La mancata nascita degli Stati Uniti d’Europa e della conseguente unione fiscale hanno ampliato gli effetti deflattivi della moneta unica, forgiata dall’alta finanza cosmopolita per sottrarre agli Stati la capacità di creare moneta e salvaguardarne il valore. Oggi l’eurozona è un semplice regime a cambi fissi, analogo al gold-standard per funzionamento e scopi. La Germania condivide con l’alta finanza anglo-americana il ruolo di creditore: il loro interesse all’austerità coincide finché il rigore Berlino non mette a repentaglio l’esistenza della moneta unica, indispensabile a Mammona per esercitare il controllo sugli Stati.
La convertibilità della moneta in oro è difesa da Mammona perché ne frena l’emissione
In principio la moneta fu oro, argento, bronzo e rame: dotata di un valore intrinseco era accettata ovunque e consentiva ai facoltosi patrizi romani di acquistare la preziosa sete cinese. Poiché il flusso della moneta è opposto a quello delle merci, l’oro era drenato dall’impero romano verso quello cinese, alimentando la penuria di moneta ed i connessi effetti deflattivi che costringevano Roma a coniare monete dal contenuto sempre minore di metalli preziosi.
Lo sfruttamento delle Indie Occidentali consente nel XVI secolo di inondare l’Europa con l’oro spagnolo, fornendo una massa monetaria idonea a sostenere i commerci che tra XVII e XVIII secolo esplodono in termini di volumi: parallelamente nasce la carta-moneta che, pur essendo emessa da quelle stesse banche che detengono l’oro e ne garantiscono la convertibilità, mostra al mondo come l’attività creditizia crei moneta dal nulla.
I maggiori banchieri privati si ergono quindi a custodi di questo prezioso segreto che minaccia di distruggere la loro attività se esercitato indiscriminatamente e nel 1694 fondano la Banca d’Inghilterra, unica banca privata inglese che fino al 1826 gode del privilegio di annoverare un numero di soci superiore a sei. La “vecchia signora di Threadneedle Street” macina da subito profitti acquistando titoli di debito pubblico, concedendo prestiti al governo e scontando titoli commerciali: se le banconote che emette circolano per quasi un secolo affiancate alla carta moneta delle altre banche private, nel 1797 il Parlamento inglese riconosce loro valore legale e sancisce che sono idonee ad estinguere qualsiasi debito1.
La decisione del Parlamento inglese non cade casualmente nel 1797: il governo inglese, impegnato militarmente contro la Francia rivoluzionaria, si finanzia abbondantemente con l’emissione di moneta cartacea della Bank of England che, proprio nel 1797, è momentaneamente esentata della convertibilità in oro delle banconote2. La Gran Bretagna esce vittoriosa dalle guerra napoleoniche e, forte della sua posizione industriale e finanziaria (la stella di Amsterdam si affievolisce con la migrazione a Londra della comunità ebraica) può ripristinare il gold standard nel 1821, sebbene sia fissato un minore contenuto d’oro per sterlina a causa del drastico aumento dei prezzi intercorso.
Diventa palese che l’emissione di banconote deprime il valore della moneta (attraverso l’inflazione) e danneggia le attività dei gradi banchieri che tradizionalmente non investono né in terreni né in attività industriali, ma solo in liquidi e nell’erogazione di credito. La finanza privata inglese, ora al centro del mondo (è l’epoca dei Rothschild, Barings, Goldsmid, Mocatta, etc.), si adopera quindi per esercitare il controllo sull’emissione di moneta ed il Bank Charter Act del 1844 stabilisce che la Banca d’Inghilterra è ora l’unico istituto abilitato all’emissione di banconote che possono essere stampate solo se coperte al 100% da un corrispettivo ammontare d’oro: si entra nell’epoca classica del gold-standard. Appena l’Inghilterra impone il ritorno alla parità aurea, l’economia inglese cade però in un periodo di deflazione, che durerà fino al 1850, con l’immissione nel circuito monetario dell’oro estratto in Alaska.
Le nazioni europee e gli USA si impegnano ora a convertire la propria moneta in un determinato ammontare fisso di oro: se ogni sterlina vale permanentemente una certa quantità oro e lo stesso dicasi per il franco, si evince che tra la sterlina ed il franco c’è un cambio stabile ed a livello internazionale vige un sistema di cambi fissi. Parte della storiografia, soprattutto quella inglese, ritiene che sia stato proprio il gold standard e favorire l’impetuosa crescita economica del XIX secolo, grazie ai cambi fissi che favoriscono gli investimenti esteri.
