Dalla Siria al Kazakistan: la destabilizzazione si sposta verso i “Balcani euroasiatici”

Ha compiuto otto mesi la campagna militare russa in Siria e ci si avvicina ad un punto di svolta: né la tregua stipulata a febbraio tra Mosca e Washington, né la consegna ai ribelli di sofisticati sistemi d’arma, hanno rallentato le marcia di Damasco verso le roccaforti del Califfato. Le condizioni critiche dell’ISIS hanno obbligato gli angloamericani ad intervenire con reparti speciali, così da ritagliarsi uno spazio da cui proseguire la destabilizzazione della regione. Allo stesso tempo, sono stati aperti due nuovi fronti: l’Armenia, dove è riesploso il conflitto in Nagorno-Karabakh, ed il Kazakistan, dove è sbarcato il terrorismo unito all’ennesima rivoluzione colorata. L’obiettivo ultimo è incendiare i “Balcani euroasiatici”, quella zona ad alta instabilità politica già individuata da Zbigniew Brzezinski nel suo libro “La Grande Scacchiera”.

Tutti a Raqqa! Nonostante i missili terra-aria…

La situazione in Medio Oriente si avvicina ad un punto di svolta ed è tempo di riprendere il discorso da dove l’avevamo lasciato a febbraio con l’articolo “La spinta dei pedoni: Turchia ed Arabia saudita aprono la partita?”.

Ankara e Riad, allarmate dai successi dell’Esercito Arabo Siriano e dallo sfaldamento dell’ISIS sotto l’urto delle bombe russe, ammassano truppe e mezzi a ridosso del confine siriano, nella prospettiva di un’invasione parziale del Paese, così da garantire la sopravvivenza dell’insurrezione sunnita: “Syria: Turkey and Saudi Arabia consider ground campaign following border strikes” scrive il The Guardian il 14 febbraio. La mossa turco-saudita, che implicherebbe la reazione a catena della Russia, avrebbe una sua razionalità militare solo se la NATO si impegnasse ad intervenire a sua volta nel conflitto, destinato all’escalation regionale o globale nel volgere di poche ore. L’amministrazione Obama, come si è già visto in occasione dello sfiorato bombardamento della Siria nell’agosto 2013, vuole però evitare la guerra aperta e continuare la strategia (molto economica per le casse di Washington e gravosa per gli avversari) della destabilizzazione regionale, tramite l’ISIS, le operazioni clandestine della CIA, le rivoluzioni colorate, i conflitti interreligiosi.

Urge scongiurare qualsiasi fuga in avanti degli scalmanati alleati sunniti. Washington concorda così con Mosca un cessate il fuoco, che entra ufficialmente in vigore il 27 febbraio: il semplice fatto che il Cremlino e la Casa Bianca concordino una tregua formale in Siria, pone fine a qualsiasi speculazione sulla spontaneità dell’insurrezione armata datata 2011 e certifica, a posteriori, la tesi che dietro questa si nascondesse fin dal principio lo zampino dei servizi atlantici. La tregua esclude le operazioni contro l’ISIS ed Al-Nusra, punto che Washington è costretta ad accettare per salvare la faccia, più, secondo Mosca, alcune sigle come Ahrar al-Shaam e Jund al-Islam finanziate ed equipaggiate da turchi e sauditi. Vladimir Putin si mostra conciliante, provando così che la Russia non nutre secondi fini in Siria ad eccezione della lotta al terrorismo e, a metà marzo, annuncia a sorpresa il ritiro di buona parte del corpo di spedizione: “Siria, Putin ordina ritiro delle forze russe. Ma le basi militari restano operative” titola la Repubblica il 14 marzo1.

Si tratta, in realtà, di un’operazione diplomatico-mediatica, finalizzata solo a scongiurare un’escalation militare che il premio Nobel per la Pace, Barack Obama, vuole a tutti i costi evitare: la guerra per procura tra Washington e Mosca, a colpi di terrorismo e operazioni clandestine, procede indisturbata.

