che il Belgio vive in perenne stato d’emergenza. Come per gli attacchi del 13/11, si è presto scoperto che la totalità degli attentatori sinora identificati era nota alle forze dell’ordine. L’elemento, unito al fatto che i servizi d’informazione belgi erano consapevoli dell’imminenza di un attacco terroristico1 e che l’aeroporto e la metropolitana sono due obbiettivi di per sé sensibili, avrebbe dovuto fornire alle autorità una quantità sufficiente di dati per sventare l’attacco, almeno allo scalo aereo di Zaventem. A posteriori, il profluvio di informazioni si rivela solo utile per tracciare un profilo ragionato degli attentatori ed azzardare qualche ipotesi su chi abbia consentito loro di agire indisturbati.

In base alle ultime ricostruzioni i terroristi del 22 marzo erano in totale cinque: due alla stazione metropolitana di Maelbeek e tre all’aeroporto di Zaventem. Per ognuno dei luoghi dell’attacco, permane il mistero sull’identità di un attentatore, mentre si conosce l’identità degli altri tre:

  1. Najim Laachraoui, 25enne, di origine marocchina, da tre anni senza alcun contatto con la famiglia, fratello del campione belga di taekwondo, partito per la Siria nel 20132 dove è formato come artificiere, fermato e poi rilasciato dalle autorità austriache nel settembre del 2015 quando viaggiava in compagnia di Salah Abdeslam, assemblatore degli ordigni di Parigi del 13/11 (su cui è stato rinvenuto il suo DNA), Najim si è fatto esplodere all’aeroporto di Zavantem. Durante il tragitto dal “covo di Schaerbeek” all’aeroporto, accompagnato dall’altro kamikaze Ibrahim El Bakraoui, sarebbe rimasto in silenzio, mentre il terzo attentatore, quello sconosciuto e tuttora in fuga, inveiva contro gli americani3;
  2. Ibrahim El Bakraoui, 30enne, arrestato nel 2010 per rapina ad un ufficio della Western Union, condannato a 10 anni di prigione, messo in libertà vigilata nel 2014 contro il parere del penitenziario e coll’obbligo di consultare ogni mese un assistente di giustizia, fermato nel giugno del 2015 dalle autorità turche al confine con la Siria, espulso nel luglio del 2015 dalla Turchia che lo colloca su un volo diretto in Olanda, privato dal tribunale della libertà vigilata nell’agosto del 2015, si fa infine esplodere all’aeroporto di Zaventem4. Le telecamere lo immortalano il 22 marzo, mentre spinge il carrello su cui è collocato l’esplosivo, con un guanto nero alla mano destra (ma non a quella sinistra!) dove si nascondeva il presunto detonatore: è accompagnato da Najim Laachraoui e dal terzo misterioso uomo, tuttora latitante, “che inveiva contro gli Stati Uniti”;
  3. Khalid El Bakraoui, 27 enne, condannato nel 2011 a 5 anni di prigione per furto d’auto, sprigionato prima di aver scontato tutta la pena, affitta a suo nome l’appartamento di Charleroi5, l’ultimo nascondiglio dei terroristi del 13/11 dove sono state rinvenute le tracce di Abdelhamid Abaaoud (mente della strage) e del terrorista Bilal Hadfi. Quindi, con un falso nome, Khalid affitta un’alta casa: quella nel quartiere brussellese di Forest, dove il 15 marzo si consuma la sparatoria cui segue la morte di un presunto terrorista e la rocambolesca fuga sui tetti di un numero imprecisato di sospettati6. Tre giorni quell’episodio dopo è arrestato, dopo un conflitto a fuoco nel comune di Molenbeek, Salah Abdelslam, l’unico terrorista del 13/11 superstite. Sottoposto a mandato di cattura internazionale sin dal mese di dicembre, Khalid El Bakraoui il 22 marzo si fa esplodere nella stazione metropolitana di Maelbeek, mentre il fratello si immola all’aeroporto.

Queste sono le dramatis personae sinora note che hanno insanguinato la capitale del Belgio. Già, per inciso, perché scegliere proprio il Belgio come base operativa della strategia della tensione? In Belgio avevano comprato le proprie armi7 i fratelli Kouachi, autori della strage di Charlie Hebdo; in Belgio era il covo dove si nascondevano i terroristi del 13/11; nella capitale del Belgio, nonché “capitale d’Europa” si consuma, infine, l’ultima eclatante strage. Una risposta può essere, oltre che la forte concentrazione di mussulmani a Bruxelles (circa il 23%), il fatto che il piccolo regno, un’entità statale strutturalmente debole essendo divisa tra Fiandre e Vallonia, ha finito per essere fagocitato della due ingombranti istituzioni che ospita, le sedi dell’Unione Europea e della NATO, veri “motori” dell’attuale ondata di terrorismo che coincide con un momento di grande debolezza per entrambe.