Le ragioni dell’accelerazione economica sono invece da cercare nello sviluppo tecnologico e demografico, così impetuosi da neutralizzare l’effetto deflattivo del gold-standard, propugnato dall’alta finanza ossessionata l’inflazione e dall’emissione di moneta. Dell’oro l’establishment finanziario non apprezza infatti l’incorruttibilità o la lucentezza, ma la sua natura di metallo non riproducibile e raro (la scoperta di nuove miniere non tiene quasi mai il passo della domanda): ancorando l’emissione della moneta all’oro, si pone un formidabile freno alla creazione della stessa. Il gold-standard ha quindi come principale obbiettivo la lotta all’inflazione ed all’emissione di moneta. Solo in circostanze estreme, come i grandi conflitti bellici, la finanza accetta di sospenderlo e stampare moneta: accade durante le guerra napoleoniche e si ripeterà nel 1914, con la deflagrazione della Grande Guerra.
Il funzionamento del gold-standard: bilancia dei pagamenti, pareggio di bilancio e taglio dei salari
Prima di procedere con la storia del gold-standard, analizziamone il suo funzionamento nel periodo di massimo splendore che va dal 1821 al 1914. Se il gold-standard si proclama inviolabile e permanente, bisogna che in un’economia dinamica siano corrette le principali minacce al regime a cambi fissi: le passività della bilance commerciali e i disavanzi dello Stato.
Supponiamo che l’Inghilterra esporti ghisa in Francia per 100 sterline e che la Francia esporti grano in Inghilterra per un uguale ammontare: il flusso in oro tra i due paesi si compensa ed i cambi sono stabili. Se però la Francia importa ghisa per 100 sterline ed esporta vino per 80, la sua bilancia commerciale segna un passivo di 20 sterline ed un’uscita d’oro dal continente verso l’isola: la Banca di Francia vede quindi ridotta la sua base monetaria. La Francia ha davanti a sé quindi due possibilità: svalutare (cioè diminuire la quantità d’oro per franco) oppure tagliare i prezzi interni fino a riportare la bilancia commerciale in equilibrio. La pressione dell’alta finanza e ragioni di prestigio invitano ovviamente ad imboccare la seconda strada: i braccianti vedono decurtato il loro salario, il prezzo del grano scende, l’Inghilterra ne aumenta le importazioni, la bilancia commerciale torna in pareggio ed il gold-standard è salvo. È altamente probabile che la Francia cada in recessione durante l’aggiustamento, ma l’economia reale è sacrificata sull’altare dell’alta finanza che controlla Parlamenti e coorti reali. Nel caso in cui la Francia avesse invece svalutato, la bilancia commerciale sarebbe tornata in pareggio grazie alla maggiore concorrenzialità del grano francese, il Paese avrebbe evitato la recessione ma la finanza cosmopolita avrebbe registrato ingenti perdite sui titoli di Stato francesi e sulla liquidità espressa in franchi.
Il secondo pericolo che grava sul gold-standard e necessita di un costante monitoraggio sono i disavanzi del bilancio pubblico: se la macchina pubblica beve (come durante le guerra napoleoniche, la Guerra in Crimea del 1854-1856, la guerra civile americana del 1861-1865, il conflitto franco-prussiano del 1870, etc.) la necessità di finanziamento è tale che il gold standard è sospeso e si immettono in circolazione massicce quantità di carta moneta, con ovvi effetti inflazionistici. L’alta finanza esercita di conseguenza forti pressioni affinché gli Stati conseguano pareggi di bilancio che, il più delle volte, comportano effetti recessivi e deflazionistici. A questo proposito ricordiamo che quando Benito Mussolini nel 1926 aggancia la lira alla sterlina inglese a “quota 90”, per entrare nel rinato gold standard, impone al Ministero delle Finanze il pareggio di bilancio che, unito alle altre politiche deflazionistiche come il taglio dei salari, provoca un drastico aumento della disoccupazione, la contrazione dell’edilizia e le accese rimostranze della grande industria.
La natura intrinsecamente deflazionistica del gold-standard costituisce una minaccia per l’economia reale (agricoltura, industria e commercio) ma un vantaggio per la finanza, che vede il valore del proprio capitale salvaguardato o incrementato, trae lauti profitti dai prestiti che concede allo Stato privato dell’emissione di moneta e dagli alti tassi di sconto fissati dalla banca centrale per difendere la valuta.
