Come i referendum separatisti accelereranno la disfatta russa

Di fronte ad un quadro militare sempre più compromesso, Mosca ha indetto una serie di referendum nelle regioni ucraine separatiste per annetterle alla Federazione Russa: a quel punto, la regione sarebbe sotto “l’ombrello nucleare” del Cremlino e qualsiasi ulteriore avanzata di Kiev neutralizzata. In realtà, la manovra è un azzardo che si ritorcerà contro la Russia stessa, dove presto partirà la partita per il dopo-Putin.

Bluff maldestro

Nella nostra recente analisi, abbiamo messo in luce come moltissime delle scelte strategiche adottate da Vladimir Putin siano palesamene errate da lasciare addirittura pensare che l’inquilino del Cremlino siano colpevole di intelligenza col nemico. Gli ultimi sviluppi in Ucraina confermano quest’ipotesi e lasciano presagire un futuro molto fosco per la Federazione Russa. Dopo la disfatta nella regione di Charkov ed il passaggio dell’iniziativa agli ucraini, si aspettava infatti un radicale cambio di strategia di Mosca, ma le decisioni assunte lasciano davvero stupefatti e lascia supporre che sia sopratutto una manovra di Putin per evitare di essere defenestrato dai “falchi” che premono per un cambiamento a 180 gradi della strategia.

Il 20 settembre, infatti, è stato annunciato che le quattro regioni ucraine separatiste (Donetsk, Lugansk, Cherson e Zaporija) indiranno a breve un referendum per accedere alla Federazione Russa. L’atto politico, di per sé, è neutrale. La tempistica, però, è tutto. Se infatti tali referendum fossero stati annunciati sull’onda di una netta ed inconfutabile vittoria militare russa in Ucraina (facilmente conseguibile, se la guerra fosse stata impostata in tutt’altro modo), avrebbero semplicemente ratificato un nuovo rapporto di forza nell’Est europeo: il controllo russo di buona parte delle coste ucraine e del Mar Nero. I referendum, al contrario, sono stati indetti sull’onda della disfatta di Charkov e, sopratutto, dopo le reiterate affermazioni di Vladimir Putin (ripetute da Narendra Modi e da Recep Erdogan) di voler porre fine alle ostilità il prima possibile.

Così facendo, Vladimir Putin alimenta all’estero l’immagine di una Russia in grande difficoltà, costretta a ricorrere ad improbabili e maldestri “bluff” pur di salvare la situazione sul campo militare. Il 21 settembre, infatti, il capo del Cremlino ha annunciato che i referendum saranno accompagnati da una mobilitazione parziale (estesa cioè solo ai riservisti) e dall’estensione ai “nuovi territori” russi della dottrina nucleare russa: uso di ordini atomici in caso di attacco al suolo nazionale.

Ora: la mobilitazione (che necessita di almeno 4-6 mesi per produrre i primi effetti) avrebbe dovuto essere proclamata almeno lo scorso marzo, dopo che il tentativo di “rovesciare” Zelensky assediando Kiev era fallito. Non si può certo sperare di ribaltare la situazione sul campo promettendo l’impiego, dopo l’inverno, di una maggiore massa di uomini. L’unica via per puntellare la guerra convenzionale gravemente compromessa è, adesso, ricorrere ad un maggior uso dell’aviazione ed ai bombardamenti strategici, distruggendo (finalmente!) con sistematicità quelle infrastrutture ucraine che il Cremlino ha lasciato incredibilmente intonse in sette mesi di combattimenti: le ferrovie ed i ponti sul Dniepr che portano le armi angloamericane dal confine polacco sino al remoto teatro di guerra nel sud-est ucraino. Se la mobilitazione non produrrà alcun effetti tangibile fino alla prossima primavera, è invece probabile che sia utilizzata fin da subito dalla rete anglosassone per innescare l’ennesima rivoluzione colorata, sulla falsariga del 1905 e del 1917.

Rimane l’ombrello nucleare russo: dopo aver votato per l’annessione, le quattro regioni sarebbero a tutti gli effetti territorio russo e, quindi, Mosca, potrebbe rispondere con un attacco nucleare tattico qualora gli ucraini continuassero l’avanzata. Putin, nella conferenza stampa del 21 settembre, ha espressamente detto di “non bluffare” sull’uso delle armi nucleari. Ma è credibile? È davvero credibile che chi è si finora astenuto dal bombardare i ponti sul Dniepr, ricorra agli ordigni nucleari tattici? E contro quali obiettivi: la linea d’attrito tra i due schieramenti? O a semplici scopi dimostrativi, alimentando così ulteriormente la pressione politica internazionale sulla Russia e dando la possibilità agli angloamericani di portare la guerra per procura in Ucraina allo stadio successivo? È davvero poco credibile.

Non solo, dunque, i referendum saranno del tutto inutili a bloccare l’offensiva ucraina, ma rischiano di mettere la Russia in una situazione ancora più critica. Si immagini cosa accadrebbe se gli ucraini attaccassero Cherson o Lugansk dopo il referendum: qualora i russi non rispondessero all’istante con una micidiale rappresaglia, il “bluff” di Putin sarebbe immediatamente scoperto, con un effetto domino su tutte le posizioni russe in Ucraina. Di fronte alla “passività” della Russia nel difendere i propri territori in Ucraina, si accenderebbero in un attimo anche tutte le forze centrifughe all’interno della Federazione Russa, dalla Transnistria agli avamposti in Georgia, passando per Grozny. Tutti metterebbero in discussione la forza militare russa e la sua effettiva volontà di difendersi.

In sostanza, l’indizione dei referendum nelle regioni separatiste conferma quanto scritto nella nostra ultima analisi: la Russia, grazie alla criminose scelte strategiche della sua classe dirigente, è diretta verso una nuova Tsushima che, quasi certamente, sarà utilizzata dagli anglosassoni per cercare di rompere l’asse russo-cinese. Se nel febbraio scorso, la Russia aveva davanti a sé la possibilità di riacquistare lo status di potenza mondiale attraverso una facile guerra convenzionale, ora sembra minacciare una guerra atomica per salvare se stessa. Più che su improbabili scenari atomici, l’attenzione dovrebbe però focalizzarsi sui caotici scenari che seguiranno la sempre più probabile sconfitta russa in Ucraina. Gli anglosassoni faranno di tutto per separare Mosca da Pechino: spetta ai cinesi prepararsi a gestire il difficile post-Putin.