Soffermiamoci ora sugli attentatori e poniamoci qualche domanda: come è possibile che questi volontari dell’ISIS viaggino indisturbati tra la Siria ed il Belgio (è il caso di Najim Laachraoui ed Ibrahim El Bakraoui, ma ancor più di Abdelhamid Abaaoud che fece la spola 5 o 6 volte)? Come è possibile che simili super-ricercati (la polizia belga era freneticamente alla ricerca dei fratelli El Bakraoui dopo la sparatoria a Forest del 13 marzo8) non solo sfuggano alla cattura ma siano persino in grado di perpetrare un attacco spettacolare come quello del 22 marzo? Solo coincidenze fortunate e connivenze tra la comunità mussulmana? O c’è dell’altro?

Il modello della “covata” di terroristi franco-belgi rimane sempre il 23enne Mohammed Merah, il “killer dello scooter” autore nel 2012 degli attentati di Tolosa e Montauban, in cui perdono la vita tre militari francesi e quattro civili (di cui tre bambini) di religione ebraica. Noto alle forze dell’ordine per crimini comuni, imprigionato due volte per brevi periodi tra il 2007 ed il 2009, Mohammed Merah si radicalizza in carcere, grazie a Fabien Clain, carismatico islamista attivo anche in Belgio, voce dell’ISIS che rivendica nel novembre 2015 gli attentati del 13/11 e tuttora in Siria. Appena uscito dal carcere vediamo così Mohammed Merah prima in Israele, poi in Afghanistan (2010) e infine in Pakistan9(2011). Chi paga i viaggi del giovane ed indigente franco-algerino appena uscito dal carcere? Nientemeno che la DGSE10, i servizi segreti esteri francesi, che lo hanno “agganciato” in carcere. È forte il sospetto che gli attentati di Tolosa e Montauban, cavalcati da Nicolas Sarkozy che corre per le presidenziali del maggio 2012, non siano altro che un’operazione clandestina, perpetrata da Merah nella veste di agente della DGSE: al momento della sua cattura, per evitare imbarazzanti rivelazioni, le teste di cuoio si curano infatti di liquidarlo sparandogli in testa, benché il contesto consentisse facilmente di catturarlo vivo. La famiglia del giovane può aver intuito o carpito qualcosa dell’attività svolta da Mohammed con i servizi segreti? Niente paura: la DGSE con 30.000 euro ne compra il silenzio11.

Criminalità comune, carcere, “radicalizzazione”, reclutamento nei servizi, viaggi in Medio Oriente, ritorno in patria, terrorismo e morte violenta: ecco il percorso di Mohammed Merah, identico a quello dei fratelli Kouachi responsabili dell’attentato a Charlie Hebdo, identico a quello della mente degli attentati del 13/11, quel Abdelhamid Abaaoud condannato per rapina nel 2010 insieme a Salah Abdelslam12 ed in stretto rapporto con Fabien Clain13, identico infine a quello degli attentatori del 22 marzo, che passano da una rapina mano armata alla guerra contro l’esercito di Bashar Assad, sotto il benevolo sguardo dei servizi segreti, per poi tornare in Europa a progettare attentati (sempre con la connivenza dei servizi israeliani ed atlantici).

I nomi citati sono ormai troppi: è giunto il momento di uno schema che organizzi i terroristi di Tolosa, Parigi e Bruxelles (ricordiamo che la DGSE di cui parliamo, diretta da Bernard Bajolet, è stata riplasmata da Nicolas Sarkozy, che l’ha resa prona agli interessi israeliani ed angloamericani).

 

schema attentatori

 

Veniamo così alla dinamica degli attentati del 22 marzo: è ormai chiara la volontà di fondo, man mano che assolvono alla loro funzione, di eliminare uno dopo l’altro, proprio come nel romanzo “Dieci piccoli indiani”, tutti gli attentatori della covata franco-belga: i casi Mohammed Merah, dei fratelli Kouachi e di Abdelhamid Abaaoud insegnano che i terroristi morti, sono di gran lunga da preferire ai terroristi vivi (e loquaci).