Dal 1925 al 1971 si alternano ancora sistemi basati sull’oro. La fine del gold-standard è pilotata dall’alta finanza con il parallelo sorgere del monetarismo e del neoliberismo
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale i governi premono per la sospensione del gold standard e l’uso dell’emissione di carta moneta per finanziare lo sforzo bellico, esattamente come era avvenuto durante le guerre napoleoniche: per usare le parole dell’economista austriaco Joseph Schumpeter, è tolto il freno aureo dalla macchina di emissione delle banche centrali. L’alta finanza acconsente alla decisione a patto che, al termine del conflitto, gli Stati tornino al gold standard e paghino il debito accumulato senza un’ulteriore l’emissione di carta moneta ma con la tassazione (trasferendo cioè beni reali dai cittadini alla finanza): al termine del conflitto i prezzi nei paesi belligeranti aumentano in media del 300%, mentre i debiti schizzano del 1000%. Un vero affare.
Terminato il conflitto gli USA sono i primi ad applicare una politica deflattiva per reintrodurre la convertibilità in oro: i prezzi scendono violentemente già tra il 1919 ed il 1920 ma le enormi riserve auree di cui dispone la FED, lo sviluppo tecnologico e il credito facile (che alimenta la speculazione borsistica) consentono fino al 1929 di coniugare deflazione, gold standard e crescita economica.
Il discorso è diverso per l’Europa dove il ritorno alla convertibilità aurea è dilazionato nel tempo: la Svezia nel 1924, Regno Unito nel 1925, Francia nel 1926, Belgio nel 1927, Italia nel 1928. Le condizioni economiche, finanziarie e sociali sono però radicalmente cambiate rispetto al 1914 e, sebbene si cerchi di facilitare il ritorno allo status quo ante modificando il gold standard in gold exchange standard (le riserve non sono più solo auree, anche in valuta straniera teoricamente convertibile in oro) il percorso è molto accidentato: i Paesi che svalutano (Italia, Belgio, Francia), riconoscendo un valore in oro della moneta minore del 1914, evitano lunghe e dolorose recessioni.
Il Regno Unito, su pressione dell’onnipotente governatore della Banca d’Inghilterra Norman Montagu, ristabilisce la parità aurea antecedente alla guerra. Quantità sempre maggiori di moneta sono sottratte dalla circolazione, i salari diminuiscono, nel 1926 si registra il primo sciopero generale, l’economia cade in depressione, e solo quando nel settembre del 1931 i marinai della Royal Navy di stanza ad Invergordon si ammutinano protestando contro il taglio dei salari, l’establishment getta la spugna.
Il 21 settembre 1931 Londra sospende il gold exchange standard e tra la fine dell’anno ed il 1932 è seguita da altri 23 paesi. Per far fronte alla depressione economica che produce milioni di disoccupati, gli Stati sottomettono la finanza che fino al termine della Seconda Guerra Mondiale è subordinata agli interessi nazionali: è l’epoca delle leggi che separano banche d’affari e banche commerciali (Glass–Steagall Legislation del 1933 e legge bancaria del 1936), del prepotente intervento dello Stato in economia impensabile in un regime di gold standard (New Deal ed IRI), e della segmentazione dei mercati per aree di valuta (il blocco della sterlina, del franco, etc.)
Lo sforzo bellico è gestito meglio del precedente in termini economici e l’efficiente razionamento e l’alta produttività del lavoro evitano la carenza di beni ed i tassi di inflazione del conflitto precedente. La guerra sancisce il definitivo ridimensionamento delle potenze europee e l’affermazione degli USA come unica grande potenza economica e militare dell’Occidente, forte di PIL che rappresenta il 35% di quello mondiale. Alla conferenza di Bretton Woods del 1944 le élite angloamericane disegnano quindi un nuovo ordine economico imperniato sulla valuta statunitense: un gold exchange standard dove le valute sono ancorate al dollaro, di cui la FED garantisce la convertibilità in oro. A fianco del sistema a cambi fissi, sono creati tre istituti con cui spazzare via ogni ostacolo al liberismo e sedare qualsiasi ribellione allo status quo: il FMI, la Banca Mondiale ed il GATT, precursore del WTO.