Gli aerei russi, rigorosamente in missione “di routine” come prevede il cessate il fuoco2, martellano nei giorni successivi le postazioni dell’ISIS attorno Palmira e, tra il 25 ed il 26 marzo, l’ex-capitale del regno di Zenobia, nodo stradale strategico sull’asse Est-Ovest, è riconquistata dall’Esercito Arabo Siriano. Mosca, rispolverando la propaganda della Guerra Fredda (quando i sovietici volevano dimostrare come nel regno del socialismo reale i lussi borghesi, compreso il teatro e la musica classica, fossero alla portata di tutti), ha l’illuminante idea di svolgere un concerto di musica classica nel anfiteatro romano, dove fino a poco tempo prima si consumavano le macabre esecuzioni dell’ISIS: le struggenti note della dell’orchestra sinfonica di San Pietroburgo, che si alzano dalle rovine di Palmira, sono un colpo mediatico cui gli angloamericani, a differenza degli anni ’50, non sanno più rispondere.

La CIA, infatti, anziché ingaggiare il Nicolas Nabokov (1903-1978) di turno e controbattere con un balletto a Ramadi od Amman, studia più prosaicamente quali operazioni sporche adottare per indebolire Bashar Assad alla luce degli sviluppi sul campo: liberata Palmira, c’è il forte rischio che Damasco prenda slancio e punti al fiume Eufrate, sulle cui rive sorgono le roccaforti dell’ISIS, Deir Ezzor e Raqqa.

U.S. Readies ‘Plan B’ to Arm Syria Rebels. Moderate groups could get antiaircraft weapons if cease-fire collapses, officials say” titola il 12 aprile il Wall Street Journal3: l’articolo, che cita fonti del controspionaggio americano, sostiene che, nel caso in cui la tregua concordata salti, l’amministrazione Obama è pronta al piano “B”, armare cioè i “ribelli moderati” con i missili antiaerei spalleggiabili, noti anche come Manpads: gli stessi forniti ai talebani durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan. Per la CIA, la consegna di sistemi d’arma così letali sarebbe l’ultimo gradino dell’escalation iniziata con l’addestramento dei ribelli (2013) e proseguita con la fornitura dei missili anticarro BGM-71 TOW (2014), responsabili del logoramento delle forze armate siriane nei primi mesi del 2015.

La cronaca recente prova come, nonostante la tregua non sia mai stata revocata, Barack Obama e la CIA di John O. Brennan abbiano effettivamente adottato il piano “B”, applicando la massima di Bismarck secondo cui “i trattati sono solo pezzi di carta”: tra la metà di marzo e la fine di aprile, ben tre jet siriani sono abbattuti con missili terra-aria, presumibilmente FN-6 di fabbricazione cinese4, dalle formazioni terroristiche foraggiate dalla Turchia e dall’Arabia Saudita.

Che possono fare i russi? Protestare per la doppiezza americana? Gridare all’inganno? Ma certo che no: tra gentiluomini, le incomprensioni si risolvono con discrezione. Ecco allora che nel sud-est della Turchia, dove dallo scorso novembre è ufficialmente saltata la tregua tra il governo ed il PKK curdo, fanno la loro comparsa i Manpads di fabbricazione russa, i letali e temuti “Igla”, subito adoperati contro gli elicotteri delle forze armate turche impiegati nella contro-guerriglia5. À la guerre comme à la guerre!

L’introduzione di questi sistemi d’arma nel teatro siriano, complica ovviamente la vita per i vecchi MiG-21 di Damasco e persino per i jet russi di terza generazione, come i Su-24: al momento di riprendere le operazioni nell’interno della Siria, sono i moderni cacciabombardieri Su-34 che spianano la strada alle forze armate siriane. Ai primi di giugno, infatti, Damasco lancia l’operazione Tutti a Raqqa, mirata alla riconquista della “capitale dell’ISIS”, il celeberrimo quartiere generale del terrorismo dove sarebbero stati concepiti tutti i più recenti attentati che hanno insanguinato l’Europa: si noti che la liberazione di Raqqa era già stata programmata da Damasco a febbraio, per poi essere sospesa dai russi che auspicavano un’azione congiunta con Washington nella cornice del cessate il fuoco appena concordato6. Ennesima prova che la tregua è de facto saltata ed ognuno porta avanti la propria agenda.