Sorge quindi l’interrogativo: gli attentatori del 22 marzo erano consapevoli che sarebbero morti nell’azione o sono stati ingannati? Più di un elemento fa propendere per la seconda ipotesi: ossia che non sapessero che sarebbero morti nell’attentato e che, al massimo, pensassero di limitarsi a piazzare l’ordigno. In primis, è alquanto sospetto il ritrovamento del testamento audio dei fratelli El Bakraoui non nel loro appartamento, ma in un cassonetto dell’immondizia nei pressi della loro abitazione14: si direbbe che qualcuno l’ha collocato dopo l’attentato, quando il loro appartamento già “scottava”, per inscenare l’estremo addio di due kamikaze che, in realtà, non sapevano che sarebbero morti quel giorno.

“Dans cet enregistrement, il (Ibrahim El Bakraoui NDR) affirme se trouver dans la précipitation”, ne plus savoir quoi faire“, “ne plus être en sécurité”, a précisé mercredi le procureur fédéral belge, Frédéric Van Leeuw. Acculé, l’homme explique être “recherché de partout”.

Il nastro audio vuole quindi dipingere il commando di Bruxelles come disperato, messo alle strette dall’arresto di Salah Abdeslam e quindi costretto a passare all’azione, lanciandosi in una spettacolare azione suicida. Ma perché il computer si trova in strada nell’immondizia? Perché non lasciarlo nell’appartamento dove sono ritrovati “15 kg di esplosivo di tipo Tatp, 150 litri di acetone, 30 litri di acqua ossigenata, detonatori, una valigia piena di chiodi e viti e altro materiale15 oppure perché non distruggerlo tout court? Probabilmente perché i fratelli El Bakraoui quel testamento non lo hanno mai registrato.

Najim Laachraoui e Ibrahim El Bakraoui, entrambi vestiti di nero, escono di casa con le valigie contenenti l’esplosivo, accompagnati dal misterioso terzo uomo, vestito di bianco; durante il viaggio in taxi tacciono mentre l’altro inveisce contro gli Stati Uniti; arrivano all’aeroporto e, particolare che avrebbe insospettito qualsiasi guardia, spingono il carrello su cui c’è l’esplosivo con una mano coperta da una guanto nero (per coprire il detonatore secondo i media) e l’altra scoperta (un segnale di riconoscimento per qualcuno?); l’ultimo fotogramma ritrae i due attentatori, a volto scoperto, l’uno a fianco a l’altro, mentre il terzo uomo, col volto coperto da berretto ed occhiali li segue in disparte; la bomba esplode vicino al banco dell’American Airlines, Najim Laachraoui e Ibrahim El Bakraoui muoiono sul colpo, l’uomo in bianco fugge. Chi è il terzo uomo camuffato? Qual è la sua funzione? Non poteva lasciare la sua valigia-bomba agli altri due ed evitare di essere ripreso dalle telecamere? Probabilmente l’uomo in bianco è quello che porta al suicidio Najim Laachraoui e Ibrahim El Bakraoui, senza che questi ne siano a conoscenza. Credevano di piazzare l’ordigno ed invece sono morti anche loro, nell’esplosione forse detonata proprio dall’uomo in bianco.

terroristi

Un’ora dopo, è la volta del fratello di Ibrahim El Bakraoui, Khalid: una deflagrazione squarcia la stazione metropolitana di Maelbeek, causando la morte di una ventina di persone. C’è di nuovo da porsi l’interrogativo se Khalid, accompagnato secondo le ricostruzione da un altro uomo, sapesse che sarebbe morto quella mattina o pensasse soltanto di trasportare e piazzare l’ordigno. Il testamento fasullo, rinvenuto nella spazzatura, induce ancora a propendere per la seconda ipotesi.

Ad ogni modo gli attentati sono stati compiuti, Bruxelles e l’Europa sono state gettate nel caos e, dulcis in fundo, ci si è liberati anche dell’artificiere del 13/11 (Najim Laachraoui) e dell’addetto alla logistica in Belgio (Khalid El Bakraoui). Come nei “Dieci piccoli indiani”, la squadra franco-belga ha perso altri due preziosi protagonisti, che non potranno più raccontare né dei viaggi in Siria né delle coperture di cui godeva Abdelhamid Abaaoud. Tutto liscio?