Nel corso degli anni ’60 la ripresa dell’economia tedesca e giapponese diminuisce però l’apporto americano al PIL mondiale e la massiccia emissione di moneta per finanziare la guerra in Vietnam mina la credibilità del dollaro: un numero crescente di Paesi europei, tra cui la Francia di Charles De Gaulle, chiede la conversione della valuta americana in oro ed il suo trasferimento sul Vecchio Continente. Il Presidente Richard Nixon, per evitare che le riserve auree della FED siano prosciugate, sospende nell’agosto del 1971 la convertibilità del dollaro in oro: per il sistema monetario internazionale è una svolta epocale.
È la prima della storia che è instaurato un regime di cambi flessibili, senza più nessun legame con il metallo giallo. Sebbene la domanda di dollari sia mantenuta artificialmente alta grazie agli accordi con le monarchie del Golfo Persico che partoriscono il petrodollaro, il nuovo sistema è intrinsecamente inflattivo: può l’alta finanzia tollerare che i prezzi salgano, favorendo l’industria ma danneggiando le proprie attività? La risposta ovviamente è no.
Nel 1974 il Nobel per l’economia è assegnato all’austriaco Friedrich Hayek e nel 1976 all’americano Milton Friedman (rispettivamente fondatore e membro della Mont Pelerin Society dove è forgiato il pensiero neoliberalista): il monetarismo, che vede nell’emissione di moneta della banca centrale un minaccia per la stabilità dei prezzi, irrompe sulla scena internazionale e conquista la FED con la nomina di Paul Volcker, Downing Street con l’elezione di Margaret Thatcher e la Casa Bianca con l’ingresso di Ronald Reagan.
Ovviamente, proprio come ai tempi del gold standard, se i prezzi non possono più salire verso l’alto, gli aggiustamenti ricadono sui fattori produttivi: il neoliberismo, corrispettivo economico della politica monetaria di Milton Friedman, impone l’uscita dello Stato dall’industria, il trasferimento del manifatturiero in Paesi dai minori costi di produzione e l’iniezione di massicce dosi di flessibilità nel mercato del lavoro, con vistose ricadute deflattive sui salari.
Per applicare le ricette di Hayek e Friedman sul Vecchio Continente, l’alta finanza spinge per l’introduzione dell’euro, che ricalca il vecchio ed amato regime a cambi fissi del sistema aureo.
L’euro è una moneta deflattiva per natura, ridotta ora ad un puro gold standard
L’eurozona non è mai stata un’area valutaria ottimale: non ha mai presentato cioè quelle caratteristiche (flessibilità delle retribuzioni, mobilità del lavoro e convergenza dei tassi di inflazione) indispensabili per creare un’area a cambi fissi, alias un’unione monetaria.
Se a questo si aggiunge il che la BCE ha per mandato l’aumento annuale dell’indice dei prezzi dell’area euro inferiore al 2%, si evince che ai fattori produttivi saranno chiesti pesanti aggiustamenti per salvaguardare il regime a cambi fissi: in primis al lavoro cui è imposta flessibilità, mobilità e licenziabilità per motivi economici. Gli Stati poi, per rendere credibile il sistema, devono tendere al pareggio di bilancio, poiché non è più possibile monetizzare il debito né accumularlo a livelli eccessivi: la figura dello Stato-imprenditore esce quindi dalla scena come pure la possibilità di stimolare l’economia nelle fasi di recessione con manovre acicliche. L’euro è quindi il cavallo di Troia per l’introduzione nelle economie occidentali del neoliberismo, amato e coltivato dall’establishment finanziario, per la sua dirompente carica deflattiva.
La persona che incarna la simbiosi tra euro, monetarismo (leggi lotta all’inflazione) e neoliberismo è il “padre dell’euro” Robert Mundell, premio Nobel per l’economia nel 1999: dopo aver fornito le basi teoriche per la creazione dell’eurozona3, il monetarista Mundell ha ammesso che uno degli scopi dell’euro era l’applicazione del neoliberismo alle economie europee4, dal momento che la moneta unica “toglie ai politici la politica monetaria e senza politica monetaria, l’unico strada che hanno le nazioni per conversare i posti di lavoro è la riduzione dei regole del business”.
Robert Mundell si è formato con approfonditi studi sul gold standard ed è proprio al sistema aureo che il premio Nobel volge l’attenzione al culmine dell’eurocrisi del 2011 per salvare la moneta unica: la prematura scomparsa dell’euro è evitabile, secondo Mundell, garantendone la sua convertibilità in oro5. A distanza di un secolo dalla sospensione del sistema aureo a causa della Grande Guerra, l’establishment finanziario anglo-americano ne invoca il ritorno per bocca del padre dell’euro: un amore che viene da lontano e che si mantiene vivo nel tempo, grazie all’ineguagliabile freno all’emissione di moneta che il sistema aureo offre.