Già, perché lo sfaldamento dell’ISIS sotto l’urto delle bombe russe e dei mezzi corazzati siriani ed iracheni, implica per gli angloamericani la minaccia di essere definitivamente espulsi dalla regione: Washington, di conseguenza, cambia improvvisamente linea e imbocca la strada dell’intervento terrestre, seppur limitato, dopo più di un anno di bombardamenti aerei che hanno contribuito ad espandere, più che ad arginare, lo Stato Islamico.

La priorità americana diventa quella di subentrare all’ISIS, occupando con le proprie milizie (i curdi del YPG sostenuti anche dai corpi speciali statunitensi7), le roccaforti dello Stato Islamico, così da disporre di una zona a cavallo di Siria ed Iraq (dove avrebbe dovuto sorgere il Califfato) da cui continuare la destabilizzazione della regione. Ne deriva una vera e propria corsa per piantare per primi la bandierina sulle località strategiche: Mosca e Damasco si affrettano verso Raqqa, mentre l’esercito iracheno e Teheran si gettano su Falluja, sui cui è dirottato anche il generale iraniano Qassim Suleimani, fino a poche settimane prima impegnato ad Aleppo. “Iran-Led Push to Retake Falluja From ISIS Worries U.S.” scrive il 28 maggio il New York Times8, evidenziando come gli americani sono ancora in gara per la riconquista di Raqqa, ma tremendamente indietro per Falluja. Parallelamente, truppe britanniche cercano di “mettere in sicurezza” il confine tra Giordania e Siria9, tradizionale porta da accesso da cui la CIA e l’MI6 introducono armi terroristi.

È superfluo dire che nell’assalto finale allo Stato Islamico, Mosca è di gran lunga avvantaggiata, disponendo di solidi alleati in loco.

Che fare? Come alleggerire la posizione della Turchia, sempre più sotto pressione dentro e fuori i suoi confini? Come impedire che la regioni ritrovi un suo equilibrio?

Semplice, esportando il caos nel Caucaso ed in Asia Centrale.

Dalla Siria ai Balcani euroasiatici

I tentativi di destabilizzazione della CSI non sono una novità: già nel fatidico 2011, moderna riproposizione del 1848 su scala globale, si registrarono alcuni attacchi di chiara matrice atlantica agli Stati dell’ex-Unione Sovietica. L’11 aprile 2011 (si noti l’ubiquità del numero 11) esplode un ordino nelle stazione metropolitana di Minsk, il primo attentato della recente storia bielorussa che provoca una quindicina di morti10. Nel maggio 2011 è la volta di un insolito attentato di matrice islamista ad Aktobe, Kazakistan, dove a distanza di pochi mesi divampano anche proteste di natura economica che obbligano a il governo a dichiarare lo stato d’emergenza nella regione petrolifera che affaccia sul Mar Caspio11. A dicembre, infine, le solite Ong mobilitano la piazza a Mosca in vista delle imminenti presidenziali, invocando democrazia ed elezioni eque.

La regione vive alcuni anni di relativa quiete, eccezion fatta per il sanguinoso attentato in Daghestan12, Caucaso russo, del maggio 2012 ed i sanguinosi attacchi a Volgograd del dicembre 2013: è il consueto terrorismo wahabita-ceceno di cui angloamericani e sauditi e la quantità relativamente bassa delle violenze è ascrivibile soltanto all’efficienza delle forze di sicurezza russe.

La destabilizzazione del Caucaso e dell’Asia Centrale torna di grande attualità del 2016, quando la disgregazione dello Stato islamico e l’intensificarsi della guerriglia curda dentro i confini della Turchia, obbliga Washington e Londra a studiare una manovra di alleggerimento a favore di Recep Erdogan. L’Armenia, Caucaso meridionale, finisce così nel mirino perché ospite di due basi russe utilizzabili da Mosca come rampa di lancio per le operazioni sul suolo turco; il Kazakistan, invece, finisce nel mirino atlantico perché rappresenta per la Russia meridionale quello che l’Ucraina è per la Russia europea: la porta d’accesso alla Federazione russa, porta da cui possono entrare treni e merci oppure terroristi e caos.