No, perché nella trama c’è un imprevisto, ossia l’arresto in Belgio di Salah Abdeslam, il primo terrorista ad essere catturato vivo. Salah, che la sera del 13/11 avrebbe dovuto farsi saltare in aria allo Stade de France, è assalito all’ultimo minuto dalla paura e desiste da suoi intenti: deposita la cintura esplosiva nel cassonetto dei rifiuti dove sarà poi trovata e fugge. Da allora Salah, che per il commando del 13/11 aveva affittato auto ed appartamenti, è braccato sia dalla polizia, sia dall’ISIS16 (ovvero dai servizi segreti francesi ed israeliani), deciso a “punirlo” per la “vigliaccheria” o, più realisticamente, per evitare che racconti scomodi retroscena sulle stragi di Parigi. Il mancato kamikaze ripara così in Belgio dove rimane nascosto finché il 18 marzo le teste di cuoio belghe (non quelle francesi che hanno già liquidato Mohammed Merah, i fratelli Kouachi e Abdelhamid Abaaoud) non lo catturano, ferito ma vivo: la reazione alla notizia del presidente francese François Hollande, ripreso a fianco del raggiante premier belga Charles Michel, non è entusiasta. Subito Salah Abdeslam fa sapere di opporsi all’estradizione in Francia, dove pendono su di lui le accuse più gravi, poi, il giorno dopo gli attentati di Bruxelles, cambia improvvisamente idea e dice di volere essere trasferito il prima possibile17.

Dopo la strage del 22 marzo, Salah reputa la sua detenzione in Belgio persino meno sicura di quella nella carceri francesi? Quel che certo è se Salah parlasse potrebbe fornire elementi molti preziosi non solo per la ricostruzione degli attentati del 13/11 ma anche della rete, a livello di servizi segreti, che finanziò e seguì passo dopo passo l’organizzazione degli attacchi. Il suo avvocato è già stato aggredito, Salah faccia attenzione ai caffè: il fantasma di Michele Sindona aleggia su di lui.

Il contorno: dalla analogie col terrorismo palestinese alla domanda di “più Europa”

Come abbiamo già sottolineato nella nostra prima analisi a caldo, si hanno ormai a disposizione robusti indizi per sostenere che l’attuale strategia della tensione che insanguina l’Europa sia stata appaltata ai servizi israeliani. Alimentando il terrorismo “islamico”, si perseguono due obbiettivi: l’Unione Europea dirotta l’attenzione dell’opinione pubblica sulle tematiche della sicurezza in momento di gravi criticità economiche (il ritorno della deflazione ed i sinistri scricchiolii del sistema bancario) e politiche (la sospensione de facto degli accordi di Schengen) cercando di sfruttare la crisi per rianimare la comatose istituzione brussellesi, mentre Israele, che considera la sopravvivenza della UE una priorità della politica estera, fomenta l’odio contro le comunità mussulmane ed il mondo arabo, presentandosi, al pari dell’Europa, come una vittima del fanatismo mussulmano.

A questo proposito, senza arrivare al dadaismo de Il Foglio (L’Europa chieda a Netanyahu di commissariare la nostra sicurezza”18 scrive Claudio Cerasa, succeduto al neocon Giuliano Ferrara), sono due gli articoli più significativi comparsi in questi giorni sui giornali.

Il primo è l’intervista del giornalista di Repubblica, Fabio Scuto (che già giocò un ruolo di primo piano nella campagna mediatica che seguì l’omicidio di Giulio Regeni) all’ex-direttore del Mossad, Dany Yatom: nell’articolo si avanza, senza alcun contraddittorio, l’analogia (piuttosto azzardata) tra terrorismo dell’ISIS e terrorismo palestinese, per poi invocare, data la “lotta molto dura e lunga” al terrorismo islamico, un Patriot Act europeo e la nascita di un equivalente dell’FBI. L’idea di un “servizio investigativo federale” doveva circolar da tempo nell’establishemnt europeo, perché il primo a proporla è Enrico Letta all’indomani della strage di Bruxelles19.

Dice l’ex-direttore del Mossad a Fabio Scuto20:

“Israele, Paese che si confronta da più di 20 anni col terrorismo palestinese, non ha alcun insegnamento da dare all’Europa, ma può fornire elementi utili per cercare di arginare quest’ondata di attacchi sul suolo europeo (…) Serve un Fbi europeo con comando unico, dedicato solo alla lotta al terrorismo islamista (…) Deve esserci una sorta di “Patriot Act” europeo, una legislazione che consenta ai servizi di sicurezza di agire, arrestare sospetti, condurre indagini immediate e continuare ad investigare ed interrogare anche in una fase successiva, di ricorre a “detenzioni amministrative””