All’avverarsi dei sogni di Mundell mancherebbe paradossalmente davvero poco: l’eurozona è già infatti un sistema a cambi fissi; la capacità di emettere moneta è stata sottratta da tempo agli Stati ed affidata alla BCE; l’eurozona registra perenni e crescenti attivi della bilancia commerciale6, importando cioè capitali che equivarrebbero all’afflusso d’oro. Basterebbe una legge che sancisse la convertibilità in oro della moneta unica.
Purtroppo per l’euro, e soprattutto per i cittadini europei, l’unione monetaria condivide con il gold standard la mortifera natura deflattiva, tanto cara alla finanza: la mancata costituzione degli Stati Uniti d’Europa (scopo ultimo dell’euro e delle élite anglofone) ha infatti impedito anche la nascita di un’unione fiscale che, spostando i capitali da un paese all’altro sotto forma di trasferimenti, avrebbe addolcito le asprezze del regime a cambi fissi ed attenuato la prevista deflazione.
Oggi l’eurozona è un sistema aureo puro e semplice, dove le monete nazionali anziché essere agganciate all’oro sono ancorate ad una valuta sovranazionale, di proprietà della BCE, che è spacciata sotto il nome di “euro” come moneta dei singoli Stati. Se l’euro è un classico sistema aureo come quello che abbiamo incontrato nel XIX secolo, l’attenzione dovrebbe focalizzarsi sulle bilance commerciali e sui necessari aggiustamenti per mantenerle in equilibrio. Abbiamo ragione?
Purtroppo sì: l’eurocrisi non è una crisi del debito pubblico, ma una crisi delle bilance commerciali. Nei momenti di panico sulle piazze finanziarie, la speculazione manda in orbita lo spread Btp/Bund ed i credit default swaps, non perché l’Italia rischi il fallimento (basterebbe uscire dalla moneta unica per tornare solvibili) ma perché, senza l’agognata unione fiscale, l’Italia rischia di dover abdicare alla parità aurea, cioè uscire dall’euro.
L’ex Goldman Sachs Mario Monti mente ipocritamente quando afferma che l’innalzamento delle tasse ha salvato l’Italia del fallimento7: in realtà il salasso fiscale, come da lui stesso ammesso in un’intervista all’emittente americana CNN8, ha come obbiettivo la distruzione della domanda interna (il consumo delle famiglie italiane), con il conseguente crollo dell’import e il riequilibrio della bilancia commerciale.
L’aumento esponenziale delle tasse non si prefigge il risanamento delle finanze pubbliche, che sono costantemente peggiorate dal governo Monti ad oggi, ma la sottrazione di ricchezza ai cittadini per impedire che importino beni dall’estero attraverso i consumi: il 2012 infatti, grazie ad un crollo dell’import di quasi il 6% rispetto all’anno precedente, è il primo anno dal 1999 in cui l’Italia registra un saldo positivo della bilancia commerciale9. Nel 2013 l’avanzo commerciale sale da 11mld a 30 mld, il valore massimo dal 199610, grazie ad un nuovo crollo dell’import del 5,5% e, sempre grazie al continuo calo dell’import, la bilancia commerciale raggiunge nel 2014 i 42mld di avanzo, record dal 199311.
L’Italia ha inanellato con il 2014 il settimo anno consecutivo di recessione, la disoccupazione ed il debito pubblico sono in costante aumento ma, grazie alle venefiche politiche deflattive dei governi Monti-Letta-Renzi, la bilancia commerciale è in attivo, consentendo all’Italia di importare euro e valuta straniera e mantenere “la parità aurea dell’euro”: siamo all’apogeo del gold standard.
Fino a quando durerà? Fino a quando uno choc esterno come il crack borsistico del 1929, uno sciopero simile all’ammutinamento di Invergordon del 1931, un’elezione politica fuori controllo come quella avvenuta in Grecia o l’esplosione della rabbia popolare non sancirà la fine “della parità aurea”. Per l’establishment euro-atlantico sarà un colpo mortale.