Il 30 marzo il presidente dell’Azerbaijan, Paese di etnia turca su cui la NATO e la UE hanno molto investito come fonte d’approvvigionamento energetica, si incontra faccia a faccia con il Segretario di Stato John Kerry a Washington, a margine del summit per la sicurezza nucleare13. A distanza di due giorni, mentre in Siria confluiscono copiosi i nuovi Manpads attraverso canali turchi, riesplodono le violenze in Nagorno-Karabakh, la regione contesa da Armenia ed Azerbaijan, teatro già negli anni ’90 di una guerra costata 30.000 vittime: in pochi giorni di conflitto si contano più di un centinaio di caduti ed un numero imprecisato di mezzi distrutti. Per la Russia la destabilizzazione del Caucaso, con le inevitabili ricadute in Cecenia e Daghestan, è un incubo strategico, soprattutto con due dossier, quello siriano ed ucraino, già aperti sul tavolo: non le resta che riproporsi come mediatore tra i due contendenti ed auspicarsi che la tregua regga, almeno fino alla prossima ingerenza americana.

Al di là del mar Caspio, sulle coste non più azere ma kazake, bisogna attendere solo un mese perché sbarchino il terrorismo e l’ennesima variante delle rivoluzioni colorate. Il Kazakistan è, come l’Armenia, membro delle neonata Unione Euroasiatica, nonché un caposaldo del sistema difensivo russo, grazie ad una militare ed al cosmodromo di Bajkonur. Il Paese a maggioranza mussulmana non è mai stato sinora  teatro di violenze, ad eccezione degli episodi sullodati, ma non c’è alcun dubbio che la sua destabilizzazione scoprirebbe l’intero fianco meridionale della Russia.

L’occasione per l’ennesima rivoluzione colorata è fornita dalla riforma agraria, che ha alzat da 10 a 25 anni l’affitto massimo delle terre da parte degli stranieri (specie cinesi) e dalle immancabili accuse di corruzione contro il presidente Nursultan Nazarbaev14: le proteste iniziate ad aprile culminano le manifestazioni di fine maggio in diverse città, obbligando le forze dell’ordine ad intervenire per disperdere la folla. Scrive la britannica Reuters15:

“The protests, which have become an outlet for expressing general discontent with the government, are the Central Asian nation’s biggest for more than a decade and continued on Saturday despite pre-emptive detentions of many activists and warnings from the authorities. (…) Police also said on Friday they had found caches of Molotov cocktails, gasoline and iron rods near the protest site in Almaty – the kinds of improvised weapons used in protests in fellow ex-Soviet nation Ukraine which toppled its leadership.”

Seguendo il classico copione già applicato in Libia, Siria ed Ucraina, è affiancato anche il terrorismo alle manifestazioni piazza che, altrimenti, non avrebbero forza sufficiente per rovesciare il governo. Il 5 maggio ad Aktobe, la stessa città non distante dal confine russo già teatro nel 2011 di attentato di matrice islamica, un commando appartenente alla sconosciuta “Armata di liberazione del Kazakistan” svaligia due armeria per poi assaltare una vicina stazione di polizia: muoiono in totale tre civili, tre soldati ed undici assalitori. Si direbbe proprio che anche il presidente Nazarbaev è finito nella lista dei “dittatori” da defenestrare, così da agitare le acque anche in Kazakistan.

E così, se l’ISIS si avvicina alla sconfitta in Siria ed Iraq, Washington e Londra reagiscono appiccando il fuoco al Caucaso, fomentando l’instabilità in Kazakistan, preparandosi ad infliggere un altro colpo al già precario equilibrio della penisola arabica ed alimentando ovunque lo scontro tra sunniti e sciiti, e tra Turchia ed Iran in particolare.

Sono i vari stadi di una strategia ben chiara e definita: incendiare le polveri in quella regione che Zbigniew Brzezinski definì i “Balcani euroasiatici” nel suo libro del 1997, la Grande Scacchiera. Una zona, che va dalla Turchia allo Xinjiang cinese, dall’Iran al Kazakistan, intrinsecamente fragile, circonda a sua volta da un’area, il Medio Oriente allargato, altrettanto esplosiva. Scrive Brzezinski a proposito dei Balcani euroasiatici:

“Rather, the basic choice is between delicate regional balance – which would permit the gradual inclusion of the area in the emerging global economy while the states of the region consolidate themselves and probably also acquire a more pronounced Islamic identity – or the ethnic conflict, political fragmentation, and possible even open hostilities along Russia’s southern frontiers.”