Il secondo articolo, incentrato non sulla lotta al terrorismo islamista tanto cara a Tel Aviv ma sulle ripercussioni “europeiste” della strage del 22 marzo, è l’editoriale “Da Bruxelles a Parigi solo l’Europa unita può salvarci dai terroristi21 firmato dal neo-direttore di Repubblica, Mario Calabresi: si tratta di una sintesi delle tematiche che stanno più a cuore alle oligarchie euro-atlantiche, sintesi talmente densa che i salti logici abbondano. Cavalcando infatti gli attentati di Bruxelles, si propone al lettore tutto e di più, presentando il Belgio, piccolo stato multi-linguistico e con un forte decentramento dei poteri, come il modello di quanto c’è di peggio in Europa: se il continente non precede spedito verso la federazione, sottraendo sovranità ai parlamenti nazionali, è destinato a subire le sorti dei disgraziati belgi. Spigolando l’articolo di Calabresi si trova così il pericolo del Brexit, la preoccupazione per la lentezza con cui procede il TTIP, un malcelato disprezzo per gli Stati nazionali (ed anche un po’ per democrazia…), la necessità di affrontare a scala sovranazionale il terrorismo islamico, etc. etc.

“SOLO un’Europa unita ci può salvare dal terrorismo. Solo una maggiore integrazione tra i Paesi dell’Unione può sconfiggere la jihad islamica a casa nostra. (…) Dopo le bombe di Bruxelles perfino il ministro dell’Interno inglese Theresa May ha lanciato l’allarme sui rischi per la sicurezza che correrebbe la Gran Bretagna se col referendum del prossimo 23 giugno decidesse di lasciare l’Unione europea (…) Cosa sarebbe successo se negli Stati Uniti la lotta al terrorismo fosse stata appannaggio dei singoli Stati ? (…) Tanto che il famoso e molto discusso Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) tra Europa e Stati Uniti, una volta firmato dalla Commissione europea, avrebbe bisogno della ratifica di ognuno dei 28 Paesi che formano l’Unione ma con il voto di 35 Parlamenti. Sì perché in 26 nazioni ci sarà il voto del Parlamento, (…) All’aeroporto di Bruxelles e alla fermata della metropolitana di Maelbeek non è stato colpito solo il cuore dell’Europa ma è stato sfidato il nostro futuro e ci è stata posta una domanda fondamentale: vogliamo dividerci e fare la fine del Belgio?”

Concludiamo cercando di rispondere all’interrogativo che in questi giorni è circolato più volte: perché l’Italia è stata ancora una volta risparmiata dalle attenzioni “dell’ISIS”? L’Huffington Post del 23 marzo titola “Attentati Bruxelles, Roma sempre più citata dalla galassia Isis. L’allarme dei servizi al Copasir22, evidenziando come “forse si stia stringendo il cerchio intorno all’Italia, pur in assenza di segnali specifici di allarme. Su Roma in particolare, ma anche Milano e Torino.”

In realtà, al di là della volontà di tenere l’opinione pubblica in un perenne stato di soggezione, in ossequio ai classici principi della strategia della tensione, perdurano le condizioni politiche che hanno fatto sì che finora il terrorismo di Stato si concentrasse in Francia anziché in Italia. Mentre in Francia il primo partito a livello nazionale è ormai il Front National, anti-UE ed anti-NATO, in Italia tutto lo spettro politico è ancora dominato da forze politiche (ex-PDL, PD, M5S) saldamente europeiste ed atlantiste (si veda la svolta europeista23 di Luigi Di Maio ormai primo ministro in pectore dopo il fallimento di Renzi): in un simile contesto la strategia della tensione sarebbe non solo inutile ma addirittura controproducente.

L’unico motivo per cui l’ISIS potrebbe bussare alla nostra porta, sarebbe la volontà atlantica di zittire la recalcitrante Italia circa l’intervento militare in Libia: se a Washington e Londra si dovesse decidere che l’Italia non può esimersi dall’inviare 5.000 soldati in Tripolitania, allora “il Califfato” si materializzerebbe anche nelle nostre città.

 

terrorismodadaismo

1http://www.agi.it/cronaca/2016/03/22/news/bruxelles_intelligence_aveva_allertato_attacco_imminente_-632742/

2http://www.eunews.it/2016/03/23/la-famiglia-del-terrorista-najim-laachraoui-ha-ripudiato-il-figlio/54041

3https://www.lastampa.it/2016/03/24/esteri/bruxelles-cera-un-secondo-uomo-con-il-kamikaze-della-metro-2XqA8c9a9uaFC65tR14IrL/pagina.html

4http://www.dhnet.be/actu/belgique/ibrahim-el-bakraoui-aurait-ete-expulse-deux-fois-par-la-turquie-commission-d-enquete-en-vue-direct-56f3ce5c35708ea2d3ddcd97

5http://www.dhnet.be/actu/faits/le-vrai-role-des-freres-el-bakraoui-dans-les-attentats-de-paris-56eb139e35708ea2d3a6524a

6http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/15/news/bruxelles_sparatoria_nel_comune_di_forest-135535819/