La Germania imponendo l’austerità si uniforma all’establishment finanziario, con cui condivide il ruolo di creditore
Dallo scoppio dell’eurocrisi la Germania è finita nel mirino delle opinione pubbliche di quei Paesi che hanno subito sulle proprie carni gli effetti dell’austerità, soffrendo aumento di tasse, disoccupazione, caduta del reddito e uno stato di incertezza e frustrazione: alcuni partiti politici e media, nell’ultimo periodo con la benevola accondiscendenza dell’establishment euro-atlantico, hanno accusato Berlino di aver costruito, grazie all’euro, un Quarto Reich amministrato con efficienze teutonica ed efferatezza nazista.
I rapporti tra Washington e Berlino si sono vistosamente deteriorati negli ultimi anni ed alcuni episodi meritano di essere ricordati: il fallito tentativo tedesco di rimpatriare l’oro detenuto dalla Federal Reserve di New York12, lo scandalo delle intercettazioni da parte dell’NSA che ha coivolto la cancelliera Angela Merkel, l’inchiesta Luxleaks con la quale si è tentato di uccidere nella culla la commissione europea presieduta dal filo-tedesco Jean-Claude Juncker ed infine il sempre maggiore smarcamento di Berlino dalle posizioni degli Stati Uniti sulla crisi ucraina. L’origine degli screzi, non c’è dubbio, nasce dalla gestione tedesca dell’eurocrisi, criticata ed osteggiata da Washington dal 2013 in avanti. Non è stato però sempre così.
Nella prima fase dell’euro crisi (2010-2012) Berlino infatti agisce secondo i desiderata dell’establishment euro-atlantico, imponendo quell‘austerità deflattiva per cui l’euro è stato studiato: privatizzazioni, riforme del mercato del lavoro, trasferimento del risparmio dalle famiglie alle banche attraverso le patrimoniali sulla casa, perdita di ogni indipendenza dei governi e addirittura scelta dei primi ministri graditi all’alta finanza (Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Lucas Papademos, Antonis Samaras, etc.)
In questa fase della crisi gli interessi della finanza mondialista e della Germania coincidono alla perfezioni: entrambi sono infatti creditrici verso l’euro-periferia, la prima per la propria connaturata funzione di prestatrice di denaro e la seconda avendo fornito parte di quei capitali che hanno alimentato l’effimera bolla immobiliare spagnola ed il passeggero benessere greco. Entrambe quindi hanno interesse a rientrare del proprio denaro con lo stesso procedimento applicato da Mario Monti in Italia: tasse, austerità, deflazione, crollo dell’import e spinta all’export (con cui l’Italia vende beni reali ai creditori, in cambio di quella moneta che non può più emettere).
In una seconda fase, che inizia con l’aborto degli Stati Uniti d’Europa nell’estate 2012, le strade tra la finanza anglofona e la Germania si divaricano: l’austerità e la deflazione sono apprezzate ma, come è normale che accada senza un’unione fiscale, se diventano l’unico strumento per mantenere in piedi il regime a cambi fissi, c’è il forte rischio che l’insofferenza della popolazione cresca fino a mettere a repentaglio l’esistenza dell’amato euro-gold standard. Da qui nasce il recente appoggio del declinante Barack Obama e del governatore della Banca d’Inghilterra, l’ex Goldman Sachs Mark Carney, alle richieste del governo greco di Alexis Tsipras di allentare l’austerità teutonica.
Scegliendo la strada dell’austerità la Germania ha scelto senza dubbio la strada a lei più comoda ed economica per preservare il “sistema aureo” dell’euro: tutto l’onere dell’aggiustamento ricade sulla periferia dell’eurozona che deve attuare massacranti politiche deflattive, accompagnate da recessione e disoccupazione, per riportare in attivo le bilance dei pagamenti. Se avesse creduto nell’euro ed avesse voluto realmente salvaguardarlo, Berlino avrebbe dovuto alleviare il riequilibrio delle bilance commerciali della periferia, destinando risorse a fondo perduto per investimenti e manovre acicliche.
In alternativa avrebbe dovuto accettare un sostanzioso incremento delle retribuzioni dei lavoratori tedeschi, in maniera tale da rendere più leggero il taglio dei salari dei colleghi europei e facilitare il riequilibrio delle bilance commerciali. Berlino non ha fatto niente di tutto ciò ma al contrario continua a registrare corposi attivi nelle bilance commerciali con tutti i membri dell’eurozona, fatta eccezione per Olanda, Slovacchia e Irlanda13. In un regime a cambi fissi nessun paese può essere eternamente creditore e nessun paese può essere eternamente debitore: le riserve auree del primo aumenterebbero fino a prosciugare le riserve del secondo che sarebbe costretto a gettare la spugna e “svalutare”, ovvero uscire dall’unione monetaria.