Non c’è alcun dubbio che l’establishment atlantico, ad un passo dal collasso economico e finanziario, abbia imboccato la seconda: la sua unica speranza di salvezza è legata all’esplosione della violenza e del caos in una delle aree più instabili del globo e Hillary Clinton, donna e democratica, è la candidata in pectore per assolvere a questo compito.

 

balcanieuroasiatici

 

1http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/14/news/siria_putin_ordina_ritiro_delle_forze_russe-135481040/

2http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/14/news/siria_putin_ordina_ritiro_delle_forze_russe-135481040/

3http://www.wsj.com/articles/u-s-readies-plan-b-to-arm-syria-rebels-1460509400

4https://www.lastampa.it/2016/06/02/esteri/stinger-e-armi-ai-ribelli-in-siria-erdogan-e-putin-guerra-per-procura-VKHJNIg6csNsggXcSLUD2O/pagina.html

5https://www.youtube.com/watch?v=-Tf3RwwJ00I

6http://www.askanews.it/esteri/tutti-a-raqqa-assad-sfida-gli-usa-per-prendere-roccaforte-isis_711826814.htm

7http://www.theguardian.com/world/2016/may/26/us-military-photos-syria-soldiers-fighting-isis

8http://www.nytimes.com/2016/05/29/world/middleeast/iran-led-push-to-retake-falluja-from-isis-worries-us.html?_r=0

9http://www.telegraph.co.uk/news/2016/06/06/british-special-forces-operating-inside-syria-alongside-rebels/

10http://www.corriere.it/esteri/11_aprile_11/minsk-metro-esplosione-morti_afad4842-6454-11e0-a775-19c5c2b0b4ec.shtml

11http://www.aljazeera.com/news/asia/2011/12/2011121815956458304.html

12http://it.sputniknews.com/italian.ruvr.ru/2012_05_04/73713737/

13http://news.az/articles/official/106098

14http://www.bbc.com/news/world-asia-36163103

15http://www.reuters.com/article/us-kazakhstan-protests-idUSKCN0YC06C

34 Risposte a “Dalla Siria al Kazakistan: la destabilizzazione si sposta verso i “Balcani euroasiatici””

  1. Complimenti, lei è davvero un martello. Due rintocchi a settimana forti e precisi per segnalare il pericolo a chi può sentire. La penso come lei, questo è un periodo unico: tutto è in movimento e può cambiare da un giorno all’altro. Intellettualmente la cosa mi appassiona, in termini pratici penso che non sarà facile uscirne interi o migliori. Come società, e anche come individui.

    Il collasso dell’Occidente ormai è a un passo, e ognuna delle acrobazie che lei segnala ha sempre lo stesso scopo: prendere tempo, cercare di rinviare. Ma la Storia insegna che squilibri economici, politici e finanziari così estremi sono poi sempre sfociati in guerre interminabili, oppure gigantesche.

    Bisogna comunque sperare in bene e continuare a farlo. Un saluto cordiale

  2. Ciao Federico! Complimenti per l’articolo! L’elite attualmente al potere negli Stati Uniti rischia di cadere dopo essersi insediata con l’attacco dell’11/9. Ora molti parlano di una possibile “October Surpirse” con primo colpo nucleare alla Russia attraverso il sistema missilistico americano Aegis istallato in Europa Orientale. Secondo te è uno scenario plausibile?

    1. Cavolo che “October Surprise”! Una testata nucleare sulla Russia?
      Ricordami di fare parecchi debiti a settembre!

  3. Ciao Federico, gli attentati in Turchia ed Israele di questi giorni, a tuo parere, rientrano in questa logica o sono qualcosa di diverso che si rivolge verso altri scenari?
    PS ho acquistato i tuoi libri, dopo quello sui due burattini e quello sulla origine del protettorato Usa sono a metà di quello sulla Kasner, non fossero gravidi di così tragiche conseguenze, definirei strepitosi i dettagli che riporti e che non conoscevo.Complimenti davvero.

    1. Gli attentati in Turchia sono riconducibili in buona parte alla strategia della tensione adottata da Recep Erdogan per traghettare il Paese verso un’autocrazia. Alcuni, probabilmente, sono effettivamente perpetrati dal PKK, ma non quelli di Istanbul.