7http://www.europe1.fr/faits-divers/les-armes-de-coulibaly-et-des-kouachi-achetees-en-belgique-2344273

8http://www.dhnet.be/actu/faits/le-vrai-role-des-freres-el-bakraoui-dans-les-attentats-de-paris-56eb139e35708ea2d3a6524a

9http://www.lepoint.fr/societe/exclusif-l-immeuble-ou-est-retranche-le-forcene-21-03-2012-1443446_23.php

10http://www.lexpress.fr/actualite/societe/mohamed-merah-etait-il-un-indic-de-la-dcri_1098147.html

11http://www.lepoint.fr/invites-du-point/sihem-souid/la-dgse-aurait-achete-le-silence-du-pere-de-mohamed-merah-09-06-2015-1934712_421.php

12http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-03-25/salah-interrogato-strage-parigi-il-responsabile-abdelhamid-abaaoud-082327.shtml?uuid=ACorbcuC

13http://www.huffingtonpost.fr/2015/11/23/fabien-clain-jihadisme-suspect-attentats-13-novembre-paris-daech-etat-islamique_n_8628406.html

14https://www.lastampa.it/2016/03/24/esteri/kamikaze-i-segreti-del-raid-nascosti-in-un-computer-sc7Htnl3DTFzFzeULJhSRK/pagina.html

15http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2016/03/23/15-chili-esplosivo-tatp-a-schaerbeek_27d8a660-bd77-47f0-9aa7-e5ff4adf90ef.html

16http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/21/attentati-parigi-ora-anche-lisis-cerca-salah-abdeslam-e-un-vigliacco/2240170/

17http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2016/03/19/si-attende-interrogatorio-salah_dfd2de60-eaf7-434d-b1e6-c911d15f2d5d.html

18http://www.ilfoglio.it/esteri/2016/03/24/leuropa-chieda-a-netanyahu-di-prendere-in-mano-la-nostra-sicurezza___1-v-139771-rubriche_c162.htm

19http://www.avvenire.it/Politica/Pagine/Letta-La-situazione-fuori-controllo-La-risposta-Subito-un-Fbi-europeo-.aspx

20http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/24/news/intervista_a_ex_capo_del_mossad-136184991/

21http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/24/news/terrorismo_europa_unita-136189958/

22http://www.huffingtonpost.it/2016/03/23/attentati-bruxelles-roma_n_9532700.html

23http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/24/m5s-di-maio-incontra-gli-ambasciatori-ue-e-fa-le-prove-da-candidato-premier/2580100/

24 Risposte a “I soliti sospetti: criminali e poi terroristi. E nel mezzo reclutati”

  1. Giusto e sacrosanto. Chiunque notò i particolari delle bombe di Londra del 2007, ha capito già allora che i “kamikaze” erano invece mezze tacche arruolate per “un lavoretto facile” e poi destinate ad una brutta fine.
    D’altronde, cosa fa un ladruncolo di borgata appena gli viene promesso un bel malloppo di soldi? Va ad ordinare la Mercedes. Esattamente quel che fece uno dei “kamikaze” di Londra, ed è noto che la Mercedes ad un morto non serve.

    I ghetti islamici sono riserva di delinquentelli, tossici e nullafacenti per le “cose grosse” dei boss… come a Scampia. Ne ho scritto qui:
    http://mentitespoglie.altervista.org/mafioislam-a-bruxelles-funziona-come-a-scampia/

      1. Identica cosa anche per la mafia, il comportamento è classico; sfruttare la piccola criminalità dei ceti che rasentano la miseria

        1. Non era lui, caro Mihai. come immaginavo…. Il tassita, sotto stress, ne ha scelto uno a caso nel mazzo…

    1. vero, Cristina. Il “containment” è uno dei modus operandi adottati, come evidenziato dal Silvestri in fondo all’intervista (-Qualcuno sostiene anche che paradossalmente proprio il controllo sul territorio di mafia, camorra e ndrangheta possa essere un vantaggio contro il terrorismo islamico…
      “E’ una tesi strampalata, perché i mafiosi seguono interessi che non sono esattamente la difesa della vita dei cittadini. In passato lo Stato ha provato a farsi aiutare dalla mafia nella lotta al terrorismo, ma con scarsi risultati”-): http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/25/attentati-bruxelles-silvestri-litalia-non-e-al-sicuro-ma-non-ha-immigrati-di-2a-e-3a-generazione-autori-delle-stragi-in-europa/2580091/
      e ne ha dette pure altre, il Silvestri…

      1. Che la mafia ci protegga dal “Califfato”, mi sembra, come si dice in Sicilia, una grande minch*****

      2. E’ saporito il commento di Gomez alla fine dell’articolo, tra l’indignato e lo spaventato: conferma che anche il Fatto Quotidiano è solo una variante della stampa atlantista nostrana.