La Germania può essere accusata di egoismo, ma l’origine dell’euro deve essere ricondotta a quelle élite finanziarie che coltivano la deflazione e disprezzano l’economia reale.
Le stesse élite che fomentano il terrorismo islamico e la guerra in Ucraina nel disperato tentativo di sedare le forze centrifughe dell’eurozona, ora che la Germania sembra aver abdicato alla moneta unica e aver volto lo sguardo ad Est.
1La teoria del Gold Standard, il Mulino, 1986, pag. 48
2http://en.wikipedia.org/wiki/Bank_Restriction_Act_1797
3https://www.imf.org/external/np/vc/1999/121399.htm
4http://www.theguardian.com/commentisfree/2012/jun/26/robert-mundell-evil-genius-euro
5http://www.forbes.com/sites/ralphbenko/2011/06/13/the-emerging-new-monetarism-gold-convertibility-to-save-the-euro/
6http://www.lettera43.it/economia/finanza/ue-18-bilancia-commerciale-2014-1948-miliardi_43675158760.htm
7http://www.corriere.it/politica/13_febbraio_02/monti-lavoro-pensioni_082c03a2-6d4d-11e2-8cda-116f437864e3.shtml
8https://www.youtube.com/watch?v=LyAcSGuC5zc
9http://www.repubblica.it/economia/2013/02/15/news/surplus_commerciale_record_nel_2012-52694826/
10http://www.adnkronos.com/soldi/lavoro/2014/05/10/istat-surplus-bilancia-commerciale-mld-top_l5rWtZ3iClu1cekeDwAriK.html
11http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2015-02-17/export-2percento-2014-surplus-commerciale-massimi-1993-100944.shtml?uuid=ABK3B1vC
12http://rt.com/business/170940-gold-germany-us-federal-reserve/
13https://www.destatis.de/EN/FactsFigures/NationalEconomyEnvironment/ForeignTrade/TradingPartners/Tables/OrderRankGermanyTradingPartners.pdf?__blob=publicationFile
E’ un’analisi perfetta e disvelatrice. Manca solo di spiegare perché solo a questi signori delle banche centrali fu concesso da tutti questi ‘democratici’ e ‘rivoluzionari’ di emettere dal nulla il denaro e prestarlo allo Stato al 204%. Un immenso italiano, il grande Auriti, lo scopri’ dopo anni di studi. Ora voi romani hanno trovato lei. Le dirò una cosa di Stalin: sapeva che fu lui nel 1935 a riconsegnare la Gosbank russa ai suoi amici e finanziatori che lei qui chiama giustamente finanza anglofona? E’ andata un po’ diversamente da come raccontano i libri, temo.
Noi sappiamo solo che i signori della banche centrali, da Norman Montagu a Mario Draghi passando per Lev Maryasin, sono alfieri dal Sistema. Walter Rathenau sostenne prima della Grande Guerra che fossero 300 le persone che decidessero le sorti dell’Europa (e del mondo). Crediamo che in Occidente siano oggi pochi di più.
Walti lo fecero eliminare dagli stessi che eliminarono me. Si. Sono meno di un centinaio. Sono coloro che controllano l’emissione del denaro scritturale. E vivono tutti a Londra e in Svizzera. Le faccio una domanda: Come mai Londra, che sdegna a parole l’euro, e’ la maggiore azionista della Bce?
Analisi interessantissima. Speriamo le cose possano cambiare in meglio in Italia nell’imminente futuro.
Grazie! Sono convinto che l’implosione dell’euro sia più vicina che mai: Draghi, disperato, ha comprato oggi titoli di stato a man bassa per calmierare lo spread. Se esce la Grecia, è libero tutti.
Salve Dezzani. Articolo molto interessante, leggo questi argomenti ma non sono un tecnico di economia. Credo di non aver capito bene la storia dei “REGIMI A CAMBI FISSI”, potrebbe spiegarmi brevemente ma magari in maniera piu’ elementare cosa significhi praticamente?