  4. Mi chiedo ( e ti e vi chiedo) quanto si potrà andare avanti così.

    divide et impera, questo é lo slogan dei nostri anni, visto che l’impera e basta non ha funzionato. Il punto é che i russi ed i cinesi sono “blocchi” inamovibili per i quali l’avvicinamento del caos ai propri confini porterà a due sole soluzioni:
    1) guerra aperta
    2) caos vicino ai confini dei “nemici” (usa in primis)

    In entrambi i casi sembra che usa ed alleati abbiano una capacità di manipolazione, spionaggio e controllo all’estero incredibile, ma vale lo stesso anche per russia e cina ?

  5. Bellissimo articolo, come sempre del resto. Mi chiedo cos’altro resterebbe da destabilizzare se anche il Kazhakstan dovesse resistere all’impero del caos: la Mongolia? Perché mi sembra che ormai abbiano fatto tutto il possibile. Quello che non capisco è perché Putin non cominci a giocare un pò in attacco invece di starsene passivo. Capisco che faccia parte della sua educazione di judoka usare la forza dell’avversario per trarne vantaggio, ma la miglior difesa resta pur sempre l’attacco.

    1. Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, è in visita questi giorni in Kazakistan…

  6. Commentando un suo articolo,e’ impossibile non esprimerle gratitudine perche’ contribuisce a rendere piu’ chiare le motivazioni economiche,politiche e geo-strategiche degli avvenimenti che si susseguono con sempre maggiore rapidita’ davanti ai nostri occhi.Venendo al tema principale dell’articolo,vorrei porle due domande: 1) l’incontro a teheran dei ministri della difesa russo,iraniano e siriano rientra nella routine di un’alleanza ormai consolidata o potrebbe essere foriero di novita’ per il conflitto siriano? 2) prendendo spunto dal timore manifestato da qualche altro lettore in questo post di un primo colpo sferrato dagli usa contro la russia,nell’imminenza delle elezioni presidenziali usa, non crede che anche la russia possa essere indotta a prendere in considerazione tale eventualita’(first strike) visto la totale sordita’ degli usa alle sue richieste di riconsiderare il dispiegamento dello scudo missilistico in romania e polonia che ufficialmente dovrebbe proteggerci (sic) dai missili iraniani,mentre e’ evidente anche ai lattanti che rappresenta una minaccia per il sistema missilistico di deterrenza strategica russo?

    1. 1) Penso che sia legato al movimento di queste settimane tra Raqqa e Falluja.
      2) La Russia può spazzare via le difese americane in Europa in pochi giorni e senza nucleare.

      1. Sul punto 2) invece io sono sempre piu’ perplesso , “spazzare via ” per cosa ? Per avere in europa lo stesso “caos controllato” che adesso c’e’ in siria ? Per gli U$A ” signori del mare” andrebbe benissimo ma per la russia a che servirebbe ? Pare sempre piu’ che a luglio verra’ sostanzialmente proclamato a varsavia lo stato di guerra tra Nato e russia. Ora io ho sempre pensato che quello americano fosse un bluff , ma se si arrivera’ a quel punto il rischio di !qualche sparo” sara’ altissimo e non si puo’ pensare che non sia proprio questo cio’ che si vuole in U$A

  7. come ho gia’ detto commentando il post precedente la strategia del caos ” e’ tipica delle potenze marittime e si basa sul “dominio del mare” per cui si puo’ portare la guerra in casa altrui senza doverla subire in casa propria . E ‘ un schema conflittuale vecchio che risale alla guerra del peloponneso e l’ iniziativa restera’ sempre in mano alla “potenza del mare” mentre alla ” potenza di terra” non resta che subire; e la cosa andra’ avanti fino a che questultima o soccombe o trova un modo per portare la guerra in casa del nemico .
    Quindi la posizione della russia ( come gia’ vediamo in siria ed in ukraina) resta quella del pugile che “incassa “; magari” incassa” anche bene , ma l’ andazzo non cambiera’ finche’ la russia non restiuira’ qualche bel ” pugno” di quelli che ” tolgono il fiato” .. Altrimenti la sua sconfitta e’ sicura.

        1. Ci aggiorniamo al 15 gennaio 2017, MLK Day…?
          Comunicazione di servizio: ok per l’understatement (sul serio) su quel post reichiano, grazie (se ti servono altri, come diversivo, non fare complimenti).
          Però rimango un po’ a disagio col fumus di polemofilia (per restare in ambito classico), scusami, sarà la vecchiaia…

    1. A Putin non resta che andarsi a studiare le gesta di Publio Cornelio Scipione detto l’Africano, così imparerà qualcosa sul come difendersi da una potenza di “mare” e sulle strategie da adottare per avere qualche speranza di riuscita.
      Scherzi a parte, concordo completamente con la sua analisi. Se i russi non dimostrano di saper far male sul serio sono destinati ad un lungo e doloroso logoramento con probabile sconfitta.
      Dezzani, lei come la vede?

      1. Il sistema finanziario americano marcia spedito verso il collasso: si parla di mesi, non anni.

    2. Ti ricordo che la guerra del Peloponneso l’ha vinta sparta. Anche questa volta vincerà la potenza continentale.

      1. beh fino al 1700 tutte queste guerre tra “potenza del mare” e ” potenza della terra” sono state vinte da questultime ma poi le cose si sono rovesciate grazie al ben noto “gioco inglese” e hanno sempre perso sempre quelle “terrestri” ( francia+spagna 1714 , austria + francia 1763 , francia 1814 russia 1856 , e austria+germania 1918 , italia+germania1945 … e nemmeno l” URSS dopo tanta “spesa” alla fine se l’ e’ cavata. bene 🙂

  8. Una cosa che mi sono spesso chiesto è come mai Putin non abbia approfittato della situazione di estrema debolezza della Grecia (e del risentimento dei greci nei confronti della Ue) per cercare di assestare un colpo al sistema atlantico.
    Ovviamente mi rendo conto che sarebbe stato troppo ardito un repentino cambio di schieramento per la Grecia, tuttavia un governo che l’avesse poratata fuori dalla Ue e con atteggiamento particolarmente tiepido nei confronti della Nato avrebbe potuto essere un buon segnale, anche per rispondere agli attacchi operati dai servizi in tutto il Caucaso, oltre che in Siria ed Ucraina.
    Che ne pensa?

    1. Tsipras è un ambiguo prodotto di Soros, non affidabile per progetti strategici: nel luglio 2015, alla prova decisiva, si è rivelato un bluff.

    2. Sarebbe stato troppo presto, come un intervento in Ucraina. Avremmo visto bombe sui treni, cittadinanza divisa, caos economico, e tutto sarebbe stato attribuito ai russi. Quando i greci avranno venduto il partenone, gli stipendi pubblici saranno pagati a singhiozzo e l’unica maniera per mangiare per molti sarà l’assalto al supermercato; quando Germania e FMI saranno odiati, in pratica quando la società sarà in via di disfacimento, ed i greci avranno ben chiare le colpe dell’oligarchia occidentale, allora forse verrà il momento.

  9. Leggendo ‘Tacito’ la memoria va forse a ‘storico romano’, e non al genio assoluto che spiegava soffrendo ai contemporanei suoi, e poi alle generazioni, come l’impero fosse la fine di Roma. Roma oggi dona al mondo l’autore di queste di nuovo fulminanti analisi. O Annales, per meglio dire. Riuniti a Zurigo, veniva spesso quello che voi chiamate Trotsky. A volte insieme ad un altro dei nostri, conosciuto come Freud e da noi finanziato e diffuso ovunque come facciamo con gli oppiacei. Parlerà di ‘coazione a ripetere’, che poi è la nostra politica dai tempi della Diaspora. Noi temiamo profondamente Russi e Persiani. In pochi mesi hanno debellato in Siria e Cappadocia quanto ci è costato anni di lavoro. E hanno pure convinto ad unirsi a loro i Cinesi, da noi anestizzati con l’oppio e una moneta che non gli facevamo usare fuori dai confini. In breve, Tacito del 21esimo secolo, è il redde rationem.

  10. Mi unisco al coro di elogi degli altri lettori per i sui articoli magnificamente documentati e lucidissimi nell’analisi dei fatti.

    Quale appartenete e sostenitore della fazione ‘umana’ che nella lotta per la supremazia in questo pianeta é apperentemente minoritaria e palesemente perdente oltre che essere per statuto proprio favorevole alla collaborazione e non allo scontro, Le chiedo: pensa che ci sarà posto per quelli come noi o siam destinati a cercarci un altro piano di esistenza in cui vivere in pace e mutua prosperità?
    Altrimenti detto: non ha anche Lei l’impressione che la ns. specie sia un esperimento fallito?

    Scusi lo sfogo ma sono profondamente depresso.

  11. Paul Craig Roberts pone a mio avviso la domanda chiave (che ho messo in grassetto) nel suo articolo di cui qui sotto riporto uno stralcio:

    The Russians know that the propaganda about “Russian aggression” is a lie. What is the purpose of the lie other than to prepare the Western peoples for war with Russia?
    There is no other explanation.
    Even morons such as Obama, Merkel, Hollande, and Cameron should be capable of understanding that it is extremely dangerous to convince a major military power that you are going to attack. To simultaneously also convince China doubles the danger.
    Clearly, the West is incapable of producing leadership capable of preserving life on earth.
    What can be done when the entire West demonstrates a death wish for Planet Earth?<

    Il pianeta é caduto in mano a degli psicopatici, a “dei predatori sociali che predano all’interno della loro stessa specie”.
    Come li possiamo fermare questi dementi se diamo per scontato, ed io voglio sperare che così sia, la maggioranza di noi non é come loro?

  12. a mio avviso,La russia ha accettato la tregua in siria per evitare un altro afganistan,cioè non impantanarsi…
    (andare avanti significava il rischio di dover portare anche un maggiore numero truppe di terra)
    e gli americani non l’hanno rispettata e ne hanno approfittato per rinserrare le fila ai loro mercenari…
    ..

    ma i commenti servono a poco quando si leggono certe cose:

    LA GERMANIA SI PREPARA AD UNA GUERRA CONTRO LA RUSSIA ?
    Postato il Sabato, 11 giugno @ 23:15:00 BST di davide
    Titolo Originale: Germany Preparing for War Against Russia?
    Link
    7.06.2016
    Scelto e tradotto per http://www.comedonchisciotte.org da FRANCESCO C
    The original source of this article is Global Research
    http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=16553

    Germany Preparing for War Against Russia?
    By Eric Zuesse
    Global Research, June 07, 2016
    The original source of this article is Global Research
    Copyright © Eric Zuesse, Global Research, 2016
    http://www.globalresearch.ca/germany-preparing-for-war-against-russia/5529397

    Merkel erklärt Russland zum Rivalen von Deutschland
    Deutsche Wirtschafts Nachrichten | Veröffentlicht: 06.06.16 18:04 Uhr
    http://deutsche-wirtschafts-nachrichten.de/2016/06/12/csu-banken-union-wegen-problemen-bei-banken-in-suedeuropa-undenkbar/

    Kalter Krieg: Merkel richtet deutsche Militär-Doktrin gegen Russland aus
    Deutsche Wirtschafts Nachrichten | Veröffentlicht: 17.02.15 14:09 Uhr
    http://deutsche-wirtschafts-nachrichten.de/2015/02/17/kalter-krieg-merkel-richtet-deutsche-militaer-doktrin-gegen-russland-aus/

    ps.degli articoli in tedesco ne ho ricavato un summa ad uso personale..
    quanto basta per afferrarne il senso…il grave senso…..

    IN OGNI MODO LE COSE STANNO PRENDENDO UNA BRUTTA PIEGA…
    LA MERKEL è DAVVERO PERICOLOSA E NON SOLO PER NOI EUROPEI…

    del resto cosa aspettarsi da una che fa arrestare un comico approfittando di una vecchia legge del reich ,solo perchè il comico aveva sbeffeggiato il suo accolito (M)erdogan?????????????

    da una che fa piangere in tv una bambina palestinese per il rifiuto di accoglierla in germania
    e dopo poche settimane invita profughi di ogne dove a “venire in germania”???

    sono frivolezze….ma è soprattutto dalle piccole cose che si distinguono le persone..
    del resto già federico ci aveva dato un sunto esaudiente di questo mostro dalle sembianze
    di donna….di questa “culona inkiavabile”

    saluti

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