  2. Il dettaglio dei guanti alla mano sinistra è importante, per qualche motivo i due terroristi “detonati” sembrano avere una sorta di uniforme, per entrambi felpa nera e pantoloni beige, e guantino nero a sinistra.

    Secondo le notizie riportate sono stati trovati 3 Kalashinikov all’interno dell’areoporto.
    Preziosa la testimonianza di un certo Sebastien Bellin, ex giocatore di basket ferito a una gamba da una pallottola all’interno dello scalo : ci sono stati prima degli spari, seguiti immediatamente dalle detonazioni.

    Nello scalo è stato trovato anche un ordigno inesploso.

    Quindi
    -3 terroristi, 3 Kalashinkov, e 3 Bombe ( 2 detonate, 1 ritrovata inesplosa ).
    -I Kalashnikov praticamente NON FANNO IN TEMPO a usarli, i due terroristi morti appena attaccano a sparare saltano per aria, : altrimenti ci sarebbero state molte più persone ferite da pallottole visto che il fucile in questione porta caricatori da 32 colpi ed è completamente automatico.

    Perchè portarsi dietro 3 Kalashnikov e poi farsi saltare subito in aria dopo aver sparato poche raffiche ?
    3 terroristi, un fucile e un ordigno a testa : il piano “ufficiale” probabilmente era leggermente diverso da quello realmente “eseguito”.
    I fucili non hanno senso se vuoi solamente farti saltare in aria, probabilmente l’idea di base era di trincerarsi all’interno dell’areoporto con ostaggi e per questo servivano i fucili, le bombe servivano per la fase successiva, come argomenti piuttosto convincenti di trattativa ( magari posti vicino agli ostaggi ammassati da qualche parte e pronti per detonare alla velocità di un click ) e come ultima risorsa in caso di blitz delle forze speciali.

    E qui torniamo ai due terroristi detonati : i guanti alla mano sinsitra e la scelta cromatica coordinata dell’abbigliamento mi portano ad azzardare un’interpretazione.

    -I guantini servono per fare più “grip” mentre si spara, posto che probabilmente i due terroristi detonati erano destrorsi, la mano sinistra riveste una certa importanza nel mantenere l’arma sotto controllo, non sono un esperto ma dicono che il Kalashnikov ha un rinculo non indifferente, specie quando usato in automatico, modalità di fuoco peraltro molto gettonata da chi utlizza qest’arma in spazi ristretti visto che non dispone di modalità raffica breve controllata, ma solo di selettore colpo singolo/fuoco automatico.

    -L’abbigliamento con stessi colori, felpe nere e pantaloni beige, potrebbe identificare una sorta di “uniforme” : e il significato pratico della divisa è semplice, scongiurare il fuoco amico, evitare di colpirsi a vicenda nel caos di una sparatoria.

    Morale della favola : i due detonati avevano altri piani, i Kalshnikov dovevano essere usati, la “divisa” e il guantino sono indizi in questo senso secondo me, le bombe servivano per dopo.
    Non che i due non fossero individui sottoposti a lavaggio del cervello e quindi sostanzialmente androidi prontissimi a farsi saltare in aria se le circostanze lo avessero richiesto, però secondo me i botti sono stati “anticipati” da qualche manina misteriosa.

    Invece l'”uomo col cappello” non fa nulla, è come se supervisionasse l’operazione, anche nella foto si vede che cammina leggermente dietro agli altri due come a dirigerne i movimenti.
    La bomba inesplosa e il terzo kalashnikov erano portati dall’uomo col cappello : anche lui doveva partecipare, ma all’ultimo si sfila.
    La sua bomba non salta, forse serviva solo a far vedere agli altri due che anche lui sarebbe andato fino in fondo, forse non è saltata per un guasto tecnico e l’uomo col cappello miracolato scappa a gambe levate dopo aver capito la trappola : bisogna informarsi su questa bomba inesplosa, se era dotata di detonatore o meno, se non è esplosa per un difetto tecnico o solo perchè non attivata.

    1. Concordo sui due piani: uno per le pedine sacrificate ed uno per i burattinai.

  3. Ricostruzione “storica” accurata, accompagnata da riflessioni maturate dall’analisi di fatti empitici documentati.
    Ottimo lavoro, dottor Dezzani!

    Mancano talune novità – [ come l’esplosiva denuncia del re di Giordania contro la Turchia, accusata di esportare di proposito i terroristi/mercenari in Europa onde destabilizzarla] – ma solo perché esse sono divenute di dominio pubblico oggi.