Saluti, Mirko
Salve Mirko. L’eurozona è come il gold standard che c’era un tempo, il più longevo regime a cambi fissi della storia:la sola differenza è che le valute nazionali, anziché essere agganciate ad una determinata quantità d’oro espressa in grammi, sono agganciate “all’euro” (1936 lire = 1 €). Se il paese importa più di quanto esporta (quindi ha una bilancia commerciale passiva), l’euro/oro esce dal Paese. Se il flusso in uscita di euro/oro è prolungato, come lo è stato per i “PIGS” tra il 2002 e lo scoppio dell’euro-crisi, gli speculatori iniziano a pensare che le banche nazionali non possano difendere il cambio, cioè debbano diminuire la quantità d’oro per valuta oppure… uscire dall’euro. L’austerità, cioè in sostanza pagare una barca di tasse, serve a distruggere i consumi e l’import, in modo che la bilancia commerciale torni attiva e l’euro/oro entri di nuovo nel paese…come avviene in Italia dal governo Monti… Tutti i regimi a cambi fissi sono sempre falliti e vengono costantemente riproposti solo perché piacciono alle élite finanziarie che controllano i governi dai tempi dei Rothschild.
Ok, quindi invece di esserci l’oro fisico che e’ reale, le valute dei vari stati membri UE sono agganciate all'”euro” che e’ uno strumento “astratto”. Avendo letto tutti i Vostri articoli si evince che la condizione in cui versiamo e’ un totale disastro, specie per la Grecia. Inoltre considerando la situazione mondiale e le varie escalation militari sparse per tutto il mondo(con connesse tensioni e alleanze strategiche fra stati),quali saranno i risvolti futuri per esempio in Italia? Ci sara’ un’altra valuta se l’euro smette di esistere? L’euro si dissolvera’ nel giro di pochi mesi? Oppure un’altra grande guerra ?
Quello che stiamo vivendo è il collasso dell’impero americano: se gli USA fossero ancora la potenza che erano nel 1945 avrebbero obbligato la Germania a sobbarcarsi la Grecia, tutta la “periferia” e la Francia e fondare gli Stati Uniti d’Europa. Berlino ha altro in testa e gli USA pochi mezzi per metterla sotto pressione direttamente. In Medio Oriente la guerra c’è già e gli USA la combattono attraverso l’ISIS. Ora il caos è arrivato nei Balcani. Il Nord Africa è in equilibrio molto precario e l’Ucraina porterà la guerra in Europa.
Certo…E’ già in atto un collasso sociale eclatante di cui Io e comunque noi, specialmente giovani in genere ne stiamo subendo le conseguenze. Ovviamente la situazione degenera giorno per giorno in ogni aspetto; ultimamente ci sono notizie secondo le quali la Cina entro fine anno sarebbe pronta a detenere lo status di riserva monetaria mondiale innescando quindi un cambiamento planetario e allora la situazione si farà’ molto più incandescente. Vedremo quindi come andrà’ a finire il tutto.
Federico ti ringrazio per la pubblicazione dei tuoi articoli, veramente illuminanti.
Leggendo questo in particolare mi sfugge un passaggio. Tu dici che l’eurocrisi non è una crisi del debito pubblico, ma una crisi delle bilance commerciali e che le politiche adottate da monti in avanti in italia hanno come obbiettivo la distruzione della domanda interna (il consumo delle famiglie italiane), con il conseguente crollo dell’import e il riequilibrio della bilancia commerciale.
Perchè è cosi importante il riequilibrio della bilancia commerciale per la sopravvivenza dell’euro??
Scusa ma non ho le basi di macroeconomia….
Perché i saldi commerciali attivi sono “accumuli” di valuta (se vendi una bottiglia di barolo ai tedeschi, 20 euro si spostano dalla Germania all’Italia), che disincentivano gli attacchi speculativi. Con un bilancia commerciale attiva il Paese ammassa euro/oro presso la banca centrale nazionale che, grazie alle proprie riserve, rende l’euro-gold standard un sistema credibile e allontana l’ipotesi di una uscita dall’euro/abbandono del gold-standard. Il vero elefante nella stanza dell’euro è la Francia, che ha una bilancia commerciale in passivo cronico che si attesta attorno ai 90 €mld annui.
Le riserve di euro servono per gli eventuali acquisti di titoli pubblici? In questo senso disincentivano gli attacchi speculativi?
Quali rischi corre la Francia?
Grazie ancora per le tue analisi.
Certo, sono un eccesso di risparmio che serve anche a comprare titoli pubblici in caso di attacco speculativo. Se venisse meno (come sta accadendo) l’impegno politico tedesco a mantenere funzionante il regime a cambi fissi “euro”, allora la Francia finirebbe come Italia, Spagna e Grecia nel ciclone, perché non ha assolutamente un’economia tale da reggere un cambio 1:1 con la Germania.
Senti, hai qualcosa da consigliarmi da leggere per capirci un pò di più?