Crisi del grano: ideologie e realtà

Al terzo mese di operazioni militari e all’avvicinarsi della stagione estiva, la guerra in Ucraina sembrerebbe aver assunto una nuova dimensione, quella della crisi alimentare internazionale: la Russia, rendendo impossibile la semina e soprattutto la partenza del grano dai porti del Mar Nero, sarebbe responsabile della prossima carestia che si abbatterà su Nord Africa e Medio Oriente. In realtà, il prezzo del grano aveva iniziato ad aumentare già prima della guerra a causa della manipolazione finanziaria ed il suo rincaro rientra nella destabilizzazione ad ampio raggio condotta dagli anglosassoni.

Incetta, rincaro, rivolta

 

Un approccio semplificato, altamente ideologizzato e, si può dire, manicheo, domina oramai i media occidentali, il cui compito è preparare l’opinione pubblica al prossimo confronto militare tra il blocco continentale-euroasiatico e quello marittimo-anglosassone. Come la Cina era stata “la responsabile” dell’epidemia che ha sconquassato l’economia mondiale nel 2020, così oggi la Russia sarebbe “la responsabile” delle gravi ferite inflitte al mercato globale, sempre più lacerato e frammentato. In particolare, la Russia sarebbe colpevole del forte rialzo dei prezzi dell’energia e delle materie prime, che sta spingendo in molti Paesi occidentali l’inflazione oltre la soglia del 10%, e, in particolare, della prossima crisi alimentare che rischia di colpire duramente quei Paesi mediorientali ed africani che più dipendono dalla produzione cerealicola dell’Ucraina. Come sempre, la verità si colloca agli antipodi della propaganda. Come, infatti, i laboratori batteriologici statunitensi scoperti dai russi durante la loro avanzata in Ucraina, confermano le iniziali ipotesi di un’origine tutta artificiale ed occidentale dell’epidemia di Covid, così, è facile dimostrare come la “crisi del grano” in nuce, non sia imputabile alla Russia, bensì rientri nella più ampia strategia anglosassone di destabilizzazione dell’Isola Mondo (Africa, Europa ed Asia).

Si parta col dire che la “crisi del grano” è apparsa sui media occidentali sono a partire dal terzo mese di guerra. Chi, come noi, avesse analizzato gli avvenimenti con un respiro geopolitico di lungo periodo, aveva invece evidenziato sin dai primissimi giorni della guerra, come il conflitto in Ucraina sarebbe sfociato, nel volgere di poco tempo, in una crisi alimentare che avrebbe duramente colpito i Paesi dipendenti dal grano del Mar Nero. Il nostro ragionamento era molto semplice: già alla base delle Primavere Arabe del 2011, l’ampia destabilizzazione del Medioriente condotta da angloamericani e francesi e culminata con le guerre in Libia a Siria, c’era stato il forte rialzo dei prezzi cereali, rialzo che aveva impoverito i ceti medio-bassi dei Paesi mediorientali e preparato il terreno alle rivolte di piazza. Posto che la volontà delle potenze anglosassoni è sempre quella di mantenere il Medio Oriente ed il Nord Africa nella condizione di massima debolezza possibile (con un focus particolare su Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Libano e Siria), agli inizi del marzo 2022 avevamo quindi scritto che il conflitto in Ucraina sarebbe stato utilizzato dalle potenze occidentali per attuare una seconda e, auspicabilmente definitiva, destabilizzazione della regione, spingendo alle stelle i prezzi dei generi alimentari di prima necessità.

Occorre infatti sottolineare subito un elemento. Nonostante il conflitto in Ucraina (che, producendo 25 milioni di tonnellate, è circa l’ottavo produttore di grano al mondo), non ci sarebbe alcuna carenza fisica di cereali, proprio come gas e petrolio abbonderebbero e sarebbero in grado di soddisfare ampiamente la domanda. La manovra di destabilizzazione verte totalmente sulla manipolazione dei prezzi. Eliminando alcuni produttori dal mercato (l’Ucraina), sanzionandone altri (la Russia), consentendo che altri impongano divieti alle esportazioni (l’India), vietando l’utilizzo delle proprie riserve strategiche (USA in primis) ed agendo sui prezzi dei derivati quotati in borsa (i “futures” sui prezzi del grano sono vere e proprie armi impiegate per fini politici), le potenze anglosassoni mirano infatti a fare lievitare il prezzo dei cereali. Si tratta di una vera e propria manovra speculativa, che si innesta perfettamente su quel rialzo generalizzato dei prezzi alimentato ad hoc subito dopo la pandemia (vedi grafico sottostante). È bene ricordare, infatti, che USA, Canada e Francia sono tra i maggiori produttori al mondo di grano e che, se volessero evitare quel rischio di “carestia” di cui i media incolpano la Russia, potrebbe semplicemente vendere a prezzi calmierati i propri cereali, soprattutto ai Paesi più fragili della fascia mediorientale, o anche soltanto tarpare le ali alla speculazione in borsa. Al contrario, l’intera strategia delle potenze occidentali mira scientificamente alla corsa forsennata dei prezzi, secondo la classica tecnica di manipolare il valore delle materie prime per conseguire obiettivi geopolitici.

In questo quadro, come avevamo evidenziato sin da subito, l’Europa si candida ad essere la vittima sacrificale della prossima crisi alimentare progettata dagli anglosassoni. Innanzitutto, il brusco aumento dei beni di prima necessita rischia di innescare l’ennesima ondata migratoria dall’Africa e del Medio Oriente verso il Vecchio Continente, già alle prese col più sanguinoso conflitto militare dal 1945. In secondo luogo, come sottolineato nella nostra analisi geopolitica sull’Algeria, la fiammata dei prezzi alimentare sarà quasi certamente impiegata per gettare nel caos quei Paesi africani che dovrebbero “sostituire” la Russia negli approvvigionamenti energetici verso l’Europa. Nello specifico caso italiano, ad esempio, è facile immaginare che la Libia, che non si è mai ripresa dalla Primavera Araba e dall’intervento NATO del 2011, scivoli ulteriormente nell’anarchia nei prossimi mesi, bloccando del tutto quei flussi energetici che, oggi, sarebbero preziosissimi per l’Italia.

C’è un ultimo canale, infine, attraverso cui l’Europa sarà colpita dalla “crisi del grano” in nuce, quello dell’inflazione e della correlata destabilizzazione finanziaria. Il rincaro del grano, che si ripercuote immediatamente sul costo di pane e pasta, sommato alle bollette energetiche e al prezzo dei carburanti sempre più esosi, darà un contributo significativo alla spinta dell’inflazione verso la soglia psicologica del 10% che “obbligherà” le banche centrali a rialzare i tassi, nonostante i sinistri scricchiolii dell’economia reale. Più volte abbiamo sottolineato quali obiettivi gli angloamericani intendono raggiungere con la prossima stretta monetaria, che farà leva sulla mole di debito pubblico accumulata per fronteggiare lo choc della pandemia. Di nuovo, occorre soffermarsi sullo specifico caso dell’Italia che, per posizione geografica e livello di indebitamento, si candida ad essere colpita sia dall’ennesima destabilizzazione del Nord Africa che dalla prossima stretta monetaria. Il differenziale tra Btp e Bund, ormai stabilmente sopra i 200 punti base, conferma che l’Italia sarà il punto in cui il caos che risale dall’Africa si salderà all’Europa. La minoranza che è consapevole della scellerata distruzione cui è sottoposta l’Italia è, al momento, costretta ad osservare impotente il compiersi degli avvenimenti.