    Avrei inoltre gradito qualche cenno sulle attività passate delle organizzazioni stay-behind correlate alla NATO, anche se mi rendo conto che ciò avrebbe potuto scatenare le ire di chi – con somma ignoranza semantica – definisce complottista colui che indaga sui complotti e non – come in effetti è – colui che ordisce complotti .

    Termino esprimendo i miei più fervidi auguri di Buona Pasqua a tutti.

    1. Piazza Fontana fa sempre scuola… Rimane il modello per eccellenza della strategia della tensione targata NATO: l’ISIS è, mutatis mutandis, l’erede di Gladio.

  4. Va bene Dezzani, accettiamo le sue ipotesi, al pari di altri che gridano al complotto.
    La finalità quale sarebbe? Compattare le popolazioni di USA, Europa ed Israele e lanciarle in una guerra santa con la quale seppellire il fallimento totale di un sistema economico impazzito?
    E quand’anche riuscissimo ad ammazzare tutti i mussulmani resident nei loro paesi di origine, di quelli in Europa che facciamo?

    Perchè non si pone mai la questione, come anche a suo tempo per le Brigate Rosse, se c’é innanzi tutto un problema oggettivo che genera una reazione da parte di minoranze, quale che sia SUCCESSIVAMENTE l’uso che ne viene fatto da parti e soggetti diversi?

    C’è in Europa un problema di fanatismo dell’Islam integralista, si o no?
    Cominciamo da qui. Poi analizziamo la stumentalizzazione che se ne fa e chi la fa e per quali suoi interessi.. Ma dopo non prima.

    1. Non confondiamo l’ordine pubblico e la giusta difesa delle frontiere con la guerra di civiltà tra Occidente ed Islam, una trovata israeliana e neocon da cui non abbiamo SOLO da perdere.

    2. Caro Luigi, purtroppo la lettura che va per la maggiore (ovvero: le nostre colpe, le povere minoranze oppresse ecc.) cozza brutalmente contro la realtà.
      Qui trovi l’analisi di un giornale islamico torinese, che spiega come gli jihadisti se ne freghino del Corano e si tratti di una rivolta nichilista da giovani annoiati, insomma una roba da ultrà:
      http://www.islamtorino.it/io-del-corano-me-ne-frego-i-giovani-jihadisti-tra-rivolta-personale-e-sete-di-violenza-lislam-e-solo-un-pretesto/

      Qui invece scopri, oh meraviglia, che gli attentatori di Bruxelles non solo se ne fregavano dell’Islam, ma erano anche erano figli di commercianti benestanti col negozio in centro:
      http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/27/news/terrorismo_bruxelles-136372817/?ref=HREA-1

      A me, nell’insieme, come figure e contesto ricordano tanto i neofascisti di qualche decennio fa, quelli che mettevano le bombe nei treni.
      C’è chi preferisce però pensarli poveri, oppressi e vittime che reagiscono… si sa, il sogno rivoluzionario -duro a morire- si attacca anche all’improbabile.

  5. Il potere delle oligarchie si unisce sempre alla manovalanza degli ultimi della società per fottere la classe media.
    È un lavoretto classico magistralmente eseguito in Italia dal PD!

  6. Mano nera: tema caro ai burattinai organizzatori di stragi da circa i secolo e mezzo………solo coincidenze o qualcosa di più. beh io propendo per la seconda .

  7. Concordo con quanto scritto. Appare del tutto improbabile che dei piccoli microcriminali marginali di periferia, che in quanto tali dimostrano la non condivisione delle minime regole sociali e del rispetto della vita altrui a favore del loro interesse, possano diventare nel giro di brevissimo tempo in primis dei fervidi seguaci di una religione come l’slam che ha regole molto ferree ma non solo, diventano persone che sacrificano la loro vita proprio nel nome di quella religione i cui principi hanno violato per quasi tutta la loro esistenza.
    Ho un unico dubbio a cui non riesco dare una spiegazione. Se è vero, come è vero, che a partire da quando è stato ucciso Merah sono stati tutti eliminati con modalità dubbie, come è possibile che gli “attori” degli ultim iattentati non ne fossero consapevoli e siano andati incontro ad una probabile morte. La fuga dalla situazione in cui si erano cacciati poteva ( credo) essere possibile visto che Merah, i fratelli Kouachi e Koulibaly sono stati eliminati ormai da tempo ed anche supponendo che i servizi esercitassero un controllo accurato una qualche occasione avrebbero forse potuto sfruttarla